DL 104/13 in materia di istruzione

DL 104/13 in materia di istruzione
Memorie FLC CGIL audizione Camera dei Deputati del 24 settembre 2013

Premessa
Il D. L. 104/2013 ha il merito di iniziare ad invertire la stagione dei tagli epocali all’istruzione e al diritto allo studio.
Questo è un bene perché da anni i settori pubblici della Conoscenza sono stati oggetto di incessanti riduzioni di spesa, frutto della povertà culturale di chi li ha promossi e dell’intento di procedere verso la privatizzazione dei saperi. Tuttavia considerando le drammatiche condizioni di partenza può essere considerato solo il primo passo per risalire la china
Sottolineiamo che sarebbe un intervento complessivo di segno positivo rivolto anche ad università, ricerca, alta formazione artistica e musicale.
Infatti, a nostro avviso, occorre una radicale inversione di visione rispetto agli ultimi anni a partire dalla necessità di aumentare di 1 punto di Pil gli investimenti per istruzione e ricerca nei prossimi 5 anni per raggiungere la media europea. Rileviamo che è proprio l’incongruenza tra gli interventi previsti e le risorse stanziate una delle maggiori criticità del decreto. Così come è necessario chiarire il quadro d’insieme entro cui il Governo intende muoversi per evitare che si riduca ad un provvedimento emergenziale ma sia collocato entro un percorso per ridare valore e funzione sociale all’intero sistema della conoscenza rivedendo radicalmente le scelte degli ultimi anni. Per questa ragione la valorizzazione del lavoro in tutti i comparti della conoscenza deve essere il riferimento strategico per il miglioramento qualitativo di scuola, università,ricerca e Afam. In tal senso sono un pessimo segnale il blocco ulteriore dei contratti nazionali nel pubblico impiego, degli scatti d’anzianità e l’ostilità di parti del Governo, del Parlamento, della dirigenza di alcuni Ministeri e della Ragioneria Generale dello Stato rispetto ai necessari processi di stabilizzazione del precariato che rimane una delle priorità fondamentali per la FLC CGIL.
Serve poi uno specifico intervento per i lettori e cel ponendo fine alla gravissima discriminazione di questa categoria di lavoratori che sono stati oggetto di provvedimenti già al centro di contenziosi tra governo Italiano e corte di giustizia e in aperta violazione di una consolidata giurisprudenza della corte costituzionale.
Il decreto legge ora in fase di conversione in Parlamento, se, da un lato, mostra la volontà del Governo di voler iniziare a riaffrontare alcuni problemi, dall’altro ripropone alcune soluzioni già presenti nei provvedimenti dei precedenti governi che la FLC aveva duramente contestato e contesta anche oggi. E’ nostra intenzione salvaguardare gli aspetti qualificanti del decreto, relativi soprattutto al comparto scuola, e nel contempo modificarlo con emendamenti specifici implementando le parti in cui è carente.
Segnaliamo in particolar modo la ricorrente propensione ad invadere, per legge, il campo contrattuale: questo accade, in particolare per la parte rivolta all’istruzione, in una pluralità di disposizioni. Come organizzazione sindacale non possiamo che leggere negativamente interventi di questa natura soprattutto in una fase in cui i contratti dei nostri comparti sono bloccati per effetto del Regolamento approvato dal Governo l’8 agosto scorso che proroga il rinnovo dei contratti per un altro anno.
Di seguito le nostre considerazioni sui singoli punti.

