Maggiori risorse alla Scuola in Ospedale

Scuola in ospedale, Fedeli: “Servizio straordinario. Un milione di euro in più per la didattica in corsia” Oltre 58.000 le alunne e gli alunni che frequentano le lezioni

(Martedì, 10 ottobre 2017) “Il diritto allo studio è garantito in tutte le scuole italiane, ma assicurarlo ai bambini e alle bambine che sono colpiti dalla malattia, e nei luoghi in cui si deve essere curati, è il modo più straordinario per dare attuazione alla nostra Costituzione”. Così la Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, inaugurando l’anno scolastico presso la Scuola in ospedale al ‘Bambino Gesù’, questa mattina, a Roma. “Il lavoro che viene fatto dalla Scuola in ospedale è straordinario. Il bambino o la bambina che entra in corsia – ha aggiunto la Ministra – subisce una grande sofferenza e si sente in un mondo che non è il suo. Trovare chi lo accudisce e lo cura, ma anche chi lo mantiene in relazione con il suo ambiente, con i suoi compagni e con lo studio, secondo me è straordinario”. La Scuola in ospedale potrà contare su maggiori risorse: “Quest’anno – ha annunciato la Ministra Fedeli – abbiamo aggiunto un milione di euro per finanziarla. Queste risorse andranno a sommarsi ai 2,5 milioni stanziati fino ad ora, ma credo che dobbiamo ragionare anche sul personale e sulle condizioni di esercizio didattico. Ci sono poi nuovi strumenti che il digitale mette a disposizione – ha proseguito Fedeli – e quindi serve una maggiore attenzione anche dal punto di vista dell’innovazione didattica”.

Nell’anno scolastico appena concluso, il 2016-2017, sono state 245 le sezioni ospedaliere attivate e 58.049 le alunne e gli alunni che si sono avvalsi del servizio (quasi 4.000 quelli della scuola secondaria di II grado). Mentre le docenti e i docenti impegnati in corsia sono stati 784. Per l’Istruzione domiciliare sono stati attivati più di 1.000 progetti sul territorio nazionale per 62.799 ore complessive. Sono alcuni dei numeri della Scuola in ospedale e dell’Istruzione domiciliare, due servizi pubblici che vogliono garantire i diritti all’istruzione e alla salute alle alunne e agli alunni costretti a sospendere temporaneamente la frequenza scolastica per la malattia. Riguardano le scuole di ogni ordine e grado, dall’infanzia alla secondaria di II grado. Le prime sezioni ospedaliere sono state istituite nel 1986 (con la circolare la Circolare Ministeriale n. 345, del 2 dicembre), come sezioni distaccate della scuola del territorio. Oggi il servizio è attivo in tutti i maggiori reparti ospedalieri del Paese e sono un esempio di come soggetti diversi – pur con obiettivi differenti – possono incontrarsi e interagire positivamente per la messa a punto di interventi che hanno un solo fine: promuovere il benessere e la crescita della persona, pur in situazioni di difficoltà.

La Legge 107 del 2015 sostiene la  promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e il riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione attraverso la previsione della garanzia dell’istruzione domiciliare.

I servizi di Scuola in ospedale e di Istruzione domiciliare hanno raggiunto oggi un notevole grado di complessità e di efficacia. Sono caratterizzati da grande flessibilità organizzativo-didattica. E questo per consentire risposte altamente personalizzate a situazioni che vedono l’intervento pedagogico concorrere con quello sanitario, nel difficile e delicato percorso di ripristino di una condizione di salute che corrisponda a quella indicata dall’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”. Particolare attenzione viene posta alla formazione e all’aggiornamento del personale docente, prevedendo momenti di formazione congiunta con gli operatori delle strutture sanitarie.

Ora serve un DAMA nazionale

Vita.it del 10-10-2017

E quando una persona con disabilità si ammala? Ora serve un DAMA nazionale

di Sara De Carli

Dal 2001, cominciando da Milano, diversi ospedali hanno creato servizi in grado di accogliere le persone con disabilità intellettive e relazionali, che hanno problemi nel comunicare i propri sintomi e nell’essere sottoposti a visite mediche. Venerdì i DAMA si sono radunati per capire come creare una rete nazionale.

MILANO. Da quando è nato, nel 2001, DAMA Milano ha accolto 5.600 pazienti con disabilità, per 50mila accessi. DAMA sta per Disabled Advanced Medical Assistance e indica un servizio che punta a rendere l’ospedale un luogo accogliente anche per le persone con disabilità intellettive e relazionali, che a volte non riescono nemmeno a comunicare i propri sintomi. A Milano, all’ospedale San Paolo di Milano, sono stati i primi a ideare e sperimentare questo nuovo modello di accoglienza e di assistenza medica ospedaliera, per garantire alle pazienti con disabilità di essere curati come tutti gli altri: dopo una iniziale sperimentazione il DAMA oggi è a tutti gli effetti una Unità Dipartimentale del Dipartimento di Emergenza, con un’èquipe multidisciplinare e flessibile composta da quattro medici e cinque infermieri.

Il modello ha fatto scuola e oggi in Italia esistono altre esperienze simili: Percorso DELFINO – DAMA di Mantova, DAMA Varese, DAMA Bologna, DAMA Empoli, da pochi mesi DAMA Bolzano, DAMA Cosenza 1 e 2. «Oggi però siamo a un punto di svolta», afferma Filippo Ghelma, responsabile DAMA ASST Santi Paolo e Carlo di Milano, «è il momento di fare un passo organizzativo su ampia scala, non basta aggiungere una nuova realtà ogni tanto, serve collegare in rete i vari servizi e creare un modello di rete in cui diventi più facile inserirsi. È arrivato il momento di organizzare una risposta a livello nazionale, anche per dare una mano alle regioni dove non c’è nulla».

