Donne e autismo

da Redattore Sociale
06 marzo 2015

Donne e autismo, l’amore “non convenzionale” delle mamme

8 marzo. “L’autismo può scombussolarti la vita, ma ha anche la facoltà di migliorarla”: è la testimonianza di una delle 23 mamme che si raccontano. La lotta al fianco dei proprio figli è a volte estenuante, ma “gioia” e “amore” sono le parole che ritornano. Le difficoltà dei figli che crescono

ROMA – E’ una lotta spesso solitaria, a volte estenuante, sempre quotidiana, quella che le mamme combattono al fianco dei figli autistici. E sono, in molti casi, proprio le donne ad essere in prima linea in questa battaglia, che le mette alla prova fisicamente e psicologicamente: raccontandosi in poche righe, però, tante di queste donne scelgono soprattutto parole di amore, espressioni come “mano nella mano”, “gioia”, “innamorarsi”, pur nella lucida consapevolezza delle difficoltà e degli ostacoli che ogni giorno s’incontrano e s’incontreranno. E’ alle voci di una ventina di queste donne, che raccontano in poche righe qualche frammento della loro esistenza, che vogliamo affidare il compito di “celebrare” la festa della donna.  Leggi qui le altre 10 storie.

“Il mio piccolo principe è speciale!”, afferma infatti Chiara, mamma di Samuele, 5 anni. Le difficoltà sono tante per lo più con la burocrazia e con il ‘non conoscere l’autismo’ della società. Autismo non significa sempre e solo avere doti particolari: autismo è anche non saper parlare. Ma è anche dare amore in modo non convenzionale”. Francesca, mamma di Tommaso, ha iniziato la sua “lotta con l’autismo 8 anni fa. Tommaso aveva 3 anni. Quando ci dettero la notizia – ricorda – il mio cuore si spaccò in due, i miei occhi divennero lacrime. Ma poi lo guardai e dissi: ‘Lotteremo insieme’. E’ dura ma vinceremo noi, uniti, mano nella mano”. Una lotta che accomuna tutte, soprattutto le mamme di figli ormai adulti. Come Emanuela, mamma di un ragazzo di 26 anni: “viviamo a Milano e ad oggi non riusciamo a trovare una struttura diurna adeguata che lo accolga mentre i genitori sono al lavoro – racconta – Parliamo tanto di paesi da aiutare, ma poi non viene fatto niente qui da noi per i nostri figli”. Anche Annamaria ha un ragazzo ormai grande, Riccardo, di 21 anni, ma ricorda ancora “la gioia del primo anno e mezzo, nel vederlo crescere splendido e solare. Poi, improvvisamente , la mia mente prova a ricordare se c’è stato quell’attimo in cui è scomparso e per quale motivo. Ma non lo trovo. E’ stato difficile non premere il piede sull’acceleratore, ma trovare invece un po’ di serenità. Ora, dopo tanti sacrifici, è un bel ragazzo, che cerca un po’ di posto da condividere con gli altri in questa società. Ma nonostante gli sforzi che faccio per renderlo quanto più vicino ai criteri di normalità, lui è solo”.
Per Deborah, mamma di Federica, “l’autismo non è una malattia: è una parola che usiamo per indicare una condizione di grande sensibilità e profonda consapevolezza, ma che cela meravigliose, diverse persone che sanno vivere in profondità. Il mondo cosiddetto normale è solo una delle possibilità di esistere, parlare è solo uno degli strumenti di comunicazione. per apprezzare le gioie della vita è necessaria una mente aperta. Perché l’autismo può scombussolarti la vita, ma ha la facoltà anche di migliorarla”. L’autismo non ha spaventato neanche Elisabetta: “mi hanno spaventato invece l’indifferenza, la cattiveria e la superficialità della gente, che non capisce che tu non sei un genio, ma solo un bambino autistico ad alto funzionamento; che non sei maleducato, ma a volte la paura prende il sopravvento e ti fa avere reazioni impulsive”. Sono quelle reazioni che tutte queste donne hanno imparato, col tempo e con fatica,  conoscere e a comprendere, come racconta, in poche immagini, Alessandra: “Ricordo l’unica sberla sul sedere nudo mentre ti lavavo, per l’esasperazione dell’ennesimo morso, stavolta diretto a me. Un’esasperazione per quei tuoi morsi che non sapevo più come controllare: alla tua adorata assistente, alla compagna di asilo. Ma la sberla con sgridata ti ha provocato un attacco di risa: ridevi così forte, ma così forte, coi singulti che ti scendevano, le lacrime e non riuscivi più a smettere! Così, ho cominciato a parlarti sottovoce e i morsi sono cessati nel giro di una settimana”.

