Che il 3 ottobre sia un nuovo inizio!

Che il 3 ottobre sia un nuovo inizio!

Da un anno la giornata del 3 ottobre è intitolata alla memoria delle vittime dell’immigrazione. La scelta della data ricorda un tragico episodio accaduto nel 2013: l’inabissamento a meno di un miglio da Lampedusa di un peschereccio che trasportava migranti in gran parte eritrei, causando 368 morti. Pochi giorni dopo, l’11 ottobre, un nuovo naufragio provocò altre 160 vittime, questa volta prevalentemente siriane. Questi episodi erano però solamente la punta di un iceberg, un processo che sta, da almeno venticinque anni, accompagnando l’Europa. Dal 1988 al 2016 sono almeno 27mila le persone che sono morte tentando di attraversare il Mediterraneo e di entrare nella “fortezza Europa”.

L’episodio del 2013 inoltre ci ricorda il passato coloniale italiano, anch’esso spesso volutamente dimenticato o minimizzato: l’Eritrea era la colonia cosiddetta primogenita, il 3 ottobre 1936 fu il giorno in cui il fascismo diede il via all’invasione dell’Etiopia proprio dalla Colonia Eritrea.

Questo groviglio di passato dimenticato e di presente ignorato caratterizza la cultura dell’italiano medio del nuovo millennio, impregnata di razzismo e xenofobia, rivolta proprio contro quelle vittime di ieri e di oggi. Una cultura che si accontenta di vedere scomparire dai propri occhi e dai propri tg i morti in mare, ora reclusi o torturati nei campi libici per effetto dei recenti accordi oppure limitati nei diritti dal decreto Minniti. Una cultura profondamente radicata nello ius sanguinis, che non riesce a pensare ad una legge di cittadinanza che assicuri pari diritti a tutti coloro che vivono con noi.

Questa cultura va battuta, a partire dalla scuola.

Per questo pensiamo che il 3 ottobre debba essere un giorno importante. Come insegnanti riteniamo che si possa partire da questi episodi del presente per aprire nelle classi nuovi percorsi: la comprensione della natura dei fenomeni migratori, la conoscenza delle guerre e delle differenze di ricchezza e di risorse che ne sono alle origini. Che il 3 ottobre sia un’occasione per modificare i curricoli, per spostare l’attenzione delle studentesse e degli studenti sul nostro passato coloniale e sul grande archivio del pregiudizio razziale che ci portiamo dietro come pesante eredità. Che sia occasione per riflettere sulle norme di cittadinanza, partecipando alla campagna che tra le varie iniziative vede anche l’appello lanciato dal maestro Franco Lorenzoni e dallo scrittore Eraldo Affinati per ottenere una legge sullo ius soli e ius culturae, prescindendo dalle restrizioni e dai limiti della legge attualmente in discussione.

Il nostro invito è rivolto a noi stessi, alle colleghe e ai colleghi insegnanti, per farci modificare da questa data. Possiamo cogliere l’occasione del 3 ottobre per iniziare a modificare la prospettiva con cui stiamo in classe a partire dai grandi fenomeni migratori che attraversano la nostra epoca. Come scrive Gabriele Del Grande nella pagina web in cui tiene meticolosamente il conto dei morti del Mediterraneo: “…alla ricerca delle storie che fanno la storia. La storia che studieranno i nostri figli, quando nei testi di scuola si leggerà che negli anni duemila morirono a migliaia nei mari d’Italia e a migliaia vennero arrestati e deportati dalle nostre città. Mentre tutti fingevano di non vedere”.

Il TAR riscatterà il panino?

Il TAR riscatterà il panino?

di Cinzia Olivieri

 

Com’è noto il Tribunale di Napoli, con Ordinanza del 10 luglio 2017, ha riconosciuto la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle questioni organizzative afferenti la mensa scolastica, respingendo il reclamo proposto e confermando con tale diversa motivazione l’Ordinanza di rigetto emessa dal Tribunale di Napoli il 25 maggio 2017.

In pratica il Tribunale del reclamo, prescindendo da qualsiasi valutazione relativa al merito della questione, ha ritenuto insussistente la giurisdizione anche nel procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., per l’effetto confermando il rigetto del ricorso ma con diversa motivazione e quindi non anche le argomentazioni formulate a sostegno di tale pronuncia.

