Assunzione da quota di riserva

Sentenza Consiglio di Stato 27 gennaio 2012, n. 380
Assunzione da quota di riserva: necessario lo stato di disoccupazione del disabile al momento della presentazione della domanda di inserimento in graduatoria

Questa sentenza consolida un orientamento dello stesso Consiglio di Stato avviato ormai da alcuni anni, secondo cui la disoccupazione deve sussistere al momento di presentazione della domanda ad un pubblico concorso da parte di un candidato con disabilità.

Come già chiarito in precedenti sentenze l’art 16 comma 2 della L.n. 68/99, non richiedendo più lo stato di disoccupazione per fruire della quota di riserva, come espressamente richiesto dalla precedente L.n. 482/68, non ha inteso però prescindere dalla necessità che almeno al momento della presentazione della domanda il candidato dovesse essere iscritto nelle liste speciali di collocamento. Infatti se bastasse solo la certificazione medico-legale di disabilità, verrebbe meno anche lo scopo della legge e cioè quello di riservare dei posti a persone disoccupate con disabilità. Pertanto se il candidato non era disoccupato al momento di presentazione della domanda, viene meno il requisito di fondo di tutela nei suoi confronti, anche se al momento della formazione delle graduatorie il candidato non fosse più disoccupato.

La sentenza sembra coerente con i principii infomatori della l.n. 68/09 e con l’interpretazione costante che ne ha dato la Giurisprudenza.

Ad avviso di molti quindi se un candidato fosse occupato al momento di presentazione della domanda, se vuole fruire dei benefici di legge, deve licenziarsi e reiscriversi nelle liste speciali.

La Giurisprudenza però aveva pure precisato che se l’incarico precario, in cui si trova il candidato al momento di presentazione della domanda, fosse di soli alcuni mesi, ciò non costituisce perdita del requisito di disoccupazione e quindi in questo caso non necessita il licenziamento volontario da tale incarico precario per poter legittimamente presentare la domanda di partecipazione al concorso pubblico.

Salvatore Nocera

S. Houghteling, Il mercante dei quadri perduti

Alla ricerca dell’anima

di Antonio Stanca

La giovane americana Sara Houghteling, laureata a Harvard, dopo il Master in Storia dell’Arte all’Università del Michigan ha ottenuto una borsa di studio che le ha permesso di svolgere ricerche per un anno a Parigi. Da queste ha tratto l’idea per un romanzo che è diventato Il mercante dei quadri perduti. Nel 2009 è comparso nella versione originale ed ora, in Italia, è stato edito dalla BEAT, Grafica Veneta, con la traduzione di Massimo Ortelio (pp. 279, € 9,00).

È stato l’esordio letterario della Houghteling e riuscito lo si può considerare perché ha avuto successo a livello internazionale e perché ha ricavato dall’esame di un particolare momento storico, la Francia degli anni della seconda guerra mondiale, la Francia invasa dai tedeschi e poi liberata dagli alleati, gli elementi necessari per costruire una narrazione, ha trasferito in letteratura la storia, ha superato i limiti, i confini di tempo, di luogo e raggiunto significati più ampi, più estesi.

