Voltaire! Dove sei?

Voltaire! Dove sei? Amari pensierini in libertà

di Maurizio Tiriticco

Alla fine della guerra avevo perduto la casa, comunque io e i miei ci eravamo salvati. Nonostante le difficoltà, io e mia sorella riuscimmo a terminare gli studi e io mi licenziai dal Liceo Giulio Cesare di Roma nel 1946. Inutile dire che i primi anni Quaranta furono per me forse molto più significativi degli studi classici: il 10 giugno ’40 entriamo in guerra ed io, balilla convinto, ero certo che in breve tempo con gli alleati germanici avremmo vinto la guerra e liberato il mondo dalla dittatura franco-anglo-americana nonché giudaico-massonico-capitalistico-plutocratica! Poi viene il 25 luglio del ’43 e il balilla convinto entra in una grave crisi. Poi ancora l’8 settembre del ’43… dalla crisi alla faticosa costruzione di una nuova identità! E poi la Resistenza, le Fosse Ardeatine, il 4 giugno del ‘44: Roma finalmente liberata. E poi il 25 aprile del ’45. E il 9 maggio la Germania finalmente si arrende.
Non mancò al mio impegno culturale e civile, per capire in quale buco nero l’intero pianeta era caduto, quello politico; e la milizia con il Pci mi sembrò la scelta migliore. La battaglia per la Repubblica e per la Costituzione: la prima Costituzione che l’Italia si dava! Lo Statuto albertino era stato una charte octroyée e il fascismo ne aveva fatta carta straccia! E le grandi lotte operaie e contadine, ma l’obiettivo era uno solo: non solo Ricostruire, ma anche Costruire un Paese assolutamente nuovo, fondato sulla democrazia, la giustizia e il lavoro: le parole forti della nostra Costituzione. Poi gli anni Cinquanta, quelli del boom, della Seicento e del frigorifero, del progressivo e non sempre facile consolidamento della nostra convivenza democratica.
Cominciai a insegnare lettere nella nuova scuola media unica ottonnale obbligatoria: una conquista di una grande civiltà. Leggevamo i nostri autori a noi più vicini, e il Piccolo Principe, il Barone Rampante e leggevamo anche le lettere dei condannati a morte della Resistenza le lettere di Gramsci ai figli, per non dire del Diario di Anna Frank. Avevamo anche discussioni vivaci: non dimenticammo i combattenti della Rsi: avevo compagni di scuola e amici che nel ’43 fecero quella scelta a cui non poteva non andare tutto il mio rispetto: “gli amici che sbagliano”. Non erano anni facili e costruire la democrazia nella testa e nel cuore dei nuovi nati non era affatto cosa facile. E ci battemmo anche perché venisse introdotta l’Educazione civica.
Negli anni Sessanta l’intero continente africano si liberava dal colonialismo. Insomma la spinta verso la democrazia era o sembrava molto decisa. Il limite era dato, però, dalla coesistenza dei due blocchi antitetici che dal ‘45, con la nascita della Cortina di ferro, all’89 – quasi mezzo secolo – divise il pianeta in due parti. E dopo il crollo del muro la grande speranza! Che la democrazia, come per incanto, si estendesse per l’intero pianeta.
Ma non è stato così! Gli avvenimenti recenti sono sotto gli occhi di tutti. Emigrazioni di massa stanno mettendo a dura prova la stabilità stessa di Paesi di antica democrazia. E pericolosi fondamentalismi stanno insanguinando regioni anche tra loro lontane, dall’Africa all’Asia minore e non solo. In nome di dio si uccide e si insegna a bambini che uccidere un infedele è la porta del cielo! Sono letteralmente stravolto. Le guerre di religione le abbiamo conosciute a lungo e sofferte in Europa e quanto abbiamo dovuto penare per comprendere ed imporre che non si può uccidere in nome di dio, anzi che non si può e non si deve uccidere! Mai! Mi sono illuso – e chissà quanti altri come me – che il pensiero liberale, o meglio la laicità fosse ormai un dato di fatto, che non esistessero più credenze che prescindessero dalla sacralità di ciascun essere umano, se non di ciascun vivente.
Beccaria sostenne con molto coraggio che la tortura non può e non deve essere lo strumento privilegiato di un processo. Siamo nel Settecento illuminato, quando un pugno di intellettuali ritiene che sia sufficiente pubblicare un’enciclopedia perché tutti possano leggere e capire che di ogni fenomeno c’è una spiegazione, che la ragione è l’unica guida per qualunque nostra azione. Abbiamo sofferto secoli per giungere a conclusioni che da allora costituiscono il fondamento dei nostri rapporti interpersonali, della nostra convivenza democratica. La cultura araba ha prodotto cose grandiose, poeti come Omar Khayyam o Hafez (ho visto la sua tomba a Shiraz, in Iran), matematici e scienziati i cui studi hanno contribuito non poco allo sviluppo stesso del nostro Umanesimo. Possiamo dire che Plotino, Platone e Aristotele siglarono un fruttuoso armistizio nella Firenze di Marsilio Ficino: grazie agli intellettuali bizantini scampati alla caduta di Costantinopoli. Tutta la nostra cultura cosiddetta occidentale deve molto alla cultura araba. A quella stessa cultura che ha prodotto cose grandi, dall’Alhambra di Granada allo zero!
Poi l’involuzione. Poi la chiusura nella ritualità più che nello sviluppo della ricerca? Un interrogativo a cui non so rispondere. E che dire della responsabilità dell’Occidente che del Medio Oriente e, più in là fino allo stesso Afganistan, ha fatto sempre terra di conquista? Sono frettolosi spunti di riflessione. A cui si associano anche constatazioni di fatto: le banlieus parigine – e non solo parigine – non sono nate per caso. Se mussulmani nati e scolarizzati in Francia non si integrano nella società in cui vivono, una o più ragioni ci dovranno essere! Una responsabilità della scuola? Od una responsabilità di un certa struttura socioeconomica, di una politica che non nasce oggi, ma che viene da lontano.
Temo che gridare al fuoco quando non si è fatto nulla – o poco – per evitare le esche, sia tardivo. Ma i tempi per avviare una riflessione seria su un fenomeno così complesso ci sono ancora. Anche perché un esercito non può essere schierato ad aeternum su tutti i punti sensibili. Mi manca, manca a tutti Voltaire!