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Scuola, Scholè, Otium

Scuola, Scholè, Otium.
Tempo libero, studio, amore del sapere, filosofia

di Umberto Tenuta

 

Per una mia deformazione professionale −che peraltro mi piace molto! − sono portato a ricercare sempre il significato etimologico delle parole, significato che non sempre corrisponde a quello che ad esse noi oggi attribuiamo.

Molto spesso l’etimologia ci fa comprendere quello che ancora è o dovrebbe essere il significato delle parole.

 

Veniamo al dunque e riesaminiamo il significato della parola scuola, facendo riferimento al termine greco scholè ed al corrispondente latino otium.

La scuola (scholè) era l’otium, il tempo libero, che era tutto il tempo di coloro che non erano obbligati a lavorare −quali oggi sono i giovani−, tempo che essi dedicavano a far le cose amate, desiderate, tra le quali era appunto lo studio, inteso come passione, amore del sapere (filosofia: filos, amore − sophia, sapere).

Era, insomma la filosofia, ciò che si ama, che si fa nel tempo libero.

 

Tralascio tutto l’itinerario che la scuola ha percorso nei millenni e arrivo subito alla scuola di oggi, diventata prima, con la Riforma protestante, un diritto di tutti gli esseri umani, e poi con la Rivoluzione francese, non solo un diritto di tutti i cittadini, ma anche un dovere da parte dello Stato. come confermato dalla nostra Carta costituzionale del 1948.

 

Forse vi è stata la necessità di rendere la scuola obbligatoria, obbligatoria per lo Stato, ma un diritto di tutti i cittadini.

 

Purtroppo la prospettiva dell’obbligo ha prevalso su quella del diritto e la scuola oggi viene vissuta come un obbligo, come un dovere, soprattutto dalla gran parte dei giovani che la frequentano, che si sentono scolari, più che studenti (da studium. amore del sapere, filosofia).

Sarebbe, quindi, il caso di recuperare il significato originario della parola scuola come scholè e della parola studenti come filosofi, coloro che amano il sapere, ovvero studiosi, innamorati del sapere.

 

Da quanto detto consegue che la prima delle riforme che andrebbe fatta è quella di restituire alla scuola il suo autentico e ineludibile significato di scholè, luogo dell’otium, in cui si vive l’amore del sapere.

 

Al riguardo però è appena il caso di evidenziare che non si può obbligare nessuno ad amare il sapere, ad essere studente, filosofo, innamorato del sapere e della sapienza.

Non dice forse il Freinet: <<puoi portare il cavallo alla fonte e fischiare quanto vuoi, ma se il cavallo non vuole bere, non beve!>>.

Il cavallo…figuriamoci i giovani!

 

E, allora?

La risposta sembra ovvia: lo studio è amore e non dovere: nessuno può obbligare a studiare così come nessuno può obbligare ad amare!

 

Questo forse lo aveva capito qualcuno già prima di Platone, ma Platone lo ha meglio chiarito, affermando che occorre fare in modo che l’apprendere sia vissuto dai giovani come un gioco (<<Non devi iniziare gli alunni allo studio con la forza della costrizione, ma come se giocassero, così che tu possa meglio comprendere le tendenze e le inclinazioni di ciascuno).

E lo ha capito bene Vittorino da Feltre che chiama la sua scuola Ca’ zoiosa, Casa del gioco.

E lo ha capito bene il Froebel che chiama le sue scuole Giardini per l’infanzia, giardini nei quali i bambini giocano il gioco dell’apprendere, il gioco della filosofia.

 

Non si può costringere nessuno ad amare, non si può costringere nessuno studiare, a innamorarsi del sapere, a vivere il gioco della conoscenza, gioco che rende liberi gli uomini.

“Conoscerete e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8, 32).

 

Che fare, dunque?

È la cosa più semplice di questo mondo: occorre innamorare i giovani.

Non è una grande impresa!

Dante, certamente il più grande poeta, ma forse, come tale, anche il più grande pedagogista, ci ha dato la ricetta: Amore che a nullo amato amar perdona!

 

D’altra parte, non è forse un detto comune: amor con amor si paga!

 

Da obbligo, la scuola deve diventare casa del gioco, del gioco di imparare, di apprendere, di appropriarsi della cultura che gli uomini hanno costruito nel lungo cammino dei secoli per realizzarsi, per autorealizzarsi, per divenire umani:

−”Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza!”

Virtute, e quindi virtuosi, in tutte le dimensioni della personalità: abiti religiosi, morali, sociali, civili, artistici…

Canoscenza: appropriarsi dell’immenso sapere accumulato dagli uomini nel corso dei millenni (strutture delle discipline, quadri concettuali fondanti).

 

E allora?

Allora, miei cari colleghi docenti, smettiamo una buona volta gli abiti sacerdotali (non erano forse sacerdoti i primi docenti?) e indossiamo gli abiti socratici, di coloro che non insegnano, ma aiutano a partorire, a ricercare, a riscoprire, a costruire le virtù ed i saperi!

 

È forse ovvio ribadire che per indurre altri ad amare occorre amare, essere innamorati.

“Amor ch’a nullo amato perdona”!

Non c’è posto, nella scuola, per coloro che non amano il sapere e la sapienza!

Riandiamo ancora al grande matematico Enriques:

«Se il nostro pensiero e le nostre parole debbono muovere l’attività del discepolo, bisogna che qualcosa di vivo che è in noi passi nello spirito di lui come scintilla di fuoco ad accendere altro fuoco»

 

Non c’è posto nelle scuole per salariati!

Non c’è posto per coloro che ricevano appena il sale!

Questo sia ben chiaro a tutti, padri, madri, insegnanti, docenti, e anche o forse soprattutto uomini politici e di governo!

Nella scuola possono stare solo i filosofi, i maestri e gli studenti.

I maestri che, come Socrate, si uniscono ai loro discepoli divenuti studenti, nella ricerca delle verità che rendono liberi, liberi dalla schiavitù del lavoro che per tutti deve diventare un amore (si fa il lavoro che piace, come avveniva e avviene per i grandi artigiani).

Liberati dal lavoro (negotium) e divenuti liberi (oziosi), i maestri, non più insegnanti, non più docenti, non più professori, dedicano la gran parte del loro tempo allo studio, coinvolgendo in questo loro impegno i discepoli, gli studenti che intorno a loro si raccolgono nelle aule, nelle botteghe ove si costruiscono le conoscenze, si vivono e maturano le virtù tutte, religiose, morali, sociali, civili, politiche…

 

È facile dirlo, ripeterlo, questo, ma non è certamente facile realizzarlo!

 

Sono state fatte tante riforme della scuola in Italia e nel mondo.

Ma ancora non è stata fatta, almeno in Italia, l’unica riforma che consenta a tutti i figli di donna di seguir virtute e canoscenza.

 

Facciamola, onorevole ministra Carrozza!

Facciamola!

E avrà innanzitutto la riconoscenza dei giovani, e già questo le potrebbe bastare.

Ma avrà anche la riconoscenza dei genitori, che sono la quasi totalità dei suoi elettori.

E avrà, non potrà non avere anche la riconoscenza del mondo del lavoro, del mondo della scienza, del mondo della cultura, del mondo della politica.

 

Forse, o senza forse, non c’è altro ministro che possa fare quello che Ella può fare.

Trasformare la nostra società!

 

Onorevole ministra Carrozza, saremo tutti al suo fianco, madri, padri, sorelle e fratelli, zie e zii, nonne e nonni!

Le sarà grato il popolo italiano tutto che lascerà ai suoi figli l’eredità più grande che una nazione possa lasciare ai suoi figli, a se stessa.

 

Grazie, onorevole Ministra Carrozza!

Auguri dell’onorevole ministra Carrozza agli uomini di scuola

Auguri dell’onorevole ministra Carrozza agli uomini di scuola

di Umberto Tenuta

carrozza

Accorto profeta, Reginaldo Palermo, nel prevedere polemiche e proteste per gli auguri che l’Onorevole Ministra Carrozza ha fatto pervenire agli uomini di scuola e che sopra riporto.

 

Sinceramente, non credo che l’Onorevole Ministra Carrozza si sia ispirata all’affermazione del Ministro dell’Educazione nazionale che nel 1939 a chi chiedeva migliori opportunità di studio per i figli dei contadini rispondeva che non era proprio il caso che di essi, nati nei campi, si facessero degli spostati, offrendo loro la possibilità di scalare la piramide delle classi sociali e lasciando incolte le patrie terre.

Infatti, l’Onorevole Ministra Carrozza non fa alcun riferimento alle classi sociali e si limita, condividendo la soprariportata affermazione del marchese di Condorcet, a prendere atto che la Natura dissemina i suoi  doni a caso, e non come accorto seminatore che sparge equammente i suoi semi, anche se non può evitare che alcuni cadano sulle strade, altri sulle pietre ed altri infine sulle più o meno fertili terre.

Che triste destino graverebbe sui figli di madre Natura, antica e novella dea, che al giorno d’oggi solo una casta privilegiata adora.

Non voglio e d’altra parte non avrei la profonda competenza per addentrarmi nell’antica e ancora non risolta questio dei talenti e dei geni.

Non voglio, qui, mettermi a discutere se madre Natura opera delle ingiustizie o se sono gli uomini a crearle.

Io non so se madre Natura favorisce alcuni, molto spesso coloro che appartengono a una classe sociale privilegiata, come ha denunciato Don Milani.

Mi limito solo a richiamare quanto Papa Francesco, nella sua incommensurabile fraternità cristiana, ha detto a proposito di coloro che nascono nelle famiglie che godono i privilegi della ricchezza di denari e quindi possono offrire ai loro figli −come, d’altra parte farebbero tutte le madri ed i padri− le  migliori opportunità formative, opportunità costituite da ambienti familiari e formativi più  ricchi di stimoli culturali, nonché scuole di alto livello, diversamente da coloro, e sono la maggioranza, che ai loro figli possono far frequentare solo le scuole comuni, le scuole che le statistiche internazionali pongono agli ultimi posti per efficienza ed efficacia, come avviene per il Paese Italia.

 

Mi limito a fare solo alcune semplici considerazioni.

 

Innanzitutto, mi domando se siamo stati condannati da madre Natura a dipendere dalla generosità dei più favoriti, che l’Onorevole Ministra Carrozza invita a voler essere generosi, mettendo i loro talenti a disposizione di tutti i non favoriti da madre Natura.

Insomma, dobbiamo rassegnarci al nostro destino e a nulla vale migliorare le istituzioni formative per tutti i figli di donna?

 

La seconda domanda che faccio è se siamo sicuri che, soprattutto con i progressi che le scienze moderne hanno raggiunto, non sia possibile migliorare l’humus delle terre, nelle quali i figli di qualsiasi donna possano crescere in virtute e canoscenza, alla pari di coloro che sono stati concepiti e che sono vissuti in terre già ricche di humus.

 

Infine, mi voglia permettere la Ministra Carrozza −alla quale certamente non è pervenuta, per un sempre possibile disguido postale, una mia lettera, che peraltro già avevo inviato anche ai Suoi Predecessori− un’altra domanda.

Che cosa voleva dire il Marchese di Condorcet?

Forse voleva dire che Madre Natura si affida al Caso nel distribuire i suoi doni e, pertanto, alcuni ricevono di più e altri di meno, a prescindere dai loro meriti?

A riguardo, però, mi viene da chiedere se madre Natura si affida proprio al Caso e casualmente i suoi favoriti appartengono prevalentemente ai ceti che, non si sa per quali motivi, si trovano ai più alti livelli della piramide sociale.

Ma sappiamo che così non dovrebbe essere, perchè statisticamente i talenti dovrebbero risultare equamente distribuiti tra le diverse classi sociali.

 

E poi, non sarebbe il caso, oddio, non il caso ma il dovere di migliorare tutte le terre, come oggi è possibile fare, perché tutti i talenti di madre Natura possano fiorire, e non morire, soprattutto quelli dei poveri?

