Età ed esercizio del dovere di vigilanza

L’incidenza dell’età nell’esercizio del dovere di vigilanza a scuola

di Anna Armone

Le fonti regolative dell’obbligo di vigilanza a scuola sono costituite dagli articoli 2047 e 2048, nonché dall’art. 1218 del codice. Per l’illustrazione del tema in oggetto ci soffermeremo essenzialmente sull’art. 2048.

La giurisprudenza è oramai concorde nel considerare il fattore età come fattore ordinario, il che significa che in ogni analisi sul livello di responsabilità afferente alla carente o omessa vigilanza tale elemento va preso necessariamente in considerazione.

Secondo una parte della giurisprudenza della Cassazione l’art. 2048 c.c., comma 2 “si riferisce unicamente ai danni provocati dal minore sottoposto alla vigilanza dell’insegnante e non a quelli procurati dall’allievo maggiorenne”, non apparendo “dubitabile che la responsabilità dei precettori e degli insegnanti, al pari di quella dei genitori, cessi con il raggiungimento della maggiore età degli allievi, in quanto da tale momento non vi è più ragione che l’insegnante eserciti la vigilanza su persone ormai dotate di piena maturità e capacità di discernimento”: pertanto “la responsabilità dell’insegnante e quindi dell’istituzione scolastica” deriverà, se ne ricorrono i presupposti, dall’art. 2043, o dall’art. 2051 c.c..

Per quanto riguarda la capacità del soggetto, l’art. 2048, presuppone l’esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale sono esclusivamente configurabili la “culpa in educando” e la “culpa in vigilando”, rispettivamente previste dal primo e dal secondo comma, per cui la responsabilità dei genitori o tutori/insegnantiviene a concorrere con la responsabilità del minore, mentre entrambe restano escluse nell’ipotesi di caso fortuito che come tale elimina l’ingiustizia del danno. 

Facciamo un cenno al richiamato art. 1218 del codice civile che porta alla stessa considerazione sull’elemento età. L’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo a scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità del medesimo allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni e, quindi, di predisporre gli accorgimenti necessari affinché non venga arrecato danno agli alunni in relazione alle circostanze del caso concreto. Tali circostanze possono essere ordinarie, come l’età degli studenti, che impone un controllo crescente con la diminuzione della stessa età, od eccezionali, implicando, allora, la prevedibilità di pericoli derivanti dalle cose e da persone, anche estranee alla scuola e non conosciute dalla direzione didattica, ma autorizzate a circolarvi liberamente per il compimento della loro attività. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO VENEZIA, 09/05/2018). In particolare, in relazione ad alunni in tenerissima età, al fine di escludere qualsivoglia profilo di responsabilità in capo all’istituto scolastico ed ai precettori dipendenti, si richiedeun controllo all’interno dell’aula molto serrato, in modo da impedire un gesto improvviso e potenzialmente dannoso degli alunni. Qualora, pertanto, l’evento pregiudizievole si verifichi ai danni di un bambino di pochi anni durante l’attività ricreativa, che richiede un controllo ancora maggiore, presunta l’omessa vigilanza degli insegnanti presenti, deve  concludersi per la responsabilità contrattuale dell’istituto scolastico.

Secondo giurisprudenza costante, pertanto, il contenuto dell’obbligo di vigilanza è inversamente proporzionale al grado di maturità degli alunni, per cui con l’avvicinarsi di questi all’età del pieno discernimento il dovere di vigilanza dei precettori richiede in minor misura la loro continua presenza -, nella quale già si sarebbe riconosciuto che, con l’acquisizione del “pieno discernimento” coincidente con il raggiungimento della maggiore età, cessa l’obbligo di vigilanza ex art. 2048, comma 2, in lineacon la cessazione di responsabilità dei genitori secondo il primo comma per culpa in educando. Richiamiamo in modo più specifico la sentenza della Cass. sez. 3, 30 maggio 2001 n. 7387, che ha effettivamente attribuito all’articolo 2048, secondo comma, quale presupposto, l’età minorenne dell’allievo, dovendosi presumere che non sia stato riservato “ai precettori e maestri d’arte un trattamento deteriore rispetto a quello dei genitori di cui al primo comma, irrazionalmente dilatando, oltre quel limite temporale, la loro responsabilità”.

