La mia didattica laboratoriale

La mia didattica laboratoriale

di Patricia Tozzi

Le ragioni di una “didattica laboratoriale” da adottare nelle nostre scuole sono molteplici, anche e soprattutto perché si tratta di una didattica vincente. E non lo dico io. Sul sito dell’Indire leggiamo: “La metodologia del laboratorio è un approccio che dà spazio ad un potenziamento dell’offerta formativa della scuola e nella quotidianità scolastica, incentiva un atteggiamento attivo nei confronti della conoscenza sulla base della curiosità e della sfida. La didattica laboratoriale comprende qualsiasi esperienza o attività nella quale lo studente riflette e lavora insieme agli altri, utilizzando molteplici modalità apprenditive, per la soluzione di una situazione problematica reale, l’assolvimento di un incarico o la realizzazione di un progetto. Lo sviluppo di competenze e l’apprendimento concreto sono risultati di un percorso pratico, di riflessioni fatti sul proprio agire e in conseguenza di una interiorizzazione del processo di apprendimento sperimentato”. In effetti, come sostiene Giuseppe Giusti in un noto epigramma inviato a Gino Capponi, “Gino mio, l’ingegno umano partorì cose stupende, quando l’uomo ebbe tra mano meno libri e più faccende”. Insomma, se nel rapporto tra il sapere e il fare, il sapere vuole farla da padrone, il fare viene meno.

Ovviamente in tempi di corona virus e di didattica a distanza, l’assenza dell’aula, delle aule laboratorio e, soprattutto del contatto vis a vis docente/alunni, rendono di difficile attuazione una didattica laboratoriale. Che, a giudizio di tutti, è sempre quella vincente. Una didattica che io, insegnante di matematica e scienze nella scuola media, oggi in pensione dal settembre 2017, di fatto ho sempre adottata. Al proposito ho ritrovato alcuni appunti che mi piace riproporre. E proprio oggi, in tempi di corona virus, in cui sembra dominare un’altra didattica, quella “a distanza”, la quale per altro, se concretamente attuata, poco o nulla dovrebbe togliere a quella in presenza. Ovviamente, ad alcune condizioni che non sono materia di queste mie riflessioni. Anche perché oggi una “didattica laboratoriale”, in tempi di corona virus è una didattica impossibile.

Procedo con i miei ricordi. Come fossero realtà! I miei alunni del corso D dell’Istituto Comprensivo “Leonardo da Vinci” di Roma sono stati coinvolti nell’intero triennio in un percorso laboratoriale che riguarda lo studio della matematica e delle scienze. Ho chiamato il mio progetto “TUTTO A SCUOLA”, perché i miei alunni lavorano solo a scuola e, grazie a questa metodologia laboratoriale, riesco a ottenere straordinari risultati senza che io debba assegnare, se non in casi rarissimi, i tradizionali “compiti a casa”. Ho capovolto l’azione didattica con una didattica “rovesciata” che mette al centro l’alunno, il quale costruisce in itinere in aula il suo percorso di apprendimento.

Non c’è la lezione frontale di una certa cattiva tradizione, non ci sono compiti aggiuntivi oltre l’orario scolastico: si lavora in laboratorio, in aula, in gruppo; l’apprendimento è fortemente cooperativo e condiviso. Una metodologia che il mio amico, l’ispettore Maurizio Tiriticco, ama definire dell’“insegnante muto”. O meglio che poco parla, ma molto fa e fa fare. Perché in effetti, un po’ “muta” sono anch’io, quando assisto ai lavori dei miei alunni in aula. Perché sono loro che apprendono lavorando. Il mio “fare” è un sostegno, una sollecitazione, una guida, una correzione quando necessita. In effetti non voglio che loro credano che io sia depositaria della verità. Il vero si scopre, non viene proposto, tanto meno imposto! Basti pensare alla lezione cattedratica! “Io sono il verbo”: sembra dire l’insegnante!No! Io sono per la metodologia dell’”insegnante muto”.

Il mio progetto è molto diverso dalle ormai famose FLIPPED CLASSROOM e da tutti quei metodi che prevedono che sia il docente a preparare e mettere on line il materiale che poi gli alunni debbano studiare a casa. I miei alunni studiano a scuola e sono veramente bravi!