Chi può dire quanti talenti sono caduti sulla strada e gli uccelli se li sono mangiati?

Chi può dire quanti talenti sono caduti sulle aride rocce dove non avevano molta terra a disposizione e sono morti?

 

Onorevole Ministra Carrozza, come che sia la storia dei talenti, certamente la Politica dovrebbe impegnarsi al massimo perché tutte le terre siano resi fertili −come è avvenuto in Israele dopo la Seconda  Guerra mondiale− e tutte le scuole siano rese efficaci ed efficienti.

Forse non sta scritto all’articolo 1 del D.P.R. 275/1999 che << L’autonomia delle istituzioni scolastiche  … si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento>>?

 

Onorevole Ministra Carrozza, forse non sarebbe il caso che per la Befana invii a tutti gli uomini di scuola, impegnati a <<migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento>>, una copia di Lettera ad una professoressa e un abbonamento ad una delle tante belle riviste impegnate a favorire il loro aggiornamento?

 

Comunque, Onorevole Ministra Carrozza, io umilmente le chiedo scusa per aver osato scriverLe la presente e faccio a Lei ed ai Suoi amministrati −tra i quali io purtroppo non sono più− i migliori auguri di Buon Natale, di un Felice Anno 2014 e di una Generosa Befana.

 

Con ogni ossequio.

Umberto Tenuta

 

 

POST SCRIPTUM

Mi viene il dubbio che lo stampatore della Sua lettera di auguri abbia scambiato con la citazione soprariportata  la seguente affermazione del Condorcet:

(Occorre) <<offrire a (ciascun individuo) della specie umana… l’opportunità… di sviluppare tutta la potenzialità dei talenti che ha ricevuto dalla natura, e con ciò stabilire tra i cittadini l’eguaglianza di fatto, rendendo reale l’eguaglianza politica riconosciuta dalla legge; tale deve essere il primo scopo di una istruzione nazionale che, sotto questo punto di vista, è per i pubblici poteri un dovere di giustizia>>.

(HESSEN S., Democrazia moderna, Armando, Roma, 1971, p. 76).

Motivare Perchè Come Quando

Motivare Perchè Come Quando

di Umberto Tenuta

 

Ho scritto “Motivare motivare motivare“.

Mi si domanda, legittimamente: perché, come, quando,? 

 

Scrive Tommaso D’Aquino:

<<Ogni essere che agisce, agisce per un fine. Ora, per ogni essere, il fine è il bene che si desidera e si ama. Da ciò è manifesto che ogni essere che agisce, qualunque sia questo essere, compie ogni sua azione, qualunque sia questa sua azione, mosso da qualche amore>>[1]

Mi sembra che questa sia una risposta esauriente, sulla quale riflettere.

Le pietre si muovono, perché spinte dalla forza dell’acqua o del vento o di qualsiasi altra forza che le trascina.

E così le piante che svettano verso il sole, il sole che ad esse dona la vita.

 

O maestre e maestri, avete mai visto l’erba che dal masso che la schiaccia fuoriesce alla luce del sole, luce che la fa vivere, crescere, fiorire nei suoi colori stupendi?

Avete mai visto le rondini volare nel cielo azzurro ed i pesci nuotare nelle acque profonde alla ricerca delle loro prede?

 

Anche il figlio di donna è un essere vivente, un essere che ama la vita, che si porta dentro il suo bergsoniano slancio vitale[2], istinto di vita che sin dal grembo materno lo porta a muoversi, ad esplorare, ad alimentarsi, come poi farà, sin dai primi vagiti, muovendo la testa ove lo chiama l’odore del latte che fuoriesce dai seni dalla madre amorosa che se lo stringe al cuore.

Istinto di vita che gli dà il pianto per gridare i suoi bisogni vitali, istinto di vita che non gli consente di cadere e di soffocare sotto la coperta, dalla quale sempre fuoriesce per respirare l’ossigeno della vita.

 

E ancora, il figlio di donna, candidato alla condizione umana[3], ha cominciato già nel grembo materno il suo cammino, il cammino dell’uomo[4], che lo porterà ad essere il capolavoro di madre natura.

Cammino lungo, quello del figlio di donna, cammino di vita, cammino di crescita, cammino che ha bisogno di alimenti[5].

Già nel grembo materno non si era alimentato solo attraverso il cordone ombelicale ma aveva cominciato a manifestare la sua sete umana di conoscere attraverso l’esplorazione delle pareti dell’aula nella quale viveva.

Appena nato, accresce la sua attività esploratoria.

Non si accontenta del latte materno che lo fa diventare alto[6], robusto, estremamente complesso nel suo corpo, più di qualsiasi altro animale terrestre, soprattutto nel suo cervello di cento miliardi di neuroni e di un numero senza fine di sinapsi[7].

Sì, sinapsi senza limiti, che possono superare quelle di Dante, di Leonardo da Vinci, di Rita Levi Montalcini!

Novello Einstein, egli esplora in lungo e in largo gli sconfinati territori della cultura umana che percorrerà per andare oltre, per arricchirla di nuove inesplorate inimmaginabili terre.

Sì, lui, piccolo marmocchio, bello come nessun altro per la mamma sua, si porta dentro una forza che lo spinge, che lo chiama, che lo fa andare più lontano di ogni seme che la pianta affida al vento perchè essa possa continuare a vivere nelle nuove piante, nelle quali essa rivivrà, fino a quando madre terra non precipiterà nello spazio cosmico.

Bambini assetati di latte e assetati ancor più di saperi: sapere, saper fare, sapere essere (conoscenze, capacità, atteggiamenti)[8]!

La curiosità innata[9] è la più profonda motivazione del figlio di donna.

Una curiosità che porterà il cucciolo dell’uomo verso i confini più lontani delle steppe sterminate, oltre le vette dell’Everest, nello sconfinato spazio cosmico, per raggiunger il Big Bang[10].

L’avete mai visto, voi, di cosa è capace il figlio di donna, di nome Prometeo, che ruba il fuoco agli dei per farne dono ai suoi fratelli umani?

L’avete mai visto Icaro, l’alato figlio di Dedalo, volare alto nei cieli azzurri dell’Egeo?

L’avete mai visto, voi, il Figlio di Galilea che porta la buona novella a tutti i fratelli della terra fino alla fine dei secoli?

 

Che fate, voi madri generose, se non rispondere alla fame dei vostri figli?

Ecco, nascono i bambini assetati di latte e di saperi: sapere, saper fare, sapere essere.

Quali madri accorte, generose, sagge, le donne soddisfano ogni crescente bisogno dei loro figli.

E non si risparmiano mai!

Anche i padri fanno la loro parte. E la fanno anche i fratelli e le sorelle, le nonne ed i nonni, le zie e gli zii, tutto il parentado.

E il bambino cresce in virtute e canoscenza[11].

Cresce se è alimentato.

A un anno pattina, a tre suona il violino e parla due lingue[12].

A quattro anni ha sviluppato il 50% della sua intelligenza[13].

Cresce tra le mura della sua casa dalle pareti verdi come la sua verde età, case traboccanti di giocattoli i più fantasiosi,

case allietate dai canti melodiosi delle amorevoli madri.

Cresce nei verdi prati che percorre veloce per acchiappare le farfalle multicolori che svolazzano di qua e di là.

Cresce nei giardini delle Case agazziane coi loro musei delle cianfrusaglie che tanto stimolano la sua esuberante fantasia creatrice.

Cresce nelle Case dei bambini della Montessori, ricche già degli odierni materiali strutturati, ancora per poco non digitali.

Cresce, allarga sempre più i confini delle cose toccate, prese, spezzate, assaporate, gustate, guardate con occhi meravigliati.

Espande senza confini, senza limiti di tempo e di spazio, la sua innata curiosità.

 

Poi arriva il giorno che le sagge madri hanno fatto attendere come terra promessa, il giorno della loro corsa verso la Scuola che porta il loro nome e il nome delle loro madri: Case dei bambini e Case materne.

Entrano festanti e subito chiedono: Maestra, aiutami a fare da solo!

Sì, nati dipendenti, aspirano all’indipendenza, all’autonomia.

Dante dice a Virgilio: “Tu sei lo mio maestro e lo mio autore”!

E Virgilio con infinita amorevole discrezione facilita a Dante il lungo cammino nei tre regni perché giunga al cielo empireo, ove lo incorona:  “Ora te sovra te corono e mitrio”.

 

Così fanno le madri, così fanno i padri, così fanno e debbono fare i maestri, quelli della scuola dell’infanzia, quelli della scuola primaria e quelli delle scuole secondarie.

Ascoltare i bisogni dei bambini.

Non solo i bisogni materiali del Decroly[14], ma anche i bisogni più profondi, più propriamente umani, di crescere in virtute e canoscenza.

 

Motivare i giovani?

No, innanzitutto è necessario non spegnere[15] la loro innata motivazione, la loro innata curiosità.

Non la debbono spegnere né le madri, né le famiglie, né la società educante.

Anzi la debbono soddisfare, alimentare, senza mai stancarsi di rispondere ai loro mille perché:

−Perché la neve è fredda?

−Perché il fuoco scotta?

−Perché la barca galleggia?

−Perché la luna cammina?

−Perché i grilli fanno cri cri?

Sì, quando arrivano alla scuola, i bambini sono bramosi di alimentarsi alla fonte dei saperi con la virgiliana guida dei loro maestri che ascoltano i loro perché, che non danno risposte a domande mai fatte!

Ecco, non si tratta di motivare i giovani, se la loro innata curiosità non è stata spenta, cosa peraltro alquanto difficile.

Quello che i Maestri debbono innanzitutto fare −debbono fare prima di insegnare, prima di fare lezioni, prima di disegnare e scrivere sulle LIM− consiste nello scoprire, nel fare esprimere, nell’ascoltare i mille perché dei loro giovani alunni.

Questi perché i Maestri debbono alimentarli, accrescerli, farli divampare, come fuoco che arde quanto più lo alimenti.

Che altro è lo studio, studium[16], se non amore, passione, desiderio di conoscere?

Questo amore è innato, se non nei minerali, senz’altro negli animali e soprattutto negli esseri umani.

 

Ai maestri non insegnanti dico:

Non spegniamo questo amore ma alimentiamolo col nostro soffio vitale e facciamolo esplodere in ogni figlio di donna!

Facciamolo divampare come fuoco che arde nei cuori e nelle menti, come fuoco che tanto più cresce quanto più lo alimenti, lo alimenti e non lo spegni con le tante costrizioni, con le tante pene, con le tante mortificazioni che uccidono l’innata curiosità, la voglia di esplorare, l’ardente desiderio di diventare adulti, alimentati e quindi cresciuti, alti come i loro padri, come le loro maestre!

 

Vorrei finire dicendovi:

Maestri, quanto è grande il nostro compito!

Quanta riconoscenza vi debbono le madri, i padri e la società tutta!

Riconoscenza anche tangibile, tangibile come l’amore che vi manifestano i vostri studenti!.

 

E finisco dicendovi ancora col Poeta latino:

Maestri, fate che i vostri giovani accendano la loro fiaccola alla vostra fiaccola che arde nei vostri cuori.

Intorno a voi sarà più luce e nulla avrà perduto la vostra fiaccola della sua luce!

 

 

 

SITOGRAFIA MINIMA

−http://www.rivistadidattica.com/pedagogia/pedagogia_33.htm

http://www.rivistadidattica.com/filosofia/filosofia_15.htm

−http://www.rivistadidattica.com/metodologia/metodologie_62.htm



[1] Bastien H., Psicologia dell’apprendimento, La Scuola, Brescia, 1954, p. 102.

[2] Élan vital del filosofo Bergson

[3] <<Come è stato ben espresso da Pieron, il bambino è solo un “candidato alla condizione umana”>> (OSTERRIETH P.A., Introduzione alla Psicologia del bambino, Giunti-Barbèra, Firenze, 1980, p. 25).

[4] TRSTENJAK A., Il cammino dell’ uomo, La Scuola, Brescia, 1975.

