Per un made in Italy dell’istruzione

Per un made in Italy dell’istruzione

Mentre il governo in carica si affanna per riportarci almeno a galla, noi della scuola non sappiamo quale sia il nostro destino e quello delle nostre fatiche per reggere l’impatto del tempo tiranno in cui viviamo.

Eppure a qualcuno di noi piace ancora pensare a un futuro auspicabile nel quale sarà possibile insegnare e apprendere nel rispetto di ogni singolarità, umanità. Un rispetto che tenga conto dei volti delle persone che ci guarderanno dai banchi, nei corridoi spogli, nelle aule, nei laboratori. Ecco, mi piacerebbe che quando si scrive o ragiona di scuola, lo si facesse senza definire per categorie la cosiddetta utenza: i giovani, le famiglie, i disabili, gli stranieri…mi piacerebbe che si decidesse di “vedere” le persone e le loro infinite modalità di approccio all’esistente, al sapere, al quotidiano vivere.

La scuola dovrebbe essere tenuta al riparo da ciò che si definisce con il termine “pubblico” e da ciò che le manovre finanziarie ritengono di dover fare per ridimensionare, tagliare, diminuire anziché aumentare. E non importa che altre nazioni sappiano risparmiare, perché è proprio questa l’ora in cui non si dovrebbe risparmiare sull’istruzione, ma pensare alla sua dimensione espansiva. Le persone sono chiamate a fare sacrifici. Eppure perfino per reggere i sacrifici ci vuole una solida base culturale costruita con sapienza ed equilibrio.

E questo saper reggere non si impara dall’oggi al domani. Si apprende strada facendo con l’attitudine al lavoro di squadra, alla riflessione, con l’amore per il bello che si oppone al bello imposto dai consumi.

Perfino per incassare senza reagire con violenza a una manovra finanziaria durissima ci vuole una scuola che alleni in modo colto e arguto all’argomentazione, all’ironia, alla critica, al pensiero divergente.

Questa scuola non c’è da nessuna parte, né in Germania, né in America, né In Francia… e…neppure in Italia.

Ma in Italia ci potrebbe essere eccome: si pensi ai secoli di cultura, arte, bellezze, creatività che abbiamo alle spalle. Abbiamo mai veramente tenuto in seria considerazione ciò che siamo stati, le nostre origini? Ogni governo che si è succeduto, ogni ministro della pubblica istruzione non  ha incentrato il proprio lavoro sul patrimonio e sulla storia specificamente italiana. Nessuno. Ci si è limitati  a costruire programmi, Indicazioni, a trovare obiettivi e finalità per formare un cittadino al passo coi tempi contestuali guardando sempre a modelli esterofili.

Eppure non è così che si crea qualcosa che vada a sostenere la peculiarità italiana e la sua esigenza di far emergere la propria diversità in Europa.

Dovremmo pensare a una scuola media e superiore che in continuità con gli ordini che le precedono puntino in particolare (in forma strutturale e non come un qualche progetto sperimentale avulso dal lavoro ordinario e quotidiano) a valorizzare il patrimonio e a usare le materie in modo assolutamente finalizzato a sviluppare reti di esse: fra matematica e arte, fra lingua e matematica, fra storia e arte, fra geografia (andrebbe potenziata) e turismo, fra turismo e arte, fra lingua straniera e letterature, fra educazione tecnica e arte, fra geometria e architetture, fra lingua italiana e latina, fra latino e filosofia, fra filosofia, arte,  ambiente, scienze naturali e natura in senso lato.

Dovremmo pensare a qualcosa di spiazzante che includa il valore che diamo quasi soltanto noi in Europa alla persona, qualsiasi siano le sue potenzialità, per mostrare all’Europa che c’è un’Italia che collabora con i propri specifici apporti, ma non subisce le peculiarità altrui. Un’Italia competitiva sul piano della cultura è quello che un governo dovrebbe costruire utilizzando ogni precario, ogni educatore, ogni docente anziano disponibile, ogni professionalità a disposizione, ma anche liberando, in modo assolutamente gratuito, l’accesso per le scuole ai musei, ai monumenti, a qualsiasi opportunità offra l’ambiente intorno. Proprio nel momento in cui la crisi si fa più pesante, si dovrebbe spendere per mostrare ai propri cittadini che non si viene meno alla tutela della cultura dei figli di tutti. Proprio in questo momento,  più grande dovrebbe essere lo sforzo affinché le scuole di ogni ordine e grado non venissero ridimensionate, bensì incentivate, anche economicamente,  per inventare nuove strade, nuovi percorsi culturali e metodologici al fine di reagire al degrado e alla disperazione dei suicidi (mi riferisco agli ultimi tragici avvenimenti umani di cui siamo stati impotenti spettatori).