Scuola

Misure sul personale
Piano triennale e sostegno. Positiva la stabilizzazione del personale della scuola oltre il turn over e la stabilizzazione dei posti di sostegno. Ma ancora una volta si fa riferimento alla sessione negoziale con il solo scopo di ridurre lo stipendio per i nuovi immessi in ruolo e in ogni caso si vuol tagliare le risorse a disposizione del personale della scuola. Tutto ciò in una situazione in cui per effetto del Regolamento approvato dal Governo l’8/08/2013 sono stati ulteriormente bloccati gli scatti di anzianità; inoltre viene rinnovata fino al 2015 la proroga per il rinnovo economico dei contratti e restano congelati gli stipendi. Inaccettabile che il Contratto venga chiamato in causa solo quando si tratta di sottrarre soldi e diritti ai lavoratori. Non è praticabile, in tale contesto, alcuno scambio tra diritti dei lavoratori precari e piano triennale.
Inidonei e insegnanti tecnico pratici (ITP) in particolari situazioni. È vero, viene eliminato il transito forzoso nei ruoli ATA, tuttavia rimane l’impraticabilità delle soluzioni proposte dal D.L, non solo perché la mobilità intercompartimentale è terreno non agibile (le amministrazioni di destinazione non danno disponibilità di accoglienza), ma anche perché il transito si configura come un peggioramento delle condizioni lavorative di questi lavoratori più utilmente impiegabili in compiti connessi con le attività scolastiche. Per questi lavoratori chiediamo soluzioni diversificate che vadano dalla possibilità della mobilità intercompartimentale a domanda al proficuo utilizzo nella scuola da definire tramite accordo sindacale come previsto dall’art. 4 comma 2 lettera a) del CCNL 2007. Si tratta di modifiche che non comportano aumenti di spesa, essendo già prevista la copertura in sede di relazione tecnica.
In quanto agli ITP delle classi di concorso C999 e C555 (circa 430 lavoratori), vogliamo ricordare che si tratta di docenti a tutti gli effetti. I primi originariamente erano alle dipendenze delle province e sono stati trasferiti allo Stato nel 2000. I secondi sono diventati soprannumerari tout court dopo la riforma dei programmi.
La legge prevedeva per questo personale, nel caso in cui fosse sprovvisto di titolo di studio idoneo, la riconversione professionale che non è mai avvenuta per responsabilità del Ministero dell’Istruzione. Si tratta di docenti che nel frattempo sono stati già utilmente impiegati nelle istituzioni scolastiche prevalentemente in attività di laboratorio. Inoltre l’abrogazione del comma 81 dell’art. 4 L. 183/2011 (spending review) ha la finalità di ridare funzionalità alle scuole laddove per effetto della suddetta norma si opera un congelamento dei posti di assistente tecnico se presenti insegnanti tecnico-pratici (ITP) in esubero come se si trattasse di profili intercambiabili.
In realtà ciò comporta il licenziamento del personale assistente tecnico privando la scuola (malcapitata) di una figura tecnica con preparazione specifica sul piano operativo. È bene sottolineare che gli ITP, vista la loro formazione specifica, rappresentano una risorsa per la scuola dell’autonomia e potrebbero essere proficuamente utilizzati anche nell’ambito delle reti di scuola già previste dalla legge in materia di sviluppo e semplificazione (art. 50 Legge n. 5 del 9 febbraio 2012). Cosi facendo le scuole potrebbero risparmiare una quota dei fondi per il funzionamento didattico e amministrativo, dal momento che specie le scuole del primo ciclo (scuole dell’infanzia, primaria, medie) ricorrono a collaborazioni esterne non disponendo di nessuna figura tecnica docente/Ata.
Per i docenti ITP, che loro malgrado si trovano in questa situazione, chiediamo che si aprano subito le porte della riconversione professionale e nel contempo che continui il loro proficuo utilizzo nelle istituzioni scolastiche. Alla bontà di queste misure sono legate le sorti di diverse migliaia – e dietro ci sono altrettante famiglie – di tecnici e di amministrativi che verrebbero licenziati in tronco dopo anni di lavoro.

