Archivi categoria: Stampa

Mobilità 2016, l’Ordinanza non arriva e il Miur vuole spostare le assunzioni al 15 settembre

da La Tecnica della Scuola

Mobilità 2016, l’Ordinanza non arriva e il Miur vuole spostare le assunzioni al 15 settembre

Ancora non c’è traccia dell’Ordinanza sulla mobilità 2016 del personale scolastico. Ed il motivo è sempre lo stesso.

Quello relativo al fatto che il sì di Ragioneria dello Stato e Funzione Pubblica sul testo relativo all’accordo sottoscritto lo scorso 10 febbraio tra Miur e sindacati, tarda ad arrivare. L’esame, si sapeva, risulta chiaramente più complesso degli ultimi anni, visto che ci sono i “paletti” imposti dalla Legge 107/15. In particolare, quello degli ambiti territoriali, in parte “aggirato” dall’accordo (anche se non per tutti i docenti, visto che gli assunti nelle due tornate finali vi incapperanno).

Solo che la tempistica sull’ottenimento del parere definitivo delle due istituzioni pubbliche, sta andando oltre ogni aspettativa più nera. Evidentemente, i funzionari incaricati dell’esame del testo stanno esaminano poche pagine al giorno.

I primi ad essere meravigliati per questo prolungamento dei tempi – dopo aver detto un mese fa che l’Ordinanza sarebbe stata pubblicata entro il 20 marzo 2016 – sono i dirigenti del Miur.

Non tanto, sembra, per i possibili rilievi che apporranno Mef e ministero della Pubblica Amministrazione (su questo fronte si parla di “piccole richieste di modifiche e chiarimenti”). A destare preoccupazione sono gli effetti che si verranno a determinare.

Perché l’accordo prevedeva la conclusione delle operazioni di trasferimento di tutto il personale docente entro la fine di luglio, cui sarebbero poi seguite anche le utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie. Ora, ammesso che l’Ordinanza arrivi qualche giorno dopo Pasqua, ma più probabilmente la settimana successiva ancora, quindi nella prima decade di aprile, andrà a finire che quel programma dovrà essere posticipato di almeno quindici giorni.

Ma siccome le immissioni in ruolo devono per legge essere effettuate al massimo entro il 31 agosto, in modo che il contratto abbia decorrenza giuridica ed economica dal 1° settembre 2016, al Miur stanno pensando di chiedere una deroga: spostare di 15 giorni quel termine, in modo da attuare le assunzioni senza strascichi negativi per i neo immessi in ruolo.

L’intenzione presto si tradurrà in una formale domanda: subito dopo le festività pasquali, quando arriverà l’Ordinanza sulla mobilità firmata dal ministro Giannini, partirà anche la richiesta di deroga, attraverso l’approvazione di una norma ad hoc.

 

“Serve una soluzione per gli insegnanti dei licei musicali”

da La Tecnica della Scuola

“Serve una soluzione per gli insegnanti dei licei musicali”

Il deputato del Partito democratico Marco Donati, interviene in merito alla questione dei licei musicali, dopo che nei mesi passati ha presentato emendamenti alla Camera su questo argomento.

“Serve individuare una soluzione per gli insegnanti dei licei musicali”, dichiara Donati. “Nati come sperimentali, i licei musicali – spiega – rappresentano oggi un bagaglio di competenze e professionalità che non possiamo disperdere. Occorre essere sensibili alla ‘pacifica’ protesta levatasi dagli studenti”.

“L’auspicio è che si possa presto arrivare a una soluzione grazie a un intervento del Miur”, conclude.

Concorso docenti, siamo a 80mila domande ma alla fine saranno il doppio

da La Tecnica della Scuola

Concorso docenti, siamo a 80mila domande ma alla fine saranno il doppio

Il 24 marzo hanno raggiunto quota 80mila le domande complessive di partecipazione al concorso per Esami e Titoli, di cui oltre 60mila già inoltrate.

“Si tratta di dati che si evolvono e incrementano di ora in ora, in modo crescente. Con un ritmo che si aggira su più di 10mila nuove richieste di partecipazione al giorno”, ha spiegato oggi il Miur alla Tecnica della Scuola.

Sempre dal ministero dell’Istruzione, abbiamo appreso che la differenza di quasi 20mila domande, tra le quelle inviate e quelle in stand by, si deve al fatto che la domanda una volta inviata definitivamente non può essere più cambiata. Anche se alcuni docenti, tuttavia, ci hanno segnalato di averla inoltrata più volte e aver ricevuto dall’amministrazione ampie rassicurazioni sul fatto che “vale l’ultima versione inviata” (che cancellerebbe in modo automatico tutte le altre).

Diversi precari aspiranti all’immissione in ruolo, tramite il concorso, non hanno però evidentemente voluto “rischiare”. E hanno così “salvato” i dati sicuri nel sistema Istanze OnLine predisposto dal Miur, per poi rimandare l’inoltro definitivo non appena saranno disponibili i certificati mancanti o ancora incompleti. Oppure saranno sciolte le ultime certezze su quelle classi di concorso per le quali concorrere o qualche altro dubbio amletico sulla compilazione delle domanda digitale.

Fatto sta che, ad una settimana dalla scadenza del bando di concorso, non è di certo facile stabilire quante saranno le domande alla fine prodotte. L’amministrazione ha fissato attorno ai 200mila i precari abilitati all’insegnamento interessati a svolgere il concorsone.

“Ma si tratta di una platea potenziale – sottolineano a Viale Trastevere – perché non è detto che tutti proprio tutti presentino la loro condidatura. Soprattutto coloro che sono in posizioni vantaggiose nelle GaE, potrebbero decidere di non partecipare”. È probabile che molti di loro, in ogni caso, decidano all’ultimo momento.