Ma secondo altra posizione giurisprudenziale, occorre fare una lettura esegetica dell’art. 2048 che nel primo comma prevede la responsabilità dei genitori o del tutore per il danno causato dal fatto illecito “dei figli minori non emancipati” o delle persone soggette alla tutela che abitano con loro, mentre nel comma 2, attribuisce responsabilità a “precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte” per il danno causato dal fatto illecito “dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”.Le due fattispecie racchiuse nei primi due commi dell’art. 2048 c.c., non sono, in realtà, del tutto sovrapponibili come prospettato da qualche giudice, ovvero non sono configurabili come due species di un unico genus di responsabilità che si infrange sul confine della maggiore età dell’autore del fatto illecito. L’unico elemento in comune fra le due fattispecie risiede nel terzo comma, il quale indica che a entrambe le responsabilità viene posto limite in una prova liberatoria: che, peraltro, pur essendo identico il testo normativo – esigente la prova “di non aver potuto impedire il fatto” -, logicamente non può avere un contenuto identico, poiché la fonte della responsabilità è diversa.

Dalla lettura dei due commi si nota la loro evidente divergenza: il comma 1, disegna quella che tradizionalmente viene qualificata come responsabilità per culpa in educando senza peraltro indicare che cosa genitori (e tutori) abbiano omesso di fare affinché la responsabilità insorga, tutto essendo presupposto nella qualità genitoriale da un lato e filiale dall’altro; e il secondo comma, invece, indica espressamente che cosa non è stato fatto, cioè la “vigilanza”. Notoriamente, anche i genitori sono tenuti alla vigilanza dei figli minorenni; ma è evidente che la “vigilanza” del comma 2, è di contenuto specifico, in quanto si rapporta alla cognizione culturale e tecnica che viene trasferita dai responsabili ai loro “allievi e apprendisti”. Già questo basta per escludere che il raggiungimento della maggiore età di per sé estingua l’onere della vigilanza, poiché la maggiore età non significa che il soggetto cessi di essere allievo o apprendista, ovvero cessi di essere sottoposto a quella vigilanza che, logicamente, è teleologica, ovvero necessaria per l’attività di insegnamento/addestramento cui si riferisce l’art. 2048, comma 2.

Il comma 2, in altre parole, è molto più specifico rispetto al comma 1: l’attività dell’allievo/apprendista si svolge in un luogo e in un tempo specifici – quelli in cui si svolge l’obbligo di vigilanza -, ed è proprio la presenza dell’allievo/apprendista in quel luogo e in quel tempo che costituisce il presupposto del fatto illecito rilevante ai fini dell’articolo 2048, comma, laddove, nel comma 1, il luogo e il tempo in cui si verifica il fatto illecito è irrilevante, trattandosi di una responsabilità del tutto “generalista” riferita al rapporto di filiazione. Peraltro una stretta connessione con l’attività di insegnamento sussiste normalmente pure nel caso in cui l’insegnamento non ha per oggetto attività materiali: a differenza dell’epoca in cui fu scritto il codice civile, al giorno d’oggi l’insegnamento viene erogato quasi sempre in un ambito collettivo, ovvero non tramite lezioni personali da parte appunto di “precettori”, bensì entro istituti scolastici: e allora l’insegnamento comporta anche il controllo della condotta sociale degli studenti in tale ambito, così da consentire che l’insegnamento sia praticato in modo proficuo e che gli studenti esperimentino in modo positivo la loro socialità, comportandosi in modo corretto e rispettoso delle persone – compagni di classe e personale con cui condividono la socialità entro l’istituto scolastico.