Quando, durante la seconda guerra mondiale, i soldati tedeschi arrivarono a Parigi c’erano già stati degli allarmi negli ambienti dei mercanti d’arte, dei galleristi, dei collezionisti. Questi erano soprattutto ebrei, cioè particolarmente invisi ai tedeschi, e trattavano delle opere dei maggiori autori, pittori, scultori del momento e di altre dell’arte antica e del Terzo Mondo. I tedeschi s’impadronivano di tali patrimoni nei modi più immediati compresi quelli della rapina e della confisca. Delle opere sottratte riempivano intere carrozze ferroviarie che avevano come sola destinazione la Germania. Riuscivano a scoprire anche le opere nascoste e se ne appropriavano mentre i loro proprietari erano lontani perché fuggiti. Quando nel 1944, in seguito alla sconfitta della Germania, si ritornerà a Parigi per molti di quei proprietari sarà difficile, impossibile riordinare, ricostruire quanto avevano lasciato poiché tra rovine e distruzioni si ritroveranno. Rinunceranno ad un’operazione di recupero ma ci sarà qualcuno, Max Berenzon, figlio del noto gallerista e mercante d’arte Daniel, che continuerà a credere, a sperare nella possibilità di ritrovare le cose perdute. Per lui l’arte non ha soltanto un valore concreto, economico ma anche e soprattutto uno morale, sentimentale, è voce, espressione dell’anima. Non come suo padre pensava riguardo all’arte ma in maniera diversa, con essa comunicava nello spirito. Perciò, nonostante i molti ostacoli, si metterà alla ricerca dei “quadri perduti” dal momento che da essi si sentiva richiamato. Altri sentimenti gli faranno compiere un’altra ricerca, quella di una giovane donna, Rose, che nella galleria paterna aveva lavorato e della quale si era innamorato. Non avranno esiti positivi le sue ricerche, molti rischi e pericoli gli comporteranno e alla fine del romanzo lo si vedrà emigrato in America, qui impiegato quale medico, sposato e con figli.

Il tempo dell’opera è quello dell’infanzia e della giovinezza di Max. Ad esso fa da sfondo continuamente mosso ed animato la Parigi  degli anni ’40, quella della seconda guerra mondiale, la Parigi invasa dai tedeschi ed esposta ad ogni tipo di clandestinità, d’illecito, di violenza, la città che perde il primato culturale, artistico detenuto per tanto tempo tra le capitali europee. A tale situazione, però, c’è ancora chi si oppone e la combatte, Max Berenzon. Degli anni della sua formazione scrive la Houghteling e mostra come questa sia avvenuta all’insegna di principi e valori ideali, trascendenti pur in ambienti degradati dalle circostanze. Max ha continuato a credere anche quando niente lo aiutava, ha affrontato gravi disagi, è entrato in contrasto con il padre, è fuggito da casa, è vissuto da povero per seguire l’idea e il valore della sua impresa rimane anche se non è stata coronata da successo. Essa è valsa a formarlo, un romanzo di formazione è Il mercante dei quadri perduti. E che un genere letterario così antico sia stato perseguito in un contesto sociale così moderno e così diverso, che abbia voluto essere vero in molte parti, come la stessa autrice dichiara alla fine dell’opera, non  riduce il suo significato, non sminuisce la sua dimensione ideale. Se poi si osservano la sicurezza e la chiarezza del linguaggio, si spiega come la Houghteling abbia avuto successo anche in ambito straniero, come il contenuto e la forma rimangano essenziali per un’opera d’arte.

Incontro con Francesco D’Adamo

Incontro con Francesco D’Adamo

Settimana intensa nelle undici scuole della provincia di Potenza in rete per la promozione della lettura. Dopo gli incontri con la scrittrice Emanuela Da Ros e l’attore Rocco Barbaro, nei giorni 1,2 e 3 marzo le scuole medie di Bella, Potenza Terzo,Ruoti e Filiano avranno il piacere di confrontarsi con uno dei più grandi scrittori  italiani di libri per ragazzi Francesco D’Adamo. Per la quinta edizione del Torneo di lettura si sono appassionati con il romanzo “Johnny il seminatore” edito da Rizzoli. L’asciutta voce narrante del romanzo è quella di Belinda, adolescente insoddisfatta del suo corpo, che si sente diversa da tutti e da tutto. Belinda è la sorella di Johnny, il giovane che parte per andare in guerra. Nel giovane aviatore nasce presto un sentimento di ribellione, che diventa insopportabile quando viene incaricato di seminare le mine. Allora decide di tornare da dove è partito, al suo paese, affrontando i suoi compaesani, la retorica dell’eroe, dell’impegno sacro per la libertà imposta con la violenza a un popolo, la martellante e ottusa propaganda di una tv.

