PSICOdizioRADIO

“PSICOdizioRADIO”: il dizionario per parlare (in modo corretto) di salute mentale

Redattore Sociale del 07/03/2021

Con l’aiuto dei redattori di Psicoradio proviamo a diffondere maggiore consapevolezza sulle parole che riguardano la salute mentale. Brevi pillole da ascoltare, con un dizionario dalla A alla Z sul disagio psichico. Eccoci fino alla lettera P di Psicosi.

BOLOGNA.  A come Atti mancati, B come Bullismo, C come Contenzione… e poi agorafobia, tricotillomania, peladofobia, dismorfofobia, ma anche depressione, raptus e zoomania. Tornano i podcast della Psicoradio, radio di Bologna fatta da pazienti psichiatrici, che dopo “le Finestre” lancia un nuovo format: uno Psicodizionario, o meglio lo “PSICOdizioRADIO”, brevi pillole audio per raccontare il significato di alcune parole che hanno a che fare con il mondo della psiche, termini usati e abusati, scientifici o inventati, accurati o stereotipati.
“Nella vita quotidiana ci imbattiamo spesso in termini che evocano il mondo della psiche; a volte strani, spesso generici, altre volte troppo specialistici – scrive la redazione di Psicoradio -. Ci sono diagnosi, come depressione, nevrosi o schizofrenia, che sono evase dal campo ristretto della salute mentale, e oggi sono sulla bocca di tutti, utilizzate in modo superficiale per indicare comportamenti e stati d’animo. Altri termini, come matto, pazzo, handicappato, sono usati spesso per offendere. Del significato di alcuni termini, poi, abbiamo solo idee vaghe e a volte inquietanti, ma non vogliamo ammetterlo. E infine ci sono parole che vorremmo sentire più spesso quando si parla di salute mentale: empatia, indipendenza, sensibilità, lavoro, diritti”.
L’obiettivo di questa serie di podcast è quella di diffondere maggiore consapevolezza sulle parole che riguardano la salute mentale, attraverso brevi pillole di comunicazione e cultura realizzate da persone “esperte per esperienza”, pazienti psichiatrici che sul tema del disagio psichico riflettono ormai da anni, sempre con un occhio giornalistico.

P come Psicosi
Una storia verosimile, ma non vera, costruita partendo da dati reali. La lettera P dello “PSICOdizioRADIO” parla della psicosi. Avete mai sentito parlare di persone che si possono credere coinvolte in situazioni che vedono in televisione? Oppure di chi si sente minacciato o perseguitato come se fosse la vittima di un complotto o di un attentato? “Con il termine psicosi – racconta la psichiatra Angela Tomelli del Dipartimento di Salute Mentale di Bologna – si fa riferimento a una serie di malattie psichiche caratterizzate da alcuni elementi comuni. Uno di questi, forse il più importante, è l’alterazione dell’esame di realtà”. Molti sono i sintomi e i segnali da osservare, per sospettare il nascere di un disturbo psicotico: eccessivo ritiro sociale, sensazioni di panico, scene di mutismo, insonnia, ansia molto forte. “È importante essere pronti all’ascolto di chi comincia ad avere segnali disturbo psicotico – sostiene la dottoressa Tomelli – e chiedere un aiuto, anche solo al medico di base”. Infatti, a differenza di quanto si pensa, guarire da un disturbo psicotico è possibile: servono cure farmacologiche che possono alleviare i sintomi, ma sono necessarie anche cure relazionali, per cercare di fare emergere quelle capacità emozionali e affettive che la malattia ha momentaneamente nascosto.

Riascolta tutte le puntate dello “PSICODizioRADIO” di Psicoradio.

