Come pensiamo!

Come pensiamo!

di Maurizio Tiriticco

I cosiddetti pensatori/filosofi tassonomisti (dal greco taxo e nomos = metto in ordine secondo una data regola), in particolare Benjamin Samuel Bloom e la sua scuola, elaborarono negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso una teoria secondo la quale i nostri processi mentali relativi alla acquisizione/produzione delle conoscenze procedono secondo sei scalini (tre di carattere inferiore e tre di carattere superiore):

– processi di base:

1) il contatto, il prendere atto: non ho mai visto una bottiglia di Coca Cola, non so neanche che cos’è e a che cosa serve; quindi la “acquisisco” per la prima volta dal punto di vista percettivo/sensoriale, la “archivio” nella mia memoria breve, la riconosco tra mille altre bottiglie od oggetti di altra natura;

2) conoscenza/comprensione: le esperienze successive “mi dicono” che solo quella è una bottiglia di Coca Cola, e non altre, che serve a contenere una data bevanda, ecc;

3) applicazione: riguarda la scelta che io faccio, o non faccio, di utilizzarla: bevo la bevanda che si chiama Coca Cola, so che quella cosa che si chiama bottiglia può contenere altri liquidi (posso anche rifiutarla e interrompere il processo cognitivo);

– processi superiori:

4) analisi: voglio capire bene che cosa è questa cosa che si chiama ed è una bottiglia, come è fatta, di che materiale è, come si usa, se è forte abbastanza se tento di romperla; e poi perché la Coca Cola ha quel sapore, che diavolo ci hanno messo dentro, ecc.;

5) sintesi: uso la bottiglia per altri fini, ci metto l’olio, ne faccio un soprammobile, la dipingo, o addirittura penso di poterne costruire un’altra diversa, ovviamente se disponessi di una fabbrica ad hoc;

6) valutazione: valuto l’intero processo che ho attivato, le modalità che ho adottate per realizzarlo, concludo che la nuova bottiglia ipotizzata da me è migliore; oppure potrei giungere anche a soluzioni diverse o contrarie.

In poche parole, ho tentato di riassumere pagine e pagine di ricerche condotte dai signori Bloom, David Krathwohl e altri. Quindi, abbiamo individuato gli “scalini” dell’apprendere, del comprendere e del produrre pensieri e “cose” nuove”. Ma non finisce qui! Un certo Joy Paul Guilford ha trovato ben 120 scalini!!! Anita Harrov è andata oltre le tassonomie cognitive e ha costruito anche una tassonomia delle operazioni fisico-senso-motorie. Krathewol ha costruito una tassonomia relativa alle operazioni emotivo/affettive. Più recentemente Howard Gardner, allievo di Bruner, non ha lavorato “per scalini”, ma ha elaborato la teoria delle cosiddette “intelligenze multiple”, parallele e interattive e non gerarchiche.

Si tratta di ricerche e di proposte operative di un estremo interesse! E’ indispensabile conoscere come “funziona il cervello” quando si tratta di apprendere cose nuove – purché si abbia la motivazione per farlo – anche perché con il “nuovo” occorre sempre confrontarsi per evitare di “restare indietro”! Ed un pericolo da cui oggi ci dobbiamo veramente guardare, perché le tecnologie dell’apprendere e del produrre avanzano in progressione più che geometrica! Ed è alto il rischio di affidarsi troppo ad esse!

In ordine a quanto scritto fin qui, penso che sia un dovere primario per un insegnante conoscere come funziona un processo di apprendimento, che poi non riguarda solo il singolo alunno e la scuola, ma la stessa nostra intera giornata. Basti il fatto che, se debbo raggiungere un amico che abita in una via per me nuova, “apprendere come operare” per “risolvere il problema” diventa una necessità primaria.

Per chi insegna è indispensabile conoscere come “funzionano”, in ciascuno dei “suoi alunni”, le operazioni del prendere atto, del conoscere/comprendere e dell’applicare. Che costituiscono le precondizioni di base perché il soggetto/alunno possa poi procedere nelle funzioni superiori che riguardano l’ analisi, la sintesi e la valutazione. Il fatto che un alunno studi o non studi, si applichi o non si applichi, sia motivato o meno all’apprendere ciò che la scuola propone non è cosa di poco conto. Ma si tratta di una cosa di cui è necessario conoscere le ragioni di fondo. E qui ci può essere di aiuto la ricerca di Krathwohl

Insomma, in materia di apprendimento cognitivo e di motivazione allo studio, “cose” fondanti per la scuola, un insegnante non può limitarsi a dire che l’alunno x “è intelligente, ma non si applica”, oppure che “non è portato allo studio” od altre amenità, che poi genitori culturalmente poco provveduti debbono accettare senza poi sapere come “correre ai ripari”!

In conclusione, occorre sottolineare che un insegnante è in primo luogo un professionista delle “”funzioni intellettive” e di quelle “emotive”, come un medico è un professionista delle “funzioni fisiche! E le conseguenze sono assolutamente impegnative!

Prove Invalsi al computer, rischio caos nelle scuole. Allarme dei presidi

da Corriere della sera

Prove Invalsi al computer, rischio caos nelle scuole. Allarme dei presidi

Da quest’anno le prove Invalsi di terza media e seconda superiore si faranno al computer: ma le macchine sono poche e le connessioni inadeguate. Per questo si faranno in giorni diversi e saranno diverse per ciascun allievo. Un rebus organizzativo per i dirigenti e il rischio di contestazioni dagli studenti

Orsola Riva

Quest’anno le prove Invalsi di terza media fanno un salto di qualità. Escono dall’esame, e quindi non faranno più media ai fini della votazione finale, ma ampliano il loro raggio d’azione (non più solo italiano e matematica: anche inglese) e soprattutto si modernizzano. In che senso? Che si faranno al computer. Era ora. Finalmente anche le scuole italiane escono dal pleistocene delle prove di carta e sposano la contemporaneità: i nostri ragazzi svolgeranno i test da un computer collegato a Internet. Bene, bravi, bis. Ma c’è un ma. Quanti computer collegati ad Internet ci sono nelle scuole italiane? Difficile stimare il numero di macchine (l’ultimo dato disponibile riferito all’anno scolastico 2014-15 è di una ogni otto alunni) ma quello che si sa per certo (l’ultima rilevazione ufficiale fatta dal Miur è di pochi mesi fa) è che meno della metà delle scuole italiane (il 47 per cento) può contare su una «connessione adeguata». Ecco perché la prova Invalsi al computer rischia di trasformarsi in un vero e proprio incubo organizzativo per i presidi. «La mia sensazione – dice Mario Rusconi presidente della cellula laziale del sindacato presidi Anp – è che ci saranno molte difficoltà a mettere in moto la macchina informatica. Non tutte le scuole hanno strumentazioni in grado di supportare gli impegni che si sbandierano».

