La scuola “a gran dispitto”

La scuola “a gran dispitto”

di Maurizio Tiriticco

Com’è noto, Farinata degli Uberti non soffriva per la pena infernale, anzi “avea l’inferno a gran dispitto”: insomma, era troppo arrabbiato per avvertire il dolore delle fiamme. E sembra proprio che l’istruzione oggi per alcuni genitori – e forse un po’ troppi – sia più una pena a cui i figli sono sottoposti e obbligati che un diritto/dovere di ciascun cittadino. In effetti, sono sempre più frequenti le notizie che riguardano genitori che picchiano insegnanti e dirigenti, rei soltanto di chiedere ed esigere dai loro figli il rispetto di quelle regole che governano una istituzione, una struttura organizzata quale un istituto scolastico autonomo è. In effetti, per alcuni genitori – speriamo non troppi – i dieci anni di istruzione obbligatoria sembrano più un letto di Procuste o una pena di Sisifo che non quel percorso in cui ciascun nuovo nato, da qualsiasi lingua, cultura e religione provenga, viene Educato come cittadino, Formato come persona, Istruito come futuro lavoratore; in effetti, l’Educazione, l’Istruzione e la Formazione – le maiuscole sono mie – costituiscono non a caso quei tre concetti forti di cui all’articolo 1, comma 2 del dpr 275/99. Si tratta delle tre modalità, le tre linee strategiche con cui si progettano e si realizzano percorsi che devono garantire a ciascun alunno/cittadino il conseguimento del suo personale “successo formativo”. Un successo che non è una somma di nozioni, ma un insieme coordinato di conoscenze e di competenze che permettono l’ingresso in quella società complessa qual è quella dei nostri giorni.

E non solo! La scuola ormai in un’Europa unita ha assunto anche una dimensione transnazionale per quanto concerne sia i saperi minimi essenziali che un cittadino europeo deve raggiungere che quelle otto competenze chiave di cittadinanza che dovrebbero costituire una delle fondamentali finalità educative comuni a tutti i cittadini dei 27 Paesi dell’Unione europea. E siamo tutti in trepida attesa per la pubblicazione degli ultimi risultati TIMSS & PIRLS. Com’è noto non solo la nostra popolazione scolastica, ma la popolazione adulta del nostro Paese occupa uno degli ultimi posti per ciò che riguarda le competenze linguistiche e quelle matematiche.

Indubbiamente, però, in una società sempre più incattivita e, per certi versi, sempre più disonesta e violenta – sono le cronache quotidiane a fornirci esempi a iosa in materia – non è facile far crescere un bambino come quell’Émile che Rousseau educò passo dopo passo immerso in una natura in cui eterne primavere rappresentano il mondo come una felice isola che, purtroppo, invece non c’è! Un gran trattato di pedagogia l’Émile! Certamente! Era il secolo dei Lumi! E la Ragione avrebbe, appunto, illuminato gli uomini – dopo secoli di ignoranza imposta dalle mille fedi religiose – perché costruissero finalmente una società giusta senza differenze di classe. Basta con le ingiustizie sociali avallate da credi religiosi! Avanti per costruire una nuova umanità! Così si sentenziava! E i motti sono noti: Libertè, Egalitè, Fraternitè! L’istruzione e la scuola assunsero in quell’epoca e in alcuni Paesi europei una grande importanza. In effetti, l’Illuminismo fece breccia anche nei sistemai scolastici. Sono note le riforme che in materia avviarono sia un Federico II di Prussia che una Maria Teresa d’Austria. In seguito, dopo la Rivoluzione, Napoleone, il Congresso di Vienna fu cura di tutti i governi europei occuparsi di istruzione e aprire scuole che educassero, istruissero e formassero le nuove generazioni, pur con diversi assunti, obiettivi e finalità.

Questa operosa costruzione di una scuola aperta sempre più a tutti giorno dopo giorno – e “dalla culla alla tomba” – è, oggi più di ieri, e domani più di oggi, un’assoluta necessità. Ed è inutile ricordare che siamo nella società della conoscenza. Istruirsi è un diritto/dovere a cui nessuno può più sottrarsi. Nel nostro Paese, fin dal 1974 – l’anno dei famosi “decreti delegati” – abbiamo ritenuto opportuno coinvolgere anche le famiglie e le istituzioni locali nel “lavoro scolastico”, tradizionalmente delegato ai soli insegnanti. E ciò lo abbiamo fatto nella convinzione che la scuola non è una “cosa” che riguarda l’alunno e l’insegnante per un determinato periodo, ma un percorso di cui l’alunno è il destinatario privilegiato, ma che il cosiddetto “sociale” non può e non deve ignorare. Un essere umano cresce e apprende in più ambiti, anche se quelli della famiglia e della scuola sono indubbiamente i più significativi. L’obbligo di istruzione – oggi di durata decennale – di fatto però ha una durata che riguarda l’intero arco della vita. In un simile scenario, il rispetto che di deve ai diretti responsabili dell’istruzione è uno dei pilastri della necessaria collaborazione scuola/famiglia. E quella famiglia, quel genitore che vede nella scuola una “cosa altra”, soltanto da subire, indubbiamente cade in un grossolano errore. Quando poi si giunge a menar le mani perché si ritiene che la scuola travalichi compiti e finalità, l’errore diventa un crimine.

Ma la cosa che più deve preoccupare non è tanto l’atto in sé, ma ciò che è a monte di quell’atto e ciò che provoca nello stesso alunno. Questi interiorizza che la scuola è una sorta di prigione, che ciò che vi si deve apprendere non serve a nulla, che gli insegnanti sono degli aguzzini che lo sottopongono a delle torture, solo per il piacere di vederlo soffrire. So bene, sappiamo tutti, che la violenza contro gli insegnanti costituisce casi rari, ma che comunque devono essere denunciati e bollati.

Ed è pur sempre un malessere che va denunciato sempre e tenuto sotto controllo. Già nelle nostre scuola ci dobbiamo misurare con il bullismo di certi alunni: un fenomeno che ci impegna in ricerche, incontri, interventi mirati. Non vorrei che domani ci si debba occupare del bullismo dei genitori!