[5] Alunno deriva da alere, alimentarsi, e quindi significa crescere: chi si alimenta (alunno) cresce, diventa adulto (Participio passato di alere, cioè alimentato, e quindi cresciuto).

[6] Alto, da alere, alimentato,

[7] <<Che il Sé sia sinaptico può essere una maledizione: non ci vuole molto perché vada in pezzi. Ma è anche una benedizione, dal momento che ci sono sempre nuove connessioni in attesa di essere realizzate. Tu sei le tue sinapsi. Esse sono chi sei tu>> (LE DOUX J., Il sé sinaptico, Raffaello Cortina, Milano, 2002).

[8] ATTEGGIAMENTI CAPACITÀ CONOSCENZE (Umberto Tenuta  http://www.edscuola.it/archivio/didattica/atteggiamenti.html).

[9] HODKIN R.A., La curiosità innata – Nuove prospettive dell’educazione, Armando, Roma, 1978.

[10] È questo l’impegno degli astronomi!

[11] Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto XXVI, 116-120.

[12] IBUKA M., A un anno si pattina, a tre si legge, e si suona il violino, Armando, Roma, 1984.

[13] Mazzetti R., Scoperta dell’infanzia e nuove prospettive dello sviluppo dell’uomo, Edizioni Beta, Salerno, 1970.

[14] Decroly O., Una scuola per la vita attraverso la vita, Loescher, Torino,1974.

[15] De closets F., La bonheur d’apprendre (et comment on l’assassine), Ed. du Seuil, Paris, 1996

[16] Studium in latino significa “passione, desiderio, impulso interiore“. Scrive il Ferrarotti che <<La scuola non sembra in grado di stimolare e far scoprire ai giovani la gioia della lettura, e di riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>> (Presentazione: FERRAROTTI F., Leggere, leggersi, Donzelli, Roma, 1998.

 

Motivare Motivare Motivare!

Motivare Motivare Motivare!

di Umberto Tenuta

<<Amor, ch’a nullo amato amar perdona>>

 (Dante, Inferno, V, 103)

Che cosa fanno i grandi maestri? Qual è il loro segreto professionale?

Che cosa li rende “grandi maestri”?

 

La loro vasta cultura, innanzitutto!

 

Ma grandi sono stati soprattutto coloro che, come Socrate, avevano la passione del conoscere e che dichiaravano finanche la loro ignoranza, come ogni grande maestro sempre fa: scio me nihil scire!

 

Ora, salve le pur lodevoli ed anche numerose eccezioni, gli insegnanti salgono in cattedra e, senza nemmeno chiedere il consenso, se non il parere, ai loro alunni, ex abrupto, cominciano a far lezione ai loro venticinque alunni che dalla piccola platea che si para innanzi, con i banchi allineati su tre file, sono costretti ad ascoltarli, perché è stato detto loro dalle mamme e dai papà che questo avrebbero dovuto fare a scuola: ascoltare i propri insegnanti e fare, senza muovere alcuna obiezione, quello che essi ordinano di fare, e cioè ascoltare, stare con le mani conserte ad ascoltare, guardare la lavagna, pardon, la  LIM, e, ancora. scrivere quanto essi dettano, ed eseguire gli esercizi ed i problemi alle pagine x ed y dei libri di testo, insomma non disobbedire mai e obbedire sempre, perinde ac cadaver!

E così fanno, o almeno si sforzano di fare, i nostri bambini, i nostri fanciulli, i nostri adolescenti, i nostri cari giovani.

 

Ma non sempre ci riescono, stante la forza del loro essere giovani, di essere giovani e forti, di essere vivaci, pieni e traboccanti di vita.

Sono vivaci, i nostri giovani! Lo attestano, lo dichiarano, lo proclamano, lo denunciano i loro insegnanti!

Sì, lo denunciano, anche per iscritto, con note sui registri digitali, con le segnalazioni ai dirigenti..

 

Ma non c’è nulla da fare: i giovani sono vivaci! 

Sono vivaci, perché i genitori premurosi hanno dato loro le vitamine, sin dalla loro nascita, quando sono venuti fuori dal grembo materno, nel quale pure avevano scalciato a non finire, per la gioia delle madri che sopportavano pazientemente i dolori prodotti dai figli che così testimoniavano la loro vivacità, il loro essere vivi, la loro vitalità!

Sono vivaci i giovani, per la gioia dei loro genitori, per la gioia dei loro nonni, per la loro gioia che implode, che esplode: la gioia di vivere, di essere forti, di essere giovani, di mordere i frutti terrestri con saldi e bianchi denti voraci…, come canta Gabriele D’Annunzio!

 

Ma non si lamenta forse, come un grande danno, la mortalità scolastica, la mancata frequenza dalla scuola da parte di tanti giovani che hanno visto morire dentro la loro anima la gioia di andare incontro al mondo, di esplorare con le loro mani e coi loro piedi, già nel grembo materno, e poi, appena nati, agitandosi, toccando, aprendo la bocca alla ricerca dei capezzoli materni, da quali bere il latte della vita, l’alimento che li avrebbe fatti crescere, in virtute e canoscenza?

 

Non si vuole la mortalità scolastica e poi si proibisce, si condanna senza appello la vivacità di giovani!

Le sagge mamme danno loro le vitamine, e gli insegnanti “colti” condannano la loro vivacità!

 

Sinceramente, questo è un rebus di quelli che non ho mai saputo risolvere, tra i tanti che pure mi affascina saper risolvere!

 

Smettiamo una buona volta  di uccidere la vivacità dei nostri giovani!

 

Anzi, alimentiamola col nostro esempio!

Dicono testualmente i programmi didattici nel 1985 per la scuola primaria: <<L’insegnante, anche testimoniando la sua consuetudine alla lettura, stimola e accresce la motivazione dei fanciulli a leggere>>.

Testimoni della gioia di vivere, della gioia di conoscere, filosofi, i maestri, con la loro testimonianza incoraggiano i loro studenti, resi bramosi di conoscere, di risolvere i problemi più vari, non solo quelli di aritmetica e di geometria, di esplorare i campi sterminati dei saperi, le valli dei Maya, le cime innevate dell’Everest!

 

Rileggiamo Enriques a proposito dei Maestri:

«Se il nostro pensiero e le nostre parole debbono muovere l’attività del discepolo,bisogna che qualcosa di vivo che è in noi passi nello spirito di lui come scintilla di fuoco ad accendere altro fuoco»

E, quando, questa gioia i nostri studenti, sì studenti, innamorati, amanti del sapere, filosofi, non dimostrano ancora questa fiamma che arde, seppure sopita, in ogni figlio di donna, accendiamola, sollecitiamola col nostro soffio vivace, come si fa quando si soffia sul fuoco perché divampi!

Non mettiamo acqua sui carboni quasi spenti sotto la cenere, ma soffiamo, soffiamo sopra il fuoco della vita che arde dentro i cuori dei nostri giovani.

 

Insegnanti no, abbiamo gridato, docenti forse, maestri si, maestri di vita!

Orsù, ogni mattina, entrando nelle aule, laboratori di umanità, portiamo grande la nostra passione per le avventure matematiche, geometriche, storiche, scientifiche, linguistiche… che ci affascinano nel nostro tempo extrascolastico, che alimentiamo ogni giorno con i nostri amici libri, certamente non con quelli di testo, ma anche con le riviste culturali, coi giornali che ormai ogni santo giorno si presentano come delle vere e proprie enciclopedie che non abbiamo il coraggio di mandare al macero.

Filosofi, amanti del sapere, studiosi e studenti si nasce e si diventa ogni giorno, coltivando l’amore del sapere, del saper fare, del sapere essere.

 

Maestri, oh quanto vi invidio, io, impedito ad entrare nelle vostre aule affollate da giovani vivaci, perché dovrei riposare, essere in quiescenza!

No, no, no, no!

Io non sono mai andato in quiescenza, oh maestri e studenti che ogni mattina banchettate all’agape della sapienza, che ogni mattina godete la gioia di vivere, di inventare, di scoprire nuove terre incantate di fiabe, di fiumi, di monti, di popoli, di terre lontane nei secoli

 

Io vi seguo, sì, vi ascolto, come il giovane Dienes, accoccolato sull’albero accanto alla finestra della stanza nella quale il padre viveva con i suoi colleghi le avventure della matematica, come il nostro Ludovico Antonio Muratori che, incantato, sotto la finestra ascoltava la maestra dentro l’aula.

 

Le vostre voci mi raggiungono da lontano ed io godo con voi la gioia di Prometeo che ruba il fuoco agli dei per incendiare i cuori e le menti dei vostri giovani studenti.

 

Maestro anch’io, finalmente!

Maestro anch’io, finalmente!

di Umberto Tenuta

 

Maestro anch’io, finalmente!

Maestro, un sogno, un’avventura.

 

Sono arrivato lì, sull’aia, sulla quale sedici bambini mi aspettavano, con la loro compagna Maria che dirigeva il Girotondo, lì, sull’alto della collina di Sciuddri, collina dirupata, affacciata sulla verde Valle del Crati che scorre ai suoi piedi.

 

Sono arrivato sul cavallo baio che avevo chiesto allo zio Salvatore, almeno per il mio augurale ingresso nel nuovo mondo della scuola che tanto mi aveva mortificato quanto io poi sono riuscito ad emergere.

Esami che avrebbero dovuto riparare le umiliazioni inflittemi dai professori, soprattutto di quello di Educazione meccanica, sì, di educazione meccanica, che nei giorni di Officina Ferro immancabilmente mi apostrofava: “Ca..one, ca..one, ca..one, non vedi che combini! Più limi e più il tuo pezzo di ferro −pezzo di fortuna− risulta a dislivello!”.

 

Avevo pianto a dirotto, quando la professoressa di francese mi aveva comunicato che ero stato rimandato a settembre. Avevo pianto a dirotto, ma nessuno mi aveva consolato con voce materna!

 

E avevo pianto, di nascosto, nascondendo le lacrime col fazzoletto, anche allora, quando avevo sentito il mio Maestro che diceva a mio padre: <<Ma questo è un ragazzo intelligente ed io gli farò fare gli esami di ammissione alla scuola Media, e non gli esami di riparazione>>.

Mio padre aveva biascicato che così avrei perduto un anno di scuola e lui lo tranquillizzò dicendo che avrei recuperato l’anno perduto facendo gli esami di Licenza Media al termine della classe seconda, quando, come lui aveva profetizzato, forse per motivarmi, sarei stato promossocon la media dell’otto.

 

E così fu!

 

Entrai all’età giusta all’Istituto Magistrale e, ormai abituato ad essere il primo della classe, di diritto Capoclasse, saltai ancora la Quarta magistrale!

Appena diciottenne, avevo già in tasca il Diploma di abilitazione magistrale!

Con mia grande fortuna, lo utilizzai subito, quel Diploma, nell’ottobre successivo, affrontando il Concorso magistrale che alla fine della primavera successiva mi vedeva Maestro a pieni voti.

Ora, sì, potevo cavalcare il cavallo baio e andare incontro al mio futuro di successi professionali: maestro per un decennio scarso, dirigente per un decennio pieno, ispettore per un trentennio scarso!

 

Ma ritorniamo sull’aia, in alto, lassù sul dirupo di creta scivolosa che ogni mattina mi avrebbe visto arrancare per raggiungere la piana dell’aia, sulla collina affacciata alla verde Valle del Crati.

Là mi accolsero, stupite le bambine, stupiti i bambini, che mi vedevano così giovane arrivare sull’aia dei girotondi, per mettermi a giocare con loro, mano nella mano!

 

Dopo il girotondo, andammo nell’aula, là, nel sottoscala, illuminato da una piccola finestra con l’inferriata che impediva di sporgere la testa fuori a guardare le contadine sulla viuzza stretta.

 

Cominciai così:

“Oh, miei bravi bambini, io sono il vostro nuovo maestro! 

Giocherò con voi, come stamattina sull’aia, ogni mattina, anche in questa bella scuola, e voi giocherete con me!

