SENTENZE PERICOLOSE

SENTENZE PERICOLOSE

Con le sentenze 14225 e 14226 dello scorso 8 luglio la Corte di Cassazione ha riconosciuto la legittimità da parte del comune di Livorno a richiedere il pagamento dell’ICI (a partire dall’anno 2004, con ricaduta sull’IMU) alle scuole paritarie del suo territorio gestite da enti religiosi.
Ci si potrebbe chiedere se la determinazione degli amministratori livornesi nel percorrere la via giudiziaria fino al terzo grado sia dovuta a lodevoli preoccupazioni di bilancio o piuttosto, considerata l’antica vocazione anticlericale cittadina, a motivazioni ideologiche. Non essendo però il processo alle intenzioni una nostra specialità, preferiamo interrogarci sulle conseguenze di queste sentenze.
Esse spianano la via a tutta una serie di contenziosi che le amministrazioni comunali potranno aprire nei confronti degli istituti scolastici religiosi, con buone possibilità di vittoria proprio perché le sentenze “livornesi” farebbero, come si dice, giurisprudenza.
Considerata l’entità dell’imposta, gli arretrati da pagare e l’assoggettamento all’IMU che scatterebbe più o meno in automatico, gli istituti gestiti da religiosi si troverebbero a scegliere fra le seguenti alternative: chiudere bottega o aumentare le rette a carico delle famiglie.
In entrambi i casi, ciò che verrebbe leso non  è tanto un interesse del gestore della scuola paritaria, ma il diritto delle famiglie di scegliere quale istruzione ed educazione impartire ai propri figli. È inutile, infatti, propugnare questo diritto in astratto (come ha recentemente fatto il Ministro Giannini), e poi nel concreto renderlo inoperante lasciando che le rette scolastiche costringano le scuole non statali al fallimento o le rendano inavvicinabili ai più.
E il pericolo è tanto maggiore nel momento in cui il maxiemendamento al DdL Scuola conferma, nonostante auto assolutori pareri contrari,  il  via libera alla devastante teoria del gender nella scuola  di Stato (la quale, sia detto per inciso, non paga l’IMU).
Si profila così un sistema di istruzione completamente affidato allo Stato, in cui le famiglie poco o nulla potranno incidere. Insomma avremmo, se non ancora uno “Stato etico” uno “Stato educatore”, anticamera del precedente.
Il tutto grazie agli zelanti amministratori livornesi e –  ma era appena il caso di dirlo – con la laicistica benedizione dell’Unione Europea.

Alfonso Indelicato
Responsabile del Dipartimento Scuola della Lombardia  FdI – AN

K. Vonnegut, Un uomo senza patria

Contro la fine del mondo

di Antonio Stanca

vonnegutUna raccolta di brevi saggi dell’americano Kurt Vonnegut, Un uomo senza patria, è uscita a Ottobre del 2014 per conto della casa editrice Minimum Fax di Roma. La traduzione è di Martina Testa. Il Vonnegut la pubblicò nel 2005 quando aveva ottantatré anni e dopo essersi impegnato in una vasta e varia produzione di romanzi, racconti, saggi e opere teatrali. Era nato a Indianapolis nel 1922 e sarebbe morto a New York nel 2007 a ottantacinque anni. Molte esperienze aveva vissuto prima di dedicarsi all’attività letteraria: lasciata l’Università nel 1943 si era arruolato nell’esercito alleato durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1945 era in Germania, a Dresda, rifugiato insieme ad altri prigionieri in una grotta mentre la città veniva bombardata e distrutta dall’aviazione alleata, tornato negli Stati Uniti aveva ripreso gli studi universitari e svolto il lavoro di cronista, poi di pubblicitario ed infine di autore di racconti. Durante questi anni risiede prima a Chicago e in seguito a Barnstable. Nel 1952 pubblica il primo romanzo, Piano meccanico, nel 1959 il secondo, Le sirene di Titano, entrambi di genere fantascientifico anche se nel secondo la fantascienza tende a cedere il posto a contenuti diversi. Dagli anni ’60 agli anni ’70 Vonnegut scrive i romanzi che lo renderanno celebre e faranno di lui uno dei maggiori scrittori americani contemporanei. Quello che ancora oggi è considerato il suo capolavoro è Mattatoio n.5 o la crociata dei bambini pubblicato nel 1969 e nel quale rievoca la drammatica esperienza vissuta a Dresda durante i giorni del bombardamento. In questo e negli altri romanzi di tale periodo lo scrittore non fa più fantascienza e si mostra impegnato in narrazioni che intendono criticare i tempi moderni poiché ritenuti responsabili dei gravi problemi che hanno investito l’umanità e le hanno fatto perdere la sua dimensione naturale. Semplice, chiaro è il linguaggio, lo stile di queste opere. La scrittura s’identifica con la semplicità, con la spontaneità degli argomenti, li fa giungere facilmente a chi legge. Quelle di un amico sembrano le parole dello scrittore e l’umorismo che spesso le accompagna rientra perfettamente nel tipo di discorso che può avvenire tra chi si conosce. A questa dimensione familiare riduce Vonnegut i grossi problemi che affronta e che sono quelli derivati all’individuo, alla sua anima, alla sua vita, alla sua società, alla sua storia dai moderni, inarrestabili processi di industrializzazione, meccanizzazione, dai nuovi costumi, dai nuovi modi di essere, di stare. Partecipi di questi problemi vorrebbe rendere lo scrittore quante più persone possibili, un discorso che coinvolgesse tutti vorrebbe essere il suo. Da qui la semplicità e l’umorismo, le maniere, cioè, che dovrebbero permettere alla sua scrittura di arrivare ovunque.

