Il ministero rischia la paralisi

da ItaliaOggi

Il ministero rischia la paralisi

Senza il Cnpi, concorsi e trasferimenti nel pantano . Dopo il Consiglio di stato, urge una decisione. Rispunta la riforma degli organi collegiali

Giorgio Candeloro

Sconfitta anche in appello per il Miur. Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del Tar del Lazio con la quale i giudici amministrativi, accogliendo un ricorso della Flc-Cgil, avevano sanzionato il ministero dell’istruzione, obbligandolo di fatto a resuscitare il Cnpi, soppresso alla fine del 2012 dal governo Monti.

Istituito nel lontano 1974 dai decreti delegati come organismo di vertice del sistema di rappresentanza del mondo della scuola, il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, presieduto dal ministro, è composto in gran parte da consiglieri eletti dalle varie categorie del personale scolastico; esso formula sia pareri facoltativi che obbligatori e, soprattutto, si esprime su questioni delicate e importanti come la definizione del calendario scolastico, le procedure concorsuali e di valutazione dei titoli degli insegnanti, le utilizzazioni e i trasferimenti, le attribuzioni di punteggio ai precari.

Nell’ottobre scorso un ricorso di parte sindacale era stato accolto dai giudici del Tar del Lazio che avevano obbligato il Miur a ripristinare entro 60 giorni la funzionalità del Cnpi, individuando, in caso di inadempienza, nel prefetto di Roma il commissario ad acta autorizzato a ricostituire il Consiglio e a procedere ad elezioni e nomine.

Evidentemente infastidita da una sentenza che aveva tra gli effetti collaterali quello di mettere in discussione la legittimità di alcuni suoi atti, come l’avvio della sperimentazione della riduzione di un anno delle superiori, proprio per il mancato avallo del soppresso ma resuscitato Cnpi, l’ex ministro, Maria Chiara Carrozza, aveva preferito la strada del ricorso al Consiglio di Stato a quella del recepimento della sentenza del Tar.

Al di là del merito stretto del ricorso del Miur, secondo il quale l’esistenza del Cnpi sarebbe stata in contrasto con la nuova ripartizione federalista delle competenze tra Stato e Regioni prevista dalla riforma del titolo V della Costituzione, è evidente che dalle parti di viale Trastevere si voleva evitare sul piano politico la rinascita di un organismo assembleare di controllo sugli atti amministrativi del ministero.

La sconfitta però è stata totale: i giudici del Consiglio di Stato non hanno rilevato alcun contrasto tra l’esistenza del Cnpi e le norme federaliste e hanno duramente bacchettato il Miur sostenendo che questo non può in nessun modo rifiutarsi di applicare una norma legislativa sostenendone l’incostituzionalità, essendo questo compito fondamentale ed esclusivo della sola Corte Costituzionale.

Mentre la Flc canta vittoria, chiedendo l’immediato ripristino operativo del Cnpi e l’indizione delle elezioni per rinnovarne le varie categorie di componenti, la patata bollente passa ora nelle mani del nuovo ministro Stefania Giannini, che si troverà di fronte alla necessità di operare delle scelte.

Per il neoministro non è possibile infatti non decidere. Da un lato potrebbe limitarsi a recepire la sentenza, tenendo in piedi un organismo vecchio, residuo di un’altra e lontana stagione politica e culturale, puntando a minimizzarne l’efficacia sul processo di controllo e tentando di limitarne l’impatto sul terreno delle scelte didattiche e ordinamentali. Ma potrebbe anche scegliere di utilizzare il pasticcio sul Cnpi come una buona occasione per svecchiare e riformare a fondo il sistema della rappresentanza nella scuola, magari avviando un confronto con tutti i soggetti interessati, per arrivare a una complessiva revisione degli organi collegiali scolastici, ormai palesemente inadeguati alle esigenze della nuova scuola dell’autonomia. Quello che è certo è che una decisione va presa e in fretta, per evitare che il ministero non possa più firmare legittimamente una serie abbastazna ampia di atti, dalle procedure concorsuali ai trasferimenti. Un rischio di paralisi che sarebbe difficile imputare ad errori della burocrazia.