Sapete, io sono stato uno di voi, uno che amava giocare, giocare il gioco della CONOSCENZA, per conoscere il mondo che gli si squadernava dinnanzi agli occhi di bambino curioso che  il  mondo guardava con gli  occhi incantati dalle fiabe che mia madre analfabeta mi raccontava innanzi alle fiamme alte del focolare.

Sapete, questo gioco l’ho appreso da un grande Maestro ed ora lo faremo assieme!”

 

Mi corsero addosso, mi circondarono chiedendomi quali fossero le regole di questo gioco che essi non conoscevano.

Io dissi loro che un Saggio antico, di nome Platone, me lo aveva insegnato e che io l’avevo sempre praticato, affascinato dalle letture delle fiabe che facevo fuori dalla scuola, affascinato dal desiderio di conoscere da vicino le alte vette della Serra di Paola e dell’Altopiano della Sila che chiudevano la nostra comune valle del Crati, affascinato dai giochi geometrici che facevo scrivendo con uno scuorpuru sullo spazio piano della terra che stava sotto i miei piedi scalzi.

 

Cominciai a raccontare la fiaba della mia infanzia, intento a raccogliere le erbe ed i rossi papaveri dei miei verdi prati, a guardare incantato le forme delle foglie di fico, di ulivo e di querce, dei salici piangenti e dei pioppi frondosi sui cui rami mi accoccolavo.

Sì, raccontavo delle lucertole che fuggivano negli spinari, delle cavallette, dei lombrichi che aravano la terra…

Raccontavo la fiaba della mia infanzia, della mia fanciullezza, della mia adolescenza, pronto a vivere con loro la fiaba della mia giovinezza!

 

I bambini erano incantati e smarriti allo stesso tempo, presi dal rimorso di non fare scuola, di perdere il loro tempo per ascoltare le mie fiabe, venendo meno ai loro obblighi scolastici di eseguire copiati, di scrivere temi sugli argomenti imposti e soprattutto di risolvere i problemi del maestro, che non erano i loro problemi.

Io li rassicurai.

I bambini mi regalarono la loro fiducia!

Il patto era chiaro.

Noi avremmo giocato ogni giorno, avremmo giocato nell’angusto sottoscala e sull’aia festosa che si godeva lo spettacolo fiabesco dei monti della Sila e della verde Valle del Crati.

E così fu!

 

Ma questa è solo la prima giornata di un giovane Maestro.

Bocciare è il fallimento del successo formativo!

Bocciare è il fallimento del successo formativo!

di Umberto Tenuta 

 

Lo dice la ministra Carrozza, evidentemente con grande amarezza e senza rassegnazione, almeno mi auguro.

Dice che bocciare è anche un costo, e la cosa non dovrebbe finire qui, perché occorrerebbe −occorre!−  andare alla ricerca di chi ti è responsabile di questo grande costo.

 

Ma oggi soffermiamo soprattutto sul fallimento.

 

Se la suola boccia, fallisce. 

Può evitare di evidenziare il suo fallimento nascondendo le bocciature, come pure si fa attraverso le promozioni formali.

Ma gli statistici −e purtroppo non gli statisti− si prendono la rivincita scoprendo le vere bocciature.

Le bocciature non si possono nascondere, perché emergono nel contesto della vita sociale, civile, politica, economica delle nazioni in cui le bocciature vengono nascoste.

Perché le bocciature non sono solo quelle scritte nei registri degli di esami di Stato, che sono anche essi un fallimento ed un costo che potrebbero essere evitati, sopprimendo il valore legale dei titoli di studio che, d’altra parte, solo lo Stato riconosce, perché le imprese private, non statali, non danno alcun valore ai titoli rilasciati dalle scuole e dalle università, provvedendo da sole ad accertare se i loro addetti sono in possesso delle competenze necessarie a svolgere i compiti per i quali vengono assunti.

Lo Stato, purtroppo, non lo fa nemmeno con gli addetti ai servizi scolastici e ciò è il cane che si morde la coda.

Gli operatori scolastici non vengono scelti sulla base di competenze scrupolosamente verificate sul campo.

 

Ma rinviamo ad altro tempo questo problema, pure così rilevante, forse primario, perché la prima cosa che serve alla scuola è la competenza dei suoi addetti.

 

Soffermiamoci, almeno per il momento, sul fallimento rappresentato dalle bocciature.

La scuola non boccia sui registri di esame, ma nelle aule dove i giovani molto spesso, molto più spesso di quanto si intravede attraverso i risultati degli esami e forse anche delle stesse indagini statistiche, la bocciatura si verifica non creando le situazioni che consentano ai giovani di pervenire al loro successo formativo.

Quante Montalcini, quante Hack, quanti Zichichi, quanti Rubbia ecc. ecc. sono morti e muoiono nelle nostre aule scolastiche ed universitarie?

 

Purtroppo la nostra scuola, anche nei suoi ordinamenti, non è fatta per fare emergere le eccellenze, malgrado tutti i pon che in essa si sprecano.

E quando qualche eccellenza comincia ad emergere, è costretta ad emigrare in altri paesi in cui non ci sono vincoli di età per accedere ai diversi ordini di scuola ed all’università.

Sarebbe bello che qualcuno scrivesse la storia di quanti in Italia, e forse anche in altri paesi, sono riusciti a salvarsi dalla scuola, ad emergere, a divenire grandi, come il filo d’erba sotto la pietra che si piega e riemerge alla luce del sole che gli consente di diventare alto nel cielo azzurro.

Forse questa storia delle eccellenze  potrebbe servire a fare prendere consapevolezza di quanto intelligenze la scuola uccide, non tanto con le bocciature, quanto con la sua riconosciuta incapacità di garantire a tutti i figli di donna il successo formativo.

Successo formativo non riservato solo ai “capaci e meritevoli“, come purtroppo i nostri Padri costituenti, ancora sotto l’influenza di una scuola classista di un altro tempo politico e culturale, hanno scritto nella nostra Costituzione.

Capaci e meritevoli non si nasce, ma si diventa quando i figli di donna nascono e vivono in un ambiente che sin dal grembo materno offre loro le migliori stimolazioni per alimentarsi, per crescere, per divenire grandi.

Tralascio qui il commento alle dichiarazioni odierne sulla rilevanza dei fattori genetici che sono state riportate nei quotidiani italiani.

In alcuni i miei iscritti, ai quale rinvio, ho affrontato questo problema che avrebbe bisogno di altra attenzione da parte dei nostri politici e dei nostri legislatori.

Capaci e meritevoli si comincia a divenire già nel grembo materno, già nei primissimi anni di vita, già nella più importante scuola, nella scuola dell’infanzia; già nella scuola primaria, già nella scuola della preadolescenza, già nella scuola secondaria −oddio, scuola secondaria!− e addirittura nelle nostre Università che il problema nemmeno se lo pongono.

Fermiamoci alle nostre prime scuole, alla scuola del grembo materno, assicurando alle gestanti le migliori e più ricche condizioni di vita, perché già nei loro grembi i bambini abbiano le più ricche stimolazioni per formarsi umanamente.

Assicuriamo ai neonati le migliori stimolazioni culturali possibili in un ambiente ricco dei doni, dei giochi più diversi che i neonati fanno con le loro mani, con i loro piedi, con tutti i loro organi sensoriali ovvero percettivi.

Lasciamo le madri a casa perché possano alimentare con il loro latte, stimolare ed educare i loro bambini, tanto è dimostrato che lo Stato spende di più facendole lavorare.

Sì, riconosciamo alla Scuola dell’infanzia la stessa importanza che viene riservata alle Università, come scriveva il mio grande Maestro, Roberto Mazzetti.

Prendiamo atto che la Scuola primaria è veramente primaria, secondaria solo alla scuola dell’infanzia.

Ma ciò non significa che le Scuole secondarie di primo e di secondo grado non abbiano maggiore rilevanza formativa delle Università.

Il che non significa che le Università abbiano un ruolo secondario nel processo di formazione dei giovani, in un contesto culturale nel quale ormai non si può non parlare di educazione permanente.

E, allora, creiamo le condizioni perché  le bocciature non si rendano necessarie, perché bocciare ha un costo troppo grande per la società e sopratutto per le persone umane, tutte figlie di Dio, non importa quale.

Non pensiamo più di poter risolvere il problema eliminando le bocciature, perchè quello che conta non è la promozione, quella sui registri di esame, ma quella che quotidianamente si consuma −quando si consuma− nelle delle nostre scuole, nelle quali non sempre si offrono ai giovani le migliori condizioni per alimentarsi, per crescere, per formarsi, ma non di rado si mortificano le vive energie dei giovani che si manifestano, anche e forse soprattutto, in coloro così frequentemente puniti per la loro vivacità.

Vivacità, desiderio di vita, elan vital che andrebbe stimolato, incoraggiato, favorito e comunque giammai represso con le punizioni.

Il ragazzo è troppo vivace! 

Oddio, troppo vivo, troppo vivace, innamorato della vita!

E noi condanniamo questo amore di vivere, di essere, di affermarsi che i giovani si portano dentro  fin dal loro concepimento.

Onorevole Ministra!

Ho già scritto tre lettere a Lei ed ai Suoi predecessori, ma non ha avuto riscontro.

Certo, mi fa piacere che Lei, onorevole Carrozza, dica che la bocciatura è un fallimento ed un costo. Ma non basta se non si attua la riforma delle riforme, anzi se non fa sì che le riforme, anche quelle lodevoli dei suoi predecessori, vengano attuate, seppure con le dovute correzioni.

Vengano realmente, effettivamente, e non solo formalmente, attuate dai docenti, ai quali però occorre assicurare i mezzi per la loro formazione che non può essere lasciata alla loro buona volontà ed ai loro sacrifici.

 

La scuola ha bisogno di maggiori risorse strumentali e professionali, nell’interesse dei cittadini, della società, dello Stato.

Non mettiamo nel cassetto questa consapevolezza, se vogliamo, come non possiamo non volere, che a tutti i figli di donna sia assicurato il successo formativo, che è un loro diritto, diritto soggettivo che non può essere disatteso né dai genitori né dallo Stato!

Insegnanti no, maestri si!

Insegnanti no, maestri si!

di Umberto Tenuta

 

Questo grido, credo, sia nel cuore di gran parte degli studenti che stamattina, come ogni mattina feriale, si sentono costretti, loro malgrado, a frequentare le nostre scuole, salve le poche, molto lodevoli eccezioni di scuole alle quali i giovani vanno con gioia, scuole che andrebbero meglio valorizzate anche dalla particolare attenzione della Signora Ministra.

 

In fondo, il problema del rinnovamento della scuola italiana si riassume nel grido dei giovani:

Insegnanti no, Maestri sì!

 

Credo che il senso di questo slogan sia compreso da tutti.

Ma nella mia riconosciuta e quotidianamente riconfermata pedanteria, mi dispongo ancora una volta a cercare di chiarirlo.

 

Insegnanti NO!

Non è un rifiuto personale degli studenti, ma una constatazione di fatto, alla luce delle attuali risultanze della ricerca e della sociopsicopedagogia.

Non si può in-segnare, incidere nella mente degli altri alcuna conoscenza, alcuna capacità, alcun atteggiamento.

Ripeto quanto detto da Confucio:

Se ascolto dimentico 

Se vedo ricordo 

Se faccio capisco 

 

Se ascolto dimentico! 

Peraltro, non è nemmeno possibile ascoltare, se non si è motivati ad aprire le orecchie.

Per ascoltare occorre essere interessati a quello che altri dicono.

E dove anche si ascoltasse qualcosa, quale flatus vocis, lo si dimenticherebbe facilmente.

Se vedo, ricordo! 

Innanzitutto, anche per vedere occorre voler vedere.

E, poi, dalla psicologia della forma (Gestaltpsycologie), apprendiamo che si vede solo quello che si vuole vedere e come lo si vuole vedere (ad modum percepientis).

Se faccio, capisco!