Chiocciolina (pseudonimo, ndr) ha un figlio di 12 anni, “un bimbo molto intelligente e presente, la sua rovina è l’iperattività. Quando lo hanno diagnosticato, non sapevo di cosa si trattasse: mi sono annullata come persona. Poi, piano piano, le cose hanno cominciato ad andare nel verso giusto. Oggi , nella sfortuna mi ritengo molto fortunata, perché mi ha aperto un nuovo mondo: vedo oltre quello che possono vedere gli altri genitori e sono felicissima e orgogliosa che Dio mi abbia scelto per questa grande avventura”. Tiziana è “un guerriero con sciabola e scudo che combatte un mostro”: così, almeno, l’ha descritta in una lettera sua figlia, sorella di Antonio, un ragazzo autistico di 15 anni. “Ma io non vedo l’autismo come un mostro – spiega Tiziana – Mostruosa è piuttosto la gente che cerca la perfezione e quindi scarta a priori il diverso o speciale. Io però ho due alleati, Mariastella e Alessandro: e sono sicura che, tutti insieme con il papà, ce la faremo”.

“Per un anno, lui era il bimbo che ride sempre! – ricorda Luana – Poi, la separazione dal papà, la responsabilità unica del crescere due figli da sola. Il mio distacco da tutto e tutti per cercare di ritrovare le forze. In tutto questo, quel maledetto vaccino. Nel giro di una settimana, tutto cambia. Il bambino sorridente scompare per lasciare il posto ad un bimbo senza emozioni. Un bimbo che si buttava a terra. Un bimbo che non piangeva mai. Neanche quando mi hanno chiamata per dirmi che si era fratturato il cranio cadendo chissà dove e come. Un bimbo che smise di indicare e pronunciare parole. Solo urla, crisi isteriche, camminare all’indietro fino a sbattere. Da allora, la vita come la conosciamo oggi: un continuo di terapie e di lotte per fargliele avere. Accettare di avere un figlio così vicino ma così lontano. Cosa mi rimane da fare? Andare avanti. Ora andrà a scuola. Io sono terrorizzata. Ho paura del bullismo e delle prese in giro.. Questa vita non è stata buona. Ma io lo tengo per mano con quanto più amore posso”.

Per Tiziana, mamma di due gemelli di 6 anni, Marco con ritardo psicomotorio, Pietro autistico, la vita è “una piccola barca in un oceano in tempesta, con onde spaventose ed un cielo grigio e cupo, pieno di nuvoloni neri, tuoni e lampi. C’è tanta paura, ma se si scruta bene, in fondo, molto lontano, si intravede un piccolo raggio di sole che spunta in mezzo ai nuvoloni neri. Quel piccolo raggio di sole è l’autismo con i suoi cari, che cerca di farsi spazio in un mondo completamente oscuro per loro. Pian piano il minuscolo raggio di sole, continuando a lottare insistentemente, riesce a vincere ogni giorno una microscopica battaglia”. E’ capitato anche a Deborah, con sua figlia Ginevra, che “mi sta insegnando molto – assicura – A godermi ogni attimo senza fretta, a non avere pregiudizi, a non essere superficiale, ad essere migliore”. (cl)


Autismo, le mamme raccontano “la lotta quotidiana” accanto ai figli

8 marzo. Venti donne raccontano la loro vita e le battaglie per l’integrazione, la comprensione, il riconoscimento dei diritti. Rabbia, esasperazione, sdegno verso chi giudica: ma anche una forte determinazione a “vincere questa bestia”

ROMA – Patrizia è tornata tra i banchi di scuola, accanto a suo figlio, per assicurargli la possibilità di stare in classe insieme ai suoi compagni; Vanessa ha combattuto una lotta quotidiana, per ottenere che Christian non sia più isolato nella “stanza del silenzio”; Sondra ha imparato ad accettare quella “mancanza di desideri” di Mattia, che le ha fatto odiare il Natale e tutte le feste; Maria ha combattuto il senso di potenza, aprendo una struttura capace di accogliere ragazzi autistici come i sui due figli: la quotidiana lotta al fianco dell’autismo ha spesso un volto femminile, perché in tanto casi è la mamma in prima linea, a volte solo lei resiste alla frustrazione, alla tristezza, alla fatica che la ricerca continua dell’integrazione e la difesa dei diritti a volte impongono.