Venerdì scorso i rappresentanti dei vari DAMA si sono radunati a Milano per un convegno dal titolo programmatico: “Oltre il Progetto DAMA”. «Le esperienze citate costituiscono già una prima rete assistenziale socio-sanitaria per il benessere delle persone con grave disabilità. Ad esse vanno aggiunte anche una miriade di altre iniziative magari meno complete dei DAMA ma che comunque fanno un servizio importante se collegate a una rete potrebbero avere ad un’efficacia ancora maggiore», continua Ghelma.

Non fare questo passo «significherebbe far morire anche le realtà esistenti e non solo perché i numeri delle persone con disabilità grave, concentrati in pochi centri, fa sì che la macchina prima o poi si rompa… Il punto vero è che non possiamo immagina per le persone con disabilità così complesse una risposta che sia solo sanitaria, dentro gli ospedali, dobbiamo uscire fuori», spiega Ghelma.

Nel 2008 attorno ad alcune famiglie con figli con disabilità grave e medici di DAMA, è nata la Fondazione Mantovani Castorina Onlus, l’ente promotore del convegno, cha sta lavorando fra l’altro a una residenza da realizzare nell’hinterland milanese, molto inclusica, un campus dove sperimentare nuovi modelli anche di abitare: «avevamo già capito che non basta lavorare sul sanitario e nemmeno allargarsi al solo socio-sanitario, questa risposta deve reggersi su una serie di attenzioni complessive, non possiamo pensare di curare solo dal punto di vista medico». Ghelma fa un esempio semplice ma frequente: «se la mamma di una persona con disabilità sta male e non può portare il figlio all’appuntamento fisato, l’appuntamento salta. Io devo occuparmi anche di questi aspetti», racconta. «I presìdi, la modulistica, sono cose che fanno girare i pazienti come trottole e io da dentro anche volendo aiutare i pazienti non ho un interlocutore, per quanto faccia relazioni non è un sistema organizzato… Dall’ospedale non riusciamo a governare il tutto, c’è bisogno di continuità da più punti di vista».

Uno dei punti di forza del modello da implementare quindi è l’integrazione del sanitario e sociosanitario, la continuità reale con il territorio, perché «se ho un ambulatorio periferico e lo inserisco in una rete, quello diventa un avamposto», continua Ghelma, «DAMA nasce dall’idea che l’ospedale sia una rete, ora dobbiamo allargarla, dare continuità alla rete e mettere qualcuno che la governi, unire i punti della rete, coinvolgere le attività più piccole che possono diventare avamposti. Le persone con disabilità sono una porzione di popolazione su cui testare un modello, tutte le altre categorie di pazienti cronici e fragili possono poi usufruirne». Una rete che «deve portare colore, perché il benessere e la salute non sono solo l’assenza di malattie, non possiamo pensare di curare queste persone solo dal punto di vista medico».

Dodici medici dei vari DAMA – quelli della tavola rotonda di venerdì, più Nicola Panocchia (Policlinico Gemelli di Roma, coordinatore del comitato scientifico della Carta dei Diritti delle persone con disabilità in ospedale) e Francesco Manfredi (Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari) – si costituiscono intanto come gruppo di lavoro, con l’obiettivo di presentare al Ministero un documento che tracci l’ossatura della rete, che riprenda il meglio delle varie esperienze locali e le cucia in maniera organica.

Il risveglio del regionalismo

Il risveglio del regionalismo

di Gian Carlo Sacchi

 

Il dibattito politico fluttua: negli anni ’90 ci si pensava federalisti, poi ci si è trovati centralisti, con la punta massima nel recente referendum sulle riforme costituzionali che sappiamo com’è andato a finire. Oggi siamo di nuovo tentati dal regionalismo, anche se persiste il pericolo di una burocrazia ministeriale rimasta ben ancorata allo statalismo.

In questo periodo non hanno solo fluttuato le due diverse concezioni, ma i provvedimenti che ne sono derivati hanno finito per intralciarsi a vicenda, creando conflitti di attribuzione e bloccando di fatto le attività di governo, proprio l’opposto della semplificazione e dell’efficienza che si volevano raggiungere. Il titolo quinto della Costituzione, modificato nel 2001, com’è noto, non è stato applicato e ciò ha imposto alla Corte Costituzionale di dirimere un enorme contenzioso tra Stato e Regioni, ridando fiato alle polemiche neocentralistiche che hanno ispirato l’ulteriore tentativo di riforma costituzionale, respinto dai cittadini.

Era opinione diffusa che solo l’Alto Adige avesse la necessità storica di godere dell’autonomia locale e che per il resto si poteva arrivare tutt’al più alle articolazioni periferiche dei servizi, iniziate dalle riforme Bassanini e rivolte alla pubblica amministrazione (1997), mentre la distribuzione del potere politico avrebbe generato doppioni parassitari dello Stato.

I provvedimenti che avrebbero dovuto spostare il baricentro del governo verso il così detto federalismo, pur sapendo che questo termine non era adatto alla storia del nostro Paese, sono rimasti praticamente lettera morta, a cominciare dalla legge sul “federalismo fiscale” (2009), con tanto di decreti applicativi già approvati e utilizzata perlopiù per il monitoraggio dei bilanci degli enti locali con l’introduzione dei costi standard, fino alla revisione dell’organizzazione degli enti territoriali (2014) che ha introdotto le associazioni dei comuni, le città metropolitane e l’area vasta come evoluzione dei limiti amministrativi manifestati dalle province.

Nel campo della formazione e del lavoro è evidente la frattura politica tra i due suddetti punti di vista: l’istruzione e formazione professionale, concepita nell’art. 117 della Costituzione, rimase di competenza esclusiva delle regioni, ma era già pronta un’agenzia nazionale per il coordinamento delle politiche regionali, qualora fosse andata in porto la predetta riforma Renzi-Boschi, mentre è riuscita comunque a prendere il via quella per l’occupazione. Stando così le cose quest’ultima sovrastruttura poteva essere risparmiata, senza costringere le regioni ad un adeguamento normativo.