Lo dicono anche le esperienze concorsuali passate. In occasione della selezione del 2012, infatti, il 30 per cento delle domande pervenute arrivò nell’ultima settimana. Stavolta si dovrebbe anche superare quella percentuale. E probabilmente chiudere il 30 marzo, se le previsioni verranno rispettate, attorno ai 150mila partecipanti. Più i ricorrenti non abilitati. La cui presenza alle prove, sarà legata a doppio filo alla decisione dei giudici.

Il “Cedolino day” dei dirigenti

da La Tecnica della Scuola

Il “Cedolino day” dei dirigenti

Visto che il MIUR continua ad affermare che la retribuzione dei presidi aumenterà riconoscendo i carichi di lavoro e le responsabilità dei dirigenti scolastici è indispensabile fargli vedere qual è il loro stipendio mensile. Ed è così partito il “cedolino day” , la protesta dei dirigenti scolatici sostenuta da  FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola e SNALS CONFSAL che hanno organizzato la raccolta dei cedolini del mese di marzo dei dirigenti scolastici dal 2010 al 2016.

I cedolini saranno raccolti da ciascuna Organizzazione Sindacale

I modelli verranno consegnati il prossimo 13 aprile al Presidente del Consiglio e ai Ministri dell’Istruzione e dell’Economia da una delegazione di dirigenti scolastici.

La mobilitazione dei dirigenti scolastici, si legge in un comunicato della Flc-Cgil, è indetta da FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola e SNALS CONFSAL  e ha come obiettivi anche l’apertura di un tavolo di confronto sulla valutazione e  l’avvio delle procedure per lo

Svolgimento del concorso.

Ma non finisce qui il comunicato, perché fa pure riferimento al fronte della valutazione della dirigenza scolastica per il quale il Ministero si avvia a varare, senza alcun confronto con il sindacato, un sistema di valutazione che applica alla scuola norme dalle quali è invece esclusa (Piano delle Performance e Organismi Indipendenti di Valutazione) e contiene inaccettabili collegamenti ai risultati degli alunni.

Interessante però sarebbe affiancare a questa protesta del “cedolino day” dei dirigenti scolastici, anche il “cedolino- fame” dei docenti e pure i “cedolini-pizzini” del supplenti visto che un cedolino-vero spesso è del tutto mancante; ma anche quello “precario” dei precari, come i docenti di strumento musicale che non possono né fare il concorso né essere confermati in una classe di concorso del tutto nuova.

Concorso, prove scritte inizio maggio? Forse sì, forse no…

da La Tecnica della Scuola

Concorso, prove scritte inizio maggio? Forse sì, forse no…

A giorni saranno depositate al Tar Lazio le istanze di migliaia di ricorrenti che rivendicano il diritto di partecipare al concorso a cattedre, a fronte degli sbarramenti previsti dal bando di concorso e dalla legge n. 107/2015.

I decreti dirigenziali del 23 febbraio scorso, che hanno bandito le procedure concorsuali, hanno previsto che il prossimo 12 aprile sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale l’avviso relativo al calendario delle prove scritte.

Nei giorni scorsi è circolata la notizia secondo cui le prove dovrebbero iniziare a fine aprile, ma sul punto appare opportuno fare qualche precisazione.

Abbiamo, dunque, chiesto al nostro esperto, avvocato Dino Caudullo del Foro di Catania (nella foto), che sta curando la difesa di molti candidati di fare chiarezza sulla situazione.

 

D. – Avv. Caudullo che probabilità ci sono che le prove del concorso inizino il 28 aprile?

R. –E’ vero che sia i bandi di concorso che il D.P.R. n. 487/1994 (recante il regolamento sui concorsi pubblici n.d.r.) prevedono che il diario delle prove scritte debba essere comunicato ai candidati almeno quindici giorni prima dell’inizio delle prove medesime, ma è altrettanto vero che quello indicato è il termine minimo di preavviso.

Non è pertanto scontato che le prove avranno inizio esattamente il 28 aprile, ma è molto più probabile che l’avvio sia previsto per i primi giorni di maggio”.

D. – Data l’imminenza dello svolgimento delle prove, cosa sta succedendo presso gli studi legali?

R. – “In ogni caso i tempi sono strettissimi per i ricorrenti, e per gli studi legali di tutta Italia che stanno alacremente lavorando alla raccolta delle adesioni ed alla redazione dei ricorsi che investiranno diversi profili del bando”.

 

D. – Come si cercherà quindi di tutelare le istanze dei ricorrenti che aspirano a partecipare al concorso?

R. – “Certamente nei ricorsi verrà richiesta al Tar del Lazio, in via cautelare, l’ammissione con riserva al concorso, però si dovrà affrontare una corsa contro il tempo per sottoporre l’istanza cautelare al Tribunale, in tempo utile rispetto alla data della prova.

Difatti, la sezione del Tar del Lazio competente sulla materia terrà udienza in Camera di Consiglio nei giorni 6, 7, 20 e 21 aprile e sarà necessario, dunque, depositare in tempo utile i ricorsi affinché possano essere discussi in una delle previste udienze.

E’ ovvio che non ci si attende ‘sconti’ sulla tempistica delle prove scritte da parte del Ministero, intenzionato a non rendere vita facile ai ricorrenti, pertanto si profila anche la possibilità di dover richiedere dei provvedimenti d’urgenza monocratici al Presidente del Tar il quale, secondo le disposizioni del codice del processo amministrativo, nei casi di estrema urgenza ha il potere di emettere misure cautelari prima dell’udienza collegiale”.

 

È altrettanto vero, d’altro canto, che l’auspicata ammissione delle migliaia di ricorrenti al concorso, metterà certamente in crisi l’organizzazione già predisposta dal Ministero dell’istruzione per lo svolgimento delle prove.

Dovrebbero infatti essere rivisti sia i calendari che le sedi individuate dagli Uffici scolastici regionali, i quali si vedrebbero costretti a riorganizzare lo svolgimento delle prove in funzione del maggior numero di concorrenti rispetto a quelli previsti, con un inevitabile slittamento dell’intera tempistica programmata dal Ministero.

