La disoccupazione giovanile e il doppio lavoro degli insegnanti

La disoccupazione giovanile e il doppio lavoro degli insegnanti

di Francesco Scoppetta

Sulla stampa si leggono talvolta notizie di inchieste come queste:

(L’Espresso, 4/10/2019, diAntonio Fraschilla) Università, lo scandalo dei professori con il doppio lavoro che ci costano 40 milioni. Per legge possono svolgere solo consulenze occasionali. Ma dietro questa formula avviene di tutto. E ora 600 docenti sono sotto esame. (Globalist, 7/5/2018, L’Università della vergogna: 411 professori con doppio lavoro sotto inchiesta. I docenti avevano scelto la formula dell’insegnamento a tempo pieno, che vieta di svolgere altre attività). “Si tratta di docenti che, pur avendo optato per il cosiddetto regime di “tempo pieno”, con divieto assoluto di svolgere altri incarichi se non con esplicita autorizzazione del Rettore, si dedicavano ad altre remunerative attività. L’accusa a loro carico è quella di svolgere un doppio lavoro”.

Oltre all’università altre inchieste sono state svolte a Roma all’Atac (macchinisti) e alle Asl (Il Messaggero, 2018). Gli insegnanti con doppio lavoro finiscono invece in cronaca solo per casi estremi di assenteismo prolungato.

(7/9/21) Il Gazzettino. it :  “Ha collezionato un totale di 769 giorni di assenza in soli tre anni scolastici. Per giustificarli, ha inviato alla segreteria della scuola certificati di malattia firmati dal proprio medico curante, per complessivi 459 giorni, e congedi parentali per seguire la figlia minore, per gli altri 310. Solo che durante il triennio, dal 2016 al 2019, in cui avrebbe dovuto insegnare Matematica applicata all’Istituto tecnico industriale «Kennedy» di Pordenone, per una cattedra di potenziamento, il professore ha anche svolto svariate consulenze per la sua attività libero professionale in tutta la Penisola, incassando quasi 100 mila euro”.

L’economista Roberto Perotti spiegò una volta su Repubblica (21/10/2019) perchè tagliare la spesa pubblica sia impossibile. Il fatto è che questo nostro paese non riesce a fare neppure le cose che sarebbero possibili. Ricordiamo tutti di quando Salvini affermava che con quota 100 per ogni pensionato avremmo avuto 3 giovani occupati in più. Bene, ci fosse stato uno solo (non 10, uno solo) che gli avesse risposto: per aumentare l’occupazione perchè non rendere obbligatorio il part-time nella scuola per chi svolge un doppio lavoro?

Occorre risalire ormai al lontano 1991 per rinvenire una proposta di legge dei deputati Mastrantuono, Di Donato e Iossa intesa a dichiarare incompatibile il lavoro autonomo con l’impiego pubblico. Gli ultimi che in parlamento ci provarono invano con il governo Prodi furono i deputati dei Verdi, i fisici Gianni Mattioli e Massimo Scalia, i quali, vado a memoria, ebbero il coraggio di presentare senza successo un emendamento alla finanziaria per obbligare al part-time gli insegnanti liberi professionisti. Così come nella sanità soltanto il ministro Rosy Bindi provò a cancellare la possibilità dei medici di lavorare sia per il pubblico che per il privato. Non c’è un argomento più rimosso di questo in Italia, eppure Salvini addirittura vorrebbe allargare ancora di più le possibilità del “doppio lavoro” dell’impiegato pubblico, il quale, secondo l’art. 98 della Cost. dovrebbe essere al servizio esclusivo della Nazione. L’aggettivo “esclusivo”, basta consultare la Treccani, non so bene come ormai sia o andrebbe interpretato. Nelle nostre scuole abbiamo avvocati, ingegneri, commercialisti, imprenditori, autonomi, i quali insegnano a tempo perso (o con diligenza, dipende soltanto dalla propria coscienza) cumulando due stipendi uno dei quali può essere considerato arrotondamento o salario accessorio. Ricordiamo che il dipendente pubblico, anche se a tempo pieno, può svolgere, se autorizzato dal dirigente scolastico, incarichi di tipo diverso, per esempio le attività non di lavoro subordinato esercitate sporadicamente ed occasionalmente, anche se eseguite periodicamente e retribuite, qualora per l’aspetto quantitativo e per la mancanza di abitualità, non diano luogo ad interferenze con l’impiego.