Andava nella direzione della periferia, tra decentramento servizi e nuovi poteri, la normativa sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, che venne elevata a dignità costituzionale, ma rimase a mezz’aria con quella dicitura di “autonomia funzionale” che la tenne ancora legata a doppio filo all’amministrazione scolastica e che la legge 107/2015 ha rinforzato nella dipendenza, arrivando addirittura a finanziare progetti didattici su bandi ministeriali. Tra istruzione e formazione professionale ci si sarebbe aspettata una riorganizzazione nella direzione del decentramento, per dare compimento a quell’espressione della Costituzione che comprende entrambi i sistemi, mentre il decreto applicativo della buona scuola (2017) si interessa solo degli istituti professionali e della possibilità di un loro coordinamento con le agenzie formative delle regioni, portando classi con curricoli regionali a convivere con quelle statali.

Ci furono diversi tentativi, nella conferenza stato-regioni (2010) e in Parlamento (PD 2008, Lega Nord 2009) per l’applicazione della riforma costituzionale e per l’approvazione della “carta delle autonomie locali”, in cui era inserito anche il settore dell’istruzione. Un provvedimento in tal senso (2012)voleva razionalizzare gli enti e gli organismi che operano in ambito statale con l’obiettivo di trasferire le funzioni amministrative esercitate dallo Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza a comuni, province, città metropolitane, regioni, con trasferimento di risorse umane e strumentali. Allo Stato di definire i “Livelli essenziali delle prestazioni” (LEP) per poter realizzare pienamente anche l’autonomia scolastica, ma soprattutto la riorganizzazione fiscale e della spesa. Questi assumono rilievo quando un servizio pubblico è attribuito alla responsabilità di livelli decentrati di governo. I LEP garantiscono l’unità nazionale accanto ai diritti del cittadino per standard fissati a quel livello. Vanno definiti in una prospettiva di multigoverno con risorse provenienti da fonti diverse, dovranno esplicitare gli elementi essenziali da finanziare e far convergere i punti di vista dei vari soggetti che operano per la comune finalità sul territorio. Una valutazione di efficienza ed equità ne consentiranno il progressivo adeguamento, in equilibrio con i conti pubblici del Paese.

L’impianto, come si vede, ha ancora parecchi buchi, che si potrebbero chiudere riprendendo la legislazione costituzionale del 2001 oggi ancora in vigore, dopo il fallimento delle modifiche del 2016. La sensibilità politica per un nuovo regionalismo torna e si allarga; non è più solo una competizione elettorale tra centro-sinistra, che pure ha una storia nei governi locali e lega nord a cominciare dagli studi di Gianfranco Miglio, ma sembra trattarsi di azioni più concrete che coinvolgeranno i cittadini di Lombardia e Veneto ad amministrazione leghista in due prossimi referendum e dell’intervento di un’altra regione con maggioranza a Forza Italia, partito che non era mai intervenuto prima su questo tema. Il suo presidente, il forzista Toti, dichiara che: “tutte le regioni dovrebbero stringere un’alleanza per rimettere al primo posto del dibattito politico il tema dell’autonomia”. Rincara la dose il presidente del Trentino-Alto Adige per il quale autogoverno e unità nazionale possono convivere. Dalle parti del centro-sinistra va rilevata l’azione dell’Emilia Romagna per perseguire il medesimo obiettivo mediante la trattativa diretta con il governo nazionale.

Pur avendo scelto strade diverse o esprimendo per ora solo concilianti propositi, si segnala un mutato clima politico rispetto al passato ed orientato alla condivisione dei suddetti principi di autogoverno e di unità nazionale; non più battaglie indipendentiste, ma autonomie che vogliono migliorare l’efficienza dei servizi senza dimenticare la solidarietà nei confronti di quelle realtà che hanno più bisogno di aiuto, non in termini assistenzialistici, ma di sostegno allo sviluppo. La nostra Costituzione all’art. 116, comma 3, prevede “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, attraverso una legge dello stato approvata a maggioranza assoluta sulla base di un’intesa tra il Governo e la Regione interessata”.

La strada dell’autonomia di governo e finanziaria non mediante un accordo politico di vertice, per tutto il territorio nazionale, pur suffragato da un referendum popolare, come avvenne nel 2001, ma bottom up, per iniziativa delle regioni. Veneto e Lombardia hanno promosso consultazioni referendarie, alle quali hanno aderito anche numerosi sindaci di centro-sinistra, per potersi presentare a livello nazionale armati di consenso, mentre l’Emilia Romagna ha alle spalle una delibera dell’Assemblea Legislativa. Un atteggiamento che riprende esperienze passate di promozione dei governi locali da entrambe le parti, che però gli esecutivi nazionali di vari colori politici non hanno mai voluto ascoltare. Sarà la volta buona ? Il centralismo è già in agguato ? Staremo a vedere, per tutti rimane il citato articolo costituzionale che obbliga alla via legislativa, con i rischi che in Italia comporta il passaggio parlamentare.

Le materie sulle quali si può intervenire sono quelle per le quali il titolo quinto della Costituzione prevede la “competenza concorrente” tra stato e regioni; impossibile arrivare ad un passaggio regionale a queste ultime in via esclusiva, come invece avviene per quelle a statuto speciale. Il Veneto va in questa direzione chiedendo ad esempio di poter intervenire su tutto il sistema scolastico e formativo, come per il Trentino-Alto Adige, mentre Lombardia ed Emilia Romagna, pur con diverse accezioni, cercano di allargare a loro favore il contenitore dell’istruzione e formazione professionale. In quest’ultima si prevede la costituzione di un “politecnico regionale”, d’intesa con il sistema produttivo, che sforni tecnici richiesti dalle imprese. Nessuno vuole soldi dallo stato, ma trattenere alla fonte parte delle risorse prodotte sul territorio.