Il Miur infatti auspica la conclusione dell’intero concorso in tempo utile per l’avvio del nuovo anno scolastico, ma questo, anche a prescindere dall’esito del contenzioso, appare un obiettivo arduo anche alla luce della recente esperienza del concorso del 2012.

Finalmente l’anagrafe dell’infanzia. Finisce l’era dei dati in libertà

da tuttoscuola.com 

Finalmente l’anagrafe dell’infanzia. Finisce l’era dei dati in libertà

Dopo oltre tre anni di attesa, da quando la legge n. 221 del 17 dicembre 2012 aveva disposto di estendere l’anagrafe nazionale degli studenti anche alla scuola dell’infanzia, il settore dei più piccoli rileverà con attendibilità la presenza effettiva della popolazione scolastica presente.

Dopo una lunga e quasi inspiegabile attesa, dopo avere acquisito nell’ottobre scorso anche il parere del Garante della privacy, il ministero dell’istruzione ha varato finalmente il decreto che già dai primi di aprile consentirà di rilevare nelle scuole dell’infanzia statali e paritarie la popolazione scolastica effettivamente presente.

Non si tratta, come può sembrare, di una semplice rilevazione statistica. C’è molto di più.

Come era già successo alcuni anni fa all’avvio dell’anagrafe nazionale degli studenti, quando, soprattutto negli istituti d’istruzione secondaria di II grado, la trasparenza e la certezza del numero degli studenti iscritti non consentiva di ritoccare i dati per salvare qualche classe, ora anche la scuola dell’infanzia dovrà fare i conti con l’incontrovertibilità dei numeri degli iscritti effettivi.

Certi ‘trucchetti’ per gonfiare i dati con numeri compiacenti adattati in libertà non saranno più possibili, come forse è invece successo negli ultimi anni, soprattutto in diverse province meridionali, dove, in base ai dati ufficiali Istat, sembra che risultassero iscritti a scuola più bambini di quelli esistenti. L’anagrafe della scuola dell’infanzia impedirà, quindi, di usare fittiziamente numeri di iscritti per salvare organici di scuole statali o per lucrare i contributi pubblici per le scuole paritarie. Con risparmio per le casse dello Stato.

Statali, contratti verso la «soluzione-ponte» sui nuovi comparti

da Il Sole 24 Ore

Statali, contratti verso la «soluzione-ponte» sui nuovi comparti

di Gianni Trovati

Una soluzione ponte sulla rappresentatività, per dare ai sindacati un tempo definito per aggregarsi e superare anche nei nuovi comparti le soglie di iscritti ed elettori necessarie a sedersi ai tavoli per i rinnovi contrattuali.

Sarà questo il meccanismo, accompagnato da criteri chiari per evitare alleanze solo di facciata, che l’Aran metterà sul piatto per superare l’impasse nella ridefinizione della geografia del pubblico impiego necessaria a far partire le trattative per il rinnovo dei contratti nazionali degli statali. L’appuntamento per quello che dovrebbe essere l’incontro finale, dopo un’attesa che si è allungata in extremis proprio per le resistenze diffuse in campo sindacale, è fissato per il 4 aprile. La nuova architettura dei comparti sarà quella nota da tempo, articolata in sanità, poteri locali, conoscenza (scuola, università, ricerca e alta formazione artistica e musicale) e poteri centrali, il compartone di ministeri, agenzie fiscali, enti non economici e di tutto quello che non rientra nei primi tre ambiti: non proprio tutto, in realtà, perché la presidenza del consiglio potrebbe rimanere fuori dalla “gabbia” dei 4 comparti dal momento che nessuno dei decreti attuativi della riforma Brunetta ha detto a chiare lettere che anche Palazzo Chigi deve trovar posto nei nuovi comparti (si veda Il Sole 24 Ore del 29 febbraio).

In ogni caso, la convocazione arrivata dall’Aran serve per provare a superare le obiezioni che ancora agitano il fronte sindacale, non solo fuori dai confederali. Il problema è più spinoso per le sigle più piccole, perché la fusione di scuola, università e ricerca nel comparto della conoscenza e della Pa statale in quello dei poteri centrali rende impossibile raggiungere senza nuove alleanze le soglie della rappresentatività; il ridisegno porta però ad aggregare anche articolazioni interne ai sindacati più grandi (per esempio la scuola e l’università), e non tutti i confederali guardano a questa prospettiva con la stessa serenità.

In tutta la partita, comunque, i nodi tecnici si intrecciano con quelli politici in un groviglio difficile da sciogliere; superare lo scoglio dei comparti riporterebbe infatti il problema dei contratti nelle mani del Governo, chiamato a costruire una proposta di rinnovo con 300 milioni di dote: questione complicata ulteriormente anche dalle sentenze dei tribunali del lavoro che in queste settimane stanno sancendo il diritto degli statali ai ritocchi in busta paga non dal 1° gennaio 2016 ma dal 30 luglio 2015, cioè dal giorno successivo alla pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» della sentenza 178/2015 con cui la Corte costituzionale ha stabilito che il congelamento era durato abbastanza.

Anche la patente Ue del computer Ecdl nei servizi della Carta dello studente

da Il Sole 24 Ore

Anche la patente Ue del computer Ecdl nei servizi della Carta dello studente

Da oggi gli studenti in possesso di «IoStudio – La Carta dello Studente» – promossa dal Miur e rivolta a tutti gli iscritti alle scuole superiori – avranno la possibilità di prepararsi e sostenere gratuitamente l’esame per il modulo It Security della Nuova Ecdl, la Patente europea del computer.
L’Aica, l’associazione per l’informatica e il calcolo automatico e ente garante per l’Italia del programma Ecdl ha infatti aderito alla Carta dello studente lanciando l’iniziativa «iocliccosicuro – con Ecd puoi», grazie alla quale sarà accedere gratuitamente alla piattaforma di formazione www.micertificoecdl.it , per prepararsi e sostenere l’esame per il modulo It-Security della patente Ue del computer, che – spiega Aica – certifica le competenze digitali di base: saper usare gli strumenti di scrittura, calcolo e presentazione; saper navigare in modo sicuro nel web, utilizzare strumenti di collaborazione on line e social network e saper fare ricerche in rete.

