Risposta a LEDHA

Ho letto con rammarico l’articolo di Giovanni Merlo della LEDA (Lega per i Diritti delle persone con Disabilità) in merito alla sentenza 00659 del TAR per la Lombardia depositata in segreteria in data 06/03/2015.

L’articolo è titolato “MI SPIACE MA SIETE ANDATI FUORI TEMA ….” dopo di che il dott. Merlo scrive “Perchè sono radicalmente contrario alle ragioni del ricorso e alla sentenze del TAR che impone l’obbligo degli educatori di formazione sanitaria nei Centri diurni disabili“.

Io in qualità di  Presidente del M.T.D. ritengo doveroso rispondere e commentare quanto riportato nell’articolo della LEDHA,  visto che proprio noi, da anni, avevamo già sollevato la questione sottoponendola all’ufficio del Difensore civico Regionale  della Lombardia. Io poi sono personalmente coinvolto  nella questione quale padre di un ragazzo Autistico. Mio malgrado, non sono stato posto in condizione di proseguire la decennale frequenza di mio figlio al CDD da quasi 3 anni, in quanto l’ente gestore non era in grado di mettere a disposizione un Educatore Professionale ABILITATO per legge a esercitare la Professione.

Vorrei innanzitutto esprimere la nostra solidarietà a tutti quegli operatori, che sono impropriamente impiegati come Educatori nei CDD, i quali secondo noi sono a loro volta  vittime del sistema e delle pubblicità ingannevoli degli atenei.

Gli operatori impiegati nei CDD e centri semiresidenziali in genere, nella maggior parte dei casi, sono dei lavoratori, di fatto  precari, senza prospettive di crescita professionale. Inoltre quelli non abilitati sono esposti al rischio, non per volontà loro, di essere accusati di commettere il reato  di  abusivo esercizio di professione.

Il dott. Merlo attacca a 360° il principio che colloca l’Educatore dei CDD nell’area della sanità dicendo : “Non si tratta di mettere in discussione le intenzioni dei ricorrenti né quelle del Difensore Civico o dei giudici del TAR. Traspare dietro le parole scritte negli atti la (buona) volontà di garantire alle persone con disabilità il trattamento e la cura adeguata alle loro condizioni. Questo è il punto. Siamo certi che l’adeguatezza degli interventi dei CDD sia da collegarsi al sapere sanitario?”

I ragionamenti esposti sconfinano poi sui concetti di vita indipendente e inclusione nella società chiedendosi “come è possibile includere chi, per definizione, debba essere trattato da professionisti specializzati? ”

Il dott. Merlo dall’alto del suo sapere, travisando, si permette di  attaccare  il Difensore Civico regionale che, nello specifico, difendendo il diritto anche di mio figlio ad avere un Educatore professionale (abilitato per legge), scrivendo al Ministero della Sanità, aveva affermato “credo non debbano esservi dubbi sul fatto che il soggetto autistico abbia necessità di cure sanitarie”.

Il Dottore continua Come movimento associativo dobbiamo chiedere scusa a tutte le persone con disabilità e in particolare alle persone con autismo, di non esserci accorti della pubblicazione di questo parere e di non averlo contrastato con forza. Quello che colpisce è la semplicità con cui questo concetto viene espresso, dato per scontato. Sei autistico? Allora hai bisogno di cure sanitarie!“.

Leggendo l’articolo l’impressione che emerge è che la parola sanità è una bestemmia e deve essere cancellata dal vocabolario relativo ai servizi erogati nei CDD.

Eppure la parola sanità significa STATO DI BENESSERE DELLA PERSONA mentre La parola educatore significa colui che realizza un’azione educativa ovvero che contribuisce alla crescita umana della persona. (wikipedia).

La sintesi delle due parole educatore+sanitario significherebbe colui che contribuisce alla crescita della persona per raggiungere uno stato di benessere.