Ancora Piaget: <<L’intelligenza è un sistema di operazioni… L’operazione non è altro che azione: un’azione reale, ma interiorizzata, divenuta reversibile. Perché il bambino giunga a combinare delle operazioni, si tratti di operazioni numeriche o di operazioni spaziali, è necessario che abbia manipolato, è necessario che abbia agito, sperimentato non solo su disegni ma su un materiale reale, su oggetti fisici…>>[1].

Ma quali azioni fanno i giovani studenti nella gran parte nostre scuole, se non quella di sbadigliare?

Non è detto che stando con le mani conserte e gli occhi spalancati, le orecchie non si sa come, essi mettano in moto, se non le braccia ed i piedi, almeno la testa!

Gli studenti non agiscono, non operano, non fanno … niente!

Sono passivi!

Sì, loro, così giovani, così irrequieti, così portati a muoversi, a prendere, a toccare, ad aprire la bocca… sin dal momento della nascita, ora lì, nell’aula dalle pareti grigie, in un silenzio tombale, che cosa fanno, gli studenti non studenti?

Essi non fanno niente, ed è una gran fortuna per gli insegnanti!

Perché se gli studenti effettuassero qualche azione, cosa resterebbe da fare agli insegnanti?

Non sarebbero più insegnanti: non leggerebbero, non parlerebbero, non scriverebbero sulle LIM, non inviterebbero gli studenti a leggere i libri di testo!

E invece no: gli insegnanti parlano, si sgolano, ci mettono tutto il loro fiato, gesticolano con le loro braccia, si agitano, si muovono, scrivono, disegnano sulla LIM!

Sì, gli insegnanti insegnano, traducono in segni fonici e visivi −ma non olfattivi, tattili e cinestetici− i saperi dei libri di testo!

Gran lavoro, quello degli insegnanti!

Ma siamo fermi a quello che possono fare e fanno gli insegnanti in quasi tutte le scuole: parlare, esporre, mostrare, scrivere e disegnare sulla benvenuta LIM, che sostituisce, quando sostituisce, seppure a malincuore, la gloriosa lavagna di ardesia, alla quale con somma ingratitudine nessuno si è degnato di rivolgere un ringraziamento!

 

Ma questo non basta, come oggi risulta manifesto e come si può dimostrare con un semplice sillogismo:

1. L’insegnante parla, espone, mostra, invita a guardare, ad ascoltare, a leggere, a scrivere …anche se molto spesso con divieto di audio e video registrare.

Salvo qualche, sporadiche, lodevoli eccezioni, questo è un dato di fatto inconfutabile, a prescindere dalle modalità in cui queste operazioni vengono eseguite e questo divieto esiste.

2. Gli studenti stanno ordinatamente seduti, con le mani conserte, le orecchie senza tappi e gli occhi aperti, seppure con qualche malcelato sbadiglio.

Diamo per scontato che essi percepiscano visivamente ed uditivamente quanto fa l’insegnante.

Dalla premessa maggiore e dalla premessa minore dovrebbe conseguire che gli studenti memorizzano. 

Se questo avvenisse, sarebbe già un qualche risultato. <<ché non fa scïenza, sanza lo ritenere, avere inteso>>[2],

Ma questo non avviene sempre, perché ci sono studenti bocciati, respinti!

 

−Oddio, ancora oggi è tollerato che la scuola respinga i suoi utenti! −

 

Ma ipotizziamo pure −ipotesi di terzo grado− che gli studenti apprendano, cioè ricordino.

E domandiamoci: basta <<lo ritener>>?

Lasciamo la parola a Montaigne ed a Morin:

è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”.

No, non basta che gli studenti  abbiano la mente ben piena di conoscenze, che peraltro oggi sono a disposizione anche di tutti gli studenti negli smartphone, nei tablet…

Non basta il memorizzare, per garantire, come è obbligatorio, il <<successo formativo>>, la piena, integrale, originale formazione degli studenti.

Assieme al sapere occorre il saper fare e forse soprattutto il saper essere.

Possiamo benissimo sapere come si fanno le quattro operazioni aritmetiche ma non essere capaci di utilizzarle quando facciamo la spesa.

E poi, anche se avessimo la capacità di utilizzarle, le operazioni, non è detto che saremmo disponibili ad utilizzarle, preferendo, per pigrizia, affidarci all’onestà del venditore.

Possiamo avere appresso a scuola tutta la storia dell’umanità e poi non saperla e non volerla utilizzare per comprendere il presente.

Possiamo avere memorizzato tutte le poesie dei grandi Poeti ma non essere nemmeno modesti lettori di poesie.

Oddio, quanto banali sono queste conclusioni!

Conclusioni che dovrebbero scoraggiare qualsiasi insegnante a continuare a fare lezioni con la sua ‘viva voce’, con le LIM, con le presentazioni di POWER POINT…

E, allora?

 

INSEGNANTI NO!

La formazione dei giovani non si realizza se essi non vengono messi nella condizione di formarsi, di educarsi, di esprimere la loro umanità!

Victor, il bambino selvaggio dell’Aveyron, insegna, dovrebbe insegnare… agli INSEGNANTI!

Mi viene da dire: Perché non facciamo un bel corso di aggiornamento per gli INSEGNANTI, facendo vedere −come a me è stata data la felice occasione di vedere in un corso di aggiornamento− il film Il selvaggio di Aveyron di François Truffaut che racconta la storia di Victor?

 

MAESTRI Si!

La formazione dei giovani, la loro educazione non si realizza, non avviene, se essi non sono messi nelle condizioni di formarsi, di educarsi, di fare proprie le conoscenze (sapere), le capacità (saper fare), gli atteggiamenti (saper essere) che gli uomini, emuli di Prometeo, hanno inventato, costruito, organizzato nel lungo cammino dei secoli e continueranno a inventare, costruire, organizzare, fino a quando essi avranno vita, magari su altri pianeti.

 

 

Una rivoluzione copernicana, quindi?

La si è chiesta, forse esagerando, per essere meglio intesi.

L’ho chiesta anch’io, esagerando, in tanti miei scritti che dormono sulle nuvole dei saperi del nostro mediterraneo cielo azzurro.

 

Per formarsi, i giovani debbono innanzitutto compiere azioni, prima reali con oggetti concreti, poi digitali con oggetti virtuali, poi ancora con oggetti iconici, infine con i simboli della scrittura, della matematica, delle scienze…

Occorre una gran rivoluzione!

Occorre cambiare l’aspetto e l’organizzazione delle nostre scuole, anche con una nuova edilizia scolastica che trasformi le aule chiuse in laboratori aperti: laboratori scientifici, matematici, letterari, storici, geografici, artistici, sì, anche artistici, e non in attività integrative, perché tutto è integrativo, in quanto mira alla integrale e piena formazione dei giovani.

 

Sì, laboratori di apprendimento, di formazione linguistica, matematica, scientifica, storica, geografica, artistica…!

Nelle aule gli alunni stanno seduti ad ascoltare gli insegnanti.

Nei laboratori possono stare anche in piedi, possono anche spostarsi, possono anche dialogare tra di loro, possono anche chiedere aiuto ai Maestri…

 

Fattibile, questa rivoluzione?

Sì, fattibile!

Lo dimostrano, tra gli altri uomini grandi della storia della scuola, le Sorelle Agazzi, la Montessori e tanti altri grandi Maestri della Storia del rinnovamento della scuola che abbiamo il dovere di andare a rivisitare.

E lo dimostrano pure quelle umili Maestre e quegli umili Maestri che anche ai nostri giorni fanno grandi le loro scuole!

Attenzione, però!

Non basta creare i laboratori opportunamente attrezzati con le cianfrusaglie agazziane ed i materiali strutturati della Montessori, anche realizzati in formato digitale.

Occorre che i giovani non perdano la gioia di imparare, di essere studenti, filosofi, innamorati del sapere, studiosi.

Filosofi, studiosi vuol dire innamorati del sapere!

Chi li motiva i nostri studenti?

Quanto inchiostro è stato versato sulla MOTIVAZIONE!

Non ultimo, né primo, Gian Giacomo Rousseau.

Non primo, perché l’ha preceduto Virgilio!

Sì, Virgilio che guida Dante nei tre regni dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso ove, infine, lo incorona maestro di sé stesso:

<<…. per ch’io te sovra te corono e mitrio>>[3]

Sì, Virgilio che Dante chiama Maestro:

<<Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore>>[4].

 

NON INSEGNANTI, MA MAESTRI

Quindi, non più Insegnanti, ma Maestri che accompagnano gli studenti, finalmente resi studenti, filosofi, innamorati del sapere dai loro Maestri.

 

Studenti bramosi di compiere azioni, sperimentare, ricercare, inventare, porsi e  risolvere problemi…!

A voler compiere queste operazioni non si può costringere nessuno, con nessuno strumento, nemmeno coi voti, nemmeno con le punizioni che valgono solo per gli animali di Torhndike.

 

Per indurre ad agire, a fare, a manipolare, a cercare, a risolvere problemi… occorre innanzitutto motivare gli alunni, farli diventare studenti.

 

È questo il primo e più importante impegno degli INSEGNANTI, pardon dei MAESTRI che ogni mattina entrano nei laboratori delle nostre scuole ove gli studenti li aspettano con amore, con gioia, con la loro grande, insaziabile, infinita sete di apprendere, di scoprire nuovi mondi, di divenir grandi… come i loro maestri, come i loro Virgili!

 

 

Sogno di Una notte di mezza estate?

No!

Siamo alla fine di un anno, vicini all’inizio di un nuovo anno, che ci auguriamo sia l’anno della scuola della gioia di imparare di tutti gli studenti, e non solo di una sparuta minoranza che hanno già la fortuna di andare incontro ogni mattina, possibilmente anche di sabato, ai loro beneamati Maestri!

 

Questo è l’augurio che io faccio ai giovani ed ai loro maestri: sotto l’albero di Natale la CA’ ZOIOSA di Vittorino da Feltre!



[1] PIAGET J., Avviamento al calcolo, la Nuova Italia, Firenze, 1956, p. 31

[2] Dante, Paradiso, V, 42.

[3] Dante, Purgatorio, XXVII.142.

[4] Dante, Inferno, I, 85-86.

Bocciare è un fallimento ed un costo

Bocciare è un fallimento ed un costo

di Umberto Tenuta 

 

Bocciare è un fallimento ed un costo, dice la Ministra della Pubblica Istruzione.

Respingere un ragazzo è un sopruso, ribattono gli studenti!

 

Più che un sopruso, è qualcosa di molto più grave, qualcosa che nessun uomo di scuola dovrebbe mai fare e consentire che si faccia.

Bocciare è negare il diritto all’educazione riconosciuto nelle Carte Internazionali, diritto inalienabile che appartiene ad ogni figlio di donna, perché ogni figlio di donna ha diritto alla sua umanizzazione[1], come conferma il Poeta,: “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”!

Peraltro, non si può venir meno alla norma positiva di cui all’art. 1 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, il quale, al comma 2, sancisce:  <<L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento>>.

Gli operatori scolastici tutti, personale docente, dirigente ed ispettivo, hanno l’obbligo di osservare e di fare osservare questa norma.

Non possono disattenderla, pena il venir meno ai loro ineludibili e precisi doveri professionali, con tutte le conseguenze che ne derivano.

 

Nella loro non riconosciuta saggezza, i giovani aggiungono che la scuola che essi sono costretti a frequentare −quando non sono i figli di papà che, come dice FRANCESCO, hanno altre scuole e frequentano altri più efficaci ambienti formativi− utilizza una  “una didattica nozionistica e vecchia nei metodi”.

 

Una didattica nozionistica!

Sì, una didattica nozionistica, seppure non si debba dimenticare, come purtroppo spesso avviene, che numerosi sono i docenti che ormai non chiedono più:

−le date di nascita, le vite e le opere dei poeti e dei filosofi

−l’elenco delle città e dei fiumi d’Italia

−le definizioni degli enti e delle operazioni geometriche

−eccetera eccetera

 

Una didattica vecchia nei metodi!

