IA o valorizzazione delle eccellenze?

Intelligenza artificiale o valorizzazione delle eccellenze?

di Gennaro Iasevoli (*)

Se si presta attenzione alle scuole delle palestre dell’antica Grecia, alle esperienze della latinità classica, alle scuole di élite italiane del primo novecento fino alla scuola media unica e poi gli istituti liceali, professionali e tecnici del secondo novecento, passando ad oggi, si nota costantemente e chiaramente che la sola valorizzazione delle eccellenze non è bastata a riempire il vuoto tra la cultura ed il popolo: gli alunni bravi e super bravi hanno costituito e costituiscono ancora oggi una esigua percentuale dei frequentanti e quindi restano poco rappresentativi del livello generale di formazione e di cultura prevalente delle comunità.

Gli studenti chiamati eccellenti hanno, senza dubbio, un rendimento pienamente adeguato alla classe frequentata e quindi, nelle occasioni fornite dai gemellaggi, possono confrontarsi agevolmente anche con altri compagni di studio bravi di altre regioni geografiche.

Essi si distinguono perché frequentano la scuola con grande desiderio, trovano nello studio un ammirevole appagamento personale e mostrano talvolta, già da piccoli, un comportamento sociale ed uno stile visibilmente ispirati alla vita di futuri professionisti.

Ma, venendo ai numeri, li possiamo contare per classe sulla punta delle dita di una mano, comunque non più di tre o quattro!

Qualche docente più ottimista parla di gruppi di bravi in alcune classi e poi di esistenza di altre classi omogenee, “appiattite verso un basso rendimento”, senza alcun gruppo trainante.

Se vogliamo, immergendoci anche nel reticolo delle esperienze progettuali scolastiche, constatiamo poi un’altra realtà che in fin dei conti conferma queste premesse; infatti i progetti nazionali ed europei fanno principalmente da stimolo per la massa degli studenti, creando un maggior coinvolgimento nello studio di gruppo, rendendo l’apprendimento più interessante con l’impiego di grosse risorse strumentali e quindi economiche, spesso con stages, incontri, gemellaggi e viaggi: alla fine il numero dei ragazzi eccellenti non varia visibilmente.

Intanto, fuori le mura della scuola, le necessità economiche e geo-politiche dello stato, come di ogni stato post-moderno, esigono urgenti disponibilità di operai, tecnici, ingegneri, medici, giuristi, imprenditori, operatori, professionisti pronti a ricoprire una infinità di ruoli professionali, da allocare nel reticolo funzionale della società contemporanea, soprattutto forniti di discreta conoscenza delle lingue, della matematica, dei rischi lavoro correlati, del pc, dei principali dispositivi meccatronici funzionanti in ogni angolo ed in ogni momento della giornata.

Anzi anche quando un operaio, un operatore o un professionista torna dal lavoro ed è a casa per recuperare i suoi spazi vitali e sociali privati, non può nemmeno ritenersi immune da improvvise problematiche spurie, che continuano ad interconnetterlo col posto di lavoro, attraverso la sua onnipresente dotazione personale fatta di telefonini, pc, allarmi, chiavi elettroniche, password.

Pertanto nella formazione scolastica, emerge l’esigenza preponderante di una cultura ben delineata, finalizzata, corrispondente ad uno schema che non deve essere né vecchio né marcatamente innovativo, ma semplicemente utile alla fruizione ed alla condivisione rispetto ad una determinata e dichiarata fascia di offerta di lavoro.

Perché succede tutto questo? La risposta viene dagli economisti: necessita mantenere il livello del PIL (prodotto interno lordo) , cercando di aumentarlo! Se il PIL cade, nasce la disoccupazione, i genitori hanno meno risorse per sostenere lo studi dei figli, lo Stato riduce i fondi destinati all’edilizia scolastica ed i fondi per il funzionamento, oppure arranca per sostenere la spesa della pubblica istruzione.

Per mantenere il livello del PIL (prodotto interno lordo) lo stato deve fare i conti con l’implementazione delle nuove tecnologie, con le esportazioni e concorrenza dei mercati che impongono livelli di produzione sempre all’avanguardia come qualità, altrimenti i compratori interni ed esteri si rivolgono altrove.

Queste necessità di mercato non si possono più trascurare ed impongono alla scuola di fornire ai diplomati e laureati la giusta preparazione e formazione per essere al pari con i colleghi di altre Nazioni progredite.

Non solo: la preparazione del diplomato e del laureato deve essere predisposta “all’innesto” rapidissimo di eventuali nuove competenze tecnologiche principalmente legate alla meccatronica ed all’intelligenza artificiale, appunto per progettare e produrre ciò che la fantasia umana, le scienze ed i mercati esigono, talvolta in tempi rapidissimi. In quest’ottica una formazione scolastica che si adagiasse su pochi approfondimenti di un tempo passato e soltanto sul contributo dell’esiguo numero di ragazzi eccellenti, rimarrebbe fuori mercato, e non basterebbe nemmeno uno stuolo di scienziati in marketing per attirare gli interessi del mondo sui nostri prodotti obsoleti.

Quindi, come potrà oggi, la scuola, soddisfare le richieste formative per garantire delle competenze schematizzate o polivalenti ai suoi diplomati affinché essi si inseriscano positivamente in una determinata fascia funzionale della città intelligente, in cui c’è un irrefrenabile flusso di fruizione e condivisione di beni e servizi alla moda del momento?

Appunto per questo stanno nascendo nuove realtà formative attraverso licei di nuova generazione che cercano di mettere insieme le discipline più consone alle richieste della società attuale, che accelera le sue funzioni anche con anticipatori ed acceleratori elettronici del pensiero umano attraverso la realtà aumentata e l’intelligenza artificiale.

E qui rispondo a chi chiede “se si possa sostituire l’intelligenza umana con quella artificiale” : dico che sono e saranno sempre due cose diverse ma non c’è da scherzare con gli “ordinateurs dell’ultima generazione”; queste macchine con i loro programmi composti da una miriade di contributi culturali ed ingegneristici sebbene non sostituiscano l’uomo lo surrogano abbondantemente in ogni particolare, in maniera assai complessa, fino ad arrivare a produrre delle soluzioni tanto innovative e tanto allettanti che incantano i consumatori e riescono a celare finanche alcuni effetti pericolosi.

Ma non rinneghiamo gli sforzi compiuti nel passato e consoliamoci osservando che in fin dei conti la scuola sta cambiato pelle e diminuisce la distanza fra cultura e popolo, sempre senza troppe eccellenze, in linea con questa smania collettiva di fruizione e di condivisione.

Rispondo anche a chi chiede che fine faranno quegli alunni bravi in latino, in greco, in storia dell’arte, in letteratura italiana dopo aver rappresentato per anni il lievito della cultura di uno stato?

Sarà bene continuare a valorizzarli ed a premiarli, perché la loro voce è sempre un punto di riferimento, da cui partire per le valutazioni a livello storico-antropologico.

(*) esperto scientifico Albo REPRISE, Ministero Università e Ricerca