Dirigenti scolastici. Positiva la cadenza annuale del concorso e la centralizzazione delle procedure. Queste misure le aveva chieste anche la FLC a seguito dell’enorme contenzioso che si è verificato. Tuttavia l’affidamento alla scuola superiore di Amministrazione non dà sufficienti garanzie circa la specificità del settore scolastico. Pertanto pensiamo che la soluzione si possa trovare nel momento in cui si affida a personale scolastico tutto ciò che riguarda le prove selettive.
Ingresso gratuito ai musei. La misura è ottima, finalmente si comincia a ragionare sugli strumenti di supporto alla professione. Ma chiediamo che si superi la fase sperimentale e che la misura venga estesa a tutti gli operatori della scuola, dirigenti e Ata compresi.
Dimensionamento della rete scolastica. La norma va bene, ma manca una certezza numerica che invece riteniamo necessaria per dare serenità alle scuole e alle famiglie. A questo fine potrebbe essere utile adottare il parametro numerico medio regionale di 800 alunni per istituto nelle regioni ad alta dispersione scolastica e ad alta densità criminale e di 900 alunni nelle altre realtà regionali.

Dispersione scolastica, orientamento e formazione del personale. Ci trova d’accordo lo stanziamento dei fondi per contrastare la dispersione scolastica, per potenziare l’offerta formativa e l’orientamento degli studenti nella scuola secondaria di secondo grado ecc. Ma gli articoli sulla dispersione scolastica e l’orientamento vanno profondamente rivisti perché è del tutto sbagliato il modo con cui vogliono affrontare questi temi legati alla didattica, all’autonomia organizzativa delle scuole e alla libertà di insegnamento. Ad esempio il recupero è più efficace se affidato a personale che già conosce i bisogni formativi degli alunni e soprattutto se effettuato da chi definisce già in orario curricolare gli interventi di recupero e potenziamento.
Pur condividendo la necessità di affrontare il tema della dispersione scolastica con una maggiore integrazione tra intereventi interni alle scuole e territorio, coinvolgendo una pluralità di attori, il ricorso a risorse esterne deve passare in seconda istanza.
In quanto alla formazione dei docenti e l’utilizzo del FIS, istituto contrattuale, è bene che tutto ciò sia la contrattazione a decidere criteri e modalità e non l’intervento legislativo (come è accaduto in passato). E’ concettualmente e politicamente sbagliata la definizione dal parte del MIUR di metodi didattici e obiettivi specifici. Come è sbagliato concentrare le risorse formative in quelle situazioni con quelle motivazioni: questo vuol dire far passare l’dea che i risultati di apprendimento derivano da deficit di insegnamento. Siamo sicuri, invece, che, passato l’anno 2014 (l’unico anno finanziato per l’aggiornamento), tutto rimarrà come prima perché il livello economico, culturale, sociale, produttivo, relazionale, di edilizia scolastica, di strutture laboratoriali, di stimolazione culturale dei territori di riferimento ecc. rimarrà come prima. Ed è proprio il contesto, invece, che sta alla radice dei risultati dei test inferiori alla media nazionale.
Potenziamento offerta formativa. Il DL prevede la finalizzazione dei fondi per l’autonomia scolastica (legge 440/97) alle innovazioni tecnologiche. Sarà poi un successivo DM a stabilire i criteri “la tipologia di laboratori e i materiali per i quali è possibile presentare proposte di progetto finanziate” . Questa misura non ci trova d’accordo perché invasiva dell’autonomia organizzativa e didattica delle scuole. Ancora una volta, in continuità con il passato, si predica l’autonomia, ma si pratica la centralizzazione delle scelte. Crediamo e sosteniamo una modifica per dare modo alle scuole di crescere sul terreno della cultura programmatoria. Esse hanno bisogno di un budget certo di risorse e non tagliabili al 1 settembre di ogni anno. Riteniamo che sia arrivato il momento di inviare direttamente questi i fondi alle scuole tramite parametri nazionali trasparenti e oggettivi.

Istituti tecnici superiori. Riteniamo che L’art. 14 del Decreto Legge 104/13 che ha previsto la cancellazione della parte dell’art. 52 della Legge 35/12 sull’offerta coordinata regionale – travolgendo, evidentemente, anche le specifiche norme applicative definite dalle Linee guida e dal relativo decreto interministeriale 7 febbraio 2013 – determini conseguenze negative.
Quindi grandi difficoltà nel coordinare l’offerta formativa regionale di settore, sia in termini didattici che di risorse umane, strumentali e finanziarie; mantenimento, per ciascun ITS che insiste nella stessa regione nella medesima area tecnologica, degli organi di governo (presidente, giunta esecutiva,
consiglio di indirizzo ecc.).