Metodi, anzi metodo didattico, perchè è uno solo, quello delle unità didattiche (unità didattiche, cioè unità di insegnamento) ovvero metodo della lezione (da lectio, lettura) ovvero della esposizione, presentazione, anche se con l’ausilio delle LIM che il MIUR si è premurato di inviare alle scuole, anziché lasciarle libere −come è loro diritto−  di provvedersi di notebook, anzi, meglio, di tablet che ormai abbondano nelle tasche dei giovani, seppure a spese dei genitori.

Metodo delle interrogazioni, e, vedi mirabolante novità, soprattutto delle verifiche, con tanto di test dell’INVALSI che pure qualcosa fa!

Sì, una valutazione degli apprendimenti sempre più quantitativa (dallo zero tagliato al dieci più) e appiattita sui test a numero chiuso!

 

Quanta saggezza pedagogica in questi nostri studenti, ogni mattinata costretti a stare seduti nei banchi, giovani studenti che gli uomini di scuola dovrebbero ascoltare più attentamente −assieme ai loro genitori− per una valutazione formativa, e non solo quantitativa, la quale non dice nulla per migliorare i processi di apprendimento[2].

Dovrebbe ormai essere acquisito che nella scuola del diritto all’educazione la valutazione deve assumere sempre valore formativo, anche nel caso, che dovrebbe essere raro caso, della bocciatura. Si valuta per educare, per ricercare le strategie che consentano agli alunni −a tutti i singoli alunni− di apprendere, perché tutti possono apprendere, in quanto non esistono giovani irrecuperabili, così come non esistono uomini irrecuperabili, tanto che in alcuni paesi nordici sono state chiuse finanche le carceri e i condannati vengono rieducati in apposite istituzioni, come peraltro vorrebbe anche la nostra Costituzione.

 

Oddio, quante volte sono state dette queste cose! 

 

Come è possibile che ancora oggi siamo fermi ad una scuola che −malgrado tutte le riforme più o meno innovative legiferate negli ultimi decenni− di fatto ripete ancora la scuola di un secolo fa, quando doveva risultare funzionale agli interessi dello Stato, e non a quelli del giovani?

E questo, malgrado l’avvenuto riconoscimento dei diritti degli uomini, dei diritti dei giovani, dei diritti dei bambini nelle più autorevoli Carte internazionali, e perfino nella Carta dei diritti degli studenti che per tutte le scuole dovrebbe essere testo ineludibile.

 

Oltre che nelle riviste professionali cartacee più accreditate, nelle varie rubriche delle due riviste digitali da me curate[3] ho ampiamente analizzato le problematiche più vive della scuola, sottolineando l’esigenza di superare la didattica dell’insegnamento, sostituendola con la didattica dell’apprendimento come problem solving e cooperative learning, e di bandire la valutazione punitiva e selettiva, sostituendola con una valutazione formativa.

Didattica dell’apprendimento come problem solving e cooperative learning che è realizzabile, come ampiamente, con le loro concrete esperienze −troppo facilmente dimenticate− hanno dimostrato le Sorelle Agazzi e la Montessori.

Valutazione formativa[4]: valutare per educare, valutare per promuovere, mai per respingere!

 

Vorrei chiudere, cari amici studenti di cui ho vissuto e vivo i tormenti, anche se nessuno è riuscito a impedire il mio successo formativo −seppure incompleto− con l’affermazione di E. FAURE[5]:

ogni uomo è destinato ad essere un successo

e

il mondo è destinato ad accogliere questo successo



[1] Scrive Kant che <<La bestia è già resa perfetta dall’istinto… L’uomo invece… non possiede un istinto e deve quindi formulare da sé il piano del proprio modo di agire… La specie umana deve esprimere con le sue forze e da se stessa le doti proprie dell’umanità. Una generazione educa l’altra… L’uomo può diventare tale solo con l’educazione>>(KANT E., Pedagogia, O.D.C.U., Rimini, 1953, pp.25-27.

[2] In INTERNET: “UMBERTO TENUTA” VALUTAZIONE FORMATIVA

[5] FAURE E. (a cura di), Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, p. 249

Digitale, mon amour, quale fine stai facendo!

Digitale, mon amour, quale fine stai facendo!

di Umberto Tenuta

 

DIGITALE, mon amour,

ti scrivo con tutto l’amore che di te mi ha preso il cuore, quando, nella pienezza della giovinezza, ti affacciasti alla mia vita e io ti accoglievo tra le braccia con tutto l’entusiasmo che i giovani portano nel cuore e generosamente offrono alla persona amata.

 

Ti ho seguito nei tuoi sogni giovanili che mai non muoiono e che, adulto, ancora ti porti nel cuore.

Ti seguo, ancora, con amore più grande, perché più grande tu sei!

 

Ma questo amore, come ogni amore grande, ora soffre, soffre per te, nel chiuso della mia casa, casa-scuola, nella quale ti accolgo e ti tengo sempre più vicino!

Soffre, perché tanto male ti fanno quanti ti dicono di amarti, ma ti asserviscono alle loro passate esperienze di scuola che tardano a morire.

C’è una grande forza del PASSATO[1], del passato non certamente migliore, ma di quello più consueto, più banale, più antiquato!

Come ieri utilizzavano la parola orale e la parola scritta per fare il loro mestiere di INSEGNANTI[2], ora utilizzano anche la tua parola, sì, la tua parola digitale scritta ed orale, anche ornata di icone.

 

Entri nelle scuole, ti fanno entrare come ospite gradito, ma ti asserviscono ai loro vieti costumi!

Ti asserviscono, ti asserviscono, e non lasciano spazio ai tuoi sogni di giovanile entusiasmo che ti porti dentro il cuore e che io grandemente amo!

Sì, mio Amato, ti asserviscono!

Ti costringono a fare quanto loro hanno sempre fatto!

Seduti sulla cattedra, anche quando utilizzano le tue LIM, così generosamente donate alle nostre scuole, tua nuova dimora.

Ti utilizzano nelle loro LEZIONI, sì lezioni[3], nelle quali mostrano anche, perché no, le tue belle immagini, i tuoi bei grafici, le tue belle parole colorate di rosso, di azzurro, di verde, ma sempre parole di cui gli alunni[4] sono chiamati ad alimentarsi, anche quando non ne hanno fame, come non di rado accade.

 

Al gran parlare, all’ostentato interesse che per te esibiscono, non corrisponde il grido di gioia dei giovani che le scuole frequentano, perché obbligati a frequentarle, loro malgrado!

Ho ascoltato il loro grido di gioia alla promessa di riduzione a quattro anni delle scuole superiori! Grido solitario, non accompagnato dal coro dei loro insegnanti, grido col quale essi hanno manifestato la gioia di finire presto l’obbligo di andare a scuola.

E, come non comprenderli, questi studenti[5], studenti spesso solo di nome, che altro amore di te prende fuori della scuola, sui loro Tablet, Smartphone, Notebook, PC!

 

Ma quanti sono gli studenti filosofi?[6]

Non amano studiare, forse, e senza forse, perchè costretti a stare seduti nei banchi, con le mani conserte, gli occhi spalancati, le orecchie che dovrebbero essere tese ma quasi mai lo sono!

 

Ma tu sei generoso ed offri le tue audiovideoregistrazioni, semmai nelle loro case, sotto gli sguardi imploranti dei loro genitori, ormai divenuti tutti, quasi tutti, assieme alle nonne ed alle zie, loro precettori domestici.

 

Tu non ti sei mai rifiutato di andare incontro ai giovani per soddisfare la loro innata curiosità[7], la loro voglia di conoscere, di fare nuove esperienze, di rubare, novelli Prometei, il fuoco agli dei!

Sì, tu hai tante volte risposto alle proposte che ti sono state fatte da chi, come Gian Giacomo[8], ti volevano come amico per aiutare Emilio a ritrovare nel bosco la strada del ritorno a casa.

E non ti sei giammai rifiutato di arricchire il Museo didattico delle bravissime sorelle Agazzi[9], così come quello, complementare, della così ingenerosamente dimenticata Maria Montessori[10].

 

Ma a nulla sono valsi le ricerche e le proposte che nel Secolo dei bambini[11], sono state sempre più insistentemente avanzate dai miei confratelli, nel loro disperato grido di dolore per i tanti giovani costretti ogni mattina a stare inchiodati sui sedili delle fila medievali dei banchi, per ascoltare i loro insegnanti.

Eppure, tu sei tanto generoso e ti offri per apparecchiare laboratori di apprendimento, soprattutto ai nostri giorni, con i Notebook ed i Tablet, che quasi tutti gli studenti non studenti si portano nelle tasche dei pantaloni alla moda e delle ingenerose gonnelline.

Suvvia, diamoci una scossa, mio amato DIGITALE!

Diamoci una scossa forte, molto forte, che scuota tutti, faccia aprire le orecchie e spalancare gli occhi alle Maestre, pardon,  alle Professoresse di donmilianiana memoria[12], perché ti accolgano in nuove aule laboratorio, nelle quali gli studenti, non più solitari[13], stiano intorno a tavoli di tre/quattro/cinque posti, tutti intenti a fare scoperte[14].

A scoprire, così come faceva il giovane Einstein, come e perché la calamita, coi suoi poli negativo o positivo, si orienta al Nord ed al Sud!

A scoprire come e perchè il ventitrè dicembre, quando il sole è più vicino alla Terra, nel nostro Emisfero sentiamo tanto freddo.

A scoprire il perché la somma dei quadrati dei cateti del triangolo rettangolo è equivalente a quello dell’ipotenusa.

A scoprire, da soli, seppure con la guida del docente, novello Virgilio, come e perchè il futuro interiore è un futuro passato[15]!

 

Beh, sei tanto generoso, mio amato DIGITALE, che non disdegni certamente di dare la precedenza alle scoperte realizzate dagli studenti coi novelli materiali strutturati[16], con le vecchie ma sempre nuove cianfrusaglie delle care sorelle Agazzi.

Tu sai bene che a questi materiali un galantuomo come te deve dare sempre la precedenza.

 

Ma tu ami la buona compagnia degli amici studenti e, perché no, delle amiche Maestre, ed io non ne sono gelosa!

 

Ciao, mio amoroso DIGITALE!



[1] Il riferimento va alla Scuola dei Programmi del Positivimo pedagogico e della Riforma Gentile.

[2] Insegnante, latino, insegnare, da in − signo, tradurre in segni.

[3] Dal latino Legere, lettura (Da DELI−DIZIONARIO ETIMOLOGICO DELLA LINGUA ITALIANA, Zanichelli, Bologna,

[4] Alunno deriva da alere, alimentarsi, e quindi significa crescere,: chi si alimenta (alunno) cresce, diventa adulto (Participio passato di alere, cioè alimentato, e quindi cresciuto).

[5] Studente da studium che in latino significa anche “passione, desiderio, impulso interiore“.. Scrive F. Ferrarotti che <<La scuola non sembra in grado di stimolare e far scoprire ai giovani la gioia della lettura, e di riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>> (Presentazione: FERRAROTTI F., Leggere, leggersi, Donzelli, Roma, 1998.

[6] Filosofi, coloro che amano il sapere, dal greco: philo, amore,, ophhia, sapienza, sapere (IL GRANDE DIZIONARIO GARZANTI DELLA LINGUA ITALIANA).

[7] HODKIN R.A., La curiosità innata – Nuove prospettive dell’educazione, Armando, Roma, 1978.

[8] ROUSSEAU J.-J., Emilio o dell’educazione, Mondadori, Milano, 1997.

