ANCORA LA RISERVA INDIANA DOVE FARVI STAZIONARE GLI SCARTI DELLA DIRIGENZA PUBBLICA!

ANCORA LA RISERVA INDIANA DOVE FARVI STAZIONARE GLI SCARTI DELLA DIRIGENZA PUBBLICA!

 

Nel proprio convegno nazionale tenutosi a Firenze il 17 e 18 novembre la CGIL era perfettamente a conoscenza del D.D.L 1577, che ridisegna la dirigenza pubblica come figura non eccessivamente specializzata ed esperta per materia, ma genericamente “organizzatoria” nell’esercizio di autonomi poteri di gestione di eterogenee risorse umane-finanziarie-strumentali e loro combinazione ottimale ( in termini – giuridicamente esigibili – di efficienza, efficacia ed economicità) per la realizzazione dello scopo o programma o progetto predefinito dal committente politico (paradigma: art. 16, D.LGS. 165/01, per i capidipartimento e per i direttori generali), ovvero dal dirigente apicale della struttura (per i dirigenti amministrativi e tecnici di seconda fascia, ai sensi del successivo articolo 17), ovvero ex lege e con possibilità di ulteriori obiettivi specifici nel provvedimento d’incarico ( per i dirigenti delle istituzioni scolastiche, secondo il paradigma figurante nell’art. 1, comma 2, D.P.R. 275/99, integrabile con i contenuti della funzione compendiati nell’art. 25 del generale D.LGS. 165/01, cit.).

Conseguentemente, in forza della risemantizzata funzione dirigenziale vengono istituiti tre ruoli unici (per lo Stato, per le regioni, per gli enti locali), distinti ma coordinati e suscettibili di reciproche compenetrazioni: ciò che importa l’abolizione delle due attuali fasce gerarchizzate, di una dirigenza a carriera garantita, non più compatibili con una dirigenza che ora si vuole position based, contrassegnata dalla piena interscambiabilità e rotazione degli incarichi in virtù delle competenze culturali e professionali volta per volta allegabili da ogni dirigente a prescindere dal pregresso luogo di esercizio (le singole amministrazioni) della funzione e in esito ad una rigorosa valutazione degli obiettivi assegnati e delle capacità organizzativo-gestionali dimostrate; con l’ulteriore corollario dell’omogeneizzazione delle retribuzioni, quindi della riparametrazione e razionalizzazione delle inerenti voci ( tabellare, posizione e risultato), rapportate esclusivamente ai carichi quali-quantitativi di lavoro e inerenti responsabilità.

E’ di palmare evidenza che i connotati della dirigenza così riconfigurata si attagliano perfettamente a quella esplicata nelle singole istituzioni scolastiche, nel mentre non sono rinvenibili, sotto il triplice profilo concettuale, strutturale e funzionale, nelle distinte figure dei professional e dei funzionari: entrambi privi di poteri gestori, per essere piuttosto dotati di competenze qualificate, specializzate, di natura squisitamente tecnica e perciò circoscritte; dagli uni agite con margini di libertà, o discrezionalità, più o meno ampia (come nel caso dei docenti, ma anche dei medici, degli psicologi e/o sociologi, così come degli ingegneri o architetti, tutti operanti nelle pubbliche amministrazioni), dagli altri con il più stringente rispetto dei canoni propri delle procedure standardizzate, ancorché non necessariamente soggiacenti al vincolo gerarchico.

Eppure, con somma incoerenza, nel D.D. L. 1577 la dirigenza scolastica non è inclusa nel ruolo unico, neanche nelle sezioni eventualmente possibili delle “professionalità speciali”. E non potendo di certo essere assimilabile al professional, o addirittura al funzionario, resta un’identità sospesa o qualificabile in negativo: una NON DIRIGENZA, per l’appunto! Ché se la si voglia denominare “dirigenza professionale”, in luogo di dirigenza manageriale o gestoria, nel primo caso siamo di fronte a una contraddizione in termini, nel secondo di fronte a un’inutile ridondanza.

All’esclusione dal ruolo unico plaude senza riserve la CGIL, come già era facilmente deducibile dal titolo del convegno, di “ liberare la dirigenza scolastica, togliere gli oneri impropri, impedire invadenze esterne e – dulcis in fundo – valorizzare la sua SPECIFICITA’”.