L’ambiente in cui operiamo può essere l’aula, se l’attività non richiede particolari attrezzature; comunque, può essere anche qualsiasi laboratorio attrezzato (aula Lim, laboratorio multimediale, laboratorio scientifico, biblioteca, ecc.) e può essere variato durante l’anno a seconda delle esigenze e di ciò che è stato programmato. In questo laboratorio si progetta, si sperimenta, si ricerca e tutti esercitiamo la nostra creatività. Io stessa mi sono ritrovata a guidarli a produrre inviti, volantini, brevi articoli, addirittura bellissime poesie!!! In tal modo ogni attività è fortemente personalizzata, ma anche condivisa nel gruppo, perché consente a ciascun allievo di acquisire un metodo di lavoro personale e di utilizzare le sue attitudini e la sua personale intelligenza.

La motivazione, la curiosità, il metodo della ricerca, l’uso di uno stile cognitivo piuttosto che un altro permettono agli alunni di costruire un percorso individuale mediato poi con il gruppo. Le ricerche vengono tutte fatte a scuola, nel laboratorio informatico, dove vengono anche letti libri, articoli di giornale. Viene usato materiale che documenta il lavoro svolto dagli alunni negli anni precedenti e che è diventato una ricca fonte di documentazione. I concetti vengono rielaborati, sintetizzati; il confronto fra gli alunni e con me è continuo. L’approccio ad internet è fortemente controllato, programmato, guidato e procede per gruppi. Non lascio mai che l’intera classe vada contemporaneamente in internet, non potrei controllare tutto; l’organizzazione prevede che i gruppi possano accedere un quarto d’ora/venti minuti a turno secondo quanto programmato (ad esempio i gruppi della prima fila il primo quarto d’ora, i gruppi della seconda il secondo quarto d’ora e così via…).

Nella mia carriera non ho mai assegnato ricerche da fare a casa: le ritengo inutili e distraenti. In realtà, quando sono condotte nel laboratorio informatico o con la Lim, generano curiosità, motivazione e apprendimento. E non si riducono al solito copia/incolla, perché necessitano di rielaborazione continua e di sintesi.

Penso, tuttavia, che occorre intendersi meglio sul significato di “insegnante muto”. Nella mia esperienza alterno momenti di breve lezione a momenti di interlocuzione con i gruppi, a momenti di osservazione dei processi. Il primo quarto d’ora è, di solito, un brainstormingdi riflessione, durante il quale io guido e modero gli interventi per costruire con gli alunni una mappa concettuale. Poi loro lavorano e io faccio il tutor.

Il lavoro svolto viene salvato su chiavette usb che rimangono sempre a scuola e alla fine dell’anno tutti i prodotti che sono il risultato di un anno di apprendimento, e sui quali sono stati condotte verifiche orali e scritte, vengono illustrati ai genitori e a tutti quelli che vogliono partecipare, che possono fare domande e sentono e vedono per la prima volta parlare i loro figli in modo diffuso su un dato argomento. I genitori non hanno mai visto studiare a casa i propri figli e rimangono strabiliati dalle loro capacità di comunicare, argomentare, confrontare e rielaborare e soprattutto dalla loro creatività, che viene sintetizzata in power point straordinari o in progetti di ricerca sul territorio elaborati con la statistica e spiegati in quel contesto.

Tutto il lavoro, svolto a scuola, diventa un bellissimo e sintetico “libro di testo”, con i contenuti essenziali relativi al programma di quell’anno, oppure un testo divulgativo e creativo, divertente ed originale, sulla storia della matematica e delle scienze, punto di partenza per la trattazione approfondita di alcuni argomenti. Se, ad esempio, parliamo di Archimede, approfondiremo poi le leve, il principio di Archimede ecc. Se parliamo di Newton, parleremo della luce, della gravitazione universale, dei principi della dinamica, ecc. Nella classe terza spesso introduciamo un percorso statistico di ricerca sul territorio inerente sempre agli apprendimenti da promuovere.

Questa attività laboratoriale l’ho pensata inizialmente soprattutto per motivare gli alunni con qualche difficoltà, in particolare gli alunni con Bisogni Educativi Speciali, perché progetti mirati permettono la personalizzazione degli apprendimenti e ogni alunno fa ciò che può con quello che sa e apprende facendo.