L’Educatore professionale definito dal DM 520 esercita una professione sanitaria e sociale. Le relative funzioni sono volte alla tutela della salute del singolo e della collettività, e quindi l’educatore professionale contribuisce con le sue prestazioni professionali di tipo intellettuale, a realizzare quanto previsto dall’art. 32 della Costituzione. La salute, come diritto, non consiste solamente in assenza di malattie ed infermità, ma è uno stato di completo benessere sia fisico, sia mentale, sia sociale. L’educatore professionale, pertanto, s’impegna a partecipare all’analisi dei bisogni della persona e alla soluzione dei relativi problemi, non solo sotto gli aspetti somatico e psichico, ma anche in quanto inserita in particolari contesti sociali.

L’Educatore professionale non è autorizzato e non effettua interventi di tipo medico sanitario non somministra medicine non effettua prelievi o terapie fisiche o altro.

E’ dunque falso insinuare che la presenza degli Educatori Professionali (sanitario) trasforma il CDD in un nosocomio dove sono segregati dei malati cronici.

E’ opportuno sottolineare che nulla impedisce l’utilizzo  degli Educatori (L 19)   nei CDD con mansioni diverse da quelle  assegnate per legge all’Educatore Professionale classe SNT2.

Ritengo ora precisare che gli utenti dei CDD  non sono dei disabili con minorazioni fisiche ma la totalità hanno delle limitazioni gravi  di tipo cognitivo e intellettivo alle quali può accompagnarsi disabilità di tipo fisico. Queste persone sono estremamente fragili e la quasi totalità di esse non possono essere lasciate sole ma hanno bisogno di essere sorvegliate continuamente. I disabili la cui fragilità non è cosi marcata non sono da collocarsi nei CDD ma in altre strutture CSE e SFA (Vedi – appunti del Prof. Fossati).

Alla luce di quanto qui sopra esposto è evidente che, vista la fragilità degli utenti, è vitale avere la certezza che le persone che si occupano di loro siano in possesso di titoli regolamentati e protetti dalla Legge. (DM 520/1998)

Non è a caso che i LEA (DPCM 14 febbraio 2001) stabiliscono che il 70% del costo dei servizi semi residenziali (rivolti ai Disabili) venga coperto dal Servizio Sanitario Nazionale mentre il 30% venga coperto dal Comune di residenza, fatta salva la compartecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina regionale e comunale. Dunque il peso attributo alla componente sanitaria del servizio è predominante ed è per questo motivo che lo Stato stabilisce quali sono i professionisti da impiegare. Se altrimenti fosse non si giustificherebbe perché il Servizio Sanitario Nazionale debba sobbarcarsi il 70% dell’onere. Altrimenti il servizio potrebbe perdere la sua componente sanitaria addossando tutto l’onere sui comuni/utenti.

La sentenza 00659/2015 TAR Milano non è l’unica a trattare l’argomento Sul punto si è già pronunciata anche la Corte Costituzionale con la sentenza 153/2016 nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Piemonte n. 1 2004. “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali …” .

Secondo la Corte la legge della Regione provvedendo ad individuare direttamente le figure professionali, alle quali la Regione fa ricorso per il funzionamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali viola il principio fondamentale che assegna allo Stato l’individuazione delle figure professionali.

La Corte ha precisato inoltre “La stessa indicazione, da parte della legge regionale, di specifici requisiti per l’esercizio della professione di educatore professionale, anche se in parte coincidenti con quelli già stabiliti dalla normativa statale, viola senza dubbio LA COMPETENZA DELLO STATO , risolvendosi in un’indebita ingerenza in un settore, quello della disciplina dei titoli necessari per l’esercizio della professione, costituente principio fondamentale della materia.

Deploriamo la gratuita ironia espressa nei confronti del Difensore Civico Regionale ridicolizzandolo riportando la frase “credo non debbano esservi dubbi sul fatto che il soggetto autistico abbia necessità di cure sanitarie”. La frase è stata ripresa da una nota scritta dal Difensore al Ministero della salute chiedendo di far chiarezza sul doppio canale formativo del profilo di educatore (oggetto del contendere).  La nota del Difensore scritta al Ministero e il relativo parere del Ministero sono stati  già pubblicati su questo sito.