Se si fosse a suo tempo applicato il predetto titolo quinto, oggi noi avremmo le “nome generali sull’istruzione”, la salvaguardia di vere autonomie scolastiche e sistemi formativi territoriali integrati, che garantivano attraverso i LEP la qualità del livello nazionale e la capacità dei territori stessi di far fronte anche in senso perequativo alla propria domanda sociale con la propria capacità fiscale e finanziamenti multilivello. Un processo legislativo come quello che si potrebbe aprire in tempi anche brevi: tutte e tre le regioni infatti hanno fretta di mandare ai loro cittadini segnali concreti, si prospetta laborioso, soprattutto se altre si faranno avanti per evidenziare le loro specificità. Adesso potrebbe tornare utile riflettere sul Senato delle autonomie, a partire cioè da esperienze comprensibili e significative per tutti i cittadini e non come ci era stato presentato, in modo confuso e velleitario.

In epoca di globalizzazione tornano ad essere centrali i territori come comunità che esprimono identità e vocazioni; pensare globalmente: grandi reti di scuole tecnico-professionali e della ricerca, ma agire localmente: protagonismo dei territori stessi, delle piccole e medie imprese sostenute dall’alta tecnologia. La partecipazione delle regioni aiuta inoltre a costruire una forte identità europea.

Allarme sicurezza: fatiscente un’aula su 3, dal 2013 oltre 150 crolli

da Il Sole 24 Ore

Allarme sicurezza: fatiscente un’aula su 3, dal 2013 oltre 150 crolli

di Alessia Tripodi

Dal 2013 a oggi nelle scuole italiane si sono verificati 156 crolli, con un bilancio di 24 feriti. Un numero che si aggiorna continuamente: è di qualche giorno fa, infatti, la notizia del solaio precipitato nel liceo Virgilio a Roma, un incidente che fortunatamente non ha provocato feriti tra studenti e personale scolastico. Ma che riporta l’attenzione sulla sicurezza degli edifici scolastici del nostro paese e sui numeri che raccontano un quadro di cronica emergenza.
I dati dell’ultimo rapporto di Cittadinanza attiva, pubblicato qualche settimana fa, parlano chiaro: fatiscente un’aula su 3, manutenzione inadeguata in una scuola su 4, certificato di agibilità solamente in un istituto su 4 . Ma la ministra Fedeli assicura: l’impegno del Miur sull’edilizia è costante, stiamo lavorando su un Fondo per interventi di emergenza sui solai.

I numeri
Il rapporto 2017 di Cittadinanzattiva ha monitorato 75 scuole, appartenenti a 10 regioni: Valle d’Aosta, Piemonte, Veneto, Lazio, Abruzzo, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna. Qui i distacchi di intonaco riguardano un’aula su 4 (26%), mentre segni di fatiscenza, con muffe e infiltrazioni, sono presenti in quasi un terzo (30%) delle classi, il 23% degli edifici ha uno stato di manutenzione inadeguato e solo il 3% è «in ottimo stato». Chi chiede interventi (87%), in un caso su 5 non li ottiene o li ottiene con ritardo (57%). E secondo il rapporto resta inevaso anche il 74% delle domande di intervento strutturale.

Agibilità statica in un quarto delle scuole
Per le scuole situate in zona sismica (oltre il 54% del totale degli edifici), la situazione secondo il rapporto «non è incoraggiante: solo un quarto ha l’agibilità statica, poco meno della metà il collaudo, nel 27% è stata realizzata la verifica di vulnerabilità sismica, obbligatoria dal 2013. A livello nazionale, gli interventi di miglioramento sismico sono stati realizzati solo nel 12% degli edifici e quelli di adeguamente sismico in appena il 7 per cento. Tra le regioni che restano più indietro ci sono il Lazio (3%) e la Campania (6% di scuole migliorate sismicamente e 4% adeguate).

Ritardo anche su vulnerabilità sismica
Secondo un’indagine su 4.401 istituti condotta da Cittadinanza attiva attraverso l’istanza di accesso civico inviata agli enti locali, la vulnerabilità sismica è stata verificata solo nel 27% edifici. Umbria (59%), Abruzzo (51%), Molise (50%) e Liguria (49%) sono le regioni in cui sono state effettuate in numero maggiore, mentre fanalino di coda sono Sicilia (0), Campania (4%), Calabria ed Emilia
Romagna (8%) e Puglia (11%).

Senza palestra oltre 1 scuola su 4
Nel 28% delle scuole monitorate da Cittadinanzattiva manca una palestra. Mentre chi ce l’ha deve fare comunque i conti con segni di fatiscenza (nel 37% dei casi) e distacchi di intonaco (28%). Il 44% delle mense, poi, è privo di porte antipanico e il 37% ha impianti elettrici obsoleti. L’88% delle istituti scolastici,
inoltre, ha un cortile, ma nel 30% dei casi è usato come parcheggio.

Niente carta igienica nei bagni, impianti a norma in 1 aula su 4
Nel 47% dei bagni manca la carta igienica, nel 64% il sapone e nel 77% gli asciugamani. Una scuola su , inoltre, non ha bagni per disabili e le barriere architettoniche esistono anche nelle classi: il 65% delle aule non ha lo spazio per la carrozzina. Gli impianti elettrici sono completamente a norma solo in 1 aula su 4; le porte anti panico sono assenti in 4 su 5.

Fedeli: presto Fondo su emergenza solai
Il Miur «sta lavorando alla creazione di un Fondo per gli interventi di emergenza sui solai delle scuole» ha detto la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, spiegando che lo strumento finanziario «consentirà di intervenire nei casi di emergenze connesse alla manutenzione dei solai, come quello del Virgilio di Roma» e assicurando che «abbiamo già risorse interne che metteremo subito a disposizione e poi lavoreremo per rendere questo intervento strutturale».
La ministra ha ricordato che «come ministero abbiamo finanziato, con 40 milioni, oltre 7mila ispezioni sui solai, oltre 6mila sono state già realizzate» e che «quest’estate abbiamo sbloccato altri 7 milioni di euro per le ispezioni, per un ulteriore scorrimento delle graduatorie degli interventi richiesti». «L’impegno sul fronte dell’edilizia è costante – ha aggiunto – e va evidenziato come in questi anni ci sia stata una vera e propria svolta, con 9 miliardi stanziati e una governance per la gestione e la spesa dei fondi completamente rivista, con l’attivazione, dopo venti anni di attesa, dell’Osservatorio per l’edilizia scolastica e dell’Anagrafe con i dati relativi a tutte le scuole».

