Intellettuali, assistenti sociali o semplici fannulloni: chi sono gli insegnanti?

da Corriere della Sera

Intellettuali, assistenti sociali o semplici fannulloni: chi sono gli insegnanti?

di Simone Giusti
La scuola è fatta principalmente dagli insegnanti. Che sia giusto o sbagliato, per pensare e, eventualmente, ripensare la scuola occorre partire da questa semplice constatazione. Specialmente in Italia, infatti, la scuola investe quasi tutte le sue risorse negli stipendi degli insegnanti. E quando si parla di scuola o la si rappresenta nei film o nelle fiction televisive, i protagonisti sono sempre gli insegnanti, impegnati nel loro lavoro quotidiano con gli alunni.

E chi sono, quindi, questi personaggi che popolano l’immaginazione di alunni, genitori, amministratori pubblici, legislatori e cittadini comuni? Come sono rappresentati? E come si vedono loro stessi?

Diciamolo subito: per molti sono semplicemente dei fannulloni. Si tratta di un luogo comune che si è diffuso negli ultimi anni, durante i quali si è consolidata l’idea degli insegnanti come dipendenti pubblici che godono di particolari privilegi, quali lo stipendio fisso garantito a vita, periodi di vacanza più lunghi della media dei lavoratori, assenza di valutazione, ecc.

D’altronde è comprensibile che in tempi di crisi economica gli statali – per quanto essi stessi ne siano colpiti – divengano bersaglio di polemiche. E va detto che, al di là delle formule dispregiative, si diffondono nelle scuole pratiche e strumenti tipici del lavoro da impiegato: il cartellino da timbrare, le scartoffie da compilare, regole sempre più centrate sulle ore di lavoro piuttosto che sugli obiettivi da raggiungere.

Più nobile, per quanto vagamente elitario (e in molti casi velleitario), è l’insegnante intellettuale. È una rappresentazione che si è diffusa soprattutto tra gli insegnanti dell’area umanistica ai quali, soprattutto nel nostro paese, è riservata un’attenzione particolare da parte dei media e dell’opinione pubblica.

È l’insegnante che illumina la classe con la sua cultura, rischiara le menti e intimorisce colleghi e genitori: un modello difficile da standardizzare e replicare nella società di massa, che può dare soddisfazioni e, anche, produrre grandi frustrazioni.

Mi è capitato di sentire più di una volta colleghi insegnanti affermare con forza: «Ma io non sono un assistente sociale». Affermazione antipatica, utile a rappresentare il malcelato e offeso orgoglio di una categoria professionale che ha visto declinare il proprio prestigio con l’avvento della società di massa. All’insegnante, invitato anche dalle scienze pedagogiche a spostare l’attenzione verso la persona che apprende, può capitare di rivendicare il suo ruolo di esperto in una determinata disciplina (lo scienziato, il matematico, il letterato, ecc.): dei problemi degli alunni e del loro benessere se ne occupino gli operatori sociali!

Il vero problema, semmai, è rappresentato dal fatto che gli insegnanti, per quanto obbligati a affrontare problemi educativi e sociali complessi e sempre nuovi, non ricevono una preparazione professionale adeguata. Ma questo è un altro discorso.

Io ho sempre preferito associare la figura dell’insegnante a quella dell’artigiano. Certo, sono un po’ impiegato, un po’ intellettuale e un po’ operatore sociale, non c’è dubbio, ma se dovessi scegliere per un ruolo più chiaro e definito mi vorrei rappresentare come un artigiano.Come l’artigiano, infatti, domino l’intero processo produttivo, ho una notevole autonomia che mi consente di risolvere i problemi che incontro nel mio lavoro quotidiano in modo diretto e immediato. Inoltre, dialogo in modo continuo col committente (l’alunno e i suoi familiari), ne conosco le aspettative e i desideri e sono in grado di verificarne la soddisfazione. Per questo, come un buon artigiano, sono in grado di personalizzare il mio servizio. Ancora, aspiro a portare a termine un lavoro ben fatto: non mi verrebbe mai in mente di vantarmi delle bocciature dei miei alunni, che vivo come dei veri e propri fallimenti.

E voi, che insegnanti siete? E che insegnanti vorreste?

A partire da questa domanda, forse, potremmo ripensare la formazione degli insegnanti e quindi, finalmente, riformare davvero la scuola.