Tuttavia, la maggiore età, benché non eserciti la propria incidenzasulla responsabilità dell’art. 2048 c.c., comma 2, incide nella determinazione del contenuto dell’obbligo di vigilanza, che appunto la giurisprudenza di legittimità da tempo commisura alle concrete caratteristiche del soggetto vigilato che consentono di conoscere le sue condotte prevedibili: e tra queste caratteristiche è inserita l’età. Scorrendo gli ultimi decenni, Cass. sez. 3, 4 marzo 1977 n. 894 già chiaramente afferma che il maestro delle scuole pubbliche elementari, quale rientrante nella nozione di precettore di cui all’ art. 2048 c.c., comma 2, in riferimento al comma 3, dell’articolo “in tanto… si libera dalla presunzione di responsabilità, in quanto provi di aver esercitato la vigilanza sugli alunni nella misura dovuta e che, nonostante l’esatto, completo adempimento di tale dovere…gli sia stato impossibile impedire il compimento dell’atto illecito causativo di danno per la sua repentinità e imprevedibilità, che non ha consentito un tempestivo efficace intervento”, non essendo però assoluto il contenuto del dovere di vigilanza, “bensì relativo all’età e al normale grado di maturazione degli alunni”; l’arresto ne deduce che la vigilanza nella scuola elementare (oggi scuola primaria) deve pertanto “raggiungere il massimo grado di continuità e attenzione nella prima classe”.

Nello stesso intento di commisurare il contenuto dell’obbligo di vigilanza anche rispetto all’età della persona vigilata, la Cassazione, sez. 3, con sentenza del 15 gennaio 1980 n. 369 ribadisce che il dovere di vigilanza previsto dall’ art. 2048 c.c., comma 2, “è da intendere in senso non assoluto ma relativo, in quanto il contenuto di detto obbligo è in rapporto inversamente proporzionale al grado di maturità degli alunni, con la conseguenza che con l’avvicinarsi di costoro all’età del pieno discernimento il dovere di vigilanza dei precettori richiede meno la loro continua presenza”. Ancora, la sentenza  Cass. sez. 3, 23 luglio 2003 n. 11453 riconosce che la presunzione di responsabilità ex art. 2048, comma 2, “non è assoluta – come se si trattasse di ipotesi di responsabilità oggettiva – ma configura una responsabilità soggettiva aggravata in ragione dell’onere… di fornire la prova liberatoria, onere che risulta assolto in relazione all’esercizio – da accertarsi in concreto – di una vigilanza adeguata all’età e al normale grado di comportamento” degli affidati, che in quel caso erano minorenni. Da ultimo, Cass. sez. 1, 9 maggio 2016 n. 9337, quanto al superamento probatorio della presunzione di responsabilità dell’insegnante per il fatto illecito dell’allievo, pur nell’ambito di un’impostazione assai rigorosa, giunge a sfociare nell’età dei vigilati come elemento sostanzialmente dirimente, affermando che l’insegnante dovrebbe dimostrare “di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, e di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di quella serie, commisurate all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto, dovendo la sorveglianza dei minori essere tanto più efficace e continuativa in quanto si tratti di fanciulli in tenera età”.

Conclusioni

La vigilanza costituisce un supporto suppletivo di cui devono fruire in primis proprio i soggetti vigilati che non abbiano ancora capacità di gestire, o di gestire in modo completo, la propria condotta nell’ambito e nell’attività specifici in cui si trovano, così da evitare di porre in essere fatti dannosi. L’età della persona vigilata usualmente si rapporta, d’altronde, con il livello di capacità autogestionale: e quel che la tradizione definisce capacità di discernimento alla luce del notorio si incrementa con lo sviluppo psicofisico ed esperienziale della persona.