Tali incarichi non devono essere in conflitto con gli interessi dell’amministrazione e con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione. L’impegno lavorativo derivante dall’incarico deve essere compatibile con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto e non pregiudicarne il regolare svolgimento. L’attività infine deve essere svolta al di fuori dell’orario di servizio. Il caso degli avvocati che una volta ottenuta l’autorizzazione dal preside pretendono orari mattutini confezionati on demand con ore buche centrali per potersi recare nei tribunali spiega la situazione.

Tale cumulo se poteva essere giustificato quando era difficile reclutare insegnanti (per cui negli anni sessanta finanche i notai insegnavano diritto) oggi è un vero privilegio che ancora una volta sacrifica i giovani in cerca di prima occupazione.

Così mentre Tito Boeri ex presidente Inps denuncia i privilegi dei trattamenti pensionistici dei sindacalisti (altri personaggi che posson fare due parti in commedia) la politica italiana ha ormai fatto diventare il doppio lavoro una modalità consentita a meno che non sia lo stesso libero professionista a chiedere il part-time nella scuola (che può essere a 9 o 12 ore). Nonostante grandi campagne condotte contro la casta e i privilegi dei politici, nessun zelo si è esercitato per disboscare nel pubblico cumuli di stipendi e indennità di gente indaffarata a fare (male) tante cose insieme (non solo insegnanti, ma anche medici, ingegneri, avvocati ecc.). Riuscite ad immaginare un Paese in cui si stabilisse che uno pagato dallo Stato deve fare un solo lavoro?

Da Bruno Vespa una volta il segretario del pd Letta ha avuto il coraggio di dire che il “reddito di cittadinanza” si è rivelato spesso un modo per incrementare il lavoro nero, che si aggiunge al sussidio. Questa verità, una grande scoperta dell’acqua calda, è approdata su Rai1 ma chissà se un giorno sarà mai possibile ascoltare da un politico la denuncia del doppio lavoro dei dipendenti pubblici. Il grande tema di come rendere più produttiva ed efficace la spesa del pubblico impiego, qualcosa come 170 miliardi di euro all’anno, infatti è sempre sul tappeto, così come la riforma del fisco o la lotta all’evasione fiscale. Temi ben trattati da accademici e studiosi ma sconosciuti per la politica italiana. Lo si è cercato di affrontare attraverso riforme di carattere strutturale (dalla cosiddetta “Riforma Brunetta” del 2009 alla riforma Madia, alla “Buona Scuola”), ma non sembrano rinvenirsi effetti positivi. Anzi, l’eccesso di regole e di interventi normativi si è persino rivelato controproducente.

Un esempio concreto può indurre a qualche riflessione in tema di produttività. Prendiamo il caso molto frequente di genitori che lavorino uno nel settore pubblico e l’altro in quello privato. Quale dei due non si recherà al lavoro la mattina per affrontare l’urgenza di un proprio figlio o congiunto? E’ chiaro, il dipendente pubblico. Il caso del dipendente Arlecchino servo dei due padroni non è mai stato avvertito come una vera emergenza nazionale. In questa sede non tratto il capitolo delle lezioni private, che pur presenta un giro di affari vicino al miliardo di euro. Secondo una ricerca della Fondazione Einaudi finirebbe in nero nelle tasche di 9 insegnanti su 10 (il 70% di essi viene reclutato da alunni della stessa scuola).

I nostri Truffaldini lavorano la mattina per lo Stato, in un ministero, una scuola, un ente, una partecipata, e il pomeriggio nel proprio ufficio, anche se sulla porta hanno messo il nome della moglie, del figlio, della suocera o di un sodale. E magari fosse così, perché il guaio sarebbe limitato. In realtà non c’è, non ci può essere separazione temporale  e così i padroni, Beatrice e Florindo, sono vittime insieme delle bugie, dell’ingordigia e della scaltrezza dell’abile servitore. Nel frattempo ci si lamenta per la disoccupazione, soprattutto giovanile, facendo finta di non sapere che la scarsa produttività della PA è il risultato del doppio lavoro di una parte dei dipendenti pubblici intrecciatosi con il grave ritardo, più grave in alcuni settori ed in alcune aree geografiche del Paese, nei processi di innovazione e modernizzazione del settore pubblico. Basterebbe immaginare (uno scenario davvero utopico, ne siamo tutti convinti) quanto migliorerebbe l’efficienza e la produttività se ogni dipendente pubblico non potesse svolgere alcuna attività privata. Quante opportunità nuove per i giovani, a patto che siano selezionati con seri concorsi pubblici, come prescrisse la costituzione tanti anni prima che si aprisse la stagione del disprezzo del merito, considerato un portato del neoliberismo.