Prove diverse per ciascun allievo

Solo il 48% degli edifici è interamente cablato, poco più della metà delle aule (il 56%) risultano cablate e connesse e nemmeno i laboratori lo sono al cento per cento (ma solo al 75%). Ecco perché – come scritto nelle note informative pubblicate l’autunno scorso dall’Invalsi – «la somministrazione CBT (computer based, ndr) implica necessariamente» che le prove non potranno più avvenire simultaneamente nello stesso giorno e alla stessa ora per tutti gli allievi delle scuole italiane e di conseguenza e non potranno più essere uguali per tutti ma varieranno da studente a studente. I quiz si comporranno di «domande estratte da un vasto repertorio di quesiti tutti uguali per livello di difficoltà e struttura – assicura l’Invalsi – e dovranno svolgersi in orari e giorni diversi all’interno di una finestra possibile che il Miur ha già fissato fra il 4 e il 21 aprile per gli studenti di terza media e fra il 7 e il 19 maggio per quelli del secondo anno delle superiori (sì, anche loro da quest’anno passano alla versione 2.0 delle prove.

Rapporto studenti-computer collegati in rete

Saranno le scuole stesse in base al rapporto fra il numero di studenti coinvolti e quello dei computer a disposizione a decidere come spalmare le prove, eventualmente anche decidendo di smembrare la classe in piccoli gruppi calendarizzati in orari e giorni diversi. «Si tratterà di organizzare un servizio, nulla di particolarmente difficile – sdrammatizza il dirigente scolastico distaccato al sindacato Giorgio La Rocca -. Se dovesse mancare la connessione in un plesso, vuol dire che gli studenti si trasferiranno nell’aula computer di un altro plesso dello stesso istituto comprensivo». Ma poiché le prove sono tre – italiano, matematica e anche inglese (almeno alle medie, con tanto di certificazione finale delle competenze linguistiche acquisite) e l’Invalsi stesso suggerisce che si svolgano in tre giorni diversi per ciascun allievo, incastrare gli spostamenti dei ragazzi dalla classe all’aula informatica e ritorno rischia di diventare un bel rebus. Mentre i prof non potranno fare lezione per tutto il tempo in cui i vari gruppi si assenteranno per le prove (che durano 75 minuti nel caso di italiano e matematica e un’ora e mezza in quello del test di inglese).

Rischio contestazioni

Che possano esserci delle difficoltà organizzative lo riconosce anche il neo presidente dell’Anp Antonello Giannelli «ma ritengo che il personale scolastico ce la farà a far fronte a quest’emergenza. La modalità telematica è più efficiente, oggettiva e trasparente e la correzione diventa automatica», senza oneri aggiuntivi per i docenti che invece fino all’anno scorso erano incaricati dell’ immissione dei dati e della correzione delle domande a risposta aperta. C’è però anche un altro rischio soprattutto alle superiori dove l’anno scorso si era registrato finalmente un tasso di partecipazione altissima (il 97 per cento degli studenti) dopo anni di boicottaggi. Ovvero che gli studenti, attaccandosi al fatto che non saranno più uguali per tutti, tornino a contestare senso e validità delle prove standardizzate, che – è bene ripeterlo – servono ad accertare se le scuole fanno o meno il loro lavoro, ovvero se, tenendo conto dei livelli di partenza che variano a secondo del contesto socio-economico di riferimento, riescono a far raggiungere ai ragazzi il livello di competenze a cui possono ambire. Non sorprende che, in questo contesto ancora abbastanza confuso, ci siano dei dirigenti che a questo punto si augurano, complice il fatto che siamo in campagna elettorale, in un ripensamento dell’ultimo minuto e che almeno ancora per quest’anno l’Invalsi si faccia su carta.

L’ora di filosofia anche per i ragionieri

da la Repubblica

L’ora di filosofia anche per i ragionieri

Lo prevede il Miur: sosterrà i giovani nel mondo del lavoro

Salvo Intravaia

Lo studio della filosofia sbarca negli istituti tecnici e professionali.

Tra qualche mese, un milione e 300mila ragazzi che mirano ad acquisire un titolo immediatamente spendibile nel mercato del lavoro potrebbero affiancare allo studio dei bilanci aziendali e dei circuiti elettrici quello del pensiero di Socrate e Kant.

L’annuncio arriva direttamente dal Ministero dell’Istruzione, dove il sottosegretario Vito De Filippo ha presentato gli “ Orientamenti per l’apprendimento della filosofia nella società della conoscenza” e il relativo Sillabo, un sorta di manuale per gli insegnanti. Due documenti che, appunto, propongono ai docenti delle scuole superiori una nuova didattica della filosofia che insegni agli studenti come usare quella materia per orientarsi in un mondo sempre più complesso e risolvere i problemi di tutti i giorni. L’obiettivo dichiarato è fornire ai ragazzi più competenze per affrontare al meglio la sfida del terzo millennio. L’intelligenza artificiale, spiega il Sillabo, sta mettendo a rischio una serie di profili professionali e il mondo del lavoro richiede nuove competenze ( come soft skills, progettualità, problem solving e metacognizione) che la filosofia più aiutare a costruire.

Ma in che modo lo studio delle idee di Cartesio e Leibniz può aiutare un ragazzo che si misura con i circuiti elettronici o che impara a cucinare all’istituto alberghiero? «In questo mondo complesso e con tecnologie sempre più avanzate, non basta più acquisire i contenuti, che si trovano ormai in rete», risponde Adriano Fabris, professore di Filosofia morale dell’Università di Pisa. «Occorre essere capaci di vagliarli criticamente, approfondirli e selezionarli in modo da orientarsi al meglio. La filosofia aiuta a sviluppare la capacità di utilizzare al meglio questi contenuti mettendoli in relazione con tutti gli altri campi». Per farlo, le scuole potranno ritagliare ore di filosofia ridimensionando (fino a un massimo del 30 per cento, come prevede l’Autonomia scolastica) quelle delle altre discipline, oppure chiedere al ministero di viale Trastevere docenti di Filosofia per realizzare attività didattiche oltre l’orario curricolare. “Orientamenti” e Sillabo sono stati elaborati da una commissione di esperti coordinata dalla professoressa Carla Guetti, direttore generale al Miur ma, nelle intenzioni, sono aperti al contributo degli insegnanti.