Come partecipare
Dopo essersi registrato sul portale IoStudio -La carta dello Studente , lo studente potrà accedere gratuitamente a www.micertificoecdl.it , la piattaforma di materiale didattico sviluppata da Aica, che raccoglie videolezioni, manuali, esercizi e test pratici.
Dalla data di registrazione al portale, ogni studente avrà a disposizione un anno di tempo per sostenere l’esame presso uno dei test center Ecdl aderenti all’iniziativa.
Per avere maggiori informazioni sull’iniziativa www.iocliccosicuro.it

Coding già in età prescolare, due italiani per una start-up innovativa

da Il Sole 24 Ore

Coding già in età prescolare, due italiani per una start-up innovativa

di Flavia Foradini

In un tempo ormai lontano, ai bambini si davano le sveglie e i telefoni rotti, perché giocassero a smontarli, e si divertissero a scoprire ingranaggi e circuiti.
Oggi molti dei dispositivi-giocattolo che debordano dalle nostre case, sono sigillati e non consentono alcuno sguardo indiscreto. In larga parte, usiamo computer, tablet, telefonini, console, senza avere la più pallida idea di come e perché funzionino, e ci consegniamo così a esperti e tecnici, chiamati a concepire, produrre e aggiustare i nostri prodotti di uso quotidiano.
In controtendenza al dilagare di infecondi giochi elettronici, l’EduTech sta divulgando tuttavia prodotti a fruizione diversa e più consapevole, rispetto al semplice azionamento di una tastiera o di un quadro comandi. E così come si abbassa sempre più l’età di utilizzo dei dispositivi elettronici e informatici, allo stesso modo i nuovi giocattoli educativi guardano ad una platea di utenti sempre più piccini.

Settore in espansione
In questo settore promette forte espansione l’insegnamento del coding, e per l’àmbito prescolare l’ultima novità viene da un gioco per bambini dai 3 anni (”Cubetto Playset”), che è al tempo stesso un’esemplare avventura di cervelli in fuga dall’Italia, e una storia di interessante ripartenza educativa. I due fondatori della start-up con sede a Londra sono infatti due italiani, Filippo Yacob e Matteo Loglio, e il gioco che hanno messo a punto in tre anni di progettazione, sperimentazioni e ricerca di capitali, è tutto fuorché un gadget elettronico, visto che riparte da un materiale antico, il legno, e nelle sue componenti si cercherebbe invano uno schermo.
Ed è quest’ultimo elemento che suscita curiosità ed attenzione, in un prodotto nato nel terzo millennio da due ragazzi nati e cresciuti nell’èra digitale: «Non abbiamo nulla contro gli schermi e le interfacce digitali, ma il rischio di usarli per imparare a programmare, è che distraggano – ci dice il Ceo Filippo Yacob -. Perciò sì, siamo convinti che nella nostra èra digitale imparare a programmare sia sempre più importante e che il coding dovrebbe essere una normale materia curricolare come lingua o matematica, però siamo orgogliosi di fare a meno degli schermi: è difficile per una bimba o un bimbo in età prescolare vedere in un dispositivo un oggetto educativo e non un mezzo di intrattenimento. Se ha in mano un device vuole farci mille cose, guardare Youtube, cambiare giochi ogni 30 secondi. “Cubetto” non ha uno schermo, è un robottino fatto di legno, e il quadro di comando che lo fa muovere ha dei blocchi colorati che corrispondono ciascuno ad una particolare funzione di programmazione e dà ai bimbi il tempo di considerare, capire, decidere come procedere per far muovere Cubetto in questa o quella direzione».

Dall’esperienza montessoriana
Un modo di programmazione che parte dalla concreta esplorazione, da parte dei piccoli informatici, delle opzioni offerte: «L’idea che ci ha ispirato è quella dell’esperienza concreta, manuale, montessoriana – prosegue Yacob – Questo modo di programmare giocando, parte dall’esperienza tattile prima ancora che visiva, tanto che fra le 800 istituzioni in 40 Paesi che hanno adottato “Cubetto” vi sono scuole per bambini ipovedenti o non vedenti. E’ inoltre un gioco che sviluppa consapevolezza dello spazio e della sequenzialità degli eventi, ed è collaborativo, perché fa scoprire che còmpiti difficili si risolvono meglio cooperando».
Anche sul sito della start-up che propone il gioco, la particolarità dell’assenza di schermo o interfaccia digitale viene ripetutamente sottolineata come elemento innovativo: «I giochi programmabili in commercio funzionano come estensioni di tablets o smartphones, per cui il coding si attua sullo schermo. Noi invece innoviamo creando un linguaggio di programmazione da toccare davvero».
Il progetto ha prodotto anche un sito apposito di supporto per docenti, con manuali e proposte didattiche, e ha raccolto attorno a sé una vasta comunità di insegnanti collaborativi. www.primotoys.com/docs

Alternanza, decreto in arrivo

da ItaliaOggi

Alternanza, decreto in arrivo

Dubbi da sciogliere sulle 400 ore di lavoro: sostitutive o aggiuntive all’orario delle lezioni

Alessandra Ricciardi

Alternanza scuola-lavoro, in arrivo il decreto che ne disciplina le modalità attuative in termini di «diritti-doveri» per gli studenti. Il regolamento, previsto dalla riforma della scuola definita dalla legge n. 107/15, è ancora in bozza in attesa che siano formulate le osservazioni del Consiglio superiore dell’istruzione.

Acquisito il parere, il provvedimento andrà alla firma dei ministri dell’istruzione, Stefania Giannini, e del lavoro, Giuliano Poletti. L’obbligo di alternanza riguarda per quest’anno 500 mila alunni delle terze classi di licei, istituti tecnici e professionali. Per i primi l’orario previsto di lavoro è di almeno 200 ore, per i tecnici e professionali si sale a un minimo di 400 ore. Il tutto sempre nell’arco degli ultimi tre anni del corso di studi.