Università, Afam, Ricerca

Diritto allo studio universitario e borse di studio per l’alta formazione artistica musicale e coreutica
L’incremento di 100 milioni di euro annui, a decorrere dal 2014 del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio universitarie e l’esclusione dei pagamenti dai limiti del patto di stabilità interno delle Regioni può essere considerato un primo segnale di inversione di tendenza in materia di diritto allo studio dopo anni di decurtazioni. Siamo però ancora lontani dal garantire una reale possibilità per tutti gli studenti meritevoli di accedere al sistema universitario.
Con il finanziamento attuale non si raggiungerà l’obiettivo di eliminare la figura dell’idoneo non vincitore.
La stessa considerazione vale per lo stanziamento di 6 milioni di euro, per l’anno 2014, per borse di studio per l’Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica cioè che si tratta di un primo, seppur modesto, intervento di sostegno al diritto allo studio in un settore piccolo ma di grande qualità ed importanza.
Corsi di laurea ad accesso programmato
L’abrogazione del cosiddetto “bonus maturità” per l’accesso ai corsi a numero programmato era una decisione inevitabile dopo il pasticcio creato dal precedente Ministro Profumo e non risolto dagli interventi successivi del Ministro Carrozza. Resta l’amarezza per la totale improvvisazione su un tema così delicato e sensibile per centinaia di migliaia di ragazzi. La scelta di eliminarlo a test in corso produrrà una ondata di nuovi ricorsi. È arrivato il momento di aprire una discussione seria e poco ideologica sull’utilità del numero chiuso. I fatti dimostrano che si tratta di un sistema anacronistico e ben poco efficiente. La strada è un vero potenziamento dell’orientamento e dell’offerta formativa.
Formazione specialistica dei medici
La definizione di una graduatoria nazionale è un atto sensato, peraltro da tempo sollecitato dalle associazioni dei medici specializzandi. Anche l’aggiornamento triennale del compenso è senza dubbio un fatto positivo. Restano aperti tutti i nodi di una figura professionale che meriterebbe una regolamentazione contrattuale vera e propria determinata all’interno di un CCNL.

Afam
Per quanto riguarda la risoluzione delle problematiche inerenti al personale la proposta dell’art.19 è ancora molto lontana dall’essere soddisfacente. Infatti, con questo provvedimento si dovrebbero salvaguardare I precari e le istituzioni. Non è così: lascia “a piedi” circa 1000 docenti con anzianità superiore mediamente ai 5 anni dopo ripetuti esami idoneativi perché più volte costretti a valutazione artistico-professionale, non sana i 28 EP 1 che stanno garantendo con competenza altrettante istituzioni, lascia irrisolta la questione docenza.