Ed è alle voci di una ventina di queste donne, che raccontano in poche righe qualche frammento della loro esistenza, che vogliamo affidare il compito di “celebrare” la festa della donna: perché non sia solo una ricorrenza, ma un riconoscimento del lavoro che tante donne oggi svolgono, non tra i macchinari di una fabbrica, ma tra le mura domestiche, rivendicando diritti non tanto per loro, ma per coloro a cui hanno scelto di dedicare tutte le proprie forze: i loro figli con autismo. Ecco le storie delle prime dieci donne  (clicca qui per leggere le altre).
“A 19 anni ero una madre single, lavoravo e adoravo la mia bambina – racconta Patrizia – Poi ho conosciuto mio marito ed è nato Matteo: fin da subito abbiamo capito che  non era un bambino come gli altri. Piangeva se lo tenevamo in braccio, era in ritardo su tutte le tappe evolutive della crescita. E poi non parlava. La prima parola l’ha detta a cinque anni, il pannolino l’ha tolto a 8. E soprattutto ci picchiava, Matteo, sfogava la sua rabbia e la sua angoscia in questo modo. Era entrato l’autismo nella mia vita. Allora ho perso tutto. Ho perso il mio lavoro, che con tanta fatica mi ero conquistata, perché Matteo non riusciva a frequentare la scuola a tempo pieno. Ho perso gli amici, che sempre più raramente ci chiamavano per vederci. Ho perso mia figlia, che a 16 anni ha preferito andare a vivere con il padre, lasciando la nostra casa in cui regnava solo la disperazione e la comunicazione erano le botte di Matteo. Ho perso la voglia di vivere, quindi sopravvivo. Ogni mattina mi sveglio e so che anche questa giornata sarà da vivere ed organizzare in base a come sta Matteo e sarà un lungo trascinarsi fino a sera cercando di assecondarlo in ogni modo per evitare le sue crisi. Ma so anche che questa giornata la vivrò accanto ad un meraviglioso bambino che amo e che mi ama incondizionatamente. E allora vado avanti”.

“Per molto tempo ho odiato il Natale – racconta Sondra – Odiavo quei lunghi pranzi con i parenti in cui Mattia risultava sempre inadeguato e spesso finiva col rompere qualcosa interrompendo un clima che doveva essere (come da tradizione) idilliaco”,. “Odiavo le recite natalizi,e in cui gli altri bambini riuscivano, nella loro inconsapevole gioia e bravura, a farmi notare la diversità di mio figlio. Odiavo i giorni spesi nel cercare regali per Mattia, che poi venivano regolarmente abbandonati in un angolo. Ma non abbandonati alla maniera con cui tutti i bambini lo fanno, dopo averli avidamente scartati, manipolati, usati ininterrottamente per qualche ora, o qualche giorno, no. Abbandonati da subito, non presi assolutamente in considerazione, non scartati, non provati, non desiderati.  Mattia fin da bambino aveva questa caratteristica: non desiderava niente, non provava piacere, non era attratto dalle novità, non voleva mai mettersi alla prova. Mattia, invece, adorava tenere in mano  i ‘fili’: cordoni delle tende, lacci da scarpe, cinture delle automobili, solo questo faceva dalla mattina alla sera, incessantemente. E anche questo, per noi, è l’autismo”.

Maria ha due figli autistici e “cominciai la mia via crucis 33 anni fa – racconta – All’epoca sul territorio nebroideo, in Sicilia, non c’erano servizi in grado di supportare la terapia per i soggetti autistici. Così, ho fatto la spola tra il sud e il nord dell’Italia per oltre 20 anni. Poi, ho lottato per creare una struttura ricettiva per soggetti autistici specializzata e completa, per far sì che altri non vivano il senso di impotenza che ho provato io. Oggi, rispetto ad allora, esistono centri ambulatoriali che permettono il trattamento, ma che non riescono lo stesso a rispondere alle tante necessità quotidiane di queste persone, che possono avere una vita discretamente soddisfacente, purché vengano aiutati a superare le difficoltà negli atti di vita quotidiani. E così, ho contribuito alla nascita del centro diurno Navacita, a Naso (Me), che oggi accoglie venti persone con autismo”.