Un lavoro che sembra ispirato alle parole del grande filosofo austriaco Karl Popper, secondo il quale “tutta la vita è un risolvere problemi”. Anche Roberto Esposito, ordinario di Teoretica alla Scuola Normale di Pisa, è convinto che lo studio delle teorie filosofiche apparentemente più astruse possa aiutare nella pratica di tutti i giorni. «In America e in tanti altri paesi anche europei» spiega Esposito «i funzionari e i dirigenti di maggiore successo che si occupano di gestione del personale o della comunicazione sono laureati in filosofia. È una disciplina che sviluppa lo spirito critico e il ragionamento sintetico, capacità che consentono di affrontare i singoli problemi inserendoli in un contesto più generale. Una modalità che rende più elastico il ragionamento e più rapida la soluzione». Sembrano confermarlo le carriere di alcuni dottori in filosofia: dal numero uno di Fca Sergio Marchionne, al presidente francese Emmanuel Macron, all’ex premier britannico David Cameron, al tycoon Rupert Murdoch.

D’accordo solo in parte il sociologo Domenico De Masi: «Non è importante che i laureati in filosofia abbiano successo nelle aziende, che non si occupano certo della felicità dei lavoratori.

Un essere umano lavora in media 80mila ore sulle 700mila che rappresentano la vita media. La scuola si dovrebbe occupare di preparare i ragazzi anche alle 620mila ore rimanenti. Per questo oltre alla filosofia farei studiare la sociologia»

Stage in Francia per 15 dirigenti scolastici. Tutte le info per partecipare

da La Tecnica della Scuola

Stage in Francia per 15 dirigenti scolastici. Tutte le info per partecipare

Elezioni RSU 2018, come si svolgeranno: indicazioni per le scuole

da La Tecnica della Scuola

Elezioni RSU 2018, come si svolgeranno: indicazioni per le scuole

Bonus asilo nido 2018: possibile presentare domanda dal prossimo 29 gennaio

da Tuttoscuola

Bonus asilo nido 2018: possibile presentare domanda dal prossimo 29 gennaio

Dalle ore 10.00 del 29 gennaio al 31 dicembre 2018 l’Inps comunica che è possibile richiedere il “Contributo asilo nido” e “Contributo per introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione”, riservato a bambini nati o adottati dal 1° gennaio 2016, per le mensilità comprese tra gennaio e dicembre 2018. Il bonus potrà essere erogato nel limite di spesa indicato all’art. 7 del DPCM 17 febbraio 2017 (che per il 2018 è di 250 milioni di euro) secondo l’ordine di presentazione telematica della domanda.

Il bonus asilo asilo nido 2018

Si tratta di un premio stabilito nell’ambito degli interventi normativi a sostegno del reddito delle famiglie, l’articolo 1, comma 355, legge 11 dicembre 2016, n. 232 ha disposto che ai figli nati dal 1° gennaio 2016 spetta un contributo di massimo 1.000 euro, per il pagamento di rette per la frequenza di asili nido pubblici e privati e di forme di assistenza domiciliare in favore di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie croniche. Il premio è corrisposto direttamente dall’INPS su domanda del genitore.

Bonus asilo nido 2018: come funziona

Quanto spetta
Il bonus asilo nido viene erogato con cadenza mensile, parametrando l’importo massimo di 1.000 euro su 11 mensilità, per un importo massimo di 90,91 euro direttamente al beneficiario che ha sostenuto il pagamento, per ogni retta mensile pagata e documentata. Il contributo mensile erogato dall’Istituto non può eccedere la spesa sostenuta per il pagamento della singola retta. Il premio asilo nido non è cumulabile con la detrazione prevista dall’art. 2, comma 6, legge 22 dicembre 2008 (detrazioni fiscali frequenza asili nido), a prescindere dal numero di mensilità percepite.
Il bonus asilo nido non può essere fruito, inoltre, in mensilità coincidenti con quelle di fruizione dei benefici di cui all’art.1, commi 356 e 357, legge n. 232 del 11 dicembre 2016 (cosiddetto bonus infanzia).
Il bonus per le forme di supporto presso la propria abitazione viene erogato dall’Istituto a seguito di presentazione da parte del genitore richiedente, che risulti convivente con il bambino,  di un attestato rilasciato dal pediatra di libera scelta che attesti per l’intero anno di riferimento “l’impossibilità del bambino a frequentare gli asili nido in ragione di una grave patologia cronica”.
Nell’ambito di tale fattispecie l’Istituto eroga il bonus di 1.000 euro in un’unica soluzione direttamente al genitore richiedente.
Il bonus richiesto, sia asilo nido che per forme di supporto presso la propria abitazione, può essere erogato, nel limite di spesa indicato (per il 2018 è di 250 milioni di euro), secondo l’ordine di presentazione della domanda online.
Nel caso in cui, a seguito del numero delle domande presentate venga raggiunto il limite di spesa, l’Inps non prenderà in considerazione ulteriori domande.
L’Inps provvede alla corresponsione del bonus nelle modalità di pagamento indicate dal richiedente nella domanda (bonifico domiciliato, accredito su conto corrente bancario o postale, libretto postale o carta prepagata con IBAN). L’utente che opta per l’accredito su un conto con  IBAN è tenuto a presentare anche il modello SR163, a meno che tale modello non sia stato già presentato all’Inps in occasione di altre domande.

Decadenza
Il richiedente deve confermare, all’atto dell’allegazione della documentazione a ogni mensilità l l’invarianza dei requisiti rispetto a quanto dichiarato nella domanda. L’erogazione del bonus decade in caso di perdita di uno dei requisiti di legge o di provvedimento negativo del giudice che determina il venir meno dell’affidamento preadottivo.
L’Inps interrompe l’erogazione dell’assegno a partire dal mese successivo all’effettiva conoscenza di uno dei seguenti eventi che determinano decadenza:

  • perdita della cittadinanza;
  • decesso del genitore richiedente;
  • decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale;
  • affidamento esclusivo del minore al genitore che non ha presentato la domanda (affidamento del minore a terzi).

Il verificarsi delle cause di decadenza relative al richiedente non impedisce il subentro nel beneficio da parte di un soggetto diverso, qualora per quest’ultimo sussistano i presupposti di legge per accedere al premio alla data di presentazione della prima domanda. I termini previsti per il subentro sono fissati improrogabilmente entro 90 giorni dal verificarsi di una delle cause di decadenza sopra riportate.

Bonus asilo nido 2018: la domanda

Nella domanda si dovrà:

– indicare a quale dei due benefici si intende accedere;
– specificare le mensilità per le quali si intende ottenere il beneficio;
– nel caso in cui si intenda richiedere il bonus asilo nido per mesi ulteriori rispetto a quelli già indicati, anche se per lo stesso minore, sarà necessario presentare una nuova domanda;
– allegare in fase di domanda il pagamento almeno della retta relativa al primo mese di frequenza per cui si richiede il beneficio oppure, nel caso di asili nido pubblici la documentazione da cui risulti l’iscrizione o l’avvenuto inserimento in graduatoria del bambino;
– in caso di richiesta di bonus per l’introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione, allegare, all’atto della domanda, un’attestazione rilasciata dal pediatra di libera scelta, che dichiari per l’intero anno di riferimento, “l’impossibilità del bambino a frequentare gli asili nido in ragione di una grave patologia cronica”.