ANVUR e finanziamento degli enti di ricerca vigilati dal Miur
A parte le norme di “aggiustamento” delle modalità di nomina dell’organo direttivo dell’Agenzia manca ciò che davvero servirebbe. Un cambiamento dell’indirizzo dell’Anvur e una separazione netta tra organo di valutazione organo politico.
Infatti le scelte operate da questa agenzia nell’impostazione dell’esercizio di valutazione della qualità della ricerca si sono dimostrate alla prova dei fatti inadeguate.
Pur in ritardo rispetto ai sistemi di valutazione adottati dagli altri paesi occidentali siamo stati capaci di scegliere le modalità più discusse e screditate culminando con l’arrogante classifica a punteggi per strutture talora spesso incomparabili. Basti pensare che la mole di informazioni e di dati raccolta in due anni di lavoro costato certamente non poco in termini di impegno e di risorse, è stato ridotto a scoop giornalistico e ad una sequela di inutili pagelline su chi è più bravo e su chi è più ciuccio. Che questi sarebbero stati gli esiti di un approccio “ideologico” alla valutazione lo avevamo purtroppo ampiamente previsto e denunciato.
Inoltre ribadiamo che la metodologia utilizzata per stilare i famosi elenchi di università ed enti di ricerca non trova, ormai, riscontro in alcun paese al mondo dove esiste una analoga agenzia o un analogo esercizio di valutazione come ad esempio quello inglese.
Con le classifiche si è “scoperto l’acqua calda”, premiando strutture più ricche e collocate in contesti territoriali ed economici in cui è più facile attrarre risorse. E si è stilato inutili e fuorvianti elenchi di strutture più o meno cattive che non tengono adeguatamente conto di dimensioni, caratteristiche territoriali e storiche, specificità e articolazioni interne. Per rincorrere i titoli sui giornali, si è fatta un’operazione di presentazione di dati, che importanti ed utili se ben interpretati e ponderati, diventano così fuorvianti anche per famiglie e studenti ed in generale per il Paese.
Lo scopo della valutazione di sistema, pur necessaria, è stato già travisato nelle finalità. Invece che strumento di sostegno al ministero ai fini di raccogliere quegli elementi informativi utili al miglioramento del sistema, diventa strumento di natura punitiva che rischia solo di scatenare una competizione infruttuosa, se non dannosa, tra i nostri atenei e enti di ricerca nonché la giustificazione per un’ulteriore riduzione della spesa.
Pensare che parte consistente del finanziamento alle Università, e agli Enti di Ricerca vigilati dal Miur possa essere ripartita tramite una lettura distorta e ingenua dei prodotti della ricerca è cosa allarmante. Indipendentemente dalla quantità di dati raccolti si tratta comunque di decidere come valutare i risultati e rifiutare parte consistente della metodologia adottata dall’Anvur. Del resto, in questi due anni sono stati rilevati più volte i limiti di questo esercizio di valutazione – sistematicamente ignorati dall’Anvur bollando tutto ciò che veniva loro obiettato con “non vi ascoltiamo perché voi non volete la valutazione”. E’ stato ben spiegato in altre sedi come la distribuzione statistica dei dati, se utilizzata per stilare classifiche, finisce per favorire tendenzialmente le strutture più piccole su quelle più grandi falsando ogni lista di più o meno meritevoli.
L’idea di distribuire quote di FFO sulla base dei dati Anvur è quindi pericolosa per le ragioni che sommariamente abbiamo esposto. Inoltre il sottofinanziamento del Fondo ordinario delle Università a prescindere dal modo in cui i dati Anvur verranno pesati, quindi anche se si utilizzeranno modalità meno ideologiche di quelle proposte in sede di presentazione della VQR, rischiano di essere comunque disastrose per molti Atenei. Siamo ormai al collasso del sistema universitario e non vorremmo che l’Anvur si limitasse a certificarlo.
