La scuola ma non solo, ecco la formula per dare un futuro a tutti i ragazzi

da la Repubblica

La scuola ma non solo, ecco la formula per dare un futuro a tutti i ragazzi

La povertà educativa non si sovrappone a quella economica ma è anche piú ampia

Chiara Saraceno
UN quindicenne su quattro in Italia manca delle competenze minime in matematica ed uno su cinque manca di quelle necessarie per la comprensione di un testo. Un quarto circa degli adolescenti non ha trovato nel proprio percorso di crescita — in famiglia, a scuola, nell’ambiente in cui vive — gli stimoli e le risorse indispensabili non solo a sviluppare appieno le proprie capacità, ma neppure a sviluppare quelle minime indispensabili a vivere, lavorare, partecipare adeguatamente nella società in cui vive. Sono dati drammatici che dovrebbero essere noti, in quanto derivano da una indagine internazionale dell’Ocse ripetuta nel tempo. Dovrebbero anche guidare le politiche educative e di contrasto all’esclusione sociale, oggi per il futuro. Il rapporto di Save the Children, “Illuminiamo il futuro”, presentato ieri aiuta a comprendere meglio sia le caratteristiche sia le cause del fenomeno, che definisce giustamente di povertà educativa, una povertà che si sovrappone, ma anche è piú ampia di quella economica.
La mancanza di competenze matematiche e linguistiche è infatti particolarmente concentrata tra i bambini e ragazzi piú poveri, nelle regioni piú povere e tra i figli di stranieri, ma presenta comunque percentuali molto più alte di quelle della incidenza della povertà sia assoluta (che riguarda il 10 per cento di tutti i minori) che relativa. Ciò segnala come, accanto alla mancanza di risorse materiali, ci sia anche una insufficiente e/o inadeguata offerta educativa, che non compensa le eventuali carenze, non solo economiche, ma di investimenti educativi a livello famigliare. Anche tra i ragazzi che appartengono a famiglie collocate nel quintile di reddito piú alto c’è un dieci per cento che non ha competenze matematiche sufficienti e un 7% che non le ha in lettura, troppo per essere solo un fenomeno fisiologico. Così come le differenze contrapposte tra maschi e femmine nelle competenze linguistiche e matematiche non possono essere facilmente e semplicisticamente ricondotte a differenze biologiche. Piuttosto hanno a che fare con modelli di genere che informano le aspettative di genitori e insegnanti e lo stesso comportamento dei ragazzi, le attività che scelgono a scuola e altrove. La ricerca, in effetti, andando al di là del nesso, ben noto, tra condizione socio- economiche dei genitori e sviluppo cognitivo dei ragazzi, documenta l’impatto positivo (e viceversa negativo) della qualità e tipo dell’offerta scolastica, in generale e in particolare nei confronti dei ragazzi piú svantaggiati. Andare a scuola in un edificio che ha tutte le dotazioni necessarie, non ha problemi di sicurezza, non è fatiscente e magari ha una connessione Internet ha un effetto positivo sullo sviluppo delle competenze cognitive dei ragazzi che provengono da famiglie economicamente svantaggiate. Lo ha anche aver frequentato almeno un anno di scuola dell’infanzia. Come si dice nel rapporto, l’offerta educativa genera resilienza. Sembrano cose ovvie, ma non lo sono dal punto di vista del policy making nazionale e locale, che invece nelle proprie scelte (o non scelte) per lo piú conferma, quando non rafforza, gli svantaggi. Basta guardare alla dotazione scolastica e dei servizi per l’infanzia a livello territoriale e nelle aree più svantaggiate: è mediamente piú carente, in termini di posti, tempo, strutture, che nelle aree meno svantaggiate.
Ma il rapporto di Save the Children mostra come in gioco non vi sia solo la dotazione di risorse scolastiche in senso stretto. Vi è, infatti, un rapporto positivo significativo tra lo svolgere regolarmente attività come leggere almeno un libro non scolastico all’anno, fare musica o altre attività espressive, partecipare a qualche attività culturale come andare a teatro, o a un concerto, o a visitare un museo, e lo sviluppo delle competenze cognitive. Contrariamente a certi stereotipi, c’è un rapporto positivo anche nel caso della attività sportiva, che “non porta via tempo” allo studio, ma ne rafforza la riuscita. Anche a questo livello si pongono interessanti e urgenti questioni ai decisori politici. Non solo occorre sostenere il reddito di chi è in povertà, specie assoluta, e investire di piú nei servizi educativi formali fin dalla prima infanzia. Per ridurre le disuguaglianze di opportunità di sviluppo cognitivo (ed evitare di ritrovarci tra 15 anni esattamente nella stessa situazione, oltre che con giovani adulti con competenze troppo limitate), occorre anche investire nell’arricchimento del curriculum extrascolastico soprattutto dei bambini e ragazzi più svantaggiati a livello famigliare o ambientale: spazi gioco e sportivi meglio distribuiti e finanziariamente accessibili, scuole attrezzate anche per le attività extracurriculari, eventualmente in collaborazione con imprese e associazioni, borse di studio per partecipare a queste attività o scambi. Come ha detto un adolescente alla presentazione del rapporto, “se nel mio quartiere e in quelli vicini, alla periferia di Roma, non ci sono spazi sportivi e i mezzi pubblici passano ogni ora, che cosa possiamo fare noi?” Save the Children ha lanciato l’esperienza dei punti luce, uno spazio in alcuni quartieri disagiati di diverse città dove, in collaborazione con altri, si cerca di sostenere l’esperienza scolastica dei ragazzi, ma anche di integrarla nel modo piú personalizzato possibile, che incontri i desideri, le progettualità, le potenzialità di ciascuno, contrastando la perdita di speranza, di voglia di fare ed essere, cui troppo facilmente vengono abbandonati i ragazzi più svantaggiati, per illuminarne, appunt, il futuro. Un’opera meritoria che va sostenuta; ma che non può farsi carico da sola di un problema di (in)equità che, se non affrontato da subito in modo sistematico con misure di contrasto alla povertà assoluta (tramite una misura di reddito minimo) e con investimenti educativi a largo spettro, corroderà ulteriormente le basi del futuro della società italiana. Ciò richiede di utilizzare al meglio, in direzione dell’equità e dell’investimento sociale a partire dai bambini e ragazzi piú svantaggiati, le risorse disponibili. Da questo punto di vista, l’eliminazione della Tasi sulla prima casa va in direzione opposta.