Veronica è da poco, poco più di un anno, che lotta “contro questo mostro che è l’autismo. Ogni giorno, ogni mattina è un passo lungo questa strada tortuosa, difficile, solitaria. Non c’è un traguardo alla fine di questa strada. Non c’è un arrivo, non c’è una luce in fondo al tunnel. E’ una strada, quella della vita, e va percorsa e basta. Chi è più superficiale giudica, giudica le scelte, giudica il modo di educare; ‘troppo buona, inadeguata, così non raggiungerà le sue autonomie, è tutto sbagliato’. Raccogliamo le forze, mentre le lacrime scendono da sole. Ma no, non c’è tempo per piangere, c’è un’altra battaglia dietro l’angolo, il sole sorge ogni giorno. Vieni qui amore, dammi la mano, mamma è sempre con te. Noi sappiamo che sei speciale, gli altri non possono capire. Sei il mio dono sceso dal cielo, sei nato perché la mamma aveva troppo amore da dare e tu nel modo come sei fatto, l’unico a poterlo meritare”.

“Dodici anni sono pochi, ma sono stati vissuti così intensamente che mi sembrano una vita intera – ricorda Paola, rivolgendosi in una lettera a suo figlio Federico – Ogni pensiero era rivolto a capire questo tuo modo di essere, che apparentemente ti rendeva lontano da me: ricordo le corse per le vie della città, i morsi, lo sguardo che passa oltre. Poi sono entrati nella tua e nella mia vita i mattoni che ti hanno aiutato ad avvicinarti a me e a questo mondo così complicato e confuso: Debora, Mirka, Morena, Cristina, Enrico, Cesi, Valentina, Laura, Mario, Maria, Giovanni e con loro Aba, logopedia, musica. Hanno costruito te e cambiato e reso più ricca me. Un cammino di 10 anni non ancora giunto a termine, fatto di costanza, riflessione, rispetto, coerenza, tanta coerenza tra il dire, il fare e l’essere”.

Vanessa ha denunciato, pochi giorni fa, l’isolamento di suo figlio a scuola, relegato nella “stanza del silenzio”. Eppure, come mamma di un bambino autistico, vivo questa storia in maniera serena – raccoonta – Sento di avere fatto tutto quello che avrei fatto se non avessi avuto l’autismo in casa. Voglio che Christian non percepisca il mio disagio, sentendosene responsabile Mi pare di vivere un po’ come dentro il film ‘La vita è bella’. L’unica cosa che veramente mi angoscia è che un domani non ci sarò più io: chi gli correrà dietro, quando io non potrò più farlo?”.

Maria Carla racconta la sua vita in poche scene, quasi istantanee di un fine settimana come tanti: “Viaggiamo in macchina e la musica la sceglie lui. Meglio non protestare. Già va bene se non comincia con nuove richieste! Oggi si sporca le mutandine per la seconda volta: lo lavo, facendomi promettere che starà più attento. Preparo cena senza glutine-mais-soia-caseina per lui, dopo non ho voglia di rimettermi ai fornelli per me, pane e formaggio va benissimo! Lui però si mette a urlare, perché ha visto qualcuno che si abbraccia alla televisione, mi si avventa contro più volte, riesce a mordermi la mano. A quel punto mi arrabbio, lo stramaledico e taglio i fili dell’antenna, ‘Da oggi niente TV!’. La sera non riesce a dormire. ‘Stai male? Devi vomitare?,gli chiedo. Risposta: ‘Boh, non lo so’, ma non riesce a vomitare. All’1.30 si addormenta a pancia su, appoggiato a tre cuscini. Finalmente! Non si può vederlo star male! Domenica mattina: ‘Andiamo a prendere un gelato alla Cremeria Alpi, ma prima fai la doccia!’, dico. Corre subito a lavarsi, si veste, tutto da solo, un lampo! ‘Allora lo sai fare!’. Torniamo dal corso di teatro, ore 20.15, via del Mare a passo d’uomo, 20 Km. in 90 minuti. E lui: ‘Mercatino! Subito mercatino!’. Ce la farò??”. (cl)