Virgilio di Roma non tra richieste prioritarie di intervento
Quanto al caso del liceo Virgilio, Fedeli ha fatto sapere che «la Città metropolitana di Roma non ha fatto richieste al Miur per il finanziamento di interventi strutturali di manutenzione in questa scuola» e che il liceo « risulta invece destinatario di 42.000 euro per l’adeguamento alla normativa antincendio, finanziati attraverso lo sblocco del patto di stabilità». «La Città Metropolitana ha fatto poi domanda per le indagini diagnostiche sui solai, ricevendo 277.000 euro per 32 interventi già finanziati – ha continuato la ministra – , ma il Virgilio non è indicato come prioritario fra quelle richieste. La Città metropolitana di Roma ha infatti candidato 57 scuole e il Virgilio è la cinquantaduesima in graduatoria».

Dall’Antitrust lezioni di concorrenza nei licei

da Il Sole 24 Ore

Dall’Antitrust lezioni di concorrenza nei licei

«Concorrenza uguale merito». Con questo slogan partono le lezioni dell’Autorità Antitrust presso i licei e gli istituti italiani, per un bacino complessivo che consta di 5.600 scuole e quasi 2 milioni di studenti. Il Garante della concorrenza e del mercato non è nuova a questo genere di iniziative curate e coordinate dalla Direzione relazione esterne, ma da quest’anno diventa un vero ente formatore nell’ambito delle attività del ministero dell’Istruzione,

dell’Università e della Ricerca.

Durante la prima fase sperimentale del Progetto Scuola, sono stati originariamente realizzati incontri con circa trenta istituti e un migliaio di studenti, sia presso le scuole di II grado individuate dal Miur, che presso istituti che hanno anche svolto attività in Alternanza Scuola Lavoro. A seguito delle risposte positive ricevute dagli istituti scolastici presso i quali tra il 2015 e il 2017 si è svolta la prima sperimentazione, il Miur ha reso ora possibile la partecipazione al Progetto Scuola dell’Antitrust a tutte le Scuole di II grado attivando, all’interno della piattaforma «IoStudio», presente sul portale dello studente , un link espressamente dedicato al programma degli incontri in materia di concorrenza e tutela del consumatore, dove le scuole interessate potevano inserire la richiesta di aderirvi e il numero di studenti che intendono coinvolgere. A oggi risultano pervenute 104 richieste da quasi tutte le Regioni d’Italia, comprese le Isole, per un numero di studenti che si aggira intorno ai 10mila ragazzi e ragazze. Le prime lezioni, che saranno tenute dai funzionari dell’Antitrust e che hanno per oggetto anche un vademecum contro gli inganni e le pratiche scorrette in rete sono già partite e una di queste si svolgerà a Norcia il prossimo 9 ottobre all’istituto De Gasperi, attualmente ospitato in un prefabbricato, dopo i danni del terremoto. L’obiettivo ultimo del Garante del mercato è quello di far arrivare nelle scuole e negli atenei lo studio della concorrenza e della tutela dei consumatori, anche attraverso l’utilizzo di testi dedicati, come il Codice della concorrenza che verrà distribuito durante un’iniziativa di approfondimento presso l’Università Bocconi il prossimo 11 ottobre. La formazione non si fermerà però agli studenti. A breve verrà attivato sulla piattaforma del Dipartimento delle Politiche europee della Presidenza del consiglio il link per accedere alle schede predisposte dall’Antitrust per la formazione dei professori di ogni ordine e grado in tema di concorrenza e tutela del consumatore. Sulla piattaforma sono iscritti circa 8mila docenti.

La carica dei 2.400 presidi per superare l’anomalia delle “reggenze” provvisorie

da la Repubblica

La carica dei 2.400 presidi per superare l’anomalia delle “reggenze” provvisorie

Massimiliano Di Pace Roma

Dopo il tunnel del record delIl le reggenze (1.748 nell’ anno scolastico 2017/18), si intravede la luce di una possibile loro riduzione a partire dal 2019, grazie al nuovo concorso per dirigenti scolastici. Infatti il ministero dell’Istruzione ha fatto sapere che ha richiesto al Mef l’autorizzazione per assumere 2.425 nuovi presidi nel corso dei prossimi 3 anni. Ma come si è giunti a questa situazione di 1.748 scuole senza presidi? «Sono 6 anni che non ci sono concorsi dichiara Giorgio Rembado, presidente dell’Anp, l’associazione nazionale dei presidi. L’ultimo ha avuto luogo nel 2011, e questo per la riduzione della spesa pubblica, che non ha consentito altre immissioni a ruolo, con il risultato che il pensionamento progressivo dei dirigenti scolastici ne ha assottigliato il numero». Infatti, i presidi, secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, sono passati dai 7.655 del 2012 ai 6.793 del 2017.

A questo si è aggiunto un continuo trasferimento delle competenze relative all’organizzazione del concorso, come spiega Pino Turi, segretario generale della Uil scuola: «Il trasferimento dal Miur alla Scuola nazionale dell’amministrazione del compito di organizzare il concorso per dirigenti scolastici, e il successivo ripensamento, con la restituzione al Miur della competenza, ha impedito l’organizzazione del concorso negli ultimi anni».

Roberta Fanfarillo, coordinatrice nazionale dei dirigenti scolastici di Flc-Cgil, ricorda però che un certo numero di reggenze è inevitabile: «Sono 354 le scuole con meno di 600 alunni, per le quali la legge prevede la reggenza; vi sono poi 300 dirigenti scolastici distaccati in altre amministrazioni pubbliche, e meno di 20 nel sindacato, che vengono sostituiti nelle rispettive scuole da reggenti».

Ma quali sono le conseguenze delle reggenze per gli utenti della scuola? «Una peggiore organizzazione della scuola risponde Rembado dell’Anp -. Un preside in media gestisce 1.000 studenti, 130 dipendenti, e 5 edifici. Raddoppiando questi numeri per effetto di una reggenza, il preside si trova a gestire una medio-grande azienda, senza avere gli strumenti per farlo».

