Per una Pedagogia trasformativa

Per una Pedagogia trasformativa: riflessioni preliminari

di Valerio Ferro Allodola*

La produzione scientifica nell’ambito delle scienze dell’educazione degli ultimi dieci anni suggerisce – in misura sempre crescente – di concentrare l’attenzione al nesso esistente tra pedagogia e trasformazione, tra formazione e tras-formazione.

Nel nostro Paese l’influenza della teoria trasformativa di Mezirow ha pervaso evidentemente diversi campi del sapere e, in particolare, tutti gli ambiti di ricerca delle scienze dell’educazione (dalla scuola, alla formazione post-laurea e continua in azienda, nei servizi socio-sanitari, ecc.).

Stiamo assistendo, cioè, al tentativo di rendere concretamente applicabili e forse anche “funzionanti” le “learning theory” per i “learners” e i “professionals“.

La portata storica di un simile tentativo è facilmente intuibile: è la pedagogia che – probabilmente in modo profondo e in alcuni casi proficuo – cerca di diventare “strumento” per il cambiamento nei soggetti, nei gruppi, nei contesti, nelle pratiche. Sono proprio questi ultimi che hanno contribuito in misura determinante al sorgere di questa esigenza, proprio perché la formazione e l’educazione devono rispondere – oggi più che mai – alle diverse istanze poste dai vari ambiti del vivere sociale e professionale.

Non è più possibile pensare a una formazione che non sia “in situazione”, che non tenga conto delle caratteristiche specifiche delle comunità di pratiche per cui essa è progettata e in cui ha luogo.

Con il costrutto di “Pedagogia trasformativa” si intende sottolineare quella traiettoria che si interpreta come metodologicamente in grado di produrre conoscenze utili e trasformative e che quindi fa proprie:

  • le teorie dell’apprendimento adulto (Adult Learning) e dell’apprendimento dall’esperienza (Experiential Learning);
  • le teorie dell’apprendimento organizzativo, in particolare riferite alla “coltivazione di comunità di pratica” (Wenger E., McDermott R., Snyder W.M., 2007).

Nell’ambito dell’Adult Learning, si raccolgono le indicazioni della Teoria Trasformativa (Mezirow 2003; Mezirow J., Taylor E., 2011), che evidenzia il ruolo di un apprendimento capace di esercitare una rilettura dei processi e dei contenuti dell’esperienza professionale dei soggetti .

Mezirow definisce l’apprendimento trasformativo “l’epistemologia di come gli adulti imparano a pensare in modo autonomo” (2003), anziché agire sulla base di credenze, giudizi, sentimenti e valori assimilati dagli altri. È possibile trasformare le nostre cornici di riferimento date per scontate quando queste diventano problematiche, emotivamente disponibili al cambiamento ed aperte alla riflessione, in modo da generare credenze ed opinioni che si proveranno più vere e giustificate a guida dell’azione. I punti di vista cambiano quando diventiamo criticamente riflessivi sul contenuto di un problema o del processo di risoluzione di un problema. Gli habitus mentali si trasformano, in definitiva, quando diventiamo criticamente riflessivi sulle premesse di un problema.

Una pedagogia trasformativa intende la formazione non come gestione degli apprendimenti strumentali, ma come validazione dei propri modelli di riferimento trasformandoli da paradigmi culturalmente e inconsapevolmente assimilati a prospettive intenzionalmente assunte, attraverso tecnologie riflessive. Quest’ultime consentono, infatti, ai soggetti e alle comunità di pratiche di riappropriarsi della propria esperienza e della propria storia. L’esperienza lavorativa diventa oggetto del pensiero producendo una formazione consapevolmente critica sull’azione professionale e la costruzione di una competenza in grado di promuovere processi partecipativi, collaborativi e di co-costruzione del cambiamento/innovazione richieste dal mondo delle professioni.

Lo sviluppo professionale è basato, prima di tutto, sulla capacità di riconoscere come pensiamo e questa è la conditio sine qua non per pensare in modo critico.

L’applicazione primaria del pensiero critico nell’Adult Learning è infatti l’apprendimento trasformativo, che ha il compito basilare di trasformare gli schemi e le prospettive di significato precedentemente acquisiti attraverso un apprendimento emancipativo e collaborativo, che sia in grado di mettere in discussione e criticare gli assunti – spesso “distorti” (Brookfield, 2011; Mezirow, 2003) – sui quali si strutturano le conoscenze, validandole attraverso processi di negoziazione dei significati.

Apprendere implica la capacità di elaborare, trasformare ed accrescere interpretazioni già esistenti o di costruirne di nuove mediante la trasformazione degli schemi o delle prospettive distorti tramite quattro fasi:

  • estensione degli schemi di significato;
  • creazione di nuovi schemi di significato;
  • trasformazione dei vecchi schemi;
  • trasformazione delle prospettive.