La documentazione di avvenuto pagamento dovrà indicare:

– la denominazione e la partita iva dell’asilo nido;
– il codice fiscale del minore;
– il mese di riferimento;
– gli estremi del pagamento o la quietanza di pagamento;
– il nominativo del genitore che sostiene l’onere della retta che deve essere lo stesso che ha presentato domanda.

Per tutti i dettagli e le informazioni su come presentare domanda per il bonus asilo nido si può leggere attentamente la scheda prestazione cliccando qui.

Elezioni 2018: quando chiudono le scuole?

da Tuttoscuola

Elezioni 2018: quando chiudono le scuole?

A rispondere a questa domanda ci ha pensato lo stesso Ministero dell’Istruzione. Proprio il Miur ha infatti comunicato, con la nota n. 2748 del 23 gennaio scorso, le modalità con cui si svolgeranno le attività di chiusura delle scuole seggio elettorale per le elezioni del 2018 in calendario per il prossimo 4 marzo.

Elezioni 2018: scuole chiuse dal pomeriggio del 2 al 6 marzo

La circolare in questione rende noto che le scuole si dovranno mettere a disposizione degli uffici comunali dal pomeriggio del 2 marzo fino a tutta l’intera giornata del 6 marzo 2018. Ricordiamo che le date che potrebbero variare esclusivamente nei casi in cui si voterà anche per le elezioni regionali, come per esempio in Lombardia e Lazio.

Elezioni 2018: permessi per i docenti impegnati nei seggi

Al personale con contratto a tempo indeterminato e determinato, impegnato nei seggi elettorali in occasione delle elezioni 2018, ai sensi dell’art. 119 del T.U. n. 361/57, modificato dalla Legge n. 53/90, e dell’art. 1 della Legge 29.1.1992, n. 69, è riconosciuto il diritto di assentarsi dal servizio per tutto il periodo corrispondente alla durata delle operazioni di voto e di scrutinioL’assenza è considerata attività lavorativa a tutti gli effetti.

Ricordiamo poi che i componenti del seggio elettorale, i rappresentanti di lista o comunque gli impegnati in operazioni connesse, hanno diritto a recuperare le giornate non lavorative di impegno ai seggi con giorni di recupero da concordare con il datore di lavoro, in rapporto anche alle esigenze di servizio.

Apprendimento Permanente, Miur lancia percorso per un Piano nazionale di Garanzia delle competenze

da Tuttoscuola

Apprendimento Permanente, Miur lancia percorso per un Piano nazionale di Garanzia delle competenze

Parlare di apprendimento permanente vuol dire mettere al centro la persona, le sue capacità, le sue competenze, le sue inclinazioni, le sue ambizioni, i suoi sviluppi. Vuol dire metterla al centro delle nostre politiche e dei nostri interventi già a partire dal sistema di istruzione e formazione e continuare a farlo lungo tutto il corso della sua esistenza“. Lo ha sottolineato la Ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, aprendo il convegno organizzato dal Miur sull’apprendimento permanente durante il quale sono state presentate le prime cinque azioni che il Ministero metterà in campo per intervenire ulteriormente sul fronte delle competenze della popolazione adulta. Lo si legge in una nota del Miur.

“Se prima la scuola o l’università erano considerate fasi di formazione propedeutiche all’accesso al mondo del lavoro, adesso cambia la prospettiva: l’inserimento nel mercato occupazionale non è il termine ultimo del percorso di istruzione e di formazione di una donna o di un uomo. È necessario tendere costantemente all’aggiornamento, rinnovare le proprie competenze, esercitare quelle già acquisite e immagazzinarne di nuove – ha sottolineato la Ministra -. Mettersi in gioco periodicamente per non disperdere quanto conquistato lungo il corso degli studi e per adeguarsi ai mutamenti in atto, mutamenti che richiedono risposte di volta in volta diverse e non sempre codificabili con le conoscenze tradizionali maturate in ambito scolastico o accademico. È una sfida. Ma è anche una straordinaria occasione per continuare a investire su se stessi, per aprirsi delle strade inconsuete e nuovi scenari, per darsi nuove possibilità“.

Il Miur ha voluto assumersi la responsabilità di promuovere una riflessione approfondita e ha per questo attivato un tavolo di lavoro sull’apprendimento permanente al quale hanno preso parte le Organizzazioni sindacali, i rappresentanti dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA), quelli della Rete universitaria per l’apprendimento permanente (RUIAP), quelli del terzo settore e dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI). È stato inoltre riaperto il tavolo interistituzionale istituito presso la Conferenza Unificata.

La conferenza di oggi ha rappresentato un momento di confronto e di discussione per rilanciare il dibattito sulle competenze che devono essere possedute dalla popolazione adulta e sulla costruzione delle reti territoriali che dovranno sostenerne l’apprendimento permanente. Reti che dovranno essere frutto di un impegno sinergico e condiviso dei vari attori coinvolti.

Nella giornata di oggi è stata lanciata anche la proposta di un Piano di garanzia delle competenze della popolazione adulta, a partire da cinque proposte elaborate dal Ministero, ovvero:

  • Favorire e sostenere la partecipazione dei CPIA alla costruzione e al funzionamento delle reti territoriali per l’apprendimento permanente.
  • Favorire e sostenere – in coerenza con quanto previsto da “Agenda 2030” e dalla “Nuova Agenda europea delle competenze” – l’attivazione di “Percorsi di Garanzia delle Competenze” destinati alla popolazione adulta in età lavorativa  finalizzati all’acquisizione delle competenze di base (matematiche, alfabetiche, linguistiche e digitali), trasversali (capacità di lavorare in gruppo, pensiero creativo, imprenditorialità, pensiero critico, capacità di risolvere i problemi o di imparare ad apprendere e alfabetizzazione finanziaria).
  • Potenziare e consolidare i Centri di ricerca, sperimentazione e sviluppo in  materia di istruzione degli adulti, già attivati.
  • Favorire e sostenere la piena applicazione ai percorsi di istruzione degli adulti di strumenti di flessibilità e in particolare della “fruizione a distanza”.
  • Favorire e sostenere l’attivazione di “Percorsi di Istruzione Integrati” finalizzati a far conseguire, anche in apprendistato, una qualifica e/o un diploma professionale nella prospettiva di consentire il proseguimento della formazione nel livello terziario (universitario e non). L’obiettivo primario è l’attivazione entro il 2019, d’intesa con le Regioni, di una sperimentazione nazionale dei “Percorsi di Istruzione Integrati”.