[9] AGAZZI R., Come intendo il museo didattico, La Scuola, Brescia, 1968

[10] MONTESSORI M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 2000

[11] H. KEY, Il secolo dei fanciulli, Fratelli Bocca, Torino, 1902

[12] DON MILANI, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina , 2007

[13]COOL In merito cfr. COMOGLIO M., Educare insegnando. Apprendere ad applicare il Cooperative learning, LAS, Roma, 1986; COMOGLIO M., CARDOSO M.A., Insegnare e apprendere in gruppo. Il cooperative Learning, LAS, Roma, 1996; COMOGLIO M. (a cura di), Il Cooperative learning. Strategie di sperimentazione, Quaderni di animazione e formazione, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1999; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., Discutendo si impara. Interazione sociale e conoscenza a scuola, NIS, Roma, 1991; PONTECORVO C. (a cura), La condivisione della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze, 1993; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., (a cura), I contesti sociali dell’apprendimento.Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, 1995

[14] In merito al Problem solving cfr.: MOSCONI G., D’URSO V. (a cura di), La soluzione di problemi. Problem-solving, Giunti- Barbèra, Firenze, 1973; KLEINMUNTZ B.(a cura di), Problem solving Ricerche, metodi, teorie, Armando, Roma, 1976; DUNC-KER K., La psicologia del pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1969; WERTEIMER M., Il pensiero produttivo, Giunti- Barbèra, Firenze, 1965; DORNER D., La soluzione dei problemi come elaborazione dell’informazione, Città Nuova, Roma, 1988. Per la problematica dell’ermeneutica, cfr: GENNARI M., Interpretare l’educazione. Pedagogia, semiotica, ermeneutica, La Scuo-la, Brescia, 1992; MALAVASI P., Tra ermeneutica e pedagogia, La Nuova Italia, Firenze, 1992.

[15] In merito  cfr.: UMBERTO TENUTA, Metodi nelle unità di apprendimento, in: www.rivistadidattica.com

[16] In merito  cfr.::UMBERTO TENUTA, L’attività educativa e didattica nella scuola elementare – Come organizzare l’ambiente educativo e di apprendimento, La Scuola, Brescia, 1989, ill., pp. 256.

Canta la gioia di essere maestra!

Canta la gioia di essere maestra!

di Umberto Tenuta

   

Canta la gioia! Io voglio cingerti

di tutti i fiori perchè tu celebri

la gioia la gioia la gioia,

questa magnifica donatrice!

Canta l’immensa gioia di vivere,

d’essere forte, d’essere giovine

……

(Gabriele D’Annunzio)

 

 

Canta la gioia!

A te, Maestra che ogni mattina varchi la soglia dell’aula per incontrare i giovani che ti aspettano con gioia, a te dico:

 

Canta la gioia di vivere con i tuoi studenti, filosofi in erba, erba verde dei prati fioriti, nella primavera incantata della loro vita!

 

Canta la gioia di vivere ogni giorno la meravigliosa avventura di correre con i giovani lungo le strade bianche, come lo erano le strade della tua infanzia.

 

Canta la gioia di incontrare ogni mattina i tuoi giovani che ti aspettano, ansiosi di poter correre con te le strade, le lunghe e fascinose strade dei Poeti che hanno cantato le gioie e i dolori dell’uomo, nel lungo cammino dei secoli.

 

Canta la gioia di correre le fascinose strade della Matematica, sorella della Poesia, la fascinosa strada delle Scienze che Prometeo regalò agli uomini:

<<Fatti non… a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza>> (Dante Alighieri, Inferno, canto XXVI)

 

Canta la gioia di aiutare i tuoi giovani a correre il lungo cammino dell’uomo nel corso dei millenni, in tutte le terre!

 

Canta, e ancora canta, la gioia di ascoltare i suoni e le musiche che la natura ed i grandi Beethoven ci hanno donato!

 

E canta, ancora e ancora, la gioia di incontrarti coi tuoi giovani dinanzi alla Gioconda!

 

Ti dico, canta la gioia delle mille giovinezze che i giovani ti regalano.

 

E tu ricambi, ogni giorno, lasciando le tue pene dietro la porta delle aule, nelle quali i tuoi studenti ti aspettano ansiosi di accoglierti, perché sanno che tu li aiuterai a vivere la meravigliosa avventura che ogni figlio di donna è chiamato a vivere “per seguir virtute e canoscenza“.

 

So che tu lo fai!

 

So che tu sai lasciarti coinvolgere dai tuoi studenti nel loro bramoso impegno di trovare risposta ai loro mille perché.

 

E ti ammiro, Maestra, perché tu hai la grande virtù di non dare risposte a domande mai fatte e di offrire ai tuoi studenti tutto il tuo appassionato aiuto nel loro cooperativo impegno di ricercare risposte alla loro sete di sapere, sete che tu non spegni con i voti sul tuo registro digitale, ma incoraggi sempre.

 

Incoraggi perché anche tu sei stata incoraggiata, quando incontrasti il grande Maestro che disse a tuo madre, sgomento per la tua prima ed ultima sconfitta: “Questa è una ragazza intelligente, diventerà una grande Donna!”

 

E così fu.

Fascinosi laghi

Fascinosi laghi

di Umberto Tenuta

Un ragazzo che guarda di qua e di là, mentre l’insegnante fa lezione.

 

Lo vedi, tu, quel ragazzino undicenne che guarda di qua e di là, mentre l’insegnante, rivolto all’indistinta scolaresca senza volti, va avanti con la sua lezione, spiegando puntigliosamente che le colline sono elevazioni di terreno che non superano i 500 metri −mentre i monti li superano− e che i laghi sono degli specchi d’acqua che possono avere un immissario ed un emissario:

“Ragazzi, sapete bene che l’immissario porta l’acqua al lago e l’emissario la scarica”!

 

Il ragazzino si ferma un attimo e pensa al gioco di quell’Immissario che versa l’acqua nel lago e soprattutto di quell’Emissario che si diverte a togliere l’acqua al lago.

Lui, il lago l’ha già visto, sulle montagne dell’Appennino, con il padre e la madre che ve l’hanno portato per fargli vedere il lago, i fiumi, i monti innevati, dove tutto era immobile, fermo, ghiacciato.

Lo spettacolo gli torna alla mente e lo distrae ancora, lo porta più lontano dall’aula con i banchi allineati e le teste dei compagni rivolte verso l’insegnante, nel silenzio tombale in cui solo si ode lo zigzagare di una mosca che lui solo segue con grande attenzione, meravigliato da quell’animale che solo lui degna di uno sguardo attento.

All’insegnante anche lui si degna di rivolgere, di tanto in tanto, uno sguardo interrogativo, quasi domandandosi: <<ma Lei lo sa che io il lago l’ho visto?>>.

No, lei non lo sa, anzi non si è nemmeno posto il problema di saperlo, tanto nel suo elenco programmatico della materia Geografia i laghi figurano dopo i fiumi ed i mari di cui l’altro ieri ha “parlato” tanto, tanto, tanto, a sufficienza, sempre davanti alla scolaresca tutta attenta, tranne quel distrattone impenitente, con il quale le ha tentate tutte, dal richiamo forte alla nota sul registro, all’avviso scritto ai genitori, alla minaccia del voto basso, preludio della bocciatura, la migliore arma per richiamare l’attenzione degli alunni.

Ma il ragazzo undicenne continua a non seguirla, distratto, sì, dis-tratto, tratto da cose altre, più interessanti della voce dell’insegnante che, anch’essa distratta dalla sua lezione, non si preoccupa di attrarre il ragazzo, intensamente attento a cose altre da quello che lei, sgolandosi, col rischio professionale di perdere la voce, va dicendo.

lagoCerto, l’insegnante mostrerà sulla LIM anche il grafico del lago con i suoi immissari ed emissari!

Ma il ragazzo undicenne è un irrecuperabile distrattone che tante cose altre da quelle dette dall’insegnante segue, prendendosi tanti e tanti rimproveri, ai quali ha già fatto l’abitudine, ma in attesa di quel maestro che finalmente lo attrarrà, lo coinvolgerà nell’avventurosa corsa dell’acqua che dagli oceani si solleva, sotto la forma del vapore che esce dalla pentola, e raggiunge, lassù, le altre nuvole che qua e là vanno a spasso, per poi incontrare il freddo vento che le scioglie in piogge sui monti.

Preadolescenza, terra di avventure, quanto sei lontana dalle noiose lezioni della tua brava professoressa, non attratta, come sei tu, da avventurosi mondi che ti affascinano, che ti prendono, che ti portano via, verso altri sconfinati orizzonti di terre, di cieli, di monti, di laghi, di fiumi, di oceani e di mari che il cuore e la mente ti prendono!

Bravo, ragazzo mio, un giorno anche tu incontrerai il fascinoso Maestro che ti prenderà l’anima e il cuore, che ti porterà lontano nelle terre fascinose della Cultura, di quella Cultura che ti farà uomo, un uomo grande, un grande uomo!

Motivazione ad apprendere: non spegniamola!

Motivazione ad apprendere: non spegniamola!

di Umberto Tenuta

 

Ogni essere vivente che agisce, agisce per uno scopo.

Le piante affondano le loro radici nel terreno ed aprono le foglie al sole per procurarsi le sostanze nutritive.

Gli animali ricercano il cibo, di qua e di là, per crescere.

Gli esseri umani non sono da meno!

 

Già nel grembo materno si agitano, si muovono, ascoltano… istintivamente consapevoli che “nati non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza ” (Dante).

Nascono ed aprono gli occhi al mondo che li circonda, imparano subito a succhiare il latte materno, agitano le mani per afferrare gli oggetti e divenire capaci di prenderli.

Attraverso l’ascolto, le loro lallazioni diventano parole per esprimere i loro bisogni: “latte” significa: “ho fame, dammi il latte“.

Si rotolano per imparare a camminare…

 

Se li priviamo della possibilità di soddisfare i loro bisogni innati, non apprendono, non imparano a prendere gli oggetti, a camminare, a parlare…

 

Imparano la lingua materna con una facilità enorme, come non apprenderanno mai un’altra lingua!

A diciotto mesi riescono a imparare a leggere, ad un anno pattinano, a tre anni suonano il violino e parlano due lingue (TITONE R., Bilingui a tre anni, Armando, Roma, 1973 − IBUKA M., A un anno si pattina, a tre si legge, e si suona il violino, Armando, Roma, 1984).

 

La suola delle mamme è la migliore di quelle che seguiranno.

 

Ma quali rischi corrono i giovani a mano a mano che crescono?

Direi che i bambini, con la frequenza della scuola dell’infanzia, affermatasi col Froebel come Giardini dell’infanzia, molti rischi non si corrono!

Le cose cambiano o possono cambiare con la frequenza della scuola primaria ove ci si discosti dal clima di gioco che caratterizza i primi sei anni di vita.

La gioia di imparare può essere distrutta, se la scuola primaria si intende, non come scuola da frequentare obbligatoriamente, ma come scuola dell’obbligo di imparare, e non della gioia di imparare, di imparare per realizzare la propria umanità, per affermarsi come ogni essere vivente.

Nella scuola primaria c’è il rischio che l’apprendere non sia vissuto come strumento della propria affermazione, della propria autorealizzazione, del proprio divenire uomo, ma come obbligo incomprensibile, stanti le scarse capacità di guardare lontano, presi come sono, i fanciulli, dall’immediato presente.

Le cose peggiorano enormemente nella scuola secondaria di primo grado e ancor di più in quella di secondo grado.

Perché?

Perché l’apprendere non è più visto, sentito, avvertito, percepito come strumento della propria affermazione.

Anzi, il rischio dei voti negativi, dei richiami, delle punizioni, delle premiazione degli altri, dei voti, peraltro resi pubblici, demotivano gli alunni.

I voti negativi (5, 4, 3, 2, 1, 0) sono visti come una ferita al proprio essere, al proprio bisogno di affermazione, al proprio bisogno innato di autorealizzazione umana.

 

Che fare allora?

Sembrebbe, ma non lo è, la cosa più semplice di questo mondo.

Don Milani lo ha gridato con forza:

Aboliamo i voti!

Aboliamo le bocciature!

Agli svogliati diamo uno scopo! 

 

Non diamo voti e, se li diamo, almeno non rendiamoli pubblici, mortificando ancor di più quelli che dovrebbero essere studenti, filosofi, coloro che amano il sapere.