Come nei romanzi e nei racconti anche nei saggi Vonnegut è facile e divertente, anche qui continua a voler essere un buon amico, a fare satira, polemica contro quanto ha sostituito nell’uomo moderno i bisogni dello spirito con quelli della materia, contro ciò che ha fatto della Terra un pianeta invaso da una tecnologia sempre più diffusa e sempre più pericolosa per l’ambiente, la sua aria, le sue acque, la sua fauna, la sua flora, contro la sete di dominio che si è scatenata tra gli Stati più potenti e che li porta a scontrarsi in continuazione anche se non direttamente, a fare della guerra, della morte uno degli aspetti della modernità, contro la costruzione di arsenali militari nonché di armi atomiche al fine di farsi temere, di creare continue situazioni di allarme, contro tutto ciò che sta portando all’abuso, alla dissipazione, all’esaurimento delle risorse contenute dalla Terra per scopi completamente diversi da quelli del bene pubblico e soprattutto contro l’assurdo comportamento che fa continuare in tali operazioni pur essendo consapevoli dei pericoli che comportano, pur avendone le prove, pur ritenendole la causa della tanto temuta desertificazione del pianeta o fine del mondo.

Nei saggi della raccolta Un uomo senza patria ritornano questi temi, ritorna lo stile ironico, polemico dello scrittore arricchito stavolta da disegni, uno per ogni saggio, quasi si volesse raffigurare il significato dello scritto. Vignette le si potrebbe definire anche perché risentono del diffuso umorismo. I saggi sono osservazioni, riflessioni fatte in prima persona, polemiche, denunce che il Vonnegut muove agli eventi, ai fenomeni, alle Nazioni, alla loro politica, alla loro economia, a tutto ciò che vede all’origine della grave crisi nella quale è precipitata l’umanità dei nostri tempi. La sua America, l’imperialismo americano sono i bersagli preferiti dal Vonnegut poiché è convinto che le forze maggiori abbiano comportato i maggiori danni.

Non c’è un posto, non c’è una “patria” dove l’”uomo” possa sentirsi sicuro di poter continuare a vivere, “senza patria” egli è rimasto poiché tutto è stato guastato, ovunque sono giunti i nuovi modi, dappertutto si è perso quanto di semplice, di naturale faceva parte dell’uomo, della sua vita. Una distruzione totale è quella che Vonnegut è costretto a constatare e niente vale appellarsi a quanto ha fatto parte dell’umanità, del suo patrimonio culturale. Molti sono nel libro i riferimenti a personaggi illustri, molte le citazioni di opere fondamentali ma servono soltanto a procurare altro rammarico, a farsi accorgere della loro inutilità.

Addolorato si mostra lo scrittore nelle ultime pagine di fronte a quanto è successo e sta succedendo, deluso nel dover riconoscere che tutto il suo impegno nella vita e nell’opera non è servito, sconfitto insieme a quell’umanità che tanto aveva amato.

Amor che move il sole e l’altre stelle

AMOR CHE MOVE IL SOLE E L’ALTRE STELLE di Umberto Tenuta

CANTO 501 Ogni nato di donna è figlio di un atto di amore.

Nove mesi di amore fanno crescere il bimbo.

Ed è amore il nascimento.