Francesco D’Adamo, scrittore di romanzi per ragazzi, esperto di pedagogia e problematiche dell’adolescenza, partecipa spesso a corsi d’aggiornamento per insegnanti e genitori, a incontri con le scuole, a convegni sull’adolescenza e la lettura. I suoi libri sono molto apprezzati nelle scuole per il loro valore pedagogico e formativo, soprattutto Iqbal, una storia vera, quella di Iqbal Mashir, che venne assassinato in Pakistan a tredici anni dalla “mafia dei tappeti” per avere denunciato il suo ex padrone e avere contribuito a far chiudere decine di fabbriche clandestine e a liberare centinaia di bambini schiavi come lui. Lo abbiamo intervistato.  

Hai sempre desiderato scrivere?

Sì, è sempre stata la mia passione. Adesso però mi piacerebbe girare un film ed esserne il regista. Secondo me il cinema è un bel mezzo per trasmettere le proprie emozioni e mi ha sempre affascinato.

Hai esordito come scrittore di libri noir per adulti come sei arrivato a scrivere per ragazzi?

E’ vero, sono stato, credo, uno dei primi, agli inizi degli anni ’90,  a provare a scrivere noir all’italiana. E’ un genere che tuttora mi intriga perchè, nella tradizione americana e francese, permette, col pretesto di un intrigo poliziesco, di raccontare la realtà più scomoda e nascosta, quella che raramente compare sui media. E’ insomma un genere narrativo molto sociale e ‘politico’ che corrisponde esattamente alla mia idea di ‘letteratura’ .Il passaggio alla cosiddetta narrativa per ragazzi è avvenuto in maniera spontanea: mi è venuta voglia di continuare a raccontare le stesse storie però ad un pubblico di adolescenti. In fin dei conti l’adolescenza non è l’età più noir della vita?

Come si intitola il tuo libro preferito?

E’ difficile rispondere, perché sono tantissimi i libri che mi piacciono: da piccolo passavo tutto il mio tempo nella biblioteca di Cremona, città dove sono cresciuto, e leggevo libri di tutti i tipi. Molto belli per me sono: Moby Dick e Cuore di tenebra.

Qual’è il tuo romanzo preferito fra quelli che hai scritto ? Perchè?

Amo molto tutti i miei romanzi (sono tutti…figli miei) ma ho un legame particolare con Storia di Iqbal, sia per le emozioni e i sentimenti che questa storia mi ha suscitato già quando l’ho letta sui giornali, sia perchè a questo romanzo è soprattutto legato il mio nome di scrittore…

Ti piaceva leggere da ragazzo ? Ora leggi molto ?

Ho sempre letto molto e di tutto, dai classici ai fumetti, dai romanzi polizieschi alla fantascienza. Per me esistono solo i romanzi che piacciono o no, che ti lasciano qualcosa nella testa e nella pancia o che ti dimentichi dopo due minuti, non credo a nessuna distinzione tra una Letteratura ‘alta e nobile’ e una di serie B… Ovunque ho trovato delle grandi storie e sono anche convinto che si debba leggere per il piacere della lettura: leggete quelo che vi pare, non ci sono libri obbligatori,neanche i miei, e non ci sono libri proibiti.

Come nasce un tuo libro?

Da una sfida. A un certo punto mi dico: vediamo se sei capace di raccontare una storia così difficile, vediamo se riesci a fare un romanzo che sia anche bello e avvincente da leggere a partire da un tema scomodo, vediamo se questi ragazzi sono così cinici e indifferenti come tanti raccontano o se invece…

I personaggi dei tuoi libri sono inventati o si ispirano a qualcuno?

Solo Iqbal è un personaggio realmente esistito ho inventato gli altri bambini e gli altri personaggi. Dovevo scegliere da quale punto di vista raccontare la storia, e Fatima, avendo condiviso le stesse emozioni di Iqbal, mi sembrava perfetta.”

In quanto tempo scrivi i tuoi libri?

In genere scrivo un romanzo in sei sette mesi, ma per Storia di Iqbal mi ci è voluto un anno.

Quando scrivi un nuovo libro hai già tutta la storia in mente o la elabori strada facendo ?

Parto da un ‘canovaccio’ di trama,  da un ambiente e da  dei personaggi già ben definiti e poi mi diverto a improvvisare buona parte della storia. Non preparo scalette e non prendo nemmeno appunti, mi immergo nella storia e vado…

Scrivi tutti i giorni o solo quando ne hai voglia?