Si ha così piena conferma che essa deve rimanere reclusa nella propria riserva indiana, preservata da ogni possibile contaminazione, protetta dalle reiterate molestie della burocrazia ministeriale che la vorrebbe prona e ubbidiente, al riparo dallo spoil system che ne minerebbe l’autonomia, costituzionalmente garantita…, secondo consueto, collaudato e consunto armamentario ideologico. E poi giù a sproloquiare di “leader educativo e non manager”, secondo le riduttive e abusate contrapposizioni – vuoi per malafede o per ignoranza delle norme di diritto positivo: o forse per tutt’e due – giocandosi su termini pure carichi di equivoci e intrinsecamente polisemici. Il tutto per recare volutamente confusione allo scopo di sostenere i suoi risalenti dogmi e, per intanto, annacquare la chiarezza concettuale dei due relatori esterni, Anna Armone e Sergio Auriemma, giuristi esperti di diritto scolastico, allo stesso modo tentato dall’ANDiS in un suo precedente analogo convegno nei confronti della cristallina esposizione della professoressa Anna Maria Poggi, ordinaria di diritto costituzionale: che neanche per dovere di cortesia, esigita dal politically correct, hanno potuto esimersi dal richiamare e condurre a sistema le chiare, precise e concordanti disposizioni sparse nell’ordinamento giuridico e supportate da unanime dottrina e giurisprudenza; e dunque puntualizzare che quella scolastica è una dirigenza pleno iure, esercitata in un ente-organo dello Stato funzionalmente autonomo vieppiù connotato da un alto grado di complessità, può ben affermarsi “a legami deboli”, in cui l’interpretazione prevale sì sulla mera esecuzione – con correlate responsabilità cui sono del tutto estranei, o quasi, i dirigenti “normali”, non gravati da qualsivoglia aggettivazione –, ma è, e deve essere, pur sempre astretta dagli ineliminabili – e controllabili – vincoli di ogni funzione pubblica nel perseguimento di un fine non già libero, bensì istituzionale e quindi “correttamente” doveroso. Eppure per la CGIL sono proprio questi dirigenti “normali” i veri dirigenti, in forza – come è stato perspicuamente scritto – di “un aberrante teorema, mai dichiarato, che considera impedimento a qualificare un determinato attore pubblico come dirigente se non è solo ed esclusivamente un burocrate passacarte”. Sicché quella di un sindacato che tutti indistintamente accomuna nella qualifica di “lavoratori della conoscenza”, ed estensivamente dei sindacati confederali generalisti di comparto, “è una soluzione che si porta dietro un cattivo gusto di retrobottega, dove stazionare gli scarti della dirigenza pubblica”.

Se è condivisibile l’istanza di liberare la dirigenza scolastica da alluvionali incombenze ultronee, se non del tutto inconferenti, per riorientarne l’azione sul focus istituzionale – l’organizzazione ottimale dell’insegnamento, cioè della prestazione fondamentale della scuola, e di tutto quel che la correda e la supporta – le soluzioni, che non si riducano a vacui slogan, sono quelle di escludere dalla congerie di adempimenti impropri le novelle “Amministrazioni di cultura e istruzione” ( di cui all’art. 8 del D.D.L. 1577), di allocare presso reti territoriali più ampie e specializzate (ai sensi dell’ inattuato art. 50, D.L. 5/12 e, ancor prima, tramite le reti di scuole, ex art. 7, D.P.R. 275/99) quelli di natura marcatamente strumentale, di incardinare in ogni istituzione scolastica figure intermedie di comprovata professionalità operanti negli ambiti assegnati con autonomia e connessa responsabilità, vincolate alle direttive di massima del dirigente: sia sul versante amministrativo-contabile che della didattica. E’ quel middle management, prefigurato dalle mai nate “figure di sistema”, sempre osteggiato proprio dalla CGIL, unitamente ai sindacati confederali, perché espressioni di una – presunta – cultura competitiva, antisolidale e gerarchizzata.

Alla fin fine la soluzione, per così dire ufficiale, emersa nel convegno di Firenze, del dirigente scolastico   “leader ed educatore , non manager”, è quella di trasformarlo in un SEMPLICE COORDINATORE DELLA DIDATTICA, così come teorizzano le associazioni professionali: con eleganti circonlocuzioni verbali (l’ANDiS) o in modi diretti (la DISAL); che, giusto ieri l’altro, sono andate a braccetto in audizione dal neosottosegretario all’Istruzione Davide Faraone per dirgli che “deve essere differenziato il ruolo dei dirigenti scolastici all’interno della dirigenza pubblica”: una rieditazione della riserva indiana, così esclusa da tutti gli istituti giuridici, normativi e contrattuali, implicati nel ruolo unico e innanzi evidenziati, per continuare a contemplarvi la propria sublime specificità – non meritevole neanche della sua collocazione nelle “Sezioni speciali”, atteso che ne manca il presupposto, cioè il ruolo unico –, con l’inevitabile cristallizzazione della sua marginalità.

Dopodiché, portato a compimento questo capolavoro, con la sincera gratitudine delle dirigenze forti, o “vere”, per aver scansato il rischio di essere infettate da dirigenti pezzenti, non si vede proprio come sia possibile rivendicare una perequazione economica interna ed esterna, rimessa alla sola via contrattuale. Ci provano – hanno dato mostra di provarci – da tre tornate negoziali la CGIL insieme agli altri quattro sindacati generalisti della Pentiade, tutte concluse dalla, fotocopiata, sterile dichiarazione congiunta delle parti contraenti di realizzare la predetta equiparazione “alla prossima”.

Occorre allora che la categoria, liberandosi da pregiudizi ideologici, dagli inesorabili ricorrenti mantra e da assurde paure alimentate ad arte, si induca a sostenere l’emendamento che DIRIGENTISCUOLA ha presentato all’articolo 10 del D.D.L. 1577, che è stato così formulato:

“Sono inclusi nel ruolo unico dei dirigenti dello Stato i dirigenti delle istituzioni scolastiche ed educative.

Gli stessi potranno essere collocati, all’interno del predetto ruolo unico, in una delle previste sezioni delle professionalità speciali in ragione della complessa funzione che sono chiamati a svolgere, integrante competenze di ordine gestionale, con diretta ed esclusiva responsabilità, e peculiari competenze di natura tecnico-professionale connesse alla qualifica di provenienza, senza pregiudizio della piena mobilità in uscita e dell’applicabilità degli istituti che connotano l’intera dirigenza pubblica.

Il rapporto di lavoro è regolato dall’unico contratto di area della dirigenza statale, ovvero in una sezione dello stesso, assicurandosi in ogni caso un trattamento economico complessivo non inferiore a quello delle altre figure dirigenziali”.

Tutto il resto è “ammuina”.