Concorso riservato

Concorso riservato: rimanere col cerino in mano

di Mario Maviglia

Con DM 107 dell’8 giugno 2023 il MIM ha definito la modalità di partecipazione al corso intensivo di formazione e della relativa prova finale per dirigente scolastico ai sensi dell’art. 5, commi da 11-quinquies a 11-novies del decreto legge 29 dicembre 2022, n. 198 convertito con modificazioni con la legge 24 febbraio 2023, n. 14. Fuori dal burocratese, si tratta del “concorso” riservato per coloro che nell’ultima edizione del concorso per DS del 2017 non hanno superato la prova preselettiva, oppure non hanno superato la prova scritta oppure quella orale e abbiano proposto ricorso tuttora pendente.

​Sempre fuori dal burocratese, si tratta di una vera e propria “sanatoria”, anche se, ovviamente, l’Amministrazione non utilizzerà mai questa espressione, ma quella – molto più politicamente corretta e socialmente accettabile – di “prevenire   le   ripercussioni sull’Amministrazione dei possibili esiti dei contenziosi pendenti  in relazione al predetto concorso.” In altre parole, si ammanta sotto una coltre di discutibile interesse pubblico quello che è un costume (anzi, malcostume) tipico di un certo modo di intendere la gestione della cosa pubblica: la sanatoria, l’aggiramento delle regole esistenti, magari per avvantaggiare qualche particolare categoria di elettori, o gli amici degli amici. Nulla di nuovo sotto il sole: basti vedere le varie e ricorrenti sanatorie a favore di chi in Italia non paga le tasse.

​È un messaggio devastante che viene dato ai cittadini e, nella fattispecie, al mondo della scuola, ossia: non ha senso studiare o prepararsi seriamente al concorso tanto ci sarà – in un modo o nell’altro – un qualche provvedimento che sanerà le situazioni problematiche. Ci sarà una sanatoria! E dire che proprio di recente il Ministero dell’Istruzione ha integrato la propria denominazione con l’aggiunta di “Merito”. Potremmo specificare: il merito dei furbi, il merito di coloro che sperano nelle italiche sanatorie. E nel dire questo sia chiaro che non viene assegnata alcuna responsabilità ai ricorrenti: in fondo fanno i loro interessi e ovviamente esperiscono tutto ciò che è possibile per ottenere quanto desiderano. Il problema è un altro: in un Paese normale (quindi diverso dall’Italia) probabilmente quelle stesse persone non intraprenderebbero alcuna azione di contenzioso perché saprebbero che non ci sarebbero margini di manovra politica per sovvertire le regole del gioco. Negli altri Paesi la Pubblica Amministrazione gode, generalmente, di una reputazione a noi sconosciuta. In altre parole: la patologia non sta in chi fa ricorso, ma nella politica e nell’Amministrazione che incentivano queste forme di malcostume e lanciano messaggi “diseducativi”, che contraddicono la prosopopea sulla imparzialità, regolarità, economicità e bla bla bla dell’operato della PA.

​Paradossalmente, in questo festino sanatorio, gli unici che non traggono alcun vantaggio sono quei candidati che hanno (regolarmente!) superato tutte le prove d’esame, sono stati inseriti nella graduatoria generale di merito e in fase di scelta della sede sono stati costretti a rinunciare per problemi di distanza, o per problemi familiari o per altre ragioni personali. Certo, si può obiettare che questi vincitori non avendo di fatto assunto servizio hanno rinunciato al ruolo dirigenziale, secondo quanto previsto dal bando di concorso. Per la verità nel bando c’era anche scritto che se un candidato non avesse superato la prova preselettiva, o quella scritta o quella orale non poteva vantare alcun diritto e invece questi stessi candidati oggi si ritrovano rimessi in pista con un “concorso” riservato ed allestito ad hoc per loro. Due pesi e due misure, come nella migliore tradizione italica.

Di fatto l’Amministrazione ha a disposizione un certo numero di candidati che hanno superato tutti i passaggi previsti dalla procedura concorsuale, ma a cui preclude la possibilità di accedere al ruolo, mentre mette in campo procedure di dubbia legittimità sostanziale per privilegiare chi non ha concluso l’iter concorsuale in quanto ritenuto non idoneo. Ecco la traduzione nostrana del merito. Potremmo dire che chi ha superato regolarmente il concorso studiando è un “fesso”, gli altri sono “furbi” o dritti. E questa affermazione non ha nulla di originale: già nel 1921 Giuseppe Prezzolini nella sua raccolta di aforismi intitolata Codice della vita italiana, affermava che “I cittadini italiani si dividono in due categorie: I furbi e i fessi.”

Va inoltre sottolineato che le norme richiamate sopra pongono a capo di ciascun candidato da ‘sanare’ la quota del “contributo individuale (…) per partecipare al corso intensivo di formazione in maniera tale da coprire integralmente i costi dell’attività di formazione.” Qui siamo al mercimonio istituzionale: i candidati che vogliono essere “ripescati” (esclusi ovviamente quelli che pur avendo superato il concorso hanno rinunciato alla sede) devono pagare i costi dell’operazione; in cambio l’Amministrazione conferirà loro la qualifica dirigenziale. Una sorta di do ut des, come nelle classiche transazioni direciproci favori. È il merito, bellezza! E non ci puoi fare niente! Niente!” (adatt. ultima battuta del film L’ultima minaccia, pronunciata da Humphrey Bogart, 1952).