Lo conferma Paola Serafin, responsabile nazionale dei dirigenti scolastici per la Cisl scuola, che aggiunge: «La gestione di una scuola in reggenza è più faticosa per via dello spostamento continuo a cui è costretto il preside, dovendosi muovere tra istituti diversi, tanto più che questi oggi sono costituiti da molti edifici, per via dell’accorpamento di scuole, come dimostra il fatto che rispetto agli anni ’90 si è passati da 18mila alle circa 9mila attuali». Certo è che, a detta di molti, lo Stato ha risparmiato con le reggenze: «Dato che l’indennità per una reggenza è pari a circa il 20-25% dello stipendio di un preside sottolinea Rembado di Anp è evidente che attribuire una scuola ad un reggente costa molto meno che assegnarla a un nuovo preside».

E’ d’accordo su questo punto Fanfarillo di Flc-Cgil: «È di 308 milioni il risparmio che lo Stato ha ottenuto dal 2011 ad oggi, in termini di differenza di costo tra un preside e un reggente». Il problema delle reggenze dovrebbe ridursi, visto che il 20 settembre è uscito in Gazzetta ufficiale il regolamento del prossimo bando per dirigenti scolastici, per il quale il Miur ha chiesto al ministero dell’Economia la previsione di 2.425 posti. Dopo che il Mef risponderà il bando potrà essere pubblicato. I sindacati, pur accogliendo positivamente il regolamento, non nascondono perplessità.

«Avremmo preferito un concorso per l’idoneità, da cui attingere i presidi per colmare i posti vacanti, piuttosto che un bando per l’assegnazione di un numero di posti dice Turi della Uil scuola. Questo anche per ridurre il contenzioso, che ha caratterizzato i precedenti concorsi».

Per Fanfarillo della Flc-Cgil il regolamento presenta luci e ombre: «Il fatto che il concorso sia nazionale, invece che regionale, è un miglioramento rispetto al passato. Ma la procedura è molto lunga». Sulla stessa lunghezza d’onda è Serafin della Cisl scuola: «Il percorso è troppo complesso, e non sarà facile gestirlo, visto che è da attendersi un elevato numero di domande per il concorso, visto che per gli insegnanti è l’unica possibilità di carriera».

Rembado dell’Anp ritiene fondamentale prevedere un numero adeguato di posti: «Se il concorso deve eliminare il fenomeno delle reggenze dovrebbe prevedere 2.600 posti. Infatti, agli attuali 1.200 posti vacanti, bisognerà aggiungere i pensionamenti dei prossimi 3 anni. C’è il rischio che il numero sia inferiore per motivi finanziari, con la conseguenza che nel 2018/19 vi sarà un nuovo record di reggenze, visto che il concorso non durerà meno di 15-16 mesi».

L’anno scolastico 2017/18 è comunque partito meglio dello scorso anno. «Una delle novità positive di questo anno annuncia Turi della Uil scuola è che si sono ridotte di 10mila unità le cattedre da coprire con supplenze, essendo passate da 25mila a 15mila. Certo restano, i problemi della mobilità interregionale, poiché il 40% dei docenti si è avvicinato alla propria residenza grazie all’accordo sulla mobilità, e cattedre ancora scoperte a inizio anno scolastico». Il fenomeno delle cattedre scoperte pare essere dovuto al ritardo di alcuni uffici scolastici, che non sono riusciti a gestire le offerte di supplenza cartacee. Un altro aspetto che caratterizza l’anno in corso è il riconoscimento dell’inefficacia della chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi, uno dei cardini della legge sulla Buona scuola: «Visto che Io scorso anno molti docenti chiamati dai presidi si sono spostati ammette Serafin scuola que- st’anno i presidi hanno creduto meno alla procedura».

Gli stipendi restano i più bassi di tutta la Pa oltre al concorso, i presidi attendono il rinnovo contrattuale, come tutti gli altri dipendenti pubblici. Per l’avvio delle trattative occorre attendere l’atto di indirizzo del Governo e lo stanziamento di risorse da parte della legge di stabilità. Nel frattempo i sindacati stanno mettendo a punto le loro richieste. La Uil scuola punta a ridefinire il profilo professionale del preside, per assicurargli una capacità di operare coerente con l’autonomia degli istituti scolastici, oltre che ad un’armonizzazione dei salari, essendo questi diversi a seconda dell’anno in cui è iniziato il servizio. L’obiettivo della Cisl scuola è equiparare lo stipendio dei presidi a quello dei dirigenti del comparto ricerca e università, visto che il loro stipendio è il più basso nella dirigenza pubblica, essendo compreso nella fascia di 2.400-2.800 euro netti mensili. Anche la Flc-Cgil punta a questa equiparazione, che è attesa dal 2000, anno in cui i presidi sono stati qualificati come dirigenti, e chiede che alcune questioni, come la valutazione e la mobilità del preside, così come l’attribuzione di reggenze e altri incarichi, sottratte alla contrattazione dalla legge Brunetta, tornino ad essere oggetto di trattativa. (m.d.p.)

Alternanza scuola-lavoro: in arrivo voucher per le imprese che ospitano studenti

da La Tecnica della Scuola

Alternanza scuola-lavoro: in arrivo voucher per le imprese che ospitano studenti

Elezioni degli organi collegiali: le date per l’a.s. 2017/2018

da La Tecnica della Scuola

Elezioni degli organi collegiali: le date per l’a.s. 2017/2018

Graduatorie di istituto III fascia ATA, il modello D3 dal 13 novembre?

da La Tecnica della Scuola

Graduatorie di istituto III fascia ATA, il modello D3 dal 13 novembre?

Concorso dirigenti scolastici, riuscirà ad eliminare le reggenze?

da La Tecnica della Scuola

Concorso dirigenti scolastici, riuscirà ad eliminare le reggenze?