 

Non c’è bisogno di studiare i la complessa problematica della motivazione per comprendere, anche attraverso la nostra esperienza diretta, che ogni lesione della nostra reputazione ci scoraggia, ci avvilisce, ci deprime, ci fa passare la voglia di fare, di apprendere, di impegnarsi anche nello studio.

 

Perché le squadre di calcio vincono più facilmente in casa propria?

Perché là sono maggiormente incoraggiati!

 

Allora, non scoraggiamo mai gli di studenti!

Anzi, incoraggiamoli sempre, come fanno gli sportivi!

È un nostro dovere nei confronti degli studenti che tali sono in quanto amano apprendere, quali filosofi (philos = amore; sophi=sapere).

La parola Studente deriva dal latino studium che significa anche passione, desiderio, impulso interiore“.

Scrive F. Ferrarotti che <<La scuola non sembra in grado di stimolare e far scoprire ai giovani la gioia della lettura, e di riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>> (Presentazione: FERRAROTTI F., Leggere, leggersi, Donzelli, Roma, 1998).

 

Facciamo in modo che i giovani, ai quali abbiamo il dovere di assicurare il successo formativo (<<Ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>>, in: FAURE E, (a cura di), Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, p. 249),  conservino e non perdano il loro innato bisogno di apprendere che è proprio di ogni figlio di donna (HODKIN R.A., La curiosità innata – Nuove prospettive dell’educazione, Armando, Roma, 1978).

 

La scuola acquisterà sempre maggiore prestigio a mano a mano che essa diventerà sempre più la “Ca’ zoiosa”, casa della gioia, come la realizzò Vittorino da Feltre.

 

Viva le scuole che ogni giorno sono vissute come ambienti della gioia di apprendere, di imparare, di crescere, di divenire adulti!

 

Anche perché quelle scuole sono il luogo nel quale noi docenti viviamo la gioia di aiutare a crescere, in “virtute e canoscenza”, i nostri fratelli e le nostre sorelle minori.

Rendiamo grande la Scuola italiana

Rendiamo grande la Scuola italiana

di Umberto Tenuta

 

Cari docenti,

cari, perché anch’io sono stato uno di voi per un cinquantennio, prima come maestro di scuola primaria, poi come dirigente scolastico ed infine come ispettore,

Cari, perché, nell’invocare il rinnovamento della scuola, si fanno anche gli interessi di tutti gli studenti e di tutti gli uomini di scuola.

 

La collocazione della scuola italiana agli ultimi posti delle graduatorie internazionali sull’efficacia e sull’efficienza del sistema scolastico evidentemente non porta a riservare ad essa maggiori risorse, cosa che avverrebbe senz’altro se il sistema scolastico italiano si collocasse ai più alti livelli di efficacia e di efficienza, come pure potrebbe.

Infatti, una migliore efficacia ed efficienza del sistema scolastico italiano avrebbe senz’altro un maggiore consenso dei genitori che sono la maggioranza degli elettori.

Pertanto, dovrebbe risultare lapalissiano che l’efficacia e l’efficienza del sistema scolastico italiano è direttamente correlato anche ai maggiori riconoscimenti economici.

I riconoscimenti si giustificano se sono ri−conoscimenti, cioè consapevolezza del merito che gli operatori scolastici possono vantare.

Ma cosa possono vantare oggi gli operatori scolastici, se le statistiche nazionali e internazionali collocano la scuola italiana agli ultimi posti?

 

Pertanto,dico a me stesso, dico agli amici docenti, dico agli amici dirigenti, dico agli amici ispettori tutti: rendiamo grande la scuola italiana!

Rendiamola grande per tutti gli studenti, e non solo per una ristretta cerchia di cosiddetti “capaci e meritevoli”, anche se così purtroppo scrissero nella Costituzione italiana i Padri costituenti, i quali non riuscirono ad affrancarsi completamente dal clima politico e culturale del precedente Ventennio.

Capaci  e meritevoli non si nasce ma si diventa.

Si diventa attraverso un’azione sinergica del sistema formativo integrato che vede la scuola, la famiglia e le altre istituzioni tutte impegnate a garantire a tutti i figli di donna il successo formativo.

 

Cari amici tutti, vi sono vicino anche attraverso questa rubrica che si pone all’insegna di un imperativo ineludibile:  “SCHOLA RENOVANDA EST”.

Si tratta di una rubrica di di Educazione&Scuola (scuola per educare!), una rubrica nata per offrire il contributo di tutti −genitori, uomini di scuola, operatori sociali e culturali, enti ed associazioni− al rinnovamento della scuola, rendendola più efficiente e più efficace.

 

Occorre rinnovare l’attuale organizzazione scolastica che deve superare quella attualmente costituita dalle classi, nelle quali vengono inseriti alunni con diversi livelli di conoscenze, di competenze, di atteggiamenti.

Ma occorre soprattutto cambiare il metodo didattico, passando dalla lezione alle attività di riscoperta (reinvenzione, costruzione dei saperi), ossia di problem solving e di cooperative learning, perché i giovani non vanno a scuola soltanto per istruirsi.

Attraverso i processi di apprendimento delle conoscenze, gli studenti debbono acquisire anche capacità e soprattutto atteggiamenti, atteggiamenti che riguardano i saperi delle diverse discipline ma anche e soprattutto la loro dimensione umana.

Occorre mettere da parte la lezione e sostituirla con i processi di apprendimento, da realizzare attraverso il lavoro di gruppo degli alunni, in modo da favorire, sia l’apprendimento dei saperi disciplinari, sia la formazione di atteggiamenti, non solo di carattere morale, sociale, civile,  ma anche relativi ai diversi campi disciplinari.

 

Evidentemente, il ruolo del docente non diminuisce ma acquista maggiore importanza, perché il docente deve, non solo organizzare le situazioni personalizzare di apprendimento, ma anche e soprattutto motivare gli studenti.

 

In merito al compito della motivazione degli studenti, mi piace riportare quanto scrive il grande matematico Enriques:

«Se il nostro pensiero e le nostre parole

debbono muovere l’attività del discepolo,

bisogna che qualcosa di vivo che è in noi

passi nello spirito di lui

come scintilla di fuoco

ad accendere altro fuoco»

 

A proposito della figura del docente, termino con l’augurio che tutti si impegnino nel rinnovamento delle scuole come, peraltro, già avviene in tante istituzioni scolastiche, che spesso rimangono sconosciute e che invece andrebbero presentate all’opinione pubblica tutta, come esperienze estremamente significative, nelle quali sono impegnati le singole scuole, ma anche gruppi di docenti e singoli docenti.

 

Impegniamoci a portare avanti il discorso  del rinnovamento della scuola ed a pubblicizzare le esperienze realizzate, perché possano essere di sostegno, di incoraggiamento , di stimolo per tutti i docenti delle scuole italiane.

Questo impegno porterà certamente ai dovuti riconoscimenti anche sul piano economico.

 

Rivolgo questo appello anche ai genitori perché favoriscano l’impegno dei docenti, collaborando con loro nella formazione dei giovani che frequentano le nostre scuole.

Auspico altresì che le associazioni professionali, le associazioni dei genitori e tutte le associazione che comunque hanno a cuore le sorti della scuola italiana si attivino, cooperando tra di loro, perché la scuola italiana raggiunta risultati ottimali e si collochi ai primi posti nelle graduatorie internazionali.

 

Rendiamo grande la scuola italiana!

Rinnoviamola, rendiamola grande per il benessere delle nuove generazioni, ma anche per assicurare il benessere della società italiana tutta.

 

Grazie di cuore, soprattutto a nome di tutti i figli donna che frequentano le nostre scuole e che hanno il diritto ineludibile al loro successo formativo, come uomini, come cittadini, come lavoratori!

PON per gli alunni

PON per gli alunni: un’incomprensibile strategia di innovazione del sistema scolastico

di Umberto Tenuta

 

Aggiornamento (formazione) degli alunni o dei docenti?

Problema che forse pochi si pongono e che può essere risolto con due moltiplicazioni.

Facciamo un esempio.

Se  realizziamo quattro PON per venticinque alunni, abbiamo aggiornato (formato):

ALUNNI 25 x 4 PON = 100 alunni 

Proviamo invece a fare sempre quattro  PON per venticinque docenti:

25 x 4 = 100 docenti

Abbiamo aggiornato 100 docenti che assicureranno un insegnamento migliore nelle loro classi di 25 alunni ciascuna, per un totale di:

100 x 25 = 2500 alunni

Il  vantaggio dell’aggiornamento dei docenti è enorme, incommensurabile con quello dell’aggiornamento degli alunni:

2500 > 100

Lapalissiano!

 

Peraltro, teniamo anche presente altri due circostanze, non da poco.

La prima riguarda i rischi che si corrono con l’aggiornamento degli alunni.

Evidentemente, si ritiene che la metodologia didattica utilizzata per gli alunni del PON risulti più efficace di quella dei docenti di classe.

Se così è, si creano necessariamente dei contrasti: gli alunni dei PON svaluteranno l’azione didattica dei propri docenti di classe, con danni irreparabili.

Inoltre, i docenti di classe, anche per difendere la propria credibilità, svaluteranno l’azione didattica degli esperti dei PON e gli alunni dimenticheranno quanto appreso nei PON.

Mi sembra un discorso ineccepibile!

Pertanto, appare ovvio che i pon debbano essere destinati esclusivamente ai docenti, sia per i vantaggi che se ne ottengono, sia perché si evitano gli svantaggi dei pon non destinati agli alunni.

Purtroppo così non è!

E non è, perchè si continua a organizzare PON per gli alunni, e non per i docenti.

Al riguardo, vogliamo evidenziare che i PON per i docenti ottengono risultati estremamente migliori di quelli destinati agli alunni, anche perché i docenti, con la guida del docente veramente esperto dei PON, si aggiornano, più che sul piano disciplinare, sul piano metodologico-didattico che è quello più carente nella formazione iniziale dei docenti.

I docenti che hanno frequentato con profitto i PON possono e debbono estendere le competenze acquisite ai colleghi della propria scuola, per cui l’aggiornamento di un solo docente si estende anche agli altri docenti della scuola.

Pertanto, tutti gli alunni della scuola ne riceveranno un vantaggio.

 

Non si capisce perché questo lapalissiano discorso non venga compreso, sia dai collegi dei docenti, i quali anzichè per i docenti  programmano i PON per gli alunni, sia dall’Amministrazione scolastica, la quale consente l’attuazione di PON disciplinari (MATEMATICA, LINGUA ITALIANA, LINGUA 2 ecc.), per gli alunni anzichè per i docenti, come il buon senso consiglierebbe.

 

Perché si sprecano milioni di euro per aggiornare di alunni, i quali dovrebbero essere formati dai docenti delle classi e non da esperti esterni, i quali potrebbero essere utilizzati soltanto per tematiche non disciplinari, quale l’educazione musicale strumentale?

Al riguardo, riteniamo opportuno evidenziare che, a proposito di specifici strumenti musicali, come il flauto dolce, si possono utilmente aggiornare tutti o un numero consistente di docenti delle scuole.

 

Tale esperienza è stata realizzata dallo scrivente che, nella sua qualità di ispettore, è riuscito a motivare un dirigente scolastico di un circolo didattico di 800 alunni, il quale ha chiamato un bravissimo docente di conservatorio musicale per aggiornare venticinque docenti che poi hanno potuto formare i propri alunni, per un totale di 625 alunni.

Nel successivo anno scolastico, dopo i primi tre/quattro mesi di scuola, quasi tutti gli alunni del Circolo didattico sapevano utilizzare il flauto dolce per riprodurre, anche creativamente, i motivi più facili di Carosello, allora in voga sulla televisione.

 

I fondi non ci sono, ma i pochi che ci sono non sempre vengono spesi nel migliore dei modi!

 

Tuttavia, sappiamo bene che a nulla valgono questi disperati appelli che, assieme a tanti altri, andiamo facendo.

 

La beffa sta nel fatto che, non solo prendiamo atto del nostro fallimento, ma perseveriamo nel nostro accorato appello come vox clamans in deserto