Il caso specifico degli enti di ricerca è ancora più pernicioso. La scelta di obbligare i ricercatori degli enti a presentare 6 prodotti anziché 3 come se l’attività di trasferimento tecnologico, servizio, monitoraggio e in generale tutta la terza missione degli enti sia secondaria era ed è palesemente sbagliata. Ma non solo. La stessa comparazione tra strutture così diverse è semplicemente puerile oltre scientificamente falsa.
Come si potrebbe dubitare che un ente nato nel 2003 come l’IIT – quindi con 0 attività in quell’anno – abbia nel tempo, ed in corrispondenza di un enorme finanziamento che non ha equivalenti nelle strutture statali, un indice di miglioramento clamoroso rispetto a una grande struttura come il CNR, che risente di una ventennale politica di definanziamento? Oppure che utilizzare ingenti risorse per finanziare progetti di ricerca esterni all’ente con firme pesanti, come nel caso dell’ IIT incrementa qualunque indice citazionale? La domanda vera da porsi è, semmai, per quale ragione un ente nato per produrre innovazione tecnologica finanzia la ricerca pura. Forse perché è l’unico modo di incrementare il proprio peso nella comunità scientifica a fronte di una debolezza plateale di risultati della missione principale per cui è nato?
In sostanza gli indicatori utilizzati dall’Anvur sono, per gli enti valutati, platealmente parziali e non funzionali ad un’efficace analisi comparativa delle performance scientifiche.
Probabilmente per questa ragione il decreto modifica la legge 213/09 nella parte in cui disciplina l’attribuzione della quota premiale del fondo ordinario degli enti di ricerca. Si prevede che il FOE (Fondo Ordinario degli Enti di ricerca) verrà prioritariamente assegnato con riferimento alla missione strategica degli enti e ai progetti e programmi che rientrano nella loro azione. La quota premiale pari oggi al 7% verrà assegnata anche tenendo in qualche misura conto della valutazione VQR, la cui pesatura è però rimessa ad un decreto del Ministro, nonché di “specifici programmi e progetti, anche congiunti, proposti dagli enti.” Per quanto ci riguarda è la conferma che i criteri utilizzati dalla VQR per valutare in particolare gli EPR sono assolutamente inadeguati tanto che nonostante le fanfare che hanno accompagnato la presentazione dei dati e il “battage” giornalistico dei giorni successivi non viene stabilito per gli Epr alcun automatismo nell’attribuzione della quota premiale ma un generico riferimento ANCHE alla VQR.
La VQR deve essere interamente rivista e soprattutto bisogna eliminare l’assurdità delle classifiche che non hanno alcuna logica pesando enti con missioni dimensioni e funzioni differenti e che peraltro non vengono più utilizzate da anni nei paesi che hanno una tradizione nella valutazione ben più solida della nostra. Peraltro stiamo parlando di distribuzione di risorse ordinarie (Fondo di finanziamento ordinario degli Enti) ridotte ormai all’osso dai continui tagli perpetrati dai vari governi negli scorsi anni.
Ragion per cui la norma contenuta nel decreto è un correttivo necessario ma non sufficiente. Il FOE richiede, come già ricordato proprio da questa commissione, e dalla commissione cultura del Senato un consistente incremento e un diverso meccanismo di distribuzione. L’idea, ad esempio, dei progetti bandiera e premiali finanziati senza alcuna preventiva valutazione (quando serve stranamente non c’è mai) con risorse estratte dal fondo è chiaramente una follia. Confidiamo in un vero piano nazionale della ricerca che faccia giustizia di questo scempio.
Lo stesso pasticcio dell’abilitazione scientifica nazionale è la cartina di tornasole della necessità di un immediato ripensamento dell’Agenzia su cui ci auguriamo si trovi velocemente una soluzione pena il perpetrarsi di un già disastroso blocco del reclutamento.