Per quanto riguarda le considerazioni espresse nei confronti degli Autistici è vero che esistono una grande varietà di autismi, io personalmente sono un testimone visto che convivo da 33 anni con uno di loro. Ma arrivare addirittura a enunciare “L’unico fatto che le accomuna è certamente il diritto a avere accesso, nei tempi e nei modi opportuni, a percorsi riabilitativi e abilitativi finalizzati con l’insieme di attività educative, formative e sociali alla migliore qualità della vita e alla -Vita Indipendente e Inclusione nella società- così come prescritto dall’articolo 19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.” è utopistico ed è fuori dal contesto perche si sta parlando dei ragazzi che frequentano i CDD e non CSE o SFA. Nessun genitore manderebbe il proprio figlio autistico al CDD se ci fosse la minima speranza di autonomia e crescita altrove.

Vita indipendente”-“inclusione” sono solo parole gratuitamente usate. Per i ragazzi autistici che frequentano i CDD, vita indipendente e inclusione sono traguardi irrealizzabili, perciò ci sembrano slogan per darsi importanza e stupire l’ignaro che non conosce il problema.

Per i genitori che convivono con i propri figli disabili con nulla autonomia, il CDD è l’unico aiuto che rimane. Parlare di vita indipendente per i loro figli è una mancanza di rispetto, per favore un po’ di serietà.

Prima di concludere ritengo significativo riportare qui di seguito l’espressione usata dall’ANEP “Associazione Nazionale Educatori Professionali” nel comunicato del 16 luglio 2014 in merito alla deplorevole vicenda sui maltrattamenti al centro socio educativo riabilitativo ” La Casa di Alice” di Grottamare:

Gli operatori coinvolti, poiché di operatori e non di educatori professionali trattasi, risultano non essere soci Anep ma anche e soprattutto privi del relativo titolo abilitante.

L’ educatore professionale è presente in Italia dagli anni’50, la figura è normata da 30 anni e da quasi 16 anni il  profilo prevede una specifica formazione universitaria ed un’abilitazione per svolgere la professione.”

Concludo riportando integralmente i primi 3 commi dell’articolo 16 della Convenzione O.N.U. sul diritto alle Persone con disabilita che ritengo pertinente, il non mettere a disposizione dei servizi appropriati pagati con fondi pubblici è sfruttamento.

ARTICOLO 16 – LIBERTÀ DA SFRUTTAMENTO, VIOLENZA E ABUSO

  1. Gli Stati Parte prenderanno ogni appropriata misura legislativa, amministrativa, sociale, educativa e di altra natura per proteggere le persone con disabilità, all’interno e all’esterno dell’ambiente domestico, da ogni forma di sfruttamento, violenza e abuso, compresi quegli aspetti basati sulla distinzione di genere.

  2. Gli Stati Parte prenderanno altresì misure appropriate per impedire ogni forma di sfruttamento, violenza e abuso, assicurando, tra l’altro, appropriate forme di assistenza e sostegno tenendo conto del genere e dell’età a beneficio delle persone con disabilità, delle loro famiglie e delle persone che si prendono cura di loro, ivi compreso attraverso la messa a disposizione di informazioni e istruzione su come evitare, riconoscere e denunciare episodi di sfruttamento, violenza e maltrattamenti. Gli Stati Parte assicureranno che i servizi di protezione tengano conto dell’età, del genere e della disabilità.

  3. Allo scopo di prevenire il verificarsi dì ogni forma di sfruttamento, violenza e maltrattamento, gli Stati Parte assicureranno che tutte le strutture e i programmi destinati alle persone con disabilità siano efficacemente monitorati da autorità indipendenti.

Il presidente Ing. Arek Filibian