Ho superato da tempo l’organizzazione rigida della classe e la concezione trasmissiva dell’apprendimento che, nelle nostre scuole, è ancora invece prevalente. Io taccio e osservo ma, lo confesso, non è stato semplice accettare una classe non muta ma vivace e dialogante! Il lavoro di gruppo non è quasi mai silenzioso.

Va, secondo me, superata la concezione trasmissiva dell’insegnamento, che dà maggiore sicurezza agli insegnanti, ma non consente di cogliere tutti quei processi in cui gli alunni sono coinvolti. Il dialogo, il confronto continuo sono alla base della mia “classe rovesciata” e in questo sono certamente più “muta” di prima. La mia classe è un osservatorio privilegiato anche delle competenze di cittadinanza, che gli alunni via via acquisiscono; l’interlocuzione è continua e anche io mi immergo in una affascinante avventura di ricerca, non finisco mai di imparare e di stupirmi della bravura dei miei alunni.

Alla fine dell’anno i miei alunni costruiscono il loro prodotto finale, un bellissimo libro di testo che rimarrà sia in formato Word o Power point che in formato cartaceo ed avranno acquisito, oltre che competenze disciplinari, anche competenze trasversali e di cittadinanza attiva: hanno imparato a imparare, comunicano correttamente i risultati del loro lavoro, hanno conoscenze matematiche, scientifiche e tecnologiche, competenze digitali, sociali e civiche (imparano a confrontarsi e a rispettare le opinioni, a gestire i conflitti) e imprenditoriali (sanno fare un progetto e portarlo a termine nei tempi previsti).

In matematica, dopo l’inevitabile spiegazione, lavorano in gruppi eterogenei, anche fuori dall’aula (se un alunno si assenta, ha un quarto d’ora di recupero della attività svolta nelle lezioni precedenti da parte di un compagno) e uso molto il peer-tutoring perché i più portati fanno da guida a quelli con intelligenze di tipo diverso. E i risultati sono sempre estremamente positivi. Qualche compito a casa talvolta viene assegnato per consolidare alcuni percorsi, ma è tutto organizzato per un giorno settimanale concordato con i genitori ad inizio anno. Quando assegno i pochissimi compiti, i ragazzi sanno che sono obbligatori.

La lezione di matematica comincia con l’esposizione degli obiettivi che si intendono raggiungere e alla fine della lezione si ripercorrono gli obiettivi prima enunciati e gli apprendimenti conseguiti, per verificare se sono stati raggiunti.

Il venerdì si riepilogano obiettivi e contenuti trattati durante la settimana. S appositi fogli di sintesi, che consegno a genitori e alunni all’inizio dell’anno, sono indicati i nuclei fondanti della matematica e delle scienze.L’apprendimento in verità è un percorso a due sensi: tanto imparano gli alunni e altrettanto imparo io continuamente da loro.

E’ per me bellissimo vederli lavorare curiosi e motivati, vederli ricercare, creare e inventare interviste immaginarie, costruire i loro libri. Mi diverto e mi rimotivo anch’io ogni volta, e questo è uno degli aspetti più belli dell’insegnamento: fare insieme un percorso di crescita, confrontarsi, imparare e sorridere molto insieme. Cerco sempre di lasciare la loro creatività intatta. Ci sono testi più approfonditi e testi più semplici e superficiali. Ma i ragazzi sono assai diversi, per cui ognuno va motivato e valorizzato per le sue caratteristiche.

Questa è in estrema sintesi la mia DIDATTICA LABORATORIALE. Che amo moltissimo, anche se molto faticosa! E sulla quale ormai da anni conduco con gli insegnanti attività di aggiornamento… pardon, di “formazione continua in servizio”! Attività che svolgo con piacere e, ritengo, con successo. Dalle Alpi alle Piramidi: come su suo dire. Si tratta di quella formazione che, secondo l’articolo 1, comma 124, della legge 107/2015 viene definita “obbligatoria, permanente e strutturale”. Anche se successivamente la Nota 2915/2016, che ha fornito le necessarie indicazioni di carattere operativo, ne ha attenuato l’obbligo.

Ma in un oggi difficile ed un domani forse più difficile, io ci sono! Con la mia esperienza e con la mia buona volontà!