Insegnare a diventare maestri di se stessi ad ogni persona con la quale ogni insegnante viene a contatto dovrebbe essere lo scopo di qualunque ricerca pedagogica, ma anche di scelte ministeriali, affinché  ciascuna persona possa trovare dentro di sé la forza e le energie per dare qualcosa di prezioso alla società tutta. Ecco, insegnare a diventare maestra/o di se sessi è la sfida più grande e utile per ognuno e per la collettività.

Per realizzare questo, è chiaro che  ogni ordine di scuola deve fare la propria parte abbandonando proprio gli idoli contemporanei della meritocrazia, andando verso una dinamica di classe e di istituto che apra la propria visone e con ampio respiro dia l’accesso alle proposte culturali che emergono sia dagli stessi alunni, sia dal mondo esterno dei media, dei quotidiani, dei musei, di Internet, ecc… Occorre che compiti in classe, interrogazioni e voti siano la parte minore dell’insegnamento, che venga ridimensionato il loro ruolo a favore della pedagogia conversazionale, della pedagogia della ricerca sul campo, della ricerca-azione, della scoperta in luogo della trasmissione, dell’accesso ai libri e alle biblioteche, in luogo del libro di testo che pure può servire come base da cui partire. Occorre che alunni e alunne possano usufruire durante la giornata extrascolastica di laboratori di lingua straniera, teatrale, scientifica, artistica (nel senso più ampio: musica, danza, scultura, artigianato…)…come e quando lo desiderano. Occorre che la scuola venga data alle mani dei giovani nella gestione di laboratori e idee da sperimentare e da proporre. Occorre che si capovolga il sistema: che ogni alunno/a senta la responsabilità del proprio apprendimento, che si renda conto che le potenzialità, lo stile, le modalità dell’apprendere e della costruzione del proprio futuro  sono nelle sue mani. Occorre che gli insegnanti prendano atto di essere sapienti mediatori, accompagnatori, esploratori della realtà mutevole insieme con gli alunni e le alunne. La lezione frontale, che pure è utilissima per coordinare e informare, va superata, così come la rigida scansione alle medie e alle superiori di orari,  materie ognuna a se stante, ognuna con il suo rituale di spiegazioni e verifiche, di compiti a casa il più delle volte non eseguiti o mal eseguiti. Occorre risolvere la questione annosa del tempo tiranno in favore di una didattica che punti sull’approfondimento e non sulla fretta e sulla quantità. In particolare bisogna evitare la canalizzazione precoce verso un mercato che restringerebbe le possibilità del singolo di autoconoscere le proprie tendenze e potenzialità nei vari campi del sapere e del saper fare.

Le generazioni a confronto non si devono fronteggiare, bensì incontrare sul piano delle diverse competenze, anche se con responsabilità distinte.

Occorre oggi più di prima che il Ministro si accorga che il problema della dispersione non si affronta richiamando all’uso della tecnologia che pure è utilissima, bensì con l’incentivare le attività che vedono insegnanti e alunni lavorare senza i lacci e i laccioli delle continue verifiche e dei punteggi. Occorre che si renda conto che le personalità degli alunni all’uscita dalla scuola elementare entrano in conflitto con un modo di concepire la scuola da parte degli adulti che è in contrasto con il loro desiderio di autonomia, di espressione, di creatività, di porre domande e ottenere risposte alla cui formulazione essi possano partecipare. Lo studio oggi è dinamico, fluido, in movimento. Oggi, la scuola può introdurre a qualsiasi mondo del sapere, in maniera più immediata con l’utilizzo sapiente di Internet. Poi può chiamare al rigore nell’apprendimento accompagnando i ragazzi e le ragazze a un lavoro di studio sulle tematiche scaturite in molteplici modi che coinvolgano essi stessi alla cooperazione e alla solidarietà fra i diversi stili di apprendimento e le differenti aspirazioni sia nella produzione di riflessioni personali, sia nella produzione di materiali, sia nell’organizzare forum, conferenze, scambi di vedute, aperture verso il mondo esterno con esperti in ogni campo. Si pensi ad esempio a un interscambio tra gli studi dei ricercatori dei dipartimenti di facoltà con quelli di giovani studenti delle superiori motivati ad arricchire le proprie conoscenze in ogni ambito.