Quando ho iniziato un nuovo romanzo cerco di lavorarci nella maniera più continuativa possibile ma non mi dò un orario di lavoro -mi sentirei un impiegato della scrittura, che brutto!!- e poi ci sono naturalmente i giorni che lavori bene per ore e ore e quelli che non ti viene proprio e allora pazienza…

Dopo aver scritto un libro lo fai leggere a qualche familiare?

Sì, a mia moglie che non riesce ad aspettare neanche la fine, ma va a leggere i capitoli di nascosto e poi mi critica. Cambio alcune parti del testo, ma senza farmi vedere, però lei di libri se ne intende e i suoi suggerimenti sono buoni.

Quali emozioni provi quando scrivi un libro?

Scrivere è sempre una grandissima emozione e scrivo soprattutto perché mi piace. E’ stato molto bello, per esempio, coinvolgermi in Fatima (la narratrice della storia di Iqbal) ragionare, parlare e comportarmi come lei.

C’è un tema di cui non tratteresti mai in un tuo libro?

Mai dire mai!! Non so mai dove potrebbe rivolgersi la mia attenzione credo però, che ogni libro debba trattare di un aspetto della realtà o di un problema del mondo da risolvere.

Le tue storie affrontano temi sempre molto attuali e “scomodi”  penso a Johnny il seminatore, Bazar, Storia di Iqbal. Come mai questa scelta?

Questo spiega le mie storie insolite, che escono abbastanza dai ‘canoni’ della narrativa per ragazzi: io voglio provare a raccontare loro la realtà, che non è nè quella della televisione nè quella di una certa narrativa edulcorata e caramellosa. Perché, ne sono convinto, ne hanno voglia e bisogno. Io quando scrivo non mi rivolgo ad un pubblico di ragazzi ma a degli adulti che hanno 14-15 anni, che si guardano attorno, credo, smarriti e confusi (lo siamo noi adulti, figuriamoci loro!!) e che vorrebbero capirci qualcosa. Io ci provo. Parlo loro di libertà, di un mondo pieno di ingiustizie e di schifezze ma che però può essere cambiato, parlo di differenze e di uguaglianza, parlo di scelte etiche che a un certo punto bisogna fare per diventare grandi, parlo di disobbedienza (l’obbedienza, diceva uno, non è più una virtù). E quindi racconto di bambini schiavi, di bambini soldato mandati a morire non si sa perchè (anzi, si sa benissimo), di guerra, di…Non è nemmeno una scelta, io sono fatto così, non saprei raccontarne altre. E poi qualcuno queste storie dovrà pur raccontarle, di fantasy son pieni gli scaffali

Hai mai pensato di scrivere libri per bambini più piccoli ?

Vado matto per i libri illustrati, ce n’è di veramente belli e quest’anno usciranno le mie prime storie rivolte ai mocciosi piccoli piuttosto che ai mocciosi grandi come ho fatto finora. Non vedo l’ora.

Quanto sono importanti per te gli incontri con i bambini e i ragazzi?

Importantissimi. Ogni anno, girando l’Italia, incontro migliaia di miei lettori ed è un’esperienza straordinaria, per l’interesse che dimostrano (altro che disimpegnati!!), per l’affetto e la complicità che si instaurano, per il divertimento…E poi attenzione: i ragazzi sono lettori attenti, esigenti, mai distratti, che ti concedono tutto e non ti perdonano niente. Più di noi adulti, parola.

Scrittori si nasce o si diventa?

Si nasce con una passione e magari con un talento per la scrittura, ma da sole queste cose non bastano. Si diventa scrittori imparando ad usare gli strumenti -cioè tutte le diverse tecniche di scrittura- leggendo leggendo leggendo, scrivendo scrivendo scrivendo…provando e riprovando fino a quando il risultato non è quello che hai in mente. Scrivere è sempre difficile (c’è qualcosa di facile?) e faticoso ma è anche un’emozione straordinaria e un grandissimo divertimento. Non saprei più farne a meno ormai.

Mario Coviello