A come Atti mancanti
“Ho dimenticato ancora una volta il badge per entrare in ufficio”. “Lo conosco benissimo, ma non ricordo mai il nome”. “Mi sono chiusa di nuovo fuori di casa”. Nella prima puntata dello “PSICOdizioRADIO”, i redattori raccontano dimenticanze, lapsus, “errori” di memoria che sono alla base di questi nostri piccoli slittamenti della ragione. Questi “atti mancati” però non mancano mai nell’obiettivo di rivelarci aspetti del nostro inconscio, se solo ci fermiamo ad analizzarli, magari con qualche aiuto. Già alla fine dell”800 Freud aveva iniziato ad occuparsi dei meccanismi psichici che stanno alla base del fatto che, per esempio, non si riesca a ricordare qualcosa che sarebbe invece normale ricordare: così è nato il suo notissimo”Psicopatologia della vita quotidiana”, che Psicoradio ha saccheggiato per questa puntata. Ma forse la considerazione più notevole sta nell’introduzione di questo vecchio libro di Freud: nelle persone cosiddette “normali” funzionano – in misura molto più limitata e circoscritta, e con meno conseguenze per la vita – gli stessi processi che danno luogo a sintomatologie più gravi in persone con disturbi psichici diagnosticati. Insomma, è una questione di gradi, non ci sono barriere divisorie, e le modalità di funzionamento dell’apparato psichico sono identiche nel nevrotico e in ciascuno di noi, anche di chi vuole considerarsi “normale”.

B come Bullismo
“Hanno cominciato a spintonarmi all’uscita da scuola: io cadevo e ad ogni caduta erano risate. Quelle risate me le porto ancora dentro e per molto tempo le ho interpretate come l’unico giudizio che gli altri potessero avere di me”. La lettera B dello “PSICOdizioRADIO” è l’iniziale di “bullismo”: una prevaricazione nei confronti di un coetaneo, che scava nell’identità della persona che la riceve. Il ripetersi degli episodi, la perdita dei contatti con gli amici, la perdita di autostima, si intrecciano in una spirale che si autoalimenta nella solitudine e nell’insicurezza, che in alcuni casi può sfociare anche nel suicidio della vittima. In questa puntata, ascoltiamo alcune ragazze che hanno subito bullismo molti anni fa: dopo averci riflettuto a lungo, hanno cercato di superare i traumi, a volte con un aiuto psicologico. “È la dimostrazione come non si possano liquidare gli episodi di bullismo come ragazzate – scrivono i redattori della Psicoradio -. Gli occhi vanno tenuti sempre aperti, e le orecchie pronte all’ascolto di grida d’aiuto che spesso, proprio a causa della spirale in cui i ragazzi cadono, rischiano di diventare sempre più flebili”.

C come Contenzione
Si scrive “contenzione”, si legge “legare”. Nella nuova puntata dello “PSICOdizioRADIO”, i redattori della Psicoradio di Bologna parlano di questo particolare atto, che nasce con l’obiettivo di limitare i movimenti di un individuo. A parlare è Giovanna Del Giudice, psichiatra, che in tutta la sua carriera si è sempre battuta contro questa pratica, che di fatto “viola il diritto costituzionale al libero movimento”. Del Giudice descrive alcuni dei molteplici modi che si usano per bloccare le persone. Di solito si pensa che la contenzione consista solamente nel legare una persona al letto: questo però è solo il “più classico dei metodi”, quello usato spesso per gli anziani, si dice per timore che possano cadere o farsi male. La verità però è che si impedisce il movimento, e quindi si agisce contro la libertà, anche nei reparti con le porte chiuse, con le finestre sbarrate, con i giardini inaccessibili. Per Giovanna Del Giudice il giudizio è netto: “Legare è illegale ed è una violenza. Bisogna saperlo e bisogna dirlo”. Secondo i redattori della Psicoradio, quindi, “nessun medico che decida di legare può ritenersi assolto. In tutti i settori, e nella salute mentale in particolare, è compito del medico e di tutti coloro che si prendono cura del malato riuscire a capire il dolore della persona, mettere in campo tutte capacità relazionali per impedire che chi sta male si faccia del male e faccia del male. Al dolore non è possibile rispondere con la violenza”.

