Talenti diversi abitano la scuola

Talenti diversi abitano la scuola

di Cristina Del Bel Belluz

Qualche giorno fa in una rivista per la scuola compariva la frase l’istruzione non sparge semi dentro di noi, ma fa sì che i nostri semi germoglino: autore della frase Gilbran Khalil Gibran. La citazione ha rafforzato il significato che da sempre accompagna la mia visione di scuola: i bambini/ragazzi non sono vasi da riempire ma boccioli che desiderano fiorire.

In questi giorni nei quali tutto sembra sospeso la frase mi appare quanto mai appropriata e apre a numerose considerazioni che si intrecciano tra loro rendendo complesso l’intero panorama. La situazione epidemiologica di questo periodo ha costretto la scuola a ripensarsi e a riproporsi in tempi davvero rapidi in considerazione delle norme che quasi quotidianamente vengono emanate e anche, e soprattutto, in virtù del suo ruolo costituzionalmente sancito.

La scuola è una macchina complessa, che si muove lentamente barricata talvolta dietro il “si è sempre fatto così”; difficile pensare di riuscire a rimodulare in breve tempo un’alternativa credibile al modo tradizionale, comodo e sicuro di lavorare in classe.

Dopo i primi giorni di comprensibile smarrimento le scuole hanno iniziato a reagire; da ogni dove vengono proposti corsi di formazione, webinar esplicativi, piattaforme accattivanti, siti -repertori di contenuti e l’intero mondo scuola ha scoperto una fioritura immensa di opportunità con il rischio di perdersi quando non si ha ben chiaro il perché di tutto questo, dove vogliamo arrivare o pensiamo di voler arrivare. L’euforia e l’entusiasmo vanno ora contenuti e incanalati in scelte ragionate, lungimiranti ed organiche per essere efficienti ed efficaci e non perdere di vista il nostro obiettivo. La nota ministeriale 388 del 17 marzo 2020 indica due aspetti della didattica a distanza o DAD: la relazione e l’apprendimento. Come non condividere il primo significato: la scuola è relazione, è condivisione, è rapporto con i pari e con gli adulti. Da un lato sollecita l’intera comunità educante, nel novero delle responsabilità professionali e, prima ancora, etiche di ciascuno, a continuare a perseguire il compito sociale e formativo del “fare scuola”, ma “non a scuola” e del fare, per l’appunto, “comunità”. Mantenere viva la comunità di classe, di scuola e il senso di appartenenza, combatte il rischio di isolamento e di demotivazione. La mancanza di questo rapporto è molto sentita fra gli studenti ma anche fra i docenti: una scuola, un corridoio, un’aula senza studenti è triste, il silenzio assordante.

Per quanto riguarda l’apprendimento ritorna la frase d’apertura di questi miei pensieri ad alta voce. La didattica a distanza non è la didattica tradizionale svolta in classe: non è immaginabile traslare su una qualsiasi piattaforma quanto si faceva in aula, non tutto, forse poco, addirittura niente. La nota citata poco sopra chiarisce che il semplice assegnare compiti, esercizi ripetuti sempre uguali non è didattica a distanza (forse non era didattica neppure prima!): ci serve il feedback, la restituzione, uno o più momenti di relazione tra docente e discenti, attraverso i quali l’insegnante possa restituire agli alunni il senso di quanto da essi operato in autonomia…

Il breve accenno al percorso di apprendimento che sottende alla DAD sollecita alcune ulteriori riflessioni.

E’ necessario ripensare a quel “fare scuola” che deve necessariamente essere più dinamico, più “fresco”, meno cattedratico, più “competente”: possiamo riproporre il tema del curricolo per competenza o di competenze, dove discriminare ciò che è essenziale da ciò che è necessario, opportuno, superfluo… come non ricordare “La cultura è ciò che resta dopo aver dimenticato tutto di ciò che si è studiato…” (Gaetano Salvemini).

E’ necessario possedere maggiori competenze digitali e meno timore che il computer possa esplodere se si tocca un tasto sbagliato: imparare insieme discenti e docenti nella consapevolezza che nulla può sostituire appieno ciò che avviene in presenza, in una classe, si tratta pur sempre di dare vita a un “ambiente di apprendimento”, per quanto inconsueto nella percezione e nell’esperienza comuni, da creare, alimentare, abitare, rimodulare di volta in volta. Perché in questo essenziale elemento consiste il “fare scuola”: insegnare e apprendere, insieme [nota 388 del 17 marzo 2020].

E’ necessario dare organicità al lavoro attraverso strumenti condivisi affinché l’intera comunità di utenti non venga destabilizzata: penso alle piccole realtà dove il confronto all’esterno può essere pericoloso, fonte di ansie, di sensi di inferiorità tra le famiglie…tra quel “programma” che non avanza! Dare quindi ordine alla confusione mediatica delle tecnologie.

E’ necessario non dimenticare che la scuola apre le porte a studenti molto diversi e non mi riferisco solo agli alunni con disabilità o DSA che hanno già una serie di strumenti a loro disposizioni codificati in PDP o PEI; c’è una fetta di studenti, e anche molto grossa in certe realtà piccole o ai margini che vivono in una situazione di grande povertà sostanziale ancorché culturale che rischiano di essere dimenticati, abbandonati… chissà se questa emergenza ci aiuterà a prevenire in futuro anziché essere sempre costretti a rincorrere soluzioni di buona volontà non sempre con prospettiva di successo.

E’ necessario interloquire con le famiglie, ora più che mai, per creare alleanze educative: preziose sempre, fondamentali nei momenti di grande incertezza come quello che stiamo vivendo.

Infine un ultimo grande aspetto: la valutazione. Come si può pensare di valutare se non sperimentando strade nuove? La valutazione è necessaria ma anche complessa. Se l’alunno non è subito informato che ha sbagliato, cosa ha sbagliato e perché ha sbagliato, la valutazione si trasforma in un rito sanzionatorio, che nulla ha a che fare con la didattica, qualunque sia la forma nella quale viene esercitata [nota 388 del 17 marzo 2020].

Qui si ripropone il tema del curricolo: didattica per competenze, compiti autentici, condivisi (un po’ girovaghi!), significativi. Non può essere certamente la prestazione finalizzata al voto perché la valutazione è valorizzare non etichettare. Inoltre in un momento in cui si stanno sperimentando nuove formule di lavoro anche la valutazione diventa un modo per dare valore ai percorsi di crescita delle competenze di ciascuno. Il curricolo diventa la linea guida lungo la quale avanzare per giungere, indipendentemente dalle modalità prescelte, alla meta che è il successo formativo di ciascuno con le sue attitudini, i suoi atteggiamenti e i suoi talenti. Ogni scuola dovrebbe interrogarsi su questo, su quale idea di studente intende portare avanti e la valutazione trova il suo spazio all’interno di questa logica condivisa. Solo così sarà possibile lasciare la strada dei contenuti (che hanno sicuramente il loro significato e valore) per abbracciare l’ottica delle competenze disciplinari ma, soprattutto, trasversali.

E così si torna all’inizio della mia riflessione: facciamo fiorire i nostri boccioli permettendo loro di tirare fuori tutto ciò che li imbriglia dalle paure alle gioie, dalla tristezza all’euforia, dalla rabbia alla tranquillità interiore in una parola la loro libertà!