L’occasione di interpellare il giudice amministrativo si è presentata quasi subito, allorquando il Comune di Benevento, anche evidentemente sulla scorta della predetta ordinanza di maggio, ha sancito il principio di obbligatorietà della mensa scolastica.

Avverso tale decisione è stato presentato ricorso innanzi al Tar Campania che, con decreto del 25 settembre 2017, ha accolto l’istanza cautelare formulata nell’ambito del procedimento proposto per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale n. 21 del 10 luglio 2017, nonché degli artt. 1, 2, 3 e 4 del “regolamento servizio di ristorazione scolastica”.

Nelle more della decisione collegiale, il TAR Campania ha riconosciuto che “sussistono i requisiti di estrema urgenza per la sospensione della disposizione impugnata, ove si fa divieto “tout court” di consumare cibi diversi da quelli forniti dalla ditta appaltatrice del servizio-mensa nei locali di refezione scolastica, ferma restando la possibilità in capo ai singoli dirigenti scolastici di impartire specifiche prescrizioni di salvaguardia igienica (proporzionate e non disagevoli), per l’introduzione di alimenti esterni nelle scuole di riferimento”.

La motivazione è sintetica ma ricca di contenuti, potendosene desumere che anche le scuole possono in autonomia organizzare il momento della mensa attraverso disposizioni di carattere igienico che non siano disagevoli e quindi non giungano a vietare il consumo di pasto domestico nei locali destinati alla refezione.

Per la trattazione collegiale è stata fissata la camera di consiglio dell’11.10.2017 a cui sarà rimessa la decisione definitiva, ma intanto il Tribunale Amministrativo ha ritenuto sussistere sia il requisito del fumus boni iuris, cioè la “parvenza di buon diritto”, la concreta possibilità di sussistenza del diritto vantato, sia quello del periculum in mora e cioè il pericolo attuale che nel tempo intercorrente fino alla discussione sul merito tale diritto possa subire un pregiudizio irreparabile.

Intanto la discussione in IX commissione senato sul DDL 2037 in materia di ristorazione collettiva, che pure sembra affermare il principio contestato dal giudice amministrativo, dopo la seduta del 25 luglio è stata aggiornata al 20 settembre solo per rinviare il seguito dell’esame al 3 ottobre.

Si attende quindi l’11 ottobre per ulteriori novità.

La difficile soluzione normativa per gli omnicomprensivi

La difficile soluzione normativa per gli omnicomprensivi

di Cinzia Olivieri

E’ stata finalmente pubblicata la circolare annuale (n. 11642 del 26/09/2017) che ha confermato le istruzioni per le elezioni degli organi collegiali a livello di istituzione scolastica per l’anno 2017-2018 dettate dalle OO.MM. 215/1991; 267/95 e 277/98.

Entro il 31 ottobre dovranno concludersi le operazioni di voto per gli organi di durata annuale e per il rinnovo annuale delle rappresentanze studentesche nei consigli di istituto delle istituzioni scolastiche di istruzione secondaria di II grado non giunti a scadenza.

Intanto, in attesa che gli Uffici Scolastici Regionali indichino le date delle votazioni per il rinnovo dei consigli di istituto scaduti o per le suppletive, che comunque dovranno avvenire entro il termine ultimo dei giorni 26-27 novembre 2017, bisogna attivare le procedure prodromiche, quali quella della nomina della commissione elettorale (ove necessario, non oltre il 45° giorno antecedente a quello fissato per le votazioni) e della formazione ed aggiornamento degli elenchi degli elettori i cui nominativi devono essere comunicati alla commissione elettorale entro il 35° giorno antecedente a quello fissato per le votazioni.

Fumata nera invece anche quest’anno per le elezioni dei consigli di istituto “nelle istituzioni scolastiche che comprendono al loro interno sia scuole dell’infanzia, primarie e/o secondarie di I grado, sia scuole secondarie di II grado”, che restano commissariate non essendo ancora stata trovata “una soluzione normativa circa la composizione del consiglio di istituto delle scuole in questione”.

 

Ebbene, il Dlgs 297/94 all’articolo 8 prevede solo la composizione di quest’organo distintamente nel primo e nel secondo grado.

Dunque può non ritenersi necessaria una norma di pari grado per disciplinarla negli omnicomprensivi perché in assenza di previsione non c’è contrasto.

