BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE

RIFORME  NATE  MALE  

BISOGNI  EDUCATIVI  SPECIALI  E  INCLUSIONE

l’inadeguatezza della direttiva 27/12/2012  e della  CM 8 del 6/3/2013

 

L’intenzione era ottima; ma il risultato lascia molto a desiderare.

L’obiettivo dichiarato della direttiva del 27/12/2012, firmata dal Ministro F. Profumo, era ambizioso e di grande valore civile: estendere a tutte le categorie dei cosiddetti BISOGNI  EDUCATIVI  SPECIALI i benefici e le finalità della legge 170/2010: “nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” .

In altri termini si trattava, oltre alle situazioni di svantaggio sociale e linguistico, di aggiungere ai quattro DSA già trattati dalla 170 (dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia) almeno cinque nuove categorie: deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, ADHD di tipo lieve e funzionamento cognitivo limite.                                                                             Sfortunatamente la direttiva, malgrado il titolo promettente:

“STRUMENTI D’INTERVENTO  PER  ALUNNI  CON  BISOGNI  EDUCATIVI  SPECIALI

E  ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE PER L’INCLUSIONE SCOLASTICA”

al di là di alcune definizioni e dati epidemiologici non fornisce alcuno “strumento” utile per le scuole, del tipo “strumenti compensativi”, “misure dispensative”, “individualizzazione” e “personalizzazione”, con l’eccezione di banalità quali: “Gli interventi educativi e didattici hanno come sempre ed anche in questi casi un’importanza fondamentale” (!).

Che qualcosa sia andato storto nello staff ministeriale si capisce subito dalla traduzione in Italiano dell’acronimo anglosassone ADHD: “deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività”. Ora, essendo l’iperattività già un disturbo, ne deriverebbe un disturbo del disturbo (sarebbe bastata una visita su wikipedia per evitare il refuso; ma niente a che vedere con il tunnel del neutrino).

Per non parlare poi dell’intreccio confusivo fra CTS (centri territoriali di supporto) e CTI (centri territoriali per l’inclusione).

Le cose non vanno meglio con l’altro documento gemello: la CM n° 8 del 6/3/2013 (firmata dal capo dipartimento) che ha per oggetto la direttiva; “indicazioni operative”. Basta citare:

1) “…progettazioni didattico-educative calibrate sui livelli minimi attesi…” ; è questa la personalizzazione che hanno in mente al Ministero? Ma la formula dei “livelli minimi” non era stata espunta dal lessico pedagogico ? Semmai si dovrebbe dire livelli “essenziali” o “irrinunciabili”:

2) Burocrazia dilagante. Avete presente quella massa oscura invadente e untuosa che si vede spesso a Blob? La burocrazia ministeriale è tale e quale, anche per l’inclusione. Basta guardare al groviglio sfibrante di consigli, GLI, PAI, collegio, USR, CTS, CTI……

3) “…. il consiglio di classe o il team dei docenti motiveranno opportunamente, verbalizzandole, le decisioni assunte sulla base di considerazioni pedagogiche e didattiche; ciò al fine di evitare il contenzioso” . E’ evitare il contenzioso la priorità del MIUR in materia di inclusione ?

4) “…. consigli di classe  o dei teams dei docenti nelle scuole primarie…”; teams dei docenti nelle primarie ? Dobbiamo desumere (dopo il DPR 122/2009) che il “consiglio d’interclasse” non esiste più? Che l’art. 5 del D.L.vo 297/1994 è stato in parte abrogato?  (ma non mi risulta nessuna norma esplicitamente abrogativa in tal senso).

5) “…. nel caso in cui sia necessario trattare dati sensibili…., si avrà cura di includere nel PDP apposita autorizzazione da parte della famiglia…”.  Urge ripasso dell’art. 20 del D.L.vo 196/2003 e soprattutto l’aggiornamento/ampliamento della scheda n° 4 allegata al DM  305 del 7/12/2006.

 

il presidente provinciale

Giuseppe Guastini