Ma quello che il decreto al momento non dice è se queste ore, che sono definite come parte «integrante e coerente del percorso di studi», siano da intendersi come sostitutive di una quota parte dell’orario già previsto oppure se si aggiungano alle ore ordinamentali, ipotesi quest’ultima che sembra essere suffragata dalla previsione che le attività si possano svolgere anche d’estate. Una differenza non da poco, che potrebbe avere effetti non solo sui percorsi dei singoli studenti ma anche sull’assetto degli organici delle scuole per le varie discipline.

L’alternanza prevista dalla riforma della Buona scuola mette a regime le sperimentazioni finora fatte, in cui erano gli studenti a presentare la richiesta di svolgere attività in ambito lavorativo.

Un’apertura al mondo del lavoro che ha finora scontato le differenze territoriali, con un Nord più disponibile e un Sud in cui la carenza di aziende la fa da padrone. E poi c’è la struttura aziendale nazionale, fatta di un 95% di piccole e medie imprese con meno di dieci addetti, che rende difficile garantire ospitalità e tutor all’intera potenziale platea degli studenti. Difficoltà con cui aziende e presidi stanno già facendo i conti.

Nel nuovo regime, è compito del dirigente scolastico individuare le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili per l’attivazione di percorsi di alternanza scuola-lavoro e con questi stipulare le relative convenzioni: aziende, associazioni di imprese, camere di commercio, enti pubblici e privati, compresi quelli del terzo settore, ordini professionali, musei, istituti pubblici e privati operanti nei settori culturali, ambientali e sportivi.

I percorsi devono essere inseriti nel piano triennale dell’offerta formativa della scuola. Il percorso può essere svolto in un’azienda, ma anche attraverso la modalità dell’impresa formativa simulata. Le competenze acquisite vanno certificate. Gli studenti devono essere seguiti da un tutor interno indicato dalla scuola e da un tutor esterno, indicato dall’azienda.

La durata delle attività giornaliere svolte in regime di alternanza non può superare l’orario indicato nella convenzione stipulata tra l’istituzione scolastica e la struttura che ospita gli studenti. Tra le attività ricadono anche gli stage, i tirocini e la didattica di laboratorio. Ai fini della validità del percorso di alternanza è necessario che lo studente abbia frequentato almeno tre quarti del monte ore previsto dal progetto.

Gli studenti-lavoratori sono tenuti a rispettare le regole comportamentali, igieniche, di sicurezza e organizzative vigenti nell’impresa. Ogni studente, al termine del percorso, darà un giudizio dell’esperienza fatta.

Preside-sceriffo o manager i dirigenti scolastici a un bivio della carriera

da la Repubblica

Preside-sceriffo o manager i dirigenti scolastici a un bivio della carriera

Dopo l’ultima legge del governo sono aumentate le responsabilità. Mentre molti si lamentano per la perdita dell’elemento della collegialità. bisogna ancora lavorare sulla formazione.

da Repubblica Affari e Finanza

di Massimiliano Di Pace

A partire da settembre andrà a regime il nuovo ruolo dei dirigenti scolastici, ovvero dei presidi, previsto dalla riforma della Buona Scuola (legge 107/2015).

Un ruolo più organizzativo e gestionale, come riconosce il Presidente di Anp (Associazione nazionale presidi), Giorgio Rembado: «Le nuove funzioni attribuite dalla riforma sono la conseguenza logica dell’incremento delle dimensioni degli istituti scolastici, dovuta agli accorpamenti avvenuti in passato, che hanno fatto sì che dai 200-300 studenti ad istituto si sia passati a 1.000-1.500. Inoltre, per effetto delle integrazioni tra istituti, oggi i presidi si trovano a gestire contemporaneamente scuole di diversi ordini e specializzazioni: dalle scuole dell’infanzia alle scuole superiori».

Dunque, con la riforma il dirigente scolastico non sarà più un primus inter pares, con compiti di direzione del collegio dei docenti, e di applicazione delle circolari ministeriali, ma una sorta di “preside-sceriffo”, come è stato chiamato.

O meglio una sorta di manager, come riconosce Giuseppe Turi, segretario della Uil Scuola, che precisa: «Le scuole dal 2000 sono un soggetto giuridico autonomo, per cui il dirigente scolastico da tempo è già chiamato ad effettuare scelte di natura gestionale e organizzativa, ma ora gli sono attribuite anche funzioni di attuazione del piano di offerta formativa, che sarebbe stato bene lasciare a organi collegiali».

La perdita della collegialità è in effetti un aspetto non condiviso della riforma, sostiene Maddalena Gissi, Segretaria di Cisl Scuola: «Finora il preside aveva una funzione di leadership educativa, con un rapporto diretto sia con i docenti, sia con gli studenti, e le decisioni venivano prese collegialmente, ma i nuovi compiti gestionali ed organizzativi attribuiti ora solo al dirigente scolastico, insieme alla mancata riforma degli organi collegiali della scuola (il collegio dei docenti e il consiglio di istituto), rischiano di mettere in crisi un servizio pubblico collaudato».

Quindi la riforma non modifica l’impostazione della scuola pubblica, bensì la sua governance, accentrandola nella figura del preside, come chiarisce Domenico Pantaleo, segretario della Cgil Flc (lavoratori della conoscenza): «In realtà anche in passato i dirigenti scolastici avevano un ruolo organizzativo, ma con questa riforma si è ecceduto con l’attribuzione di poteri, come quello della chiamata diretta dei docenti appartenenti al bacino territoriale di riferimento (subprovinciale), che rischia di trasformare la scuola in un luogo di clientelismo, se non di enclave di una precisa ideologia, ovvero quella del preside».