D come Disturbo di personalità borderline
Esistono sensibilità forti, patologiche. Ci sono persone che è come se avessero uno strato di pelle più sottile delle altre: spesso vogliono attenzione, vogliono piacere, sono molto seduttive, ma rischiano di esporsi troppo alle delusioni e basta uno sguardo per colpirle, per farle stare male. E a volte si fanno male da sole. Nella quarta puntata dello “PSICOdizioRADIO”, i redattori della Psicoradio parlano del disturbo di personalità borderline e intervistano la psichiatra Maria Grazia Beltrami, che coordina un progetto sui disturbi di personalità per l’Ausl di Bologna in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna. Beltrami descrive ciò che sente chi soffre di questo disturbo: una patologia che denota una grandissima sensibilità, dalla quale si può guarire, e che in Italia non viene mai diagnosticata prima dei 18 anni, per essere certi che non si tratti di un periodo transitorio di crescita.

E come Empatia
Cosa succede quando una persona che dovrebbe prendersi cura di te, che dovrebbe accoglierti, ti tratta con estrema freddezza? Umberto Galimberti, nel Dizionario di psicologia, descrive l’empatia come la “capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo”. Ma quanto è difficile mettersi nei panni di qualcun altro? Comprenderne il dolore? In questa puntata dello “PSICOdizioRADIO”, i redattori della Psicoradio raccontano il proprio rapporto con questa particolare emozione. Per alcuni l’empatia che si è creata con alcune persone era solo illusoria: è successo a Vincenzo, con un suo ex professore di università, e a Gian Maria nel suo rapporto con una psicologa. Barbara, ha invece avuto la fortuna di incontrare un’infermiera empatica e comprensiva, che l’ha aiutata in un momento molto difficile. Coltivare l’empatia dovrebbe essere al centro del rapporto tra paziente e curante. Per lo psichiatra e psicanalista Eugenio Borgna, la relazione tra i due non si può trovare nella diagnosi né nella cura in sé, ma nell’atteggiamento di ascolto della sofferenza, un’esperienza che accomuna tutti gli esseri umani.

F come Film
Tensione, eccitazione, terrore: la visione dello stesso film può suscitare negli spettatori le più differenti reazioni psicologiche. In questa puntata i redattori della Psicoradio raccontano il proprio rapporto con il mondo del cinema. A partire da Dogville di Lars Von Trier, che ha provocato emozioni forti e molto contrastanti: una risata catartica quasi isterica, un senso di oppressione che si è sciolto in un pianto, il desiderio impellente di andarsene a metà film. Dai primi anni del Novecento, gli effetti del cinema sono stati indagati dalla psicologia, che intuiva la capacità delle immagini filmiche di creare connessioni con l’inconscio dello spettatore. Dall’altro lato, molti registi hanno saccheggiato la psicanalisi per le loro sceneggiature. Del resto, cinema e psicoanalisi sono nati praticamente insieme, a fine Ottocento, e da allora sono cresciuti intrecciandosi in una relazione molto profonda: non a caso, Hollywood è sempre stata definita “La fabbrica dei sogni”.

G come Guaritore
Chi è un guaritore? E come viene visto nelle culture di diversi paesi? La lettera G è l’iniziale di “guaritore”: in Occidente il termine viene usato spesso in senso dispregiativo, per persone di dubbio sapere, quando non veri e propri ciarlatani. In altre culture invece il guaritore ha un ruolo molto importante. È un mediatore con la divinità, e grazie a questa mediazione può portare la guarigione, scrive l’etnopsichiatra e antropologo Roberto Beneduce nel suo Breve dizionario di etnopsichiatria. Nella biografia del guaritore c’è spesso una vicenda di grande sofferenza, interpretata come prova della sua capacità di guarire perché testimonianza di una sua vicinanza alla morte e delle sorgenti divine del suo potere terapeutico. Faustin Afatrack, di cultura Bantu e immigrato in Italia dall’Africa centrale, fondatore di una radio per migranti, ricorda il padre guaritore e l’importanza del rituale: “Quando mio padre riceveva un paziente non poteva farlo sempre e dovunque, tutto doveva essere nella condizione giusta. Lui diceva che è il primo impatto che guarisce al 40 per cento. E il rituale è molto importante”.