Ed è amore il primo bacio della mamma.

Ed è amore il primo sguardo al mondo.

 

Ed è amore il primo sguardo del bimbo.

Ed è amore il primo capezzolo succhiato.

Ed è amore ogni cosa che il neonato fa per conoscere il mondo.

Amore della vita.

Amore della propria vita.

Amore di questa nuova creatura umana che si affaccia al mondo.

Amore di questa creatura che vuole dire la sua parola al mondo: una parola nuova.

Amore di questa creatura che vuole dire: io ci sono.

Amore di questa creatura che vuol dire: io sono una nuova sillaba nel gran discorso del mondo.

Io sono…

Io voglio…

Io faccio…

Io…

Mica gli dovete dare un voto perché succhi i capezzoli della mammina sua!

Mica gli dovete dare un premio perché muova le manine!

Mica lo dovete minacciare perché sgambetti!

Un bel giorno, quando meno ve lo aspettate, vi dirà la sua prima parola.

Un bel giorno, senza il girello, comincerà ad andare in giro per il mondo, novello Magellano.

Un bel giorno, senza il libro di grammatica, parlerà la lingua spagnola della madre e la lingua inglese della madre.

Un bel giorno…

Un bel giorno andrà a scuola.

E puoi gridare quanto vuoi, ma come il cavallo di Freinet, se non vuole imparare, non impara[1].

Ma, se ha imparato tante cose prima di andare a scuola, perchè a scuola c’è bisogno dei voti, dei premi e dei castighi, perchè impari?

Perché i docenti non leggono il famoso libro di IBUKA[2]?

Prima di andare a scuola i bambini imparano a camminare, a correre, a danzare, a parlare rispettando le regole della grammatica…

Forse le mamme ed i papà hanno fatto ricorso ai voti, ai premi ed ai castighi?

No!

Le madri ed i padri non hanno letto Rousseau, ma hanno messo i loro bimbi nelle situazioni naturali in cui era necessario camminare, saltare, correre, danzare… parlare in lingua italiana ed in lingua tedesca… orientarsi per ritrovare la strada della propria casa…

Docenti, conducete i vostri bambini nel bosco e fingete di esservi smarriti.

Saranno i bambini a suggerirvi come orientarvi.

Docenti, date spazio alla vostra inventività e ricreate le situazioni che hanno dato luogo alle scoperte grammaticali, geometriche, aritmetiche, geografiche ecc.

E, quando queste non siete capaci di inventare, innamorateli ai vostri saperi ed alle vostre competenze.

Ma soprattutto…

Contagiate loro i vostri amori.

<<Se il nostro pensiero e le nostre parole debbono muovere l’attività del discepolo, bisogna che qualcosa di vivo che è in noi passi nello spirito di lui come scintilla di fuoco ad accendere altro fuoco>> (F. ENRIQUES).

Concetta, voglio dire che, se tu ti metti a suonare il pianoforte nella tua aula, i tuoi alunni vorranno imitarti.

Lucia, voglio dirti che se tu ti metti a giocare al TANGRAM sul tuo Tablet, i tuoi alunni ti imiteranno ed impareranno la geometria.

Antonella, voglio dirti che se tu approfitti di ogni pausa per leggere i tuoi libri di storia, i tuoi alunni ti imiteranno ed impareranno la storia leggendo la Disfida di Barletta, I martiri di Belfiore…

Tiziana, voglio dirti che se tu ti prendi amorosa cura del tuo orticello scolastico, i tuoi alunni ti imiteranno ed impareranno la botanica…

Amici cari, vi immaginate voi una mammina che usa i voti per costringere i propri figli ad imparare a mangiare, a camminare, a parlare…?

Maestre care, mica voi usate i voti per costringere i vostri studenti ad imparare la tavola pitagorica?

Beh, se lo avete fatto fino a ieri, non lo farete certamente nella BUONASCUOLA!

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

Altri saggi sono pubblicati in

www.rivistadidattica.com

E chi volesse approfondire questa o altra tematica

basta che ricerchi su Internet:

“Umberto Tenuta” − voce da cercare

 

 

[1] <<puoi portare il cavallo alla fonte e fischiare quanto vuoi, ma se il cavallo non vuole bere, non beve>> (FREINET C., I detti di Matteo, La Nuova Italia, Firenze, 1962, pp.7-8).

[2] IBUKA M., A un anno si pattina, a tre si legge, e si suona il violino, Armando, Roma, 1984