Su questo punto è d’accordo Turi della Uil Scuola, che aggiunge: «Non solo la chiamata diretta dei docenti, ma anche l’attribuzione ai presidi del compito di assegnare i premi agli insegnanti più meritevoli (200 milioni l’anno, circa 24mila euro a scuola), può creare un meccanismo di soggezione psicologica del docente nei confronti del dirigente scolastico, con il possibile risultato di limitare la libertà di insegnamento, prevista dall’articolo 33 della Costituzione». Per contro Rembado dell’Anp ritiene che in realtà questi poteri non siano pieni: «La possibilità di scegliere i docenti solo nell’ambito del bacino sub provinciale rischia di rendere inefficace tale nuovo potere, senza contare che manca una vera libertà di impiego del budget a disposizione della scuola».

A fronte di qualche potere in più, è prevista una valutazione, come spiega Pantaleo della Cgil: «Alla fine del triennio contrattuale, e quindi nel 2018, ci sarà un team di valutazione nominato dall’Ufficio regionale scolastico, che predisporrà una relazione sui risultati di gestione amministrativa e di rispetto del piano dell’offerta formativa». Al riguardo il ministero ricorda che sulla base di questa valutazione l’Ufficio regionale scolastico deciderà la componente premiale della retribuzione dei presidi.

Non è solo il contenuto della riforma a suscitare qualche perplessità, ma anche la stessa possibilità di attuarla. «Per le 8.400 scuole, vi sono oggi 7.500 dirigenti – sottolinea Rembado dell’Anp – dei quali circa 500 ogni anno vanno in pensione.

Ora, se il ministero non organizza i bandi per la selezione dei dirigenti scolastici, diventerà difficile eseguire i più vasti compiti, visto che alcuni presidi continueranno a gestire in reggenza anche un altro istituto». Su questo punto però il Miur fa sapere che entro fine aprile uscirà il nuovo regolamento per il reclutamento, che permetterà di predisporre il bando di concorso per circa 1.400 nuovi dirigenti scolastici entro giugno. Il Miur stima che nell’estate 2017 vi sarà la nomina dei nuovi presidi.

Un’altra questione da definire è l’aspetto reddituale dei presidi, come sottolinea Gissi di Cisl Scuola: “Per motivi contrattuali il dirigente scolastico prende in media una retribuzione lorda di 60mila euro l’anno, ben al di sotto degli 80-90mila degli altri dirigenti pubblici. Una situazione assurda se si considera che un dirigente scolastico coordina un personale spesso ben superiore a quello degli altri dirigenti, essendo maggiore delle 100 unità».

Nonostante difficoltà e perplessità, la legge 107/2015 avvicina la scuola italiana ai modelli internazionali: «Non solo nei paesi anglosassoni, ma anche in nazioni più vicine a noi come Francia, Spagna e Germania – dichiara Anna Simioni, di Boston consulting group – il preside ha una responsabilità di natura manageriale. Ma questa trasformazione richiede l’acquisizione di competenze, per cui sarà importante prevedere per i presidi un percorso formativo che permetta loro di sviluppare competenze necessarie per i nuovi compiti».

“I professori? Negli anni sono diventati degli amici”

da La Stampa

“I professori? Negli anni sono diventati degli amici”

Lorenzo Paiano dell’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Enrico Mattei” di Maglie (LE)
federico taddia

 92 giorni all’esame: cosa provi?

«C’è un forte senso di attesa, un’attesa non brutta ma strana. In verità non vedi l’ora che tutto finisca, ma nello stesso tempo si sa che non finirà solo la scuola: dovremo abbandonare gli amici, le sicurezze, questa vita a cui siamo abituati. Il desiderio e l’impegno sarebbe quello di studiare di più nei prossimi mesi, ma il primo sole di questi giorni fa solo venire voglia di andare al mare. E, a dire il vero, è quello che stiamo facendo».

 

Cosa ti hanno dato questi cinque anni?

«Mi hanno cambiato carattere, mi hanno sbloccato, mi hanno reso più socievole. Anche il rapporto con i professori è diventato più diretto e amichevole. Mi mancheranno molto».

Cosa rappresentano per te?

«Sono professori, e fanno il loro lavoro: pretendono giustamente che ognuno di noi si dia da fare al massimo. Però in questi ultimi anni sono diventati anche degli amici. Ci si scambia messaggi via WhatsApp, abbiamo fatto un gruppo di classe e a volte se siamo in difficoltà via messaggio ci aiutano a fare i compiti di pomeriggio o ci spiegano cose che non abbiamo capito in aula fuori orario».

 

Come ti descriveresti?

«Non saprei. Sono un ragazzo normale, a cui non manca nulla: ho i genitori, i nonni, un fratello. Da qualche mese ho anche la ragazza e, poiché vivo in un paese piccolo, di 4mila abitanti, tengo tantissimi ai miei amici: infatti un giorno esco con loro e l’altro con la fidanzata. Così mantengo un buon equilibrio e nessuno si lamenta».

 

E a parte lo studio e gli amici, hai altre passioni?

«Sì, faccio molto sport: ci tengo all’aspetto fisico. Credo che a 18 anni sia importante: si ha l’età giusta per essere in forma, per stare bene, e quindi va dedicato tempo all’allenamento. Mi piace, soprattutto in spiaggia, essere piacevole. Quindi vado in palestra, dove pratico calisthenics, una sorta di ginnastica a corpo libero, e corro in bicicletta».

Cos’è per te la maturità?

«E’ la capacità di prendere decisioni importanti con saggezza, non fare cavolate. Insomma, essere responsabile e con la testa sulle spalle. E in questo, devo confessare, avere una fidanzata aiuta molto».

 

Hai già scelto cosa farai il prossimo anno?

«Sì. Mi sto già preparando per partecipare al concorso per allievi marescialli della Guardia di Finanza. Fin da piccolo sono attratto dall’uniforme. Un po’ per difendere la bandiera e un po’ perché è un lavoro che dà sicurezza, con un buon stipendio e un posto fisso tranquillo che mi può permettere in futuro di mettere su famiglia».