H come Hikikomori
Avete mai desiderato rinchiudervi nella vostra cameretta e non uscirne più? Agli Hikikomori succede. Il termine è stato coniato per la prima volta negli anni ’80 da uno psichiatra giapponese, e indica persone che hanno la tendenza a ritirarsi, rinchiudersi, isolarsi. Per capire qualcosa di più su questo fenomeno, abbiamo intervistato Hiroaki Hambo, infermiere e assistente sociale giapponese, che descrive la situazione nel suo Paese, dove quella dei “ragazzi rinchiusi” è una vera e propria emergenza sociale. Insieme a lui c’è Yuri Ywasaki, studentessa universitaria, che in passato è stata una Hikikomori e che racconta la sua esperienza. Infine Elena Carolei, presidente dell’associazione “Hikikomori Genitori Italia” spiega quali sono i sintomi che devono allarmare e qual è la tendenza del fenomeno nel nostro Paese.

I come Invidia del pene
Che cos’è la cosiddetta “invidia del pene”? Esiste davvero, o è solamente una costruzione sociale? La lettera I dello “PSICOdizioRADIO” è dedicata proprio alla teoria dell’invidia del pene, elaborata da Freud a partire dal 1905. I redattori della Psicoradio raccontano che, secondo Freud, questo sarebbe un elemento determinante, ineliminabile, della vita psichica della donna. L’invidia del pene nascerebbe quando la bambina, vedendo un maschietto, si accorgerebbe della propria “inferiorità organica”: non percepirebbe l’assenza del pene semplicemente come una differenza, ma come una mancanza, il marchio di un’evirazione. “Con il riconoscimento della ferita inferta al suo narcisismo, si produce nella donna – quasi fosse una cicatrice – un senso di inferiorità”, scrive Freud, che lascerà tracce incancellabili nel suo sviluppo e nella formazione del suo carattere. E da lì che si costituisce per Freud la differenziazione tra i due sessi, uno più forte (quello maschile) e uno più debole (quello femminile). A partire dagli anni Sessanta del Novecento, la teoria dell’invidia del pene è stata duramente contestata da alcune psicanaliste e dal movimento femminista, che ha accusato Freud di avere fatto confusione tra biologia e cultura, e di avere santificato l’oppressione patriarcale considerandola invece una legge inevitabile della biologia. E allora viene un dubbio: non è che Freud avesse – inconsciamente! – paura del fatto che le donne arrivassero a ribaltare questa concezione di superiorità maschile stratificata da tanti secoli? O che per caso Freud, quando ha elaborato la teoria dell’invidia del pene, soffrisse in realtà -inconsciamente! – di una potente invidia?

L come Ludopatia
La ludopatia è la persistente incapacità di gestire e resistere all’impulso di attuare comportamenti legati al gioco, in particolare alle scommesse. Nei manuali diagnostici si parla di “disturbo da gioco d’azzardo”. Ma, da un punto di vista linguistico, l’Accademia della Crusca estende il termine ludopatia a una serie più ampia di comportamenti di gioco patologici: non si parla quindi solo di lotto, gratta e vinci o slot machines, ma anche di videogiochi e altri intrattenimenti, arrivando ad esempio agli scacchi. Il discrimine non è quindi necessariamente la brama di una vincita in denaro. I redattori della Psicoradio analizzano quindi i comportamenti legati alla ludopatia, rilevando che è l’atteggiamento nei confronti del gioco che deve far preoccupare. Infatti il gioco, che di per sé non è una patologia, può diventare un’autentica dipendenza, anche se “sine substantia”, ovvero senza sostanza. E come tutte le dipendenze, anche questa produce effetti seriamente invalidanti sulle relazioni sociali o sulla salute. Per questo, la ludopatia, come le altre dipendenze, non deve essere sottovalutata, ma tenuta sotto controllo e curata, rivolgendosi ai Sert.