Del resto facilmente si è trovata una soluzione per adeguare la composizione, attraverso una semplice ordinanza, non solo del consiglio di istituto dei comprensivi e nei casi di aggregazione di istituti scolastici di istruzione secondaria superiore, anche di diverso ordine e tipo, e di sezioni staccate e/o sedi coordinate (OO.MM. 267/95 e 277/98.), ma anche del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Infatti allorquando si è dovuto provvedere alla sua costituzione a seguito delle sentenze del Consiglio di Stato (866/14 e 834/15), l’OM 150/15 ha modificato la composizione stabilita dal Dlgs 233/99, essendo impossibile eleggere i quindici membri nell’ambito della componente elettiva che rappresenta il personale delle scuole statali nel consigli scolastici locali, mai istituiti.

Così poi, sebbene l’O.M. 215/1991 preveda che “le elezioni suppletive, per motivi di opportunità, debbono essere indette, di norma, all’inizio dell’anno scolastico successivo all’esaurimento delle liste, contestualmente alle elezioni annuali” (art.53), la circolare ministeriale detta indicazione che esse siano svolte insieme a quelle dei consigli scaduti.

Si desume quindi che la difficoltà nella ricerca di una soluzione normativa non sta nello strumento giuridico da utilizzare per proporla, ma nel rispetto degli attuali equilibri numerici.

Invero nel consiglio di istituto:

  • il numero dei genitori è uguale a quello dei docenti nel primo grado
  • il numero dei genitori è diviso con gli studenti nel secondo grado, restando invariato il rapporto con i docenti e tra componenti scuola/famiglia.

Dividere i posti in parti uguali tra studenti e genitori negli omnicomprensivi risulterebbe iniquo, considerando che i genitori sono a rappresentare anche gli interessi degli alunni del primo grado.

Tuttavia, palesemente, i rapporti numerici all’interno del consiglio non sono stati determinati tenendo conto della consistenza totale delle componenti, giacché sicuramente il numero dei docenti (per non parlare di quello degli ATA) in una scuola non è comparabile a quello degli studenti e soprattutto dei genitori.

Pertanto nessun calcolo matematico risulterebbe soddisfacente, trattandosi di una scelta di carattere ideologico.

È questione di equilibri.

Se una riduzione del numero attuale degli studenti rischia di mortificarne il ruolo, si potrebbe anche prevedere un aumento totale della composizione, inserendo ad esempio uno/due genitori, sebbene ciò riduca i rapporti di forza tra scuola e famiglia…

Ma osare è necessario perché un commissario è straordinario per definizione e perché si conserva una situazione di sostanziale disparità tra scuole con mancanza di rappresentanza democratica negli omnicomprensivi.

Del tutto superabile invece ogni questione relativa all’interesse degli studenti per le materie che riguardano anche il primo grado.

Tale rilievo potrebbe valere anche per le altre componenti e comunque gli alunni potrebbero potenzialmente restare per tutto il loro corso di studi in un istituto che, non dimentichiamo, è unitario ed una composizione variabile per materia non rispetterebbe tale unicità.

Restiamo quindi in attesa di soluzioni.

Smartphone in classe: il problema è dei prof

da La Tecnica della Scuola

Smartphone in classe: il problema è dei prof

 

Non è un problema degli studenti, ma degli adulti. Sono loro che ogni mattina sono costretti ad abbandonare il mondo reale per entrare nel mondo antico della scuola, nel quale nulla si sa di quello che avviene nel mondo reale. Professioni del futuro? Novità in ambito tech e robotico? Coworking e Smartworking? Realtà virtuale ed aumentata? Vita quotidiana in altre parti del mondo? Quanti studenti italiani sentono oggi parlare in maniera oggettiva ed obiettiva di queste cose? Nessuno!

Uno studente scrive all’Agi, denunciando l’arretratezza della scuola italiana, “antica”, che non si accorge delle innovazioni tecnologiche con cui la didattica potrebbe prendere strade nuove e aggiunge: “Smettiamola di nasconderci dietro un dito: tutti gli studenti già lo fanno e tutti gli insegnanti lo sanno (e spesso lo fanno in classe!). Studenti e insegnanti usano da sempre gli smartphone a scuola. 

Gli insegnanti sanno bene che l’unico modo per impedirne l’utilizzo smodato non è il divieto, ma il rendere interessante la loro lezione e divertente l’apprendimento. Solo che qui casca l’asino! Perché questo prevede uno stravolgimento del modo di pensare e di lavorare, un apprendimento ed un aggiornamento continui ed una messa in atto di nuovi metodi e soprattutto una ‘misura’ della capacità e – perché no? – della passione di ogni insegnante. Perché se un insegnante non è per primo appassionato della sua materia, non riuscirà mai in questo obiettivo! Tutte cose di cui il mondo antico ha fatto tranquillamente a meno fino ad oggi!

