F. Lorusso, Che c’entra Gesù con l’educare?

EDUCAZIONE: LEADERSHIP, RELAZIONE E FEDE

di Carlo De Nitti

Una qualsivoglia relazione educativa – non soltanto, quindi, quelle scolastiche – che desideri configurarsi come autenticamente tale non può fondarsi su di una mera e strumentale “convenienza di mezzi”, ma necessita di fondarsi una ben più ampia “condivisione di fini” tra i protagonisti, docenti e discenti, ovvero non sulla sabbia, ma sulla roccia, come nella metafora evangelica (Mt, 7, 21 – 29).

Muovendo da questo assunto concettuale, è molto coinvolgente avvicinarsi al volume di Francesco Lorusso, Che c’entra Gesù con l’educare? Il rapporto tra i misteri cristiani ed i processi educativi, che ha visto la luce nell’estate 2023, per i tipi della casa editrice umbra Tau. L’autore, di grande e navigata esperienza in plurimi spazi dell’<educativo>, pone il lettore – in particolare, chi, come chi scrive, è persona di scuola – di fronte alla necessità di riflettere sul senso del “fare scuola” per i fruitori del servizio scolastico (bambin*, ragazz*, adolescenti, adulti). La sottolineatura del <per> dice la preposizione introduce un complemento di vantaggio, al fine di evitare che tutto il mondo della scuola sia un <occupificio>, una sorta di ufficio di collocamento per contenere la disoccupazione intellettuale, in cui esistano, nei fatti, solo i diritti normativamente garantiti degli adulti ed evitando accuratamente di menzionare i doveri, che poi sono i diritti dei discenti, scritti spesso solo sulla carta portata via dalla corrente fluviale

Il provocatorio titolo non deve trarre in inganno chi si avvicina al volume: esso “volutamente intende provocare credenti e non credenti impegnati nel campo dell’educazione a interrogarsi. I primi a chiedersi se ci sia, e quale sia, il legame tra la propria fede, i saperi e il proprio proporsi nel formare i giovani. Per i non credenti la domanda si riformula in un invito a scavare nelle proprie motivazioni profonde a educare, che non possono ridursi solo a un generico interesse per la materia e l’insegnamento, a percorsi personali casuali o al perseguire un tranquillo status professionale e socio-economico” (p. 13).

Alla maniera di Hemingway (Per chi suona la campana?), quella di Lorusso è una “chiamata alle armi”, per tutti gli operatori delle professioni educative. Egli precisa, fin dall’Introduzione, la sua prospettiva teoretica: “ha costituito, infine, l’approdo di un mio percorso personale il percepire che elementi essenziali dell’educare potessero trovare fondamento in alcuni aspetti centrali dell’esperienza cristiana: si dissipava gradualmente nella mia storia quella originaria e vaga ricerca di autenticità, giungendo ad una visione personalista dell’educare, pur senza perdere quella originaria tensione all’innovazione e sperimentazione per una didattica attiva ricca di vitalità. Si trattava, in principio, di un percorso a volte anche inconsapevole per ancorare il proprio pensare e agire a solide fondamenta […]
Fino alla scoperta, quindi, di uno stretto rapporto tra i misteri cristiani e le esperienze educativa progressivamente vissuta come un farsi piccolo di un grande per far grandi piccoli” (p. 14).

Il punto di approdo, ma anche di ripartenza, dell’itinerario teoretico di Lorusso – sostanziato dalla sua lunga esperienza di educatore, di docente, di formatore e di dirigente scolastico – è l’invenire una stretta connessione tra i misteri cristiani ed i processi educativi, come evidenziati anche nel Magistero di Papa Francesco. Il problema che l’Autore pone non riguarda però solo i docenti (e/o gli studenti) credenti, ma concerne tutti: atei, credenti ed agnostici.

Francesco Lorusso individua quattro dinamiche proprie delle relazioni educative, ovunque esse si svolgano:

1) il farsi prossimo agli altri – alunni, colleghi, genitori, collaboratori – immedesimandosi empaticamente ognuno nei vissuti e nelle criticità altrui, assumendone in sé i problemi: “un grande che si fa piccolo per far grande i piccoli”, avvia sicuramente una relazione educativa efficace. E’ il mistero dell’Incarnazione;

2) il percepire e condividere le fatiche (di alunni e docenti e collaboratori) per affrontare il processo di crescita che non può essere semplice e lineare. L’azione mirante a superare le difficoltà passa attraverso il e mettersi alla prova (provando e riprovando, era il motto dell’Accademia del Cimento), sperimentando strategie diverse sempre più efficaci. E’ il mistero che dalla Passione porta alla Resurrezione, alla Pasqua;

3) l’animare relazioni umane interne alla comunità (classe, scuola e non soltanto) che valorizzino in tutti i sensi tutt* e ciascun*. E’ il mistero Trinitario e comunionale;

4) l’apprezzare l’unità della comunità come esito di un gratuito dono di sé e di un’autentica esperienza di solidarietà umana da parte di tutt*. E’ il mistero dell’Eucaristia.

Il volume, corredato da una ricca ed articolate bibliografia, li analizza nel dettaglio, anche con l’ausilio di un efficace apparato artistico, curato dalla nota studiosa e critica d’arte Chiara Troccoli Previati.

Il percorso che i lettori (augurabilmente tantissimi) compiono è di riflessione autoformativa

sulle proprie pratiche professionali da coniugare con la riproposizione delle ragioni del proprio impegno e del proprio essere professionisti dell’educazione, in eventuale (ma non casuale) connessione con la propria fede cristiana.

Guardando al fine morale del volume in un’ottica laica, avendo come ” testo sacro” la Costituzione della Repubblica Italiana che, come asseriva don Lorenzo Milani, non contrasta mai con il Vangelo, può essere sintetizzato nell’impegno nella società ogni cittadin* deve porre nella sua azione, consustanziata com’è di responsabilità originaria.

A chi scrive tornano alla mente queste antiche parole: “noi non siamo responsabili perché siamo socialmente impegnati, ma ci impegniamo socialmente perché siamo originariamente responsabili” (GIUSEPPE SEMERARI, Responsabilità e comunità umana, Manduria 1960, Lacaita). Il volume di Lorusso, una volta di più, le invera.

Ogni persona, che sia credente, agnostica o atea, sempre è sempre originariamente/ ontologicamente responsabile – come ha insegnato Immanuel Kant – e questo vale tutto in tutte le professioni educative 

A chi scrive, pare che questo affascinante volume di Francesco Lorusso essere il punto di abbrivo per feconde discussioni formative tra docenti, per laboratori che abbiano il fine di formare al senso delle professioni educative: docenti, dirigenti scolastici, formatori, educatori professionali, catechisti, etc.

Perfino la struttura del volume si presta molto bene ad un’efficace scansione temporale dei momenti formativi, i quali non possono non essere che in una dimensione comunitaria e collaborativa, che inverano l’essenza del concetto di laboratorium.

Quella del volume – come scrive nella sua densa Introduzione Ezio Delfino –  “è la proposta di un protagonismo educativo nuovo ed originale […] che elimina alla radice sia gli alibi […] sia le descrizioni di scenari negativi sui giovani propagati in tutti i modi […] perché se c’è qualcosa che distrugge il giudizio sui giovani è togliere loro la responsabilità di rischiare e di costruire” (p. 11 passim).