M come Musicoterapia
Ascoltare musica, suonare uno strumento, scrivere o cantare una canzone: la musicoterapia lavora in modo sistematico per rendere il suono uno strumento di cura. Per Galimberti, ad esempio, con la musicoterapia “si utilizza la musica nel suo aspetto creativo, esecutivo e di ascolto, sia per il suo valore catartico sia per quello espressivo, che si rivela particolarmente idoneo per esternare vissuti difficilmente traducibili nel linguaggio verbale”. I redattori della Psicoradio approfondiscono il tema intervistando la musicoterapista Ombretta Gentile, che spiega come la musicoterapia sia un insieme di discipline mediche in cui la musica viene usata a discrezione del terapeuta tanto in maniera attiva (suonando, facendo musica) quanto in maniera ricettiva (attraverso l’ascolto), confrontandosi con il paziente sui contenuti emotivi dell’esperienza. La musicoterapia è particolarmente efficace per risolvere problemi di comunicazione, e viene usata in casi anche gravi e non solo in ambito psichiatrico: ne possono trarre giovamento, ad esempio, i malati di Alzheimer, le madri nel periodo pre e post parto o i giocatori patologici. Tutto della musica può essere strumento di cura, e inconsapevolmente ognuno di noi ne fa esperienza in maniera quotidiana: l’intensità del suono può aiutarci a placare una rabbia violenta, alcune melodie ci fanno entrare in connessione con il nostro dolore, il contatto fisico con le corde della chitarra, che pizzichiamo mentre suoniamo, ci rilassa. La musicoterapia è questo e molto altro. Ma, attenzione, avverte la dottoressa Gentile: “Non è l’equivalente di imparare a suonare uno strumento musicale. È molto di più”.

N come Negazione
“La persona del sogno non è certo mia madre!”. Nel 1925 Freud, in apertura del suo saggio intitolato “La negazione”, ricorda questa affermazione fatta da un paziente, assieme a un’altra: “Non è mia intenzione dire qualcosa di offensivo!”. Entrambi esempi di quelle dichiarazioni che, in modo inconscio, significano in realtà il contrario di ciò che abbiamo per un attimo pensato. Questa nuova puntata parla della negazione, il meccanismo di difesa – inconscio – con il quale una persona gestisce pensieri, idee disturbanti o angosciose affermando esplicitamente il contrario del contenuto angoscioso. Per esempio, dice “Non sono arrabbiato” quando invece i suoi toni o i segnali non verbali denotano evidente aggressività. Nella negazione, insomma, le persone possono affrontare una percezione o un pensiero che li disturba o li angoscia, solo se contemporaneamente lo negano. Di questo discutono i redattori della Psicoradio, raccontando che Freud ha studiato a fondo questo meccanismo, da una parte come necessità di esprimere qualcosa che è nel nostro inconscio, ma anche come modo per disapprovare, consapevolmente, quanto – almeno per un attimo, in libertà – è stato pensato. Solo che questo veloce pensiero che mi è passato per la mente non mi piace affatto. E torna in mente il detto popolare “Qui lo dico e qui lo nego!”

O come Outsider art
“Outsider art”, o arte irregolare, o art brut: sono i termini utilizzati per indicare le opere create da persone che non hanno avuto un percorso di formazione tradizionale in campo artistico, e sono al di fuori di scuole o movimenti. L’outsider art è spesso utilizzata per indicare anche le opere prodotte da persone con disagio psichico. L’arte irregolare è quasi sempre al di fuori del mercato dell’arte ufficiale. Con gli anni, la correlazione tra outsider art e disagio psichico è diventata sempre più sottile: come viene percepita oggi? E quanto è effettivamente corretto escluderla dall’arte ufficiale? il professore di psicologia dell’arte all’università di Bologna Stefano ferrari, spiegando ai microfoni che cos’è l’outsider art, afferma che “parlando di arte irregolare si finisce sempre per parlare delle irregolarità nella sfera psichiatrica. Non è l’unica, però si tratta sempre di persone che qualche marginalità ce l’hanno o che la vogliono avere”. C’è chi invece ha cercato di elidere il confine tra il mercato dell’arte ufficiale e l’arte irregolare. Massimiliano Gioni, curatore della 55° Biennale d’arte di Venezia, ha voluto rimuovere ogni tipo di distinzione esponendo opere di circuiti ufficiali insieme ad opere create in manicomi, carceri, luoghi solitari. Spiegando le motivazioni che hanno portato a fare questa scelta, Gioni infatti afferma che “tutti sono uguali, perché tutti stanno cercando di dare un senso al mondo, di trasformare le immagini in strumenti per conoscere se stessi e parlare con altri esseri umani. Quella è la natura e la magia dell’arte e quello lo può fare chiunque”.”

P come Psicosi.