A Boston si discute ad altissimi livelli su una domanda: il robot può sostituire l’insegnante? Uno dei massimi esperti laggiù afferma che se un insegnante può essere sostituito da un robot, allora bisogna farlo in fretta perché sta facendo solo danni! Chissà se sapesse che in Italia è normale che gli insegnanti affermino di non avere il computer a casa! Forse al Ministero dell’Istruzione dovrebbero occuparsi prima di questo… Leggo poi che non tutti hanno lo smartphone. Non è vero. Anche questo è un problema da adulti. Mica tutti abbiamo l’ultimo modello di Iphone o le Hogan nei piedi. Eppure non è un problema nostro. Quando si finiscono i giga, ci sarà sempre un compagno di scuola che ne avanza e che è disponibile ad aprirti l’hotspot finché il tuo contratto non si rinnova.
Tanto le scuole del mondo antico non hanno mica collegamenti internet adeguati alla richiesta ed utilizzabili!
Il nostro mondo reale è strettamente collegato al mondo digitale ed entrare ogni mattina nel mondo antico non fa che accrescere ulteriormente il nostro bisogno di restare connessi al mondo reale. L’unica soluzione possibile è quella di evolvere il mondo antico a mondo reale.
Gli smartphone sono un potente mezzo per qualsiasi materia, l’abilità dei docenti sarà quella di rendere interessanti le loro lezioni per fare in modo che gli studenti non si distraggano”.

Permesso breve, il docente può recuperare anche con interventi didattici integrativi

da La Tecnica della Scuola

Permesso breve, il docente può recuperare anche con interventi didattici integrativi

 

Se un docente usufruisce di un permesso breve, il recupero delle ore deve avvenire entro due mesi ed anche con interventi didattici integrativi.

Infatti l’art. 16 del CCNL scuola del 29.11.2007 al comma 1 prevede che compatibilmente con le esigenze di servizio, al personale con contratto a tempo indeterminato e con contratto a tempo determinato sono attribuiti per esigenze personali e a domanda brevi permessi di durata non superiore alla metà dell’orario di lavoro giornaliero individuale di servizio e comunque per il personale docente fino ad un massimo di due ore. Per il personale docente i permessi brevi si riferiscono ad unità minime che siano orarie di lezione.

Questo significa che se un docente avesse in una giornata due ore di servizio, potrà richiedere solo un’ora di permesso breve, mentre per richiedere due ore di permesso breve bisogna avere un orario giornaliero di almeno 4 ore di servizio.

Nel comma 2 del su citato articolo è specificato che i permessi fruiti non possono eccedere le 36 ore nel corso dell’anno scolastico per il personale ATA e per il personale docente il limite corrisponde al rispettivo orario settimanale di insegnamento.

Quindi per esempio un docente della scuola secondaria con orario cattedra, in un anno scolastico potrebbe usufruire fino ad un massimo di 18 ore di permesso breve. Se invece per esempio il docente e a tempo determinato ed ha uno spezzone orario, potrà fruire in un anno scolastico di un numero di ore di permesso breve pari alle ore dello spezzone.

Nel comma 3 dell’art.16 del CCNL scuola è spiegato che entro i due mesi lavorativi successivi a quella della fruizione del permesso il dipendente è tenuto a recuperare le ore non lavorate in una o più soluzioni in relazione alle esigenze di servizio. Il recupero da parte del personale docente avverrà prioritariamente con riferimento alle supplenze o allo svolgimento di interventi didattici integrativi, con precedenza nella classe dove avrebbe dovuto prestare servizio il docente in permesso.

Quindi il dirigente scolastico può richiedere al docente che deve recuperare delle ore di permesso breve, di recuperarle con un intervento didattico integrativo pomeridiano.

Nei casi in cui non sia possibile il recupero per fatto imputabile al dipendente, è scritto chiaramente nel comma 4 del suddetto articolo contrattuale, l’Amministrazione provvede a trattenere una somma pari alla retribuzione spettante al dipendente stesso per il numero di ore non recuperate.

Infine è utile sapere che il permesso breve del docente è una concessione e non un diritto, infatti nel comma 5 dell’art.16 del CCNL scuola è specificato che per il personale docente l’attribuzione dei permessi è subordinata alla possibilità della sostituzione con personale in servizio.