Prove Invalsi 2018: tutte le date

da Tuttoscuola

Prove Invalsi 2018: tutte le date

Avviate le procedure per la realizzazione delle prove Invalsi 2018. Per la scuola primaria lo svolgimento delle prove Invalsi 2018, che verranno somministrate con i tradizionali fascicoli cartacei, si articolerà secondo il seguente calendario:

3 maggio 2018: prova d’Inglese (V primaria);
9 maggio 2018: prova di Italiano (II e V primaria) e prova preliminare di lettura (quest’anno, la prova di lettura è svolta solo dalle classi campione della II primaria);
11 maggio 2018: prova di Matematica (II e V primaria).

Le prove Invalsi 2018 CBT (terza media e le seconde classi delle scuole superiori) si svolgono al computer, interamente on line e in più sessioni organizzate autonomamente dalle scuole, a eccezione delle classi campione in cui le prove Invalsi 2018 sono somministrate, sempre CBT, in una data precisa indicata dall’Invalsi, nei primi giorni dell’arco temporale previsto.

Per la scuola secondaria le prove Invalsi 2018 computer based (CBT) si svolgeranno secondo il seguente calendario:

• le classi III della scuola secondaria di primo grado sostengono le prove di Italiano, Matematica e Inglese in un arco di giorni, indicati dall’Invalsi, tra il 04 aprile 2018 e il 21 aprile 2018;
• le classi II della scuola secondaria di secondo grado sostengono le prove di Italiano e Matematica, comprensive anche del questionario studente, in un arco di giorni, indicati da INVALSI, tra il 07 maggio 2018 e il 19 maggio 2018.

Entro il 31 gennaio 2018 l’Invalsi rende disponibile sul proprio sito esempi di prove per la classe V primaria (prova d’Inglese) e di prove CBT per la classe III della scuola secondaria di primo grado (Italiano, Matematica e Inglese) e per la classe II della scuola secondaria di secondo grado (Italiano, Matematica).

Poiché una buona riuscita dell’operazione è legata anche ad aspetti di tipo organizzativo, l’Invalsi predisporrà e renderà disponibile sul sito dell’Istituto il protocollo di somministrazione, i cui tratti essenziali sono sintetizzati nell’Allegato tecnico. Come negli anni passati, un’attenzione particolare va dedicata al rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali.

Entro il 30 novembre 2017 l’Invalsi invia:

• alle scuole secondarie di primo grado (classi III) una nota specifica relativamente al trattamento dei dati connessi allo svolgimento della prova Invalsi, che costituisce requisito di ammissione all’esame di Stato e una nota tecnica legata agli aspetti informatici e organizzativi per lo svolgimento delle prove Invalsi 2018;
• alle scuole secondarie di secondo grado (classi II) una nota tecnica legata agli aspetti informatici e organizzativi per lo svolgimento delle prove Invalsi 2018. Come di consueto per dar corso alle procedure connesse con le prove è necessario iscriversi, a partire dalle ore 15.00 del 10 ottobre 2017 ed entro le ore 16.30 del 31 ottobre 2017, seguendo le indicazioni fornite sul sito dell’INVALSI.

Ricordiamo che il D. Lgs. 62/2017, seguito dai due Decreti Ministeriali attuativi – i DD.MM. n. 741 e n. 742  introduce novità rilevanti sulle prove Invalsi che possono essere riassunte come segue:

1. V primaria: prova d’Inglese.
La prova riguarda le competenze ricettive (comprensione della lettura e dell’ascolto) riferita al livello A1 del QCER (Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue) in coerenza con le Indicazioni nazionali;

2. III secondaria di primo grado: prove somministrate tramite computer (CBT – computer based testing) di Italiano, Matematica e Inglese

Più in dettaglio le principali novità delle prove Invalsi 2018 per la III secondaria di primo grado sono le seguenti:
a. lo svolgimento delle prove avviene nel mese di aprile in un arco temporale indicato dall’Invalsi entro il 28 febbraio 2018. All’interno di questo arco temporale la scuola può organizzare la somministrazione a propria discrezione, a eccezione delle classi campione (comunicate dall’Invalsi entro il 28 febbraio 2018) in cui le prove si svolgono secondo un calendario prefissato;

b. le prove si svolgono interamente on line e la piattaforma di somministrazione opera sui principali sistemi operativi;

c. la prova d’Inglese riguarda le competenze ricettive (comprensione della lettura e dell’ascolto) ed è sviluppata in coerenza con le Indicazioni nazional.

3. le prove Invalsi e lo svolgimento delle azioni a esse connesse costituiscono attività ordinaria d’istituto

Inoltre, anche le prove Invalsi 2018 (Italiano e Matematica) per la II classe della scuola secondaria di secondo grado sono somministrate on line tramite computer.

Per ogni scuola è stata fornita una misura del cosiddetto “effetto scuola” (o valore aggiunto) che consente di osservare i risultati conseguiti dagli allievi nelle prove Invalsi 2017 corrette per tener conto di fattori che non dipendono dall’azione didattica della scuola come il livello socio-economico delle famiglie e la preparazione che gli alunni avevano prima di entrare a scuola, o in un determinato ordine o grado di scuola. Infine, entro i primi mesi del 2018 per le classi V primaria, III secondaria di primo grado saranno forniti i risultati delle prove Invalsi 2017 in termini di descrizione dei livelli di competenza degli allievi per ciascuno dei 5 livelli di esito da quest’anno, individuati dall’Invalsi.

Queste novità contribuiscono, complessivamente, a evidenziare ancora di più la funzione di servizio alle scuole che l’Istituto mira a perseguire, oltre che fornire dati attendibili sul sistema scolastico in relazione alle prove.

Posti dei bidelli precari scalzati dagli extracomunitari?

da Tuttoscuola

Posti dei bidelli precari scalzati dagli extracomunitari?

Alcuni giornali e siti web hanno riportato la notizia secondo cui – come dichiarato dal sen. Mario Pittoni, responsabile Istruzione della Lega Nord – “anche i bidelli ora dovranno fare i conti con la concorrenza straniera. Un decreto del ministro Valeria Fedeli permetterà infatti ai migranti con permesso di soggiorno di accedere alle graduatorie, scavalcando migliaia di italiani in attesa da anni”. Qual è la situazione?