È la razionalità riflessiva che, valutando in maniera critica i presupposti, le procedure e i risultati del processo di costruzione della conoscenza, offre strumenti concettuali per affrontare diversamente l’elaborazione dei dati, confermando, modificando o perfezionando il significato attribuito in precedenza all’esperienza.

Una pedagogia può definirsi “trasformativa” se è in grado di rispondere alle richieste provenienti dal mondo delle professioni, caratterizzate dalla necessità di gestire la flessibilità, saper affrontare l’imprevisto e l’ignoto, saper confrontarsi e collaborare. A questo è possibile rispondere promuovendo modelli di formazione focalizzati su un accompagnamento delle comunità di pratiche (CdP) verso competenze riflessive, che permettano di accrescere la consapevolezza rispetto all’agire professionale. La particolare valenza epistemologica che riveste l’esperienza consente alla formazione di concentrarsi sui processi di sostegno alla trasformazione dell’esperienza stessa che si apre, in tal modo, al decentramento da sé e a percorsi progettuali originali.

Il costrutto di CdP suggerisce, inoltre, l’idea che ogni pratica generi delle forme di socialità e solidarietà, le quali, a loro volta, sostengono i processi di apprendimento individuale e collettivo. La CdP – rovesciando l’assunto di senso comune per cui l’apprendistato si fonderebbe su una relazione diadica tra maestro (esperto) e allievo (novizio) – tematizza il fatto che l’apprendimento graduale di una competenza esperta si basa su un processo sociale di partecipazione ad una pratica, che configura un set complesso di relazioni tra novizio e altri membri del gruppo, tra novizio e pratica e tra novizio e cultura del gruppo. E’ quello che Lave e Wenger (2006) definiscono “partecipazione periferica legittimata” (legitimate peripheral partecipation).

Il novizio, cioè, inizia a rapportarsi con i saperi e le pratiche della comunità nella quale è inserito e di cui sono depositari i membri anziani (esperti) per acquisirli ed essere riconosciuto come membro legittimo. Il graduale passaggio da membro periferico a membro centrale è il prodotto non solo dell’expertise tecnica acquisita nel tempo, ma anche di quel sapere tacito (consuetudini, linguaggi, rituali, tradizioni, cultura) che qualifica il gruppo come contesto sociale di apprendimento per il novizio (Lipari, 2010; Wenger E., McDermott R., Snyder W.M., 2007).

Le aziende, ad esempio, hanno sempre più necessità di comprendere quali conoscenze possono fornire loro un vantaggio competitivo, potenziarle nelle azioni concrete e diffonderle nell’organizzazione. Coltivare comunità di pratica diventa, dunque, un modo concreto per gestire le risorse conoscitive con la stessa sistematicità con cui le imprese gestiscono altre risorse. Se è vero che ogni comunità di pratica è potenzialmente riflessiva – a condizione di essere sostenuta da una razionalità che supporta e sviluppa le competenze trasformative dei professionisti – l’obiettivo di fondo della formazione è quello di promuovere apprendimenti trasformativi attraverso la progettazione di traiettorie di partecipazione.


* Ateneo Telematico “eCampus”, Milano

Riferimenti bibliografici

Brookfield S. (2011). Teaching for critical thinking: helping students question their assumptions. San Francisco CA: Jossey-Bass.

Lipari D. “La comunità di pratica come contesto sociale di apprendimento, di produzione e di rielaborazione delle conoscenze”, in Benadusi M. (2010) (a cura di), Antropomorfismi. Traslare, interpretare e praticare conoscenze organizzative e di sviluppo. Rimini: Guaraldi.

Mezirow J. (2003). Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti, tr. it.. Milano: Raffaello Cortina.

Mezirow J., Taylor E. (2011) (Eds.) (pp. 160-171). Transformative learning in practice: Insights from community, workplace, and higher education. San Francisco: Jossey-Bass.

Wenger E. (2006). Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità. Milano: Raffaello Cortina.

Wenger E., McDermott R., Snyder W.M. (2007). Coltivare comunità di pratica. Prospettive ed esperienze di gestione della conoscenza. Milano: Guerini e Associati.

Per l’approfondimento e la ricerca

Argyris C., Schön D.A. (1998). Apprendimento organizzativo. Teoria, metodo e pratiche. Milano: Guerini e Associati.

Bruni A., Gherardi S. (2007). Studiare le pratiche lavorative. Bologna: Il Mulino.

Schön D.A. (2006). Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e dell’apprendimento nelle professioni, tr. it. Milano: FrancoAngeli.

Schön D.A. 81993). Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, tr. it. Bari: Dedalo.

Striano M. (2001). La razionalità riflessiva nell’agire educativo. Napoli: Liguori.