Contratti flessibili negli enti di ricerca e nelle università
Il decreto interviene sull’articolo della legge finanziaria 2006 che consente a università ed enti di ricerca di assumere personale con contratto a termine o di collaborazione o assegni di ricerca su progetti anche a sostegno alla didattica o alla ricerca, senza limiti se finanziati con risorse diverse dal Fondo di finanziamento Ordinario. Si tratta di una riscrittura della norma su cui si era intervenuti con il decreto del “fare”, che poteva dare adito ad un superamento dei limiti assunzionali anche sui progetti di ricerca a carico del Fondo di finanziamento ordinario. Quindi si tratta di una ripetizione o un rafforzamento della nota e ampiamente utilizzata possibilità di attivare contratti a termine sul progetti di vario genere evitando la norma tagliola del blocco della spesa sul fondo ordinario per queste tipologie di personale.
Non è più rinviabile, come anche questi interventi confermano, rilanciare un percorso di stabilizzazione dei precari della ricerca (i quali peraltro hanno superato più e più concorsi) insieme ad un reclutamento straordinario.

Personale degli enti di ricerca
La norma che dispone l’incremento della dotazione organica dell’INGV di 200 posti per reclutare nel quinquennio 2014-2018 personale ricercatore, tecnologo, tecnico e di supporto alla ricerca in scaglioni annuali di 40 unità rientra certamente tra i contenuti positivi di questo decreto.
Il personale dell’INGV precario vede finalmente la possibilità di essere assunto. E’ una battaglia che ci ha visto in prima linea per anni a supporto delle lavoratrici e dei lavoratori culminata con uno sciopero di ente. Ricordiamo che la stragrande maggioranza dei lavoratori precari aveva ed ha diritto alla stabilizzazione ai sensi delle leggi finanziarie 2007 e 2008. Riteniamo che la norma per meglio rispondere alle esigenze del personale e dell’ente deve essere emendata aumentando il numero dei posti così come era previsto almeno nelle prime bozze del decreto e con un esplicito riferimento alla platea interessata e al processo di assunzione con procedura riservata così come previsto nel decreto legge occupazione. Inoltre i contratti devono poter essere prorogati fino all’avvenuto completamento del processo di assunzioni.
Vogliamo inoltre sottolineare che la previsione di 5 anni per completare le procedure è chiaramente troppo lunga, lo stesso percorso di può e si deve chiudere molto più in fretta.
Si prevede inoltre l’esclusione degli enti vigilati dal Miur dall’applicazione del comma 34 bis del dlgs 165 2001 che prevede per le amministrazioni l’obbligo di procedere, prima dell’avvio di bandi di reclutamento, ad esperire la procedure obbligatorie di mobilità anche intercompartimentale, ma solo per i profili di ricercatore e tecnologo. In sostanza si semplifica ulteriormente il processo iniziato nel decreto sul pubblico impiego per facilitare per le assunzioni negli epr, che però non aveva eliminato l’obbligo della mobilità prima di indire nuovi concorsi. Siamo in ogni caso di fronte ad un paradosso: infatti mentre il decreto sul pubblico impiego prevede che tutti gli epr già alla presentazione dei piani triennali possano essere autorizzati a bandire i concorsi, questa norma si rivolge solo agli enti vigilati dal Miur e solo per i profili di ricercatore e tecnologo. Come se non ci fosse bisogno di tecnici (sempre di meno ormai, tanto da costringere i ricercatori a fare il loro lavoro) o di personale di supporto alla ricerca e se queste assunzioni, richiedessero una vigilanza speciale da parte funzione pubblica. Oppure come se gli altri enti avessero bisogno comunque di una sorveglianza speciale al momento delle assunzioni. Si deve arrivare ad un unico momento autorizzatorio per tutti gli enti e per tutto il personale e deve essere la presentazione dei piani triennali, momento in cui si definisce oltre la strategia e gli obiettivi dell’ente la politica di reclutamento e sviluppo delle carriere.
Crediamo indispensabile utilizzare questo vettore normativo per affrontare una volta per tutte il tema del reclutamento e del precariato negli enti di ricerca.
Si deve riconoscere la peculiarità di questo settore confermando la possibilità di avviare percorsi di tenure track peraltro già previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro e ribaditi in un accordo siglato tra le organizzazioni sindacali e il precedente governo. Bisogna superare il barocco meccanismo della dotazione organica riconoscendo le funzioni reali degli enti che sono garantite da anni con contratti a termine, assegni di ricerca e collaborazioni.
Serve un piano di stabilizzazione dei precari e il rilancio di un reclutamento ciclico. Serve una governance comune della ricerca pubblica facendola finita con l’assurdità di separare gli enti in virtù del ministero di riferimento, e un piano strategico per il suo rilancio.

Conclusione
Cogliamo l’occasione per ribadire l’opportunità di accogliere i cambiamenti proposti, su cui proporremo nostri emendamenti, e di aprire un grande dibattito pubblico in tutti i comparti della conoscenza avviando quei cambiamenti condivisi per ridefinire un nuovo rapporto tra conoscenza, lavoro e democrazia e tra essi e un nuovo modello di sviluppo.