Merito e relazione l’ossimoro scolastico
di Giovanni Fioravanti
Non si chiamano materie, neppure discipline, tanto meno aree disciplinari, anche se a volte rivendicano una non ben precisata interdisciplinarità o transdisciplinarità.
Sono le “Educazioni”. Educazione civica, educazione stradale, educazione alimentare, educazione ambientale, educazione alla salute e potremmo proseguire.
Non hanno vita facile, neppure hanno l’imprimatur dei Programmi o delle Indicazioni nazionali come le loro antenate Educazione domestica e Educazione fisica, tanto da non meritare né una cattedra né un orario, così col tempo finiscono per infrattarsi in qualche ripostiglio scolastico, salvo che non giunga un PTOF a rispolverarle.
È questo il modo in cui a scuola, luogo di apprendimento delle conoscenze e della cultura della propria specie, si esercita l’educabilità, cioè quella disposizione che, pur non essendo esclusiva dell’uomo, costituisce peraltro uno dei caratteri specifici dell’umanità.
Il teorico dell’educazione umanistica, il francese Louis Meylan, definisce l’educazione “come l’attività con la quale gli adulti si sforzano di dare al comportamento, ovvero ai vari modi di pensare, di sentire e di agire del fanciullo e dell’adolescente la forma che ad essi sembri più desiderabile.”
Meylan, che scriveva nella prima metà del Novecento, doveva però essere consapevole della crisi che già allora attraversava l’educazione, se un secolo prima l’abate Lambruschini dalla sua tenuta di San Cerbone in Toscana avvertiva: “Ma quel che più merita di essere notato […] è la mancanza di principi direttivi, l’incertezza nella quale gli educatori ondeggiano sopra un tenore ben ordinato e costante di condotta verso i fanciulli […]. Un naturale un poco ribelle, un caso straordinario li coglie alla sprovvista;[…] e s’abbandonano a quel partito che un propizio, ma ceco, buon senso suggerisce loro; o a quello che consiglia loro l’insipienza, la noia, l’amor proprio ferito. L’indocilità invece della sottomissione, la scioperataggine e la mala grazia invece della applicatezza e delle composte maniere. […] Cosicché si riducono a dolersi di sé e dei giovani, a non sapere più come condursi e a dare ragione a chi dice che i sistemi moderni di educazione sono inefficaci.”
Al di là dello stile e del lessico pare scritto oggi, da questo punto di vista i social sono rivelatori. Prendo da un post di insegnanti a caso: “La riprovazione no, perché altrimenti ci sono i sensi di colpa e guai a sentirsi in colpa quando si sbaglia. E per evitare i traumi, abbiamo smesso di educare, abbiamo avuto paura di educare, di dire no, di dire che quel comportamento non va bene, di dire che quella cosa non la puoi fare perché non è giusto farla. Abbiamo paura, non ne abbiamo voglia, la coerenza costa energia, fatica, impegno. […] Poi, quando succedono le tragedie, tutti ad interrogarsi, a fare la disamina del disagio psicologico giovanile, a dare la colpa alla malattia mentale.”
Ora il ministro dell’Istruzione e del Merito decide che è giunto il momento, spinto dallo sgomento che l’assassinio di Giulia Cecchettin ha prodotto nel paese, di sperimentare nelle secondarie di secondo grado una nuova educazione: l’Educazione alle relazioni.
Alla notizia mi è venuto d’istinto pensare che una mela sana posta insieme a mele guaste finisce anche lei per marcire.
Semplicemente perché a scuola le relazioni sono malate e non è che si curano con interventi estemporanei rivolti agli studenti, semplicemente per il fatto che il problema di sapersi relazionare non è questione che riguarda solo i giovani, ma prima di tutto gli adulti a partire da quelli con cui i giovani trattengono rapporti ogni giorno a scuola. E se gli insegnanti sono quelli che scrivono post del tipo di quello sopra riportato non si fa che seminare in un terreno arido.
Quando il primo febbraio del 2023 una ragazza lascia un biglietto: “ho fallito negli studi” e si suicida, lo scalpore non è stato lo stesso che proviamo oggi per la sorte di Giulia e il tema della relazione a partire dalle aule scolastiche non ha sfiorato la mente di nessuno.
Anzi si è ciechi circa cosa può voler dire e può produrre per dei giovani adolescenti quel “Merito” che gli adulti di questo governo hanno voluto aggiungere all’Istruzione.
L’ha spiegato Albert Ellis con la sua RET, la terapia razionale-emotiva per liberarsi dei propri irrational beliefs, convinzioni rigide e irrazionali, come il bisogno dell’approvazione di chi si stima per sentire di valere, che occorre avere successo diversamente si è dei falliti, che la mancanza di rispetto degli altri e l’ostilità del mondo sono orribili e insopportabili.
All’indomani del suicidio della ragazza del biglietto, un’altra ragazza scrive a la Repubblica: “La scuola italiana insegna che valiamo quanto un numero tracciato con la penna rossa. La scuola insegna la competizione, la demonizzazione di ogni sentimento. Se invece che darci un bonus da spendere ci regalaste professori che hanno una formazione, che amano quello che insegnano…“
Allora viene da pensare che il problema vero non sia nella relazione con gli altri, ma nella relazione con se stessi a partire dagli adulti.
Quando si oltrepassa il confine dell’inviolabilità della vita propria o dell’altro ritengo che si entri in un territorio che va ben oltre l’educazione alle relazioni, all’affettività e alla sessualità.
Ma sono convinto che servirebbe una campagna a tappeto, come si è fatto con la pandemia da Covid, di vaccinazione con la la RET, per liberare adulti e giovani dai costrutti mentali che condizionano i nostri comportamenti.
Qui ritornano le parole con cui Freud chiude la sua lettera di risposta a Einstein che lo interroga sulla guerra: “La condizione ideale sarebbe naturalmente una comunità umana che avesse assoggettato la sua vita pulsionale alla dittatura della ragione. Nient’altro potrebbe produrre un’unione tra gli uomini così perfetta e così tenace, perfino in assenza di reciproci legami emotivi. Ma secondo ogni probabilità questa è una speranza utopistica. […] E’ triste pensare a mulini che macinano talmente adagio che la gente muore di fame prima di ricevere la farina.”
“La dittatura della ragione”, ma la nostra scuola è uno dei mulini di Freud.