Come ti vedi da adulto?

«Così, come ti ho detto: l’uniforme, il lavoro, una moglie, un paio di figli, una vita serena in un piccolo paese e una casa vicino al mare. Senza mare non ci potrei stare».

 

Quale domanda vorresti che ti fosse fatta durante l’esame di maturità?

«Forse vorrei che mi chiedessero proprio questo, ovvero come mi vedo tra dieci anni. Mi piacerebbe salutare i professori lasciandogli il ricordo di me come mi hanno conosciuto e un’anticipazione di quello che sarà».

Disabili, perché lo Stato non sostiene gli iscritti alle medie e superiori paritarie?

da La Tecnica della Scuola

Disabili, perché lo Stato non sostiene gli iscritti alle medie e superiori paritarie?

Aumentano gli alunni con disabilità nelle scuole italiane. Anche in quelle paritarie, solo che lo Stato fa davvero poco per tutelare e sostenere le loro famiglie.

A sostenerlo, parlando di “grave ingiustizia che occorre sanare quanto prima”, sono le associazioni Agesc, CdO Opere Educative, Fidae, Fism. Le quali chiedono, pertanto, che sia “presa in esame ogni possibilità per sanare questa gravissima ingiustizia, salvaguardando la libertà di scelta educativa per tutti e tutelando, in particolare, le famiglie che hanno al loro interno dolorose situazioni di difficoltà, come la presenza di un figlio disabile”.

Per rafforzare il concetto, le associazioni si avvalgono numeri e percentuali ufficiali. “In questi ultimi anni – scrivono – il numero di alunni con disabilità nella scuola italiana ha registrato un incremento del 24%, passando da 174.404 del 2007/2008 a 217.563 del 2015/2016 (Focus Miur, settembre 2015), rappresentando ad oggi circa il 2,6% sul totale degli alunni (1,3% nella scuola dell’infanzia, 3% nella scuola primaria, 3,7% nella scuola secondaria di I grado e 2% nella scuola secondaria di II grado)”.

Se nelle scuole statali si registra una percentuale di alunni con disabilità, sul totale degli iscritti, pari al 2,7%, in quelle paritarie la loro presenza si attesta comunque all’1,5%. E anche “con forte tendenza all’aumento”.

I dati pubblicati dal Miur, dicono che il rapporto docenti/alunni è maggiore, in media, di 1 a 2 e il personale è sempre più stabile, grazie anche a quanto già previsto nel decreto scuola “L’Istruzione riparte ” del 2013, voluto dall’allora ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, che ha consentito l’immissione in ruolo in tre anni di 26.674 docenti in più rispetto alla dotazione organica del sostegno.

Con la legge 107 della “Buona Scuola”, poi, ne sono arrivati altri 6.446 in più. Il contingente di docenti di sostegno è passato da 88.441 unità del 2007/2008 a 119.496 del 2015/2016, con un incremento pari al 35%, si legge sempre nel comunicato (anche se quasi 30mila di questi docenti risultano su posti “in deroga” ndr).

Le associazioni ricordano che nel 2009 lo Stato ha speso per i docenti di sostegno 3,4 miliardi di euro (Miur, “la scuola in cifre, 2011). Ipotizzando un semplice incremento percentuale a retribuzioni immutate, il costo dei docenti di sostegno nel 2015 è pari al 35% in più: 4,6 miliardi di euro.

Sempre analizzando quanto pubblicato dal Miur, nel decennio 2004/05-2014/15, sempre secondo le associazioni, è possibile rilevare come l’incremento percentuale di disabili nelle paritarie, sia stato del 63,1%: è un dato che diventa quasi clamoroso, se si pensa che nello stesso periodo si è assistito ad un decremento del 2,6% del numero totale di iscritti in queste ultime strutture. E di un aumento di disabili nelle statali nettamente inferiore.

“E’ evidente – scrivono Agesc, CdO Opere Educative, Fidae, Fism – che le famiglie apprezzano sempre di più la cura e l’attenzione che nelle scuole paritarie sono rivolte agli alunni con disabilità. Purtroppo occorre rilevare che, mentre nella scuola statale molto è stato fatto in questi anni su questo tema (pur permanendo ancora situazioni di carenza a vari livelli), nulla è stato previsto per le famiglie che decidono di iscrivere i propri figli con disabilità nelle paritarie”.

“L’onere per i docenti di sostegno degli alunni disabili che frequentano le paritarie è così, oggi, interamente a carico delle famiglie e delle scuole, con l’unica eccezione della scuola primaria. Sotto questo profilo l’attuale assetto del sistema scolastico italiano realizza una gravissima disparità di trattamento in base al tipo di scuola frequentata (statale o paritaria) dagli alunni disabili. Ci troviamo, in definitiva, di fronte alla palese negazione di un diritto fondamentale della persona universalmente riconosciuto”.

Educazione alla cittadinanza: la materia non materia

da tuttoscuola.com

Educazione alla cittadinanza: la materia non materia

di Luciano Corradini
Ho letto con sollievo e con un filo si speranza l’iniziativa di Treelle, ripresa da Tuttoscuola sul rilancio dell’educazione alla cittadinanza, con qualche proposta concreta. Vorrei ricordare che secondo la ricerca compiuta proprio da Treelle, su un campione di ex studenti dai 19 ai 25 anni, pubblicata nell’aprile 2009, fra le materie ritenute più importanti compare l’educazione civica (“diritti e doveri dei cittadini, funzionamento dello Stato italiano e dell’Unione europea”): essa è collocata dai giovani al quarto posto, dopo l’inglese, l’italiano, l’informatica. Non è un cattivo “piazzamento”, rispetto alla matematica, alle scienze, alla storia, alla filosofia, alla musica. Nonostante questi dati e molti autorevoli richiami al dovere d’insegnare secondo Costituzione e la Costituzione (fra tutti autorevole, preciso, insistito quello del presidente Napolitano), la questione ordinamentale è restata incerta, per ragioni che ho più volte affrontato in serrati dibattiti, in ben quattro gruppi di lavoro ministeriali, oltre a più lungo e intenso lavoro affrontato in merito  dal CNPI (ai tempi del Governo Dini-Lombardi), dandone anche notizia alla stampa e in alcuni libri.