Bonus di merito solo ai docenti di ruolo. Sentenza del Tar del Lazio

da La Tecnica della Scuola

Bonus di merito solo ai docenti di ruolo. Sentenza del Tar del Lazio

 

Su Italia Oggi c’è spazio per due interessanti sentenze in tema di bonus di merito. Infatti secondo il Tar del Lazio che si è pronunciato in due distinti procedimenti, il bonus di merito va soltanto ai docenti di ruolo e non ai precari. Non ci sono speranze per i precari di agguantare gli aumenti previsti dalla Buona Scuola. Infatti il tribunale amministrativo ha detto no a due ricorsi presentati da Flc-Cgil e Gilda degli insegnanti. Sentenze che consentono al Miur di sbloccare anche i 40 milioni dei 200 complessivi per il merito messi in riserva in attesa del Tribunale.

SENTENZA – I sindacati avevano impugnato il decreto dell’allora ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, che aveva ripartito i 200 milioni per premiare i docenti migliori. I sindacati contestavano questo provvedimento: secondo loro non era giusto che tra i destinatari del provvedimento non ci fossero anche gli assunti a tempo determinato.

Il Tar ha invece argomento che se si fosse assegnato il fondo anche ai precari si sarebbe determinata una lesione della posizione dei docenti di ruolo, i quali vedrebbero ridotta la quota a disposizione. La legge 107, all’articolo 1 comma 128 è chiara: risorse destinate “a valorizzare il merito del personale docente di ruolo”. I docenti di ruolo sono 700mila, quelli precari con incarico annuale 100mila. Poi 200mila per le supplenze brevi. Dunque il danno sarebbe stato rilevante.

BONUS MERITO – Il bonus merito ha consentito, nel 2016-2017, di assegnare una media tra i 600 e i 700 euro con cui sono stati premiati 247.782 docenti su gli oltre 620mila insegnanti a tempo indeterminato complessivi. Quindi più di uno su tre. Percentuali che nel Lazio sono arrivate al 47%, in Piemonte al 44%, in Campania al 40% e in Sicilia al 39%. Il premio non è stato dato in poco più di 500 scuole; e nel 20% dei casi è stato distribuito “a pioggia”, quindi con importi uguali per tutti i docenti selezionati.

Concorso DS: titoli sì, titoli no

da Tuttoscuola

Concorso DS: titoli sì, titoli no

A differenza di quanto avviene normalmente nei concorsi pubblici, i titoli culturali e di servizio per il concorso a dirigente scolastico non saranno valutati nella graduatoria di merito finale, bensì in quella intermedia per l’ammissione al corso dirigenziale.

È una delle novità del Regolamento per il concorso DS (decreto ministeriale n. 138 del 3 agosto 2017) che ne prevede la valutazione (mx 30 punti), insieme al voto conseguito nello scritto (min. 70 e mx 100) e nell’orale (min. 70 e mx 100).

Sarà il bando a definire tempi e modalità di presentazione dei titoli, ma, sulla base di quanto previsto dai bandi dei concorsi 2016 per l’assunzione di docenti, si può prevedere in analogia cosa dovrebbe avvenire anche nel concorso per l’assunzione di nuovi dirigenti scolastici.

I titoli valutabili, elencati nella tabella allegata al Regolamento, di norma devono essere conseguiti entro la data di scadenza del termine fissato per la presentazione della domanda di ammissione.

Non dovrebbe essere consentita, quindi, la dichiarazione di un titolo culturale in via di conseguimento. Allo stesso modo dovrebbero valere soltanto i servizi prestati entro la fine dell’anno scolastico 2016-17.

Il bando dovrebbe prevedere che i titoli siano dichiarati contestualmente alla presentazione della domanda di partecipazione al concorso, rinviandone la presentazione di documentazione probante dopo la prova orale, al fine di consentire l’approntamento della graduatoria di merito.

Come avvenuto nel concorso docenti, il candidato che riceve la comunicazione del superamento della prova orale presenta i titoli dichiarati nella domanda di partecipazione, titoli non documentabili con autocertificazione o dichiarazione sostitutiva.