Ma non basterebbe fornire di un tablet ogni banco! Assolutamente non basterebbe, se l’operazione non fosse accompagnata da un incentivare l’allontanamento dalla concezione che vede la scuola ingessata in rigidi sistemi di valutazione, i quali per loro natura impongono giudizi e voti a breve termine. Volere una scuola italiana, in stile storicamente italiano invece vuol dire renderla simile alle botteghe artigiane nelle quali l’apprendista si misura con la materia e con l’esperienza dei vecchi maestri per poi rielaborare, ricreare, arricchire di valore aggiunto con il lavoro gomito a gomito con il maestro e con i maestri di altre botteghe in una catena di magisteri che costantemente si rinnovano.

Occorre non temere di spendere affinché le classi siano gruppi numericamente ridotti, non di livello, bensì classi comunità nelle quali gli inclusi possano essere di stimolo gli uni agli altri nel rispetto delle diverse abilità, capacità e ruoli che i gruppi stessi si danno.

01 gennaio 2012

Claudia Fanti

R. Romero, La sindrome di Rasputin

Ancora possibile l’uomo

di Antonio Stanca

 

Abile nella costruzione, sicuro nell’espressione, profondo nei significati è stato lo scrittore argentino Ricardo Romero nel romanzo La sindrome di Rasputin, un’opera di duecentodiciotto pagine che recentemente è stata pubblicata in Italia dalla casa editrice Sellerio di Palermo nella serie “La memoria”. Romero la scrisse in lingua spagnola nel 2008 quando aveva trentadue anni ed era l’autore di altre opere narrative quali il romanzo Nessuna parte del 2003 e l’antologia di racconti Tante notti, se necessario dello stesso anno. Nel 2010 scrisse un altro romanzo, Ballerini da fine del mondo, e attualmente dirige a Buenos Aires , dove vive, la rivista letteraria Oliver e collane di pubblicazioni.

La sindrome di Rasputin è la sua opera più nota ed è stata variamente valutata dalla critica fino ad essere ritenuta di difficile interpretazione. Molte e diverse sono in essa le situazioni che si verificano, molti i personaggi che si susseguono, molte le verità che ognuno di essi fa emergere. Leggendo si assiste ad una continua rivelazione, si compie una continua scoperta e sospesi si rimane e in attesa di conoscere i motivi di quanto accade. Solo alla fine questi si mostreranno e faranno sembrare l’opera un romanzo giallo se durante il lungo percorso compiuto dai suoi tre principali protagonisti, nella Buenos Aires che celebra il bicentenario dell’Indipendenza, non si risalisse dalla loro vicenda privata agli infiniti casi di un’intera umanità condannata a vivere nella periferia di una città così vasta e varia come la capitale argentina, se tramite la loro  esperienza particolare non si cercassero verità superiori, se mediante loro non si tendesse a tutti.

Per molto c’è posto nel romanzo, per molta storia, per molta vita ed anche per l’umorismo, per riferimenti culturali, artistici di diversa provenienza e questo non lo fa rientrare in un genere specifico poiché di molti è espressione. Sarà stata questa ampiezza a rendere La sindrome di Rasputin un’opera difficile per la critica, sarà stata la capacità di Romero di accogliere tanto e costruirlo a far sfuggire l’opera alle catalogazioni di sempre, a trasformarla in una novità nell’ambito della letteratura sudamericana in lingua spagnola.

Muove lo scrittore da un evento occorso in uno dei bassifondi di Buenos Aires dove vivono, lavorano, si sono ritrovati, sono diventati amici Abelev, Maglier e il giovane Myshkin. A farli incontrare è stata la loro condizione di emarginazione, di solitudine, alla quale li aveva portati anche la sindrome di Tourette, cioè i tic motori e verbali dai quali sono  affetti. Tutti svolgono lavori notturni, non hanno particolari aspirazioni, si accontentano di poco ma quando, improvvisamente, Abelev finisce in ospedale poiché gravemente contuso a causa di una caduta dal dodicesimo piano del palazzo dove lavora come guardiano notturno, la vita degli altri due comprenderà oltre alle ore di lavoro anche il tempo necessario per indagare, per cercare di scoprire i motivi della caduta dal momento che non credono ad un’azione suicida come si vuol far intendere. Sapranno che Abelev era stato gettato giù da mani sconosciute, dalle mani che in quel palazzo avevano commesso un omicidio ed ora volevano trasferire la colpa ad Abelev mostrandolo come pentito e disposto ad espiare tramite il suicidio. Altre volte, in ospedale, quelle mani tenteranno di ucciderlo e spaventati da ciò i due amici inizieranno una lunga indagine che supererà quella condotta dalla polizia e li porterà a scoprire tutto un mondo segreto, malfamato, violento, tutta una vita clandestina che avviene nei sobborghi di Buenos Aires e che rappresenta un aspetto necessario della città. I due indagatori s’imbatteranno in situazioni strane, assurde,  grottesche,  pericolose, assisteranno a molti colpi di scena, si troveranno in ambienti depravati dove regole di vita sono la povertà, la miseria, il sesso, la droga, l’odio, la violenza, la morte. Ma tra tanto disastro la loro posizione sarà quella degli eroi positivi, di chi ancora ha conservato intatti i valori della morale, della coscienza e per essi vive e agisce, per essi vuole la verità. Con il male è stato chiamato a confrontarsi il loro bene e ne è uscito vittorioso. Finirà il romanzo come era iniziato, con i tre amici alle prese con i  problemi quotidiani, con l’umorismo che mai li aveva abbandonati. Erano sopravvissuti alla tragedia, erano riusciti a salvarsi, è questa l’aspirazione maggiore in simili posti. «Sopravvivere. Alla lunga era questo il più irrefrenabile tic». Oltre al corpo avevano salvato lo spirito, avevano mostrato che pur in un posto divenuto falso è possibile recuperare, ricostruire la verità, che pur tra tanti bruti si può vivere da uomini.