La conferenza che si è tenuta lo scorso 24 gennaio è stata, inoltre, l’occasione per richiamare le responsabilità condivise di tutti gli attori che sono coinvolti, ciascuno secondo il proprio ruolo e secondo la propria competenza, nell’attività di potenziamento dell’apprendimento permanente e dell’implementazione delle reti.

Secondo il Rapporto dell’Ocse “Strategia per le competenze” riguardante l’Italia, nel nostro Paese “più di 13 milioni di adulti hanno competenze di basso livello. Gli adulti che hanno competenze di basso livello in Italia sono, in gran parte, lavoratori più anziani e immigrati e sono concentrati nelle imprese più piccole, in settori meno progrediti e nelle regioni meno sviluppate. Il 39% di chi ha un’età compresa tra 25-65 anni possiede un livello basso di competenze, sia di lettura sia matematiche, ma solo il 14% partecipa alla formazione per gli adulti; il terzultimo risultato registrato nella Survey PIAAC“.

Il quadro registrato ci dice che non abbiamo tempo da perdere e che dobbiamo mettere in campo azioni strategiche per sopperire a questo problema quanto prima – ha detto Fedeli -. Il nostro Paese ha prodotto negli ultimi anni importanti riforme del lavoro e dell’istruzione, ma questo non basta. Se non rinnoviamo l’intero ambito d’intervento questi cambiamenti rischiano di rimanere al palo. Agire sulla formazione e sull’aggiornamento delle proprie competenze significa impegnarsi per far sì che il lavoro in Italia sia di qualità, sempre e in ogni ambito. Significa orientare strategicamente settori professionali alle prospettive di sviluppo del Paese, facendo del digitale e dell’innovazione una straordinaria occasione di progresso condivisa e diffusa. L’industria 4.0 dei prossimi anni e le trasformazioni dell’industria manifatturiera dei servizi alle quali assisteremo nel futuro prossimo richiedono all’intero sistema di formazione e istruzione un allineamento che oggi, e non solo in Italia, stenta ad affermarsi. Dobbiamo incidere in tal senso. Trovare risposte adeguate e promuovere un cambiamento ormai irrimandabile“.

Le prime azioni sono già state messe in campo. Nel 2017, nell’ambito del PON Scuola, la ministra Fedeli ha lanciato un bando sulla formazione degli adulti da 20 milioni di euro. Cresce, intanto la quota di adulti iscritti ai CPIA, profondamente riformati nel 2013: i patti formativi siglati nel 2016/2017 dalle studentesse e dagli studenti iscritti ai percorsi sono stati, in tutto, 229.400. Erano 182.863 l’anno prima.

La strada è tracciata – ha concluso la Ministra – ora occorre continuare ad agire in questa direzione. Un adeguato livello di istruzione degli adulti rappresenta un importante elemento per la realizzazione di società più inclusive, basate sulla conoscenza e che permettono maggiori opportunità di realizzazione alle loro cittadine e ai loro cittadini. Con questo avviso abbiamo voluto promuovere progetti in rete per innalzare il livello di formazione degli adulti in un’ottica di apprendimento permanente. Oggi abbiamo un’ulteriore occasione di definizione di intervento. Sono sicura che sapremo renderla operativa e determinante grazie alla collaborazione e ai suggerimenti di tutti. È una sfida importante per le nostre individualità e per la crescita dell’intero Paese“.

Giorno della Memoria

Con la Legge 211/00 la Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonche’ coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.


Giorno della Memoria, al Quirinale premiate le istituzioni scolastiche vincitrici del concorso “I giovani ricordano la Shoah”

Fedeli: “Nelle scuole Linee guida per lo studio di questi temi”

(Giovedì, 25 gennaio 2018) “Il Giorno della Memoria è una data importante del nostro calendario civile. Un momento di riflessione collettiva grazie al quale, anno dopo anno, rinnoviamo la convinzione che il ricordo della Shoah debba essere esercitato quotidianamente e attivamente, in modo consapevole e responsabile, per far sì che nel presente non si ripetano più atroci crimini contro la dignità di donne e uomini”. Così la Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, è intervenuta oggi al Quirinale nel corso delle celebrazioni del Giorno della Memoria, alla presenza del Presidente Sergio Mattarella.

“Non siamo immuni da quell’odio. Dobbiamo sapere che è replicabile e che gli unici vaccini in grado di contrastarlo sono la conoscenza, la cultura, e l’educazione che superano paure e timori, combattono discriminazioni, sopraffazione e violenza. La scuola è il luogo in cui vogliamo e dobbiamo trasmetterle”, ha sottolineato la Ministra, ricordando poi le attività messe in campo dal Ministero per raggiungere questo obiettivo. Quest’anno, in particolare, Il MIUR invierà alle scuole apposite Linee guida per la didattica della Shoah. Le Linee guida saranno accompagnate da una circolare e dal discorso pronunciato oggi al Quirinale dal Presidente Sergio Mattarella.

Nel corso della mattinata, il Presidente e la Ministra hanno poi premiato le scuole vincitrici dell’annuale concorso “I giovani ricordano la Shoah” che hanno raccontato con video, disegni, collage tridimensionali, e anche attraverso il linguaggio delle chat il loro punto di vista sul dramma che si è consumato nei campi di sterminio nazisti. Le scuole vincitrici vengono da tutta Italia e si tratta della primaria “Collodi” di Fidenza (PR), dell’Istituto Comprensivo “Agatino Malerba” di Catania, del liceo artistico “Giovanni Paolo II” di Maratea (PZ). Hanno ricevuto una menzione speciale, l’Istituto comprensivo “Avigliano Centro-Plesso S. Spaventa Filippi” di Avigliano (PZ), l’Istituto comprensivo “Don Roberto Angeli” di Livorno (LI), l’Istituto comprensivo “Druento” di Druento (TO), l’Istituto comprensivo “Don Lorenzo Milani” di Ariano Irpino (AV), l’Istituto superiore “Tonino Guerra” di Novafeltria (RN), l’Istituto “Betty Ambiveri” di Presezzo (BG).


Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla celebrazione del “Giorno della Memoria”

(Palazzo del Quirinale 25/01/2018) Rivolgo un saluto ai presidenti del Senato, della Camera dei Deputati e della Corte costituzionale, ai membri del governo, a tutti i presenti, a coloro che ci ascoltano attraverso la tv.

Un saluto particolare ai superstiti dei campi di sterminio, alla senatrice Segre, ai ragazzi.

Il 27 gennaio del 1945 le truppe russe varcavano i cancelli di Auschwitz, spalancando, davanti al mondo attonito, le porte dell’abisso.

Quei corpi ammassati, i volti dei pochi sopravvissuti dallo sguardo spento e atterrito, i resti delle baracche, delle camere a gas, dei forni crematori erano il simbolo estremo della scellerata ideologia nazista.