L’incarico di collaboratore del dirigente scolastico, compreso quello di funzioni vicarie, viene valutato p.1,75 per un massimo di sei anni (p. 10,5). Sono valutati anche gli incarichi per funzioni strumentali (p. 0,75 per un massimo di sei anni = p. 4,5). Stesso peso valutativo (0,75) per incarico di membro del comitato di valutazione (mx tre anni), mentre per il docente tutor è previsto 1 punto per ogni anno di incarico (mx tre anni).

Si può essere certi che le misure valutative di questi incarichi saranno oggetto di critiche per dubbi di oggettiva equità.

I MEDIA E IL NUOVO IMMAGINARIO COLLETTIVO

I MEDIA E IL NUOVO IMMAGINARIO COLLETTIVO

14° Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione

Mercoledì 4 ottobre – ore 10.00
Sala Zuccari – Palazzo Giustiniani
presso il Senato della Repubblica
Via della Dogana Vecchia, 29 – Roma

Presenta il Rapporto:
Massimiliano Valerii – Direttore Generale Censis

Ne discutono:
Vania De Luca – Presidente Ucsi
Gian Paolo Tagliavia – Chief Digital Officer Rai
Gina Nieri – Direttore Affari istituzionali, legali e analisi strategiche Mediaset
Lorenzo Serra – Direttore Generale Tv2000
Massimo Angelini – Direttore Pr Internal & External Communication Wind Tre
Laura Bononcini – Head of Public Policy Facebook Italy, Greece & Malta
Maurizio Costa – Presidente Fieg

Conclude:
Giuseppe De Rita – Presidente Censis

La quattordicesima edizione del Rapporto sulla comunicazione prosegue il monitoraggio dei consumi dei media, misurati nella loro evoluzione dall’inizio degli anni 2000, e l’analisi dei cambiamenti avvenuti nelle diete mediatiche degli italiani. Il Rapporto interpreta gli effetti di questa evoluzione sull’immaginario collettivo, esplorando l’influenza esercitata dai media digitali sui nuovi miti d’oggi. Mentre si superano soglie sempre nuove nei processi di disintermediazione digitale, e l’informazione appare avvitata tra fake news e post-truth in una transizione ancora incompiuta, i social network si affermano sempre più come piattaforme di distribuzione dei contenuti in rete.

Affrontare la violenza sulle donne – Prevenzione, riconoscimento e percorsi d’uscita

PRIMO CONVEGNO INTERNAZIONALE

PER AFFRONTARE LA VIOLENZA SULLE DONNE

 OSSERVATORIO CENTRO STUDI ERICKSON

 VIOLENZA E social network: QUANDO LA RETE SI SCATENA (CONTRO LE DONNE)

Il mondo dei social spesso si trasforma in uno strumento di discriminazione e minaccia verso le donne: oltre 1 miliardo i tweet sessisti riscontrati dalle Mappe dell’intolleranza. Milano e Roma le città dove si twitta di più l’odio

 Palacongressi di Rimini |13 e 14 ottobre 2017

Trento, 1 agosto 2017 – Il mondo del web (e dei social network in particolare), spesso associato a libertà di espressione e possibilità di conoscenza infinita, può diventare uno strumento di discriminazione, controllo e minaccia. Anche per questo, nel maggio del 2016, è stata istituita alla Camera dei deputati la Commissione sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio, intitolata alla memoria della parlamentare inglese Jo Cox, uccisa prima di un comizio elettorale per le sue posizioni a favore della permanenza del Regno Unito nell’Unione europea.

La relazione finale redatta dalla Commissione Jo Cox si è concentrata anche sul tema della violenza di genere e ha messo in evidenza come questo tipo di violenza abbia una matrice culturale fortissima, che nasce innanzitutto dalla convinzione di “debolezza e inferiorità” femminile. “Le manifestazioni di odio nei confronti delle donne si esprimono nella forma del disprezzo, della degradazione e spersonalizzazione, per lo più con connotati sessuali”[1], si legge nel documento conclusivo. Nell’era del web, la violenza corre anche in rete e le donne sono le principali vittime del “discorso d’odio” online, come dimostrato dal fenomeno degli haters scatenati in gruppi chiusi di Facebook, dove spesso si registrano insulti sessisti e volgari. Non solo: secondo il recente progetto delle Mappe dell’intolleranza curato da Vox – l’Osservatorio italiano sui diritti che attraverso Twitter è riuscito a geolocalizzare le zone dove razzismo, odio verso le donne, omofobia e discriminazione verso i diversamente abili sono maggiormente diffusi – uno dei social più attivi nel condividere l’odio verso le donne è Twitter, con oltre 1 miliardo di tweet sessisti rilevati (su un campione di oltre 2 miliardi complessivi). Secondo la ricerca sulla misoginia condotta da Vox, i tweet contro le donne sono i più numerosi. Si twitta l’odio in tutta Italia: Milano, insieme a Roma, sono le città più intolleranti (rispettivamente con 8.134 e 8.361 tweet contro le donne).