Un messaggio diventa quello di Romero tanto più importante se si considerano i tempi nei quali è stato espresso.

1 gennaio Certificati e dichiarazioni sostitutive

Dal 1° gennaio 2012 entra in vigore (salvo quanto previsto dall’articolo 33, commi 7, 9, 29, 31, 35 e 36) la legge 12 novembre 2011, n. 183.

Fra le altre nuove norme in vigore quelle relative a certificati e dichiarazioni sostitutive (art. 15).

Art. 15, c. 1, Legge 183/11:

Al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 40 la rubrica è sostituita dalla seguente: «40. (L) Certificati» e sono premessi i seguenti commi:
«01. Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47.
02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: “Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi“»;
b) all’articolo 41, il comma 2 è abrogato;
c) all’articolo 43, il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell’interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato (L)»;
d) nel capo III, sezione III, dopo l’articolo 44 è aggiunto il seguente:
«Art. 44-bis. (L) – (Acquisizione d’ufficio di informazioni) – 1. Le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d’ufficio, ovvero controllate ai sensi dell’articolo 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore»;
e) l’articolo 72 è sostituito dal seguente:
«Art. 72. (L) – (Responsabilità in materia di accertamento d’ufficio e di esecuzione dei controlli). –
1.
Ai fini dell’accertamento d’ufficio di cui all’articolo 43, dei controlli di cui all’articolo 71 e della predisposizione delle convenzioni quadro di cui all’articolo 58 del codice dell’amminisrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, le amministrazioni certificanti individuano un ufficio responsabile per tutte le attività volte a gestire, garantire e verificare la trasmissione dei dati o l’accesso diretto agli stessi da parte delle amministrazioni procedenti.
2. Le amministrazioni certificanti, per il tramite dell’ufficio di cui al comma 1, individuano e rendono note, attraverso la pubblicazione sul sito istituzionale dell’amministrazione, le misure organizzative adottate per l’efficiente, efficace e tempestiva acquisizione d’ufficio dei dati e per l’effettuazione dei controlli medesimi, nonché le modalità per la loro esecuzione.
3. La mancata risposta alle richieste di controllo entro trenta giorni costituisce violazione dei doveri d’ufficio e viene in ogni caso presa in considerazione ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei responsabili dell’omissione»;
f) all’articolo 74, comma 2:
1) la lettera a) è sostituita dalla seguente:
«a) la richiesta e l’accettazione di certificati o di atti di notorietà (L)»;
2) è aggiunta la seguente lettera:
«c-bis) il rilascio di certificati non conformi a quanto previsto all’articolo 40, comma 02 (L)».

La Scuola e la Famiglia

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La Scuola e la Famiglia

Famiglie@edscuola.com per costruire, insieme, grazie alle straordinarie potenzialità della rete, un comune progetto di orientamento.

DEFINIRE LA ROTTA

Prima di partire è opportuno fare chiarezza su dove si vuole arrivare e perché.
Si tratta di costruire un proprio progetto di vita attraverso la collaborazione e il confronto con genitori e insegnanti, mettendo in gioco le proprie aspirazioni e competenze, senza paura di immaginare rotte impegnative.

COSA FARE?

Ancora nel 1997 il rapporto del CENSIS rilevava una fiducia bassissima e una indifferenza altissima per la scuola: “tenuta fuori dalla scuola, la società civile nel suo complesso manifesta una bassa sensibilità verso le problematiche educative”.

RISPOSTA… INVESTIRE IN FORMAZIONE

Investire nella società civile, sarà un percorso lungo ma necessario.

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