Dal 2001 il decreto legislativo 165 all’articolo 38 (Accesso dei cittadini degli Stati membri della Unione europea) prevedeva: “I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale”.

Nel 2013 la legge 97, varata su sollecitazione dell’Unione Europea, all’articolo 7 ha integrato la precedente disposizione, disponendo che “Le disposizioni si applicano ai cittadini di Paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria. Sono fatte salve, in ogni caso, le disposizioni in materia di conoscenza della lingua italiana”.

Dal 2013 nei comparti pubblici i decreti dei vari ministeri, compreso il Miur, si sono ovviamente adeguati alla nuova norma.

Lo ha fatto il ministro dell’istruzione Giannini nei bandi del concorso docenti 2016, lo ha fatto il ministro Fedeli quest’anno con il decreto per le graduatorie di istituto dei docenti e con il decreto per le graduatorie di istituto del personale ATA. Di tutto il personale ATA, non solo dei bidelli.

I titoli per entrare in graduatoria sono gli stessi per tutti, senza precedenze o preferenze. E occorre conoscere la lingua italiana.

Stipendi dei capi d’istituto: l’ipotesi di aumento si fa sempre più concreta

da Tuttoscuola

Stipendi dei capi d’istituto: l’ipotesi di aumento si fa sempre più concreta

Si fa sempre più insistente l’ipotesi di un consistente aumento retributivo per i dirigenti scolastici in aggiunta all’aumento contrattuale previsto. Vi ha dedicato un ampio servizio “Il Messaggero” dal titolo significativo “Stipendi fermi da anni e incarichi in aumento”.

Nella legge di stabilità, che il Governo dovrà presentare tra una decina di giorni, dovrebbe trovare adeguato spazio un primo finanziamento ad hoc di 90-95 milioni di euro, un finanziamento che non si sa ancora se verrà riservato soltanto all’incremento stipendiale dei capi d’istituto o verrà anche esteso (gli effetti sarebbero ben diversi!) al restante personale della scuola statale, come non molto tempo fa prospettava lo stesso ministro Fedeli.

L’aumento dovrebbe rappresentare un significativo, concreto passo verso la perequazione retributiva con l’altra dirigenza pubblica.

L’ampio servizio del “Messaggero”, curato dalla giornalista Lorena Loiacono, mette in evidenza alcuni dati dell’Aran di raffronto tra le retribuzioni dei dirigenti pubblici, dai quali risulta non solo che i dirigenti scolastici – come ha documentato il dossier di Tuttoscuola – sono all’ultimo livello retributivo della dirigenza (in media percepiscono soltanto 2.800 euro netti al mese), ma, rispetto ad altri comparti, godono (si fa per dire) di una retribuzione quattro volte inferiore ad altri dirigenti pubblici.

Il servizio giornalistico ricorda anche il peso ormai insostenibile delle reggenze che costringe oltre 1.700 dirigenti scolastici a dividersi tra scuola di titolarità e sede in reggenza.

Ricordiamo che l’indennità di reggenza percepita (non utile per la buonuscita) è di poco più di 300 euro netti al mese (10 euro netti al giorno).

E la reggenza non è certamente una passeggiata come ci ha riferito pochi giorni fa il dirigente scolastico incaricato di reggere un importante istituto della capitale.

Ritorno a casa alle 18,30 dopo nove ore di lavoro ininterrotto. Breve riassunto (solo dei fatti principali): gare di appalto per AEC, ricorsi, attuazione dei PON, incontro con consigliera didattica di ambasciata straniera per problemi con un docente, incontro con genitori inviperiti per comportamento di docente di classe, incontro con madri di studenti disabili, organizzazione alternanza scuola-lavoro, corsi per certificazioni linguistiche internazionali, riunione con DSGA, convocazione del Consiglio d’istituto e del collegio dei docenti, preparata decadenza di docente supplente, incontrati individualmente 15 professori della scuola, intrattenuti contemporaneamente contatti con l’istituto titolare. Me li sono guadagnati i 10 euro al giorno che mi danno per la reggenza?”   

Nota 10 ottobre 2017, AOODPIT 1865

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Ai Direttori degli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI
Al Sovrintendente scolastico per la Regione Valle D’Aosta
AOSTA
Al Sovrintendente scolastico per la scuola in lingua italiana
BOLZANO
All’Intendente scolastico per la scuola in lingua tedesca
BOLZANO
All’Intendente scolastico per la scuola delle località ladine
BOLZANO
Al Dirigente del Dipartimento istruzione per la Provincia di Trento
TRENTO
Ai Dirigenti scolastici delle Istituzioni scolastiche statali del primo ciclo di istruzione
LORO SEDI
Ai Coordinatori delle attività educative e didattiche delle scuole paritarie del primo ciclo di istruzione
LORO SEDI
e. p.c.
AI Capo di Gabinetto
Al Capo Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali
AI Capo Ufficio stampa
SEDE
ALL’INVALSI
Via Ippolito Nievo, 35
ROMA
All’INDIRE
Via Michelangelo Buonarroti, 10
FIRENZE

Nota 10 ottobre 2017, AOODPIT 1865

Oggetto: Indicazioni in merito a valutazione, certificazione delle competenze ed Esame di Stato nelle scuole del primo ciclo di istruzione.

Inclusione sociale e lotta al disagio: pubblicazione del manuale operativo per la procedura di Avvio Progetto

Fondi Strutturali europei – Programma Operativo Nazionale “Per la Scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014/2020 (FSE-FESR) n. 2014 IT 05 M2O P001.
Avviso pubblico prot. 10862 del 16 settembre 2016 “Progetti di inclusione sociale e lotta al disagio nonché per garantire l’apertura delle scuole oltre l’orario scolastico soprattutto nella aree
a rischio e in quelle periferiche”.
Pubblicazione del Manuale Operativo per la procedura di Avvio Progetto.

Prot. 36400 del 10 ottobre 2017