La diffusione dei social media sembra alimentare un bisogno di visibilità sociale: postare o condividere immagini e contenuti, anche personali e intimi, cercare consensi (like) e via dicendo. Questi comportamenti costituiscono esempi di un «esibizionismo mediatico» che spinge adulti e minori a atteggiamenti disinvolti, disinibiti, spesso incuranti degli effetti reali delle condotte online. Secondo un’indagine dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza del 2016, su un campione di oltre 7.000 adolescenti italiani il 4% dichiara di aver inviato – attraverso Instagram o Facebook – foto e video di se stesso in atteggiamenti sessuali attraverso i canali social e il 10%, tra cui anche ragazzi non ancora adolescenti, ha scattato selfie intimi. In questo contesto, è facile immaginare che si possa cadere in trappole come grooming, sexting e revenge porn.

«Questi comportamenti aggressivi e denigratori on line, in particolare quando riguardano minori, rientrano in quel più ampio fenomeno di sfruttamento e abuso sessuale ai loro danni che il legislatore italiano, anche alla luce della normativa sovranazionale ed europea, ha definito come “nuove forme di schiavitù”», ha commentato Natalina Folla, ricercatrice e docente di Diritto penale dell’Università di Trieste e relatrice al Convegno Erickson “Affrontare la violenza sulle donne”. «Il grooming, ad esempio, si verifica quando gli adulti per mezzo delle tecnologie di comunicazione e di informazione, propongono intenzionalmente ai minori, con condotte insidiose, ingannatorie o minacciose, volte a carpirne la fiducia, degli incontri con lo scopo di commettere atti sessuali o a carattere pornografico.  La pratica del sexting, sempre più diffusa anche tra i minori e con risvolti giurisprudenziali contrastanti, consiste nell’invio di immagini connotate sessualmente con il mezzo del cellulare o via Internet. La pubblicazione di foto o video intimi e pedopornografici sul web, posta in essere generalmente dopo la fine di una relazione sentimentale o affettiva, a scopo di vendetta (revenge porn), vede colpite soprattutto ragazze per mano dei loro ex partner». Tutte queste azioni «ledono gravemente la dignità delle persone coinvolte e, quanto ai minori, ne compromettono lo “sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale”», ha concluso Folla. «Per tutelarli il legislatore ha previsto strumenti penali repressivi, all’interno del codice penale, potenziati anche da riforme recenti, che vanno a rafforzare le strategie di protezione di natura preventiva ed educativa».

L’obiettivo da raggiungere è quello di rendere la rete e i social network un luogo aggregativo e di confronto positivo. In questo scenario, il ruolo dell’informazione (giornali, telegiornali, programmi d’informazione tramite stampa, tv e web) continua a rimanere centrale nell’influenzare la percezione di un problema e nel creare o meno distorsioni nell’immaginario collettivo. È opportuno, ad esempio, evitare di riferirsi alle donne come “soggetti deboli” o vittime predestinate.

Tutte queste tematiche verranno discusse in occasione del Convegno Internazionale organizzato dal Centro Studi Erickson al Palacongressi di Rimini il prossimo 13 e 14 ottobre.

Gli appuntamenti dedicati al tema violenza e media durante il Convegno Erickson al Palacongressi di Rimini sono:

Venerdì 13 ottobre 2017 |Intervento in plenaria | Prima di tutto riconoscerla: la violenza di genere comincia dalle parole che usiamo |Relatrice: Monica Lanfranco

Venerdì 13 ottobre 2017 |Workshop | 14:00 – 16:00 – La violenza contro le donne nei media. Strumenti per una comunicazione non sessista | Relatrici: Monica Lanfranco e Nadia Somma

Sabato 14 ottobre 2017 |Workshop | 09:00 – 11:00 – Grooming, cyberstalking e revenge porn. Se i social media diventano una minaccia | Relatrici: Elisabetta Kolar e Natalina Folla

A questo link è possibile trovare il programma dettagliato e l’elenco completo dei relatori: https://eventi.erickson.it/donne-violenza/Home