Un virus letale – quello del razzismo omicida – era esploso al centro dell’Europa, contagiando nazioni e popoli fino a pochi anni prima emblema della civiltà, del progresso, dell’arte. Auschwitz era il frutto più emblematico di questa perversione.

Ancora oggi ciò che ci interroga e sgomenta maggiormente, di un mare di violenza e di abominio, sono la metodicità ossessiva, l’odio razziale divenuto sistema, la macchina lugubre e solerte degli apparati di sterminio di massa, sostenuta da una complessa organizzazione che estendeva i suoi gangli nella società tedesca.

Il cammino dell’umanità è purtroppo costellato di stragi, uccisioni, genocidi.

Tutte le vittime dell’odio sono uguali e meritano uguale rispetto. Ma la Shoah – per la sua micidiale combinazione di delirio razzista, volontà di sterminio, pianificazione burocratica, efficienza criminale – resta unica nella storia d’Europa.

Come fu possibile che anziani, donne, bambini anche di pochi mesi, stremati dalle lunghe persecuzioni, potessero essere sistematicamente eliminati, perché considerati pericolosi nemici? Che fine aveva fatto tra gli ufficiali di un esercito prestigioso, dalle grandi tradizioni, il senso dell’onore, quello per cui, quanto meno, non si uccidono gli inermi? Dove era finito il sentimento più elementare di umanità e di pietà di una nazione, evoluta e sviluppata, di fronte alle moltitudini di innocenti avviati, con zelo e nella generale indifferenza, verso le camere a gas? Migliaia di cittadini, i “volenterosi carnefici di Hitler”, come li ha definiti lo storico Goldhagen, cooperavano alla distruzione degli ebrei.

Con questo consenso il nazismo riuscì a sterminare milioni di ebrei, di oppositori politici e di altri gruppi sociali – gitani, omosessuali, testimoni di Geova, disabili – considerati inferiori e ritenuti un ostacolo per il progresso della nazione.

Saluto e ringrazio per la loro presenza il presidente della Federazione dei Rom e Sinti, il presidente dell’Associazione deportati politici. Saluto anche il presidente degli internati militari: 800 mila soldati che, per il rifiuto di collaborare con i nazisti e di arruolarsi sotto le insegne di Salò, patirono privazioni, persecuzioni e violenze.

Da Liliana Segre e Pietro Terracina abbiamo sentito poc’anzi il racconto diretto, sconvolgente e inestimabile, dell’inferno dei campi, avvertendo la stessa emozione provata, nei giorni scorsi, ascoltando le parole, anch’esse essenziali e penetranti, di Sami Modiano. Agli internati venivano negati il nome, gli affetti, la memoria e il futuro, il diritto a essere persone.

Tutti i sentimenti erano brutalmente proibiti, tranne quello della paura.

Si possono uccidere, a freddo, senza remore, sei milioni di individui inermi se si nega non soltanto la loro appartenenza al genere umano ma la loro stessa esistenza. Soltanto per effetto di questa insana distorsione essi possono essere trasformati – con un progressivo e violento processo di spoliazione – da persone, titolari di diritti, in oggetti di freddi elenchi, in numeri, come quelli che i sopravvissuti ai campi di sterminio – che saluto tutti ancora – portano indelebilmente segnati sul proprio corpo.

Anche in Italia questo folle e scellerato processo di riduzione delle persone in oggetti fu attuato con consapevolezza e determinazione. Sul territorio nazionale, è vero, il regime fascista non fece costruire camere a gas e forni crematori. Ma, dopo l’8 settembre, il governo di Salò collaborò attivamente alla cattura degli ebrei che si trovavano in Italia e alla loro deportazione verso l’annientamento fisico.

Le misure persecutorie messe in atto con le leggi razziali del 1938, la schedatura e la concentrazione nei campi di lavoro favorirono enormemente l’ignobile lavoro dei carnefici delle SS.

Le leggi razziali – che, oggi, molti studiosi preferiscono chiamare “leggi razziste”- rappresentano un capitolo buio, una macchia indelebile, una pagina infamante della nostra storia.

Ideate e scritte di pugno da Mussolini, trovarono a tutti i livelli delle istituzioni, della politica, della cultura e della società italiana connivenze, complicità, turpi convenienze, indifferenza. Quella stessa indifferenza, come ha sovente sottolineato la senatrice Segre, che rappresenta l’atteggiamento più insidioso e gravido di pericoli.

Con la normativa sulla razza si rivela al massimo grado il carattere disumano del regime fascista e si manifesta il distacco definitivo della monarchia dai valori del Risorgimento e dello Statuto liberale.

Una donna forte e coraggiosa, Ernesta Bittanti, vedova dell’eroe trentino Cesare Battisti, commentava così nel suo diario quei giorni cupi e di dolore: «Io porto tutto il peso di queste sventure nel mio cuore (…) peso che mi viene dal ruinare di questa nostra povera Italia nell’abisso della barbarie spirituale. Da cui certo si riavrà un giorno!».

Lo Stato italiano del ventennio espelleva dal consesso civile una parte dei suoi cittadini, venendo meno al suo compito fondamentale, quello di rappresentare e difendere tutti gli italiani.

Dopo aver soppresso i partiti, ridotto al silenzio gli oppositori e sottomesso la stampa, svuotato ogni ordinamento dagli elementi di democrazia, il Fascismo mostrava ulteriormente il suo volto: alla conquista del cosiddetto impero accompagna l’introduzione di norme di discriminazione e persecuzione razziale, che si manifesta già nell’aprile del 1937, con il regio decreto legge volto a punire i rapporti tra cittadini italiani e quelli definiti sudditi dell’Africa orientale italiana, per evitare che venisse inquinata la razza.

Alla metà del 1938, con le leggi antiebraiche, rivolgeva il suo odio cieco contro una minoranza di italiani, attivi nella cultura, nell’arte, nelle professioni, nell’economia, nella vita sociale. Molti, venti anni prima, avevano servito con onore la Patria – come ufficiali, come soldati – nella grande guerra.

Ma la persecuzione, da sola, non fu ritenuta sufficiente. Occorreva tentare di darle una base giuridica, una giustificazione ideologica, delle argomentazioni pseudo-scientifiche. Vennero cercati – e, purtroppo, si trovarono – intellettuali, antropologi, medici, giuristi e storici compiacenti. Nacque Il Manifesto della Razza. Letto oggi potrebbe far persino sorridere, per la mole di stoltezze, banalità e falsità contenute, se sorridere si potesse su una tragedia così immane.

Eppure questo Manifesto, dalle basi così vacue e fallaci, costituì una pietra miliare della giurisprudenza del regime; e un nuovo “dogma” per moltissimi italiani, già assoggettati alla granitica logica del credere, obbedire, combattere.

La penna propagandistica, efficace nel suo cinismo, coniò lo slogan con il quale intendeva rassicurare gli italiani e il mondo, nel tentativo di prendere, apparentemente, le distanze dall’antisemitismo nazista: “Discriminare – disse Mussolini – non significa perseguitare”.