Che cosa si poteva fare, sulla base dei risultati deludenti dell’educazione civica di Moro, varata e accolta con tanto entusiasmo,negli anni ’60, poi lasciata languire senza adeguati approfondimenti e aiuti ministeriali? Impegnarsi a rinforzare l’educazione civica perché producesse finalmente frutti di consapevolezza e di responsabilità (cosa che cercammo di fare con Lombardi, col documento  Educazione civica e cultura costituzionale e con un curricolo continuo, rimasto nel cassetto di Berlinguer), o abolirla per scarso rendimento? Le due alternative si sono rivelate entrambe difficili da argomentare, perché sostenerle significava da un lato apparire antidemocratici, dall’altro apparire velleitari, con la pretesa di appesantire il curricolo scolastico con nuove ore e con nuovi contenuti d’insegnamento. Il Ministero ha scelto una terza strada: quella di raccomandare la trasversalità, di promuovere protocolli d’intesa, progetti con relativi concorsi, incoraggiamento di iniziative volontarie, ma nessun obbligo per docenti e studenti, nessun diritto, nessun dovere di render conto delle conoscenze dei fondamentali testi fondativi della Repubblica, dell’Unione europea e dell’ONU. Raccomandazione della “trasversalità”, affidata a docenti di buona volontà, impegno solenne di promuovere “conoscenze e competenze” relative a Cittadinanza e Costituzione”, ribadita nelle Indicazioni nazionali, questo sì, ma di fatto giuridicamente si regredisce rispetto alla legge 169/2008, neppure citata dalla 107, che dimentica addirittura di nominare la parola Costituzione.

Sembra che si torni alla stagione dei Progetti Giovani, senza il pathos e le legittimazioni costituzionali di quegli anni.

Durante il veloce percorso parlamentare voluto dal Governo per attuare il grande progetto della “buona scuola”, cercai in vario modo di mettere a disposizione il lavoro fatto nelle istituzioni in circa mezzo secolo sull’educazione civica, poi diversamente denominata, ma non effettivamente rivitalizzata. Scrissi anche una lettera ad una deputata che conosco e stimo, per ricordare che esiste negli archivi della Camera un disegno di legge presentato da un valoroso gruppo di parlamentari, che allora fu sconfitto, ma che poi si trovò a guidare la maggioranza del Governo ora in carica. Di fatto questo disegno di legge voleva completare il rachitico decreto legge Berlusconi-Gelmini, che  era stato convertito nella legge 169/2008, senza la consistenza di una disciplina, di un voto, di un quadro amministrativo dignitoso. Ecco il testo della lettera.

“Gentile onorevole Ghizzoni,

ho riletto la Proposta di legge 2135/2009, di cui Lei è stata cofirmataria con l’on Coscia. La mia viva speranza è che voi, ora in prima linea nel processo legislativo (salvo l’arrivo della “fiducia” che troncherebbe tutto il vostro sforzo di questi giorni), vogliate ricuperare quel prezioso testo, di cui mi permetto di riportare qua sotto l’art. 1.

« Art. 1. – (Cittadinanza e Costituzione).

– 1. Nel primo e nel secondo ciclo

di istruzione le conoscenze e le competenze

relative alla convivenza civile e alla

cittadinanza sono acquisite attraverso la

disciplina denominata “Cittadinanza e Costituzione”,

individuata nelle aree storicogeografica,

storico-sociale ed economicogiuridica

e oggetto di specifica valutazione.

Nella scuola dell’infanzia tale acquisizione

è realizzata mediante appositi percorsi

formativi finalizzati all’insegnamento dei

valori di rispetto degli altri, di solidarietà

e di condivisione.

2. Nell’ambito del monte ore complessivo

già previsto per le aree di cui al

comma 1, alla disciplina “Cittadinanza e

Costituzione” è attribuito un monte ore

annuale di trentatré ore.

3. Con decreto del Ministro dell’istruzione,

dell’università e della ricerca è determinato

il contenuto dell’insegnamento

di cui al comma 1. In sede di revisione

degli ordinamenti scolastici si procede al

raccordo della disciplina di cui al citato

comma 1 con le altre discipline del curricolo,

tenuto conto della trasversalità

delle tematiche che la caratterizzano.

4. All’attuazione di quanto previsto al

comma 1 si provvede con le risorse

umane, strumentali e finanziarie disponibili

a legislazione vigente ». Da mezzo secolo lavoro per l’attuazione dell’odg Moro (1947), votato all’unanimità e per difendere e arricchire il dpr Moro 1958 sull’educazione civica, che ho insegnato anche nella Sua Carpi.

Continuo a girare l’Italia, a mie spese, su richiesta di docenti e studenti di buona volontà, mentre la parola Costituzione non compare neppure come titolo nelle Indicazioni nazionali e nei relativi orari, mentre le premesse alle Indicazioni di storia parlano di “focalizzare lo studio della Costituzione italiana, dell’Unione europea e delle grandi organizzazioni internazionali:::” Si precisa che “uno spazio adeguato  dovrà essere riservato al tema della cittadinanza e della Costituzione repubblicana, in modo che, al termine del quinquennio liceale. lo studente conosca bene i fondamenti del nostro ordinamento costituzionale, quali esplicazioni valoriali delle  esperienze storicamente rilevanti del nostro popolo…”.

Perderò anche questa ultima battaglia, ma le battaglie valgono per quello che costano, non per quello che rendono. Auguri. Luciano Corradini”

(PS. Di fatto la legge 107/2015 non nomina mai né la legge 169/2008 su Cittadinanza e Costituzione, né la stessa parola Costituzione italiana.