Didattiche della violenza ed educazione all’amare
di Gabriele Boselli
Materie prime della violenza
I fenomeni della violenza sulle donne, sui bambini e sugli anziani, in genere su soggetti inermi accadono per il combinarsi di vocazioni “naturali”, didattiche subculturali di violenza e defcit di deterrenti credibili. Si originano da molti fattori di ordine famigliare, culturale, economico, sociale, politico; si riscontrano in genere in contrazioni dell’esistere conseguenti alla dispersione e alla perdizione (droga, percezione della scuola e della vita sociale come non-senso) e vengono dalla eradicazione dalla capacità del soggetto di un’autocentrazione positiva onde costituire un mondo, pervenire nell’autenticità a una coscienza d’altro e di qui a uno stato veramente desiderabile e ulteriore. Esplodono con l’abbandono o l’abbandonarsi dei soggetti personali, istituzionali o fisici alla loro inerte gravità individuale, senza coscienza delle relazioni che comunque li costituiscono e in ogni caso ne condizionano il percorso, talvolta tanto debolmente da far ritenere scomparsi ogni relazione o rapporto.
Millenni di teologia e di pedagogia come scienza filosofica si sono confrontati con il perenne problema del Male, dell’Atto che da puro decade a impuro, della mutazione degenerativa del Bene (G.Gentile). Hanno indicato come i detonatori della violenza, quando non glorifcata come violenza di Stato (guerra), vadano individuati primariamente nell’incultura, nella scarsa fducia in se stessi e la conseguente paura degli altri. Tu sei migliore di me e allora ti distruggo e, specularmente, la nazione X o l’etnia Y valgono nulla e allora le posso concellare dalla faccia della terra. Molte donne vengono uccise da uomini che nel profondo si sentono inadeguati ma un numero ancor maggiore viene quotidianamente pestato dal compagno, ricavandone lesioni psichiche e fisiche permanenti. Un numero ancor maggiore rimane con il proprio compagno anche se non lo stima e non lo ama più temendo che -come talvolta succede- questi si vendichi dell’abbandono maltrattando o uccidendo i bambini.
Completezza di argomentazione vuole che -seppur più raramente e con violenza meno lesiva per limiti fisici- anche le donne attuino violenze morali e talvolta perfino fisiche sui “propri” uomini. Ma gli uomini tacciono, temendo di essere derisi per la propria incapacità di difendersi.
Fingere di far qualcosa
Le prove di un nuovo compromesso storico italiano sono forse cominciate e il terreno delle prime grandi manovre comuni è la risposta vagamente bipartisan di alcuni protagonisti del sistema politico alla violenza sulle donne. Quando i supremi decisori non hanno idee, possono comunque far finta di averne e darsi da fare per farlo credere cooptando chi ne ha meno di loro. Nell’attuale sistema politico e’ tutta questione di comunicazione e la comunicazione può sostituire il nulla, almeno dal punto di vista e di potere del decisore.
Certo in materia di contrasto alla violenza la situazione è proibitiva e operano le macchine didattiche della violenza: evanescenza della famiglia, internet, comunicazione telefonica vanno creando un soggetto tanto integrato nel deep-system, dunque tanto isolato come persona, da aver perso una autentica (non prodotto del sistema informativo globale) coscienza di sé. Il soggetto manifestamente o celatamente violento è perso rispetto a ogni valore, incapace di amare; è perso agli altri e a se stesso e a rischio di dipendenze anomale di tipo psichico o chimico che portano a cercare rimedio al proprio fallimento, alla muta disperazione propria con la violenza sull’altro.
Nella scuola, oltre all’anomia degli alunni, c’é anche quella dei genitori, degli insegnanti, dei dirigenti. Questi ultimi non bastonano fisicamente ma a volte possono far piangere. La violenza nella scuola e nella società è assai difcile da combattere ma invocare una nuova attività di studio, una nuova disciplina signifca solo “fare ammuina” dare ad intendere che si fa “qualcosa”. Magari trenta ore di chiacchiere per alcuni mesi con uno psicologo, come se la violenza fosse solo questione di malfunzionamento psichico individuale e non una ipercomplessa questione culturale e sociale da afrontare semmai sotto un ampio proflo multidisciplinare.
Fare qualcosa di utile
La scuola è come sempre chiamata a soccorrere ai limiti della famiglia e della società. Una risposta potrebbe essere cercata (nessuno la possiede) non in nuove discipline scolastiche o nella creazione di nuove clientele per gli psicologi ma entro un quadro teorico complesso comprendente tutte le scienze giuridiche e dello spirito e, più semplicemente, con l’essere ciascuno di noi una persona che appaia plausibile come riferimento. Nella scuola si contrasta la violenza con l’insegnare bene la propria disciplina. Italiano, matematica, scienze, tutte le discipline sono intrinsecamente i linguaggi della non violenza, della salvezza e dell’amore.
Mi sembra evidente che l’educazione affettiva non possa essere affidata a un solo docente, se non altro per non porre il tutto sulle spalle di un solo soggetto che magari in proposito ha qualche problema pure lui. E’ argomento interdisciplinare in cui ogni disciplina può offrire indicazioni preziose, coerenti con la tradizione pedagogica di continuità/discontinuità, di lavoro/gioco armonico con l’epoca. Dobbiamo allora servircene per guardare alla sua luce la storia di ogni soggetto, la presenza o meno in lui di stelle di riferimento. Molti ragazzi e adulti mai cresciuti esprimono una sorta di dolore per la mancanza di un punto ove dirigersi o cui tornare o su cui orientarsi per il cammino ulteriore, in altre parole di un senso, di una direzione intenzionale originaria e di fondo.
Serve non una nuova disciplina ma scenari di un orientamento non autoritario ma autorevole per qualità umane, culturali e professionali dei suoi attori, gente aperta ad agire e a farsi agire nella relazione entro un quadro culturale non meramente psicologistico, poiché la violenza non comincia e non fnisce a livello individuale. Occorrono delle fgure ricche di fantasia, “forti” per le doti e attraenti nello stile relazionale.
La scuola -tutta, fin dalla scuola dell’infanzia- è luogo di orientamento all’Intero attraverso i saperi; si tratta di aiutar a pervenire a visioni/interpretazioni originali ma non caotiche o deintenzionalizzate, aiutare a protendersi nel reale e nell’immaginario, sapendo il più possibile distinguere tali proiezioni. Si tratta di cercar di educare non solo all’affettività ma all’amore orientando culturalmente l’umano “buono” che è in ciascuno di noi alla vita nonché al mondo come luogo dell’accadere dell’humanitas.
– Giovanni Gentile Genesi e struttura della società, Mondadori
– Piero Bertolini L’esistere pedagogico, La Nuova Italia
– Bertolini/Caronia Per una pedagogia del ragazzo difficile, La Nuova Italia
– Italo Mancini L’Ethos dell’Occidente e Tornino i volti, Marietti