Ma cacciare i bambini dalle scuole, espellere gli ebrei dall’amministrazione statale, proibire loro il lavoro intellettuale, confiscare i beni e le attività commerciali, cancellare i nomi ebraici dai libri, dalle targhe e persino dagli elenchi del telefono e dai necrologi sui giornali costituiva una persecuzione della peggiore specie. Gli ebrei in Italia erano, di fatto, condannati alla segregazione, all’isolamento, all’oblio civile. In molti casi, tutto questo rappresentò la premessa dell’eliminazione fisica.

Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il Fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione. Perché razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza. Volontà di dominio e di conquista, esaltazione della violenza, retorica bellicistica, sopraffazione e autoritarismo, supremazia razziale, intervento in guerra contro uno schieramento che sembrava prossimo alla sconfitta, furono diverse facce dello stesso prisma.

Abbiamo, in questo giorno della Memoria, ascoltato testimonianze coinvolgenti dei sopravvissuti. Nelle loro parole si avverte la forza e il fascino della loro vita ritrovata, della loro volontà di vivere con pienezza ma, al contempo, ci si rende conto dell’immenso patrimonio di presenze e di protagonismi che ci avrebbe assicurato la vita di coloro che sono stati trucidati nei lager e che quella programmata violenza omicida ci ha sottratto.

Dalla professoressa Foa, dalla presidente Di Segni, dalla ministra Fedeli abbiamo sentito discorsi netti e lungimiranti: le ringrazio molto. Abbiamo rivissuto, attraverso le voci incisive di Remo Girone e Victoria Zinny, momenti drammatici della nostra storia di allora.

Siamo stati affascinati dalle canzoni, commoventi e piene di speranza di Noa, messaggera di pace e di bellezza. Grande amica dell’Italia, venuta appositamente da Israele per condividere con noi il Giorno della Memoria e renderlo ancora più ricco di intensità. La ringrazio di cuore, con stima e amicizia.

Abbiamo incontrato anche i giovani appena tornati dall’esperienza, sconvolgente ma formativa, del viaggio ad Auschwitz. A loro viene affidato il compito di custodire e tramandare la Memoria, perché non si attenui e non si smarrisca mai, per non rischiare di provocare nuovi lutti e nuove tragedie.

Focolai di odio, di intolleranza, di razzismo, di antisemitismo sono infatti presenti nelle nostre società e in tante parti del mondo. Non vanno accreditati di un peso maggiore di quel che hanno: il nostro Paese, e l’Unione Europea, hanno gli anticorpi necessari per combatterli; ma sarebbe un errore capitale minimizzarne la pericolosità.

I cambiamenti rapidi e sconvolgenti che la globalizzazione comporta – le grandi migrazioni, i timori per lo smarrimento della propria identità, la paura di un futuro dai contorni incerti – possono far riemergere dalle tenebre del passato fantasmi, sentimenti, parole d’ordine, tentazioni semplificatrici, scorciatoie pericolose e nocive.

La predicazione dell’odio viene amplificata e propagata dai nuovi mezzi di comunicazione. La tecnologia e la scienza offrono grandi opportunità ma, come sempre, se non correttamente utilizzate, possono rendere disponibili strumenti sofisticati nelle mani di vecchi e nuovi profeti di morte.

Contro queste minacce, contro il terrorismo, contro il razzismo e la violenza dell’intolleranza serve cooperazione internazionale, servono coraggio e determinazione. E’ necessario, soprattutto, consolidare quegli ideali di democrazia, libertà, tolleranza, pace, eguaglianza, serena convivenza, sui quali abbiamo riedificato l’Europa dalle macerie della seconda guerra mondiale.

Le leggi razziali in Italia erano entrate in vigore nell’autunno del 1938.

Il 1 gennaio del 1948, dopo neppure dieci anni, la Costituzione Italiana sanciva solennemente che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Di mezzo, vi era stata la cesura della guerra. Una guerra terribile, che aveva sparso morte e devastazione su larga parte del mondo. E che aveva aperto gli occhi del mondo sulla follia portatrice di morte del nazismo e del fascismo.

La Memoria, custodita e tramandata, è un antidoto indispensabile contro i fantasmi del passato.

La Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, si è definita e sviluppata in totale contrapposizione al fascismo.

La nostra Costituzione ne rappresenta, per i valori che proclama e per gli ordinamenti che disegna, l’antitesi più netta.

L’indicazione delle discriminazioni da rifiutare e respingere, al suo articolo 3, rappresenta un monito. Il presente ci indica che di questo monito vi era e vi è tuttora bisogno.

Egualmente credo che tutti gli italiani abbiano il dovere, oggi, di riconoscere che un crimine turpe e inaccettabile è stato commesso, con l’approvazione delle leggi razziali, nei confronti dei nostri concittadini ebrei.

La Repubblica italiana, proprio perché forte e radicata nella democrazia, non ha timore di fare i conti con la storia d’Italia, non dimenticando né nascondendo quanto di terribile e di inumano è stato commesso nel nostro Paese, con la complicità di organismi dello Stato, di intellettuali, giuristi, magistrati, cittadini, asserviti a una ideologia nemica dell’uomo.

La Repubblica e la sua Costituzione sono il baluardo perché tutto questo non possa mai più avvenire.

Vi ringrazio.


La Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Roma, 25 gennaio 2018

Signor Presidente della Repubblica, Autorità presenti, Cara Noemi, Professoressa Foa, Cara Senatrice Liliana Segre e caro Pietro Terracina, Carissimi Giovanni Bassanelli, Luigi Lucchini e Francesco Perrone, Care studentesse e cari studenti,
Care e cari docenti,