Al riguardo, su un piano generale, il legislatore, conferendo la maggiore età, presume che tale età renda capace una persona normale sotto il profilo psicofisico che l’ha raggiunta di evitare consapevolmente una condotta colpevole che cagioni danni a terzi. Se, allora, nel caso specifico dell’art. 2048, comma 2, la maggiore età del soggetto direttamente non priva il soggetto stesso del supporto della vigilanza da parte dell’insegnante, ciò non toglie che la presunzione di capacità di autogestione propria della maggiore età, quantomeno per le attività che non sono attività materiali oggetto di insegnamento (come potrebbero essere le attività sportive, artigianali, meccaniche e in generale tecniche), incida così da rendere a questo punto imprevedibile – nel senso di eccezionale, e quindi ordinariamente inevitabile – una condotta da parte dell’allievo maggiorenne che sia dannosa alle persone a lui prossime. Il che è insito nel secondo comma dell’articolo 2048 in un’ottica di interpretazione che aggiorni una norma promulgata negli anni 40 del secolo scorso con la situazione complessiva in cui oggi viene ad essere applicata. Non solo, infatti, il legislatore ha anticipato, rispetto a quell’epoca, l’età maggiorenne – che quando fu promulgato il codice ben difficilmente avrebbe potuto essere raggiunta da chi ancora frequentava un istituto scolastico o svolgeva attività di apprendistato -; ma altresì deve considerarsi che la complessiva evoluzione sociale è coerente ormai con il riconoscere nelle persone di età prossima ai 18 anni una maturazione psicofisica ormai completa, e quindi idonea a giustificare una loro autoresponsabilità come responsabilità diretta ed esclusiva. I c.d. grandi minori costituiscono oramai, in effetti, una fascia di passaggio tra l’età adolescenziale in senso stretto e la maggiore età, assimilandosi, peraltro, più a quest’ultima che a un periodo di necessità di sostegno altrui e di incapacità di comprendere direttamente gli effetti delle proprie azioni od omissioni. Mentre all’epoca della promulgazione del codice civile il minore era, d’altronde, complessivamente ancora un soggetto passivo, tanto che il genitore, sul piano più generale, esercitava nei suoi confronti una potestà, nel sistema odierno il minore è ora un soggetto, per così dire, giuridicamente incrementato; a fortiori, dunque, l’età del discernimento pieno non può non presumersi raggiunta dall’allievo maggiorenne in riferimento a quelle condotte che, come già si è detto, non necessitano di particolari conoscenze tecniche per essere compiute in modo corretto e privo quindi di pericoli.

Se, dunque, permane la responsabilità ex art. 2048, comma 2, anche nel caso in cui l’allievo sia maggiorenne, in ultima analisi l’età maggiorenne incide comunque sul contenuto dell’onere probatorio dell’insegnante, in quanto la dimostrazione da parte sua della maggiore età dell’allievo – al di fuori, come si è appena ripetuto, di condotte specificamente correlate ad un insegnamento tecnico – deve ritenersi ordinariamente sufficiente per provare che l’evento dannoso ha costituito un caso fortuito, essendo stato posto in essere da persona non necessitante di vigilanza alcuna in quanto giunta ad una propria completa capacità di discernimento, persona che pertanto – essendo ben consapevole delle sue conseguenze – non era prevedibile che effettuasse una siffatta condotta. Questo principio, per le appena descritte condotte, per così dire, socialmente “generaliste”, non può non valere anche per le persone che sono ormai prossime alla maggiore età, come sono usualmente quelle che frequentano l’ultimo anno di una scuola superiore. Il caso fortuito, infatti, si ripete, non può non conformarsi alla complessiva realtà giuridica e sociale odierna in cui viene ad inserirsi una norma precauzionale come l’art. 2048 c.c., comma 2, ben potendo comunque – è ovvio – la parte danneggiata contrastare la presunzione di caso fortuito appena delineata come discendente dalla dimostrazione dell’età maggiorenne o prossima alla maggiore età con la prova della prevedibilità della condotta dannosa da parte del soggetto che l’ha posta in essere, ovvero di un peculiare contenuto dell’obbligo di vigilanza che l’insegnante non abbia adempiuto: per esempio, dimostrando che autore dell’evento dannoso è stata una persona che aveva già manifestato spiccati elementi di asocialità, oppure una persona notoriamente ostile/vendicativa per pregressi eventi nei confronti della persona danneggiata ecc..