sono grata dell’invito rivolto al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a partecipare alle celebrazioni del Giorno della Memoria, una data importante del nostro calendario civile. Un momento di riflessione collettiva grazie al quale, anno dopo anno, rinnoviamo la convinzione che il ricordo della Shoah debba essere esercitato quotidianamente e attivamente, in modo consapevole e responsabile, per far sì che nel presente non si ripetano più atroci crimini contro la dignità di donne e uomini. Non dobbiamo pensare di essere distanti da quella furia dissennata che ha permesso a degli esseri umani di costruire una fabbrica della morte per altri esseri umani. Rigurgiti di odio, di antisemitismo, di violenza possono tornare a macchiare le nostre comunità.
E le sono particolarmente grata, Signor Presidente, per la scelta di nominare Senatrice a vita Liliana Segre, una straordinaria donna sopravvissuta ad Auschwitz, che ha impegnato tutta la sua esistenza a tramandare alle giovani generazioni la memoria delle barbarie subite, con l’obiettivo di dare loro strumenti conoscitivi utili a costruire oggi una società giusta e libera. Si tratta di una scelta che ha un grande valore anche educativo, proprio in quest’anno in cui ricorre l’80esimo anniversario dall’emanazione delle leggi razziali. Norme dettate da un odio ingiustificato e ingiustificabile, che hanno generato esclusione, emarginazione e indifferenza negli ambiti più comuni dell’esistenza di donne e uomini. Norme che testimoniano quanto poco possa bastare per calpestare la dignità di una persona. Non siamo immuni da quell’odio. Dobbiamo sapere che è replicabile e che gli unici vaccini in grado di contrastarlo sono la conoscenza, la cultura e l’educazione che superano paure e timori, combattono discriminazioni, sopraffazione e violenza. La scuola è il luogo in cui vogliamo e dobbiamo trasmetterle. In cui educhiamo studentesse e studenti alla cittadinanza attiva, al rispetto di ogni persona e dei suoi diritti, all’accoglienza e all’inclusione delle diversità. Appena qualche giorno fa abbiamo ripercorso, insieme a oltre cento ragazze e ragazzi delle scuole italiane, le rotte dell’odio della Shoah. Lo abbiamo fatto accompagnati da chi quei campi di sterminio li ha abitati, costretto da un potere politico e da un consenso popolare che autorizzavano reati atroci mossi dalla volontà di spogliare di diritti e di dignità bambine e bambini, donne e uomini solo per il fatto di essere “diversi”, di essere ebrei, Rom, Sinti, Caminanti, omosessuali. Il “Viaggio della Memoria”, un’esperienza di conoscenza e di cittadinanza organizzata ormai da anni dal MIUR, apre ogni anno gli occhi, la mente e il cuore a centinaia di studentesse e studenti. Li mette a contatto con la Storia, nei luoghi in cui questa è avvenuta e attraverso il racconto dei protagonisti che l’hanno vissuta. Protagonisti ai quali dobbiamo riconoscenza, come ha ricordato più volte anche Lei, Signor Presidente. È sorprendente vedere quanto le studentesse e gli studenti rimangano colpiti dall’incontro con quelle persone e con quei luoghi, increduli e commossi, ma anche determinati a fare tesoro di un’esperienza preziosa da condividere e rendere proficua al ritorno alla normalità, nella loro comunità di riferimento. La conoscenza ci impone di non voltare la testa mai, di non essere indifferenti, di fare i conti con una pagina tragica del nostro passato.
Un passato atroce di cui è presente traccia anche nella Costituzione italiana, della quale abbiamo festeggiato il 70esimo anniversario. Abbiamo deciso come MIUR di distribuirne una copia a tutte le studentesse e a tutti gli studenti, al rientro dalle festività natalizie: è fondamento della nostra cittadinanza, del senso civico, dell’esercizio dei diritti e dei doveri, dell’essere e sentirsi comunità di donne e uomini uniti da regole e valori condivisi. Deve essere avvertita come familiare dai nostri giovani, deve essere considerata la mappa che ci aiuta ad orientarci e a trovare sempre la giusta rotta. La Costituzione mantiene in ogni parola, in ogni riga il segno della volontà delle Madri e dei Padri Costituenti di impedire una volta per tutte il ripetersi di genocidi e crimini contro l’umanità. Le giovani generazioni devono saperlo e ritrovare il senso della loro cittadinanza democratica in quegli articoli.
L’articolo 3 è straordinariamente esemplificativo. La parola “razza” in esso contenuta, parola che oggi per fortuna ci appare desueta – anche se non dobbiamo far finta di non vedere che viene ancora utilizzata per fomentare odio e divisione all’interno della nostra società -, è stata inserita con un’intenzione ben precisa. Le nostre Madri e i nostri Padri Costituenti hanno dibattuto a lungo sull’opportunità di mantenerla all’interno del testo definitivo. È stato deciso di fare ricorso al termine “razza” per ricordare che nel nostro Paese determinati principi razziali sono stati usati come criterio di discriminazione e per affermare in modo inequivocabile che non esiste alcuna diseguaglianza o supremazia legata alla “razza”, all’etnia, e che tutte le donne e tutti gli uomini fanno parte della stessa umanità.
Distribuendo la Costituzione ai giovani e invitando le scuole a promuovere iniziative di studio e approfondimento su di essa, anche con la collaborazione preziosa dei giudici della Corte Costituzionale, che ringrazio, abbiamo fatto una scelta di campo chiara: una scelta di rispetto e promozione attiva dei diritti e dei doveri. Una scelta che si sostanzia anche dell’attività costante e pluriennale del MIUR da sempre impegnato a promuovere la memoria dei tragici avvenimenti legati alla Shoah. Proprio nella giornata di domenica scorsa, con la Presidente dell’UCEI Noemi Di Segni abbiamo rinnovato l’intesa che ci vede collaborare da anni in questa direzione e, fatto inedito, abbiamo firmato una circolare con il Vice Presidente del CSM Legnini, che ringrazio, per la promozione delle attività di sensibilizzazione e formazione nelle scuole su questi temi di studio e ricerca in collaborazione con i magistrati italiani. Sempre con il CSM, abbiamo annunciato alle scuole che nell’apertura dell’Anno giudiziario presso le Corti d’Appello saranno coinvolte le studentesse e gli studenti. Abbiamo promosso il primo seminario nazionale di formazione dei docenti sui temi dell’integrazione, dell’accoglienza e della lotta al razzismo. Abbiamo costituito il portale nazionale delle buone pratiche, realizzato in collaborazione con l’UCEI, sulle esperienze didattiche più significative. Manderemo nelle scuole le Linee guida nazionali per l’insegnamento della Shoah, per affrontare la materia con correttezza storica ed efficacia didattica. Inoltre si sta lavorando alla produzione e alla diffusione di un cartone animato, “La stella di Andra e Tati”, il primo sulla tematica della Shoah realizzato in Europa, grazie alla collaborazione fra Miur, Rai e Larcadarte, che racconta la storia delle sorelle Bucci, deportate ad Auschwitz-Birkenau nel corso della Seconda Guerra Mondiale, all’età di 4 e 6 anni.
Quest’anno sono tante le ricorrenze che ci consentono di tornare a riflettere sulla natura della nostra convivenza civile. La collaborazione tra diversi soggetti educativi e istituzionali è fondamentale per dare un segnale forte riguardo alla necessità di contrastare qualsiasi genere di discriminazione, sopraffazione e violenza.
La filosofa Hannah Arendt ha detto: “Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla
superficie come un fungo. Esso ‘sfida’ come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale”. La scuola è orientata a fare esercitare il pensiero che va in profondità e vince la superficialità e la banalità del male. Continueremo a lavorare per fare dell’Italia, dell’Europa e del mondo luoghi di rispetto delle differenze e di convivenza pacifica.