Educare è…

Educare è…

di Margherita Marzario

Anziché parlare continuamente dei problemi riguardanti l’educazione sarebbe positivo e propositivo parlare dell’educare all’infinito del verbo (e del processo) prendendo spunto da citazioni varie.

Secondo lo scrittore Simone Perotti: “Cambiare la propria vita per provarne un’altra o molte altre e per provare se stessi con altri abiti addosso è un sogno positivo, in cui sfocia la nostra energia. Ci porta a questo disegno una visione del mondo basata sulla curiosità, sullo spirito d’avventura, sulla fiducia in qualche buona risorsa di cui godiamo, sulla fede nella vita come fabbrica del possibile”. La vita come “fabbrica del possibile”: una bella immagine da trasmettere a bambini e ragazzi. Anzi, l’educazione stessa è una “fabbrica del possibile”. Educarsi e educare: ogni scena di vita corrisponde a una vita personale e familiare, ricca di amori e dolori, una vita da non giudicare, ma da rispettare, una vita che si intreccia con ogni altra vita nell’unico alveo della vita, nell’unico albero della vita.

Simone Perotti aggiunge: “Ognuno di noi ha un mucchio di risorse, molte più di quel che pensa, testando le quali può scoprireuna parte impensata della propria vita, tutta giocata in positivo, tutta fatta di opportunità. La solitudine comincia a cedere e la vita si può riempire di sorprese”. Come le tappe del gioco nella crescita del bambino, dal gioco percettivo-motorio a quello sociale: il gioco, palestra di vita, fonte di vita. Educare al gioco, educare col gioco, educare nel gioco. Leggerezza, una delle “lezioni americane” di Italo Calvino. Leggerezza, libertà e leggiadria interiori, il contrario di ipocrisia (“ciò che si giudica sotto”; l’ipocrita era l’attore) e di superficialità (“ciò che sta sulla faccia”). Leggerezza: una delle lezioni dei bambini. Il gioco consente anche di educare alla resilienza (o semplicemente forza d’animo e flessibilità) e di essere resilienti.

Lo psicologo canadese Eric Berne sostiene: “Ciascun essere umano nasce principe o principessa ed esperienze negative precoci convincono alcune persone ad essere ranocchi, da ciò deriva lo sviluppo della patologia”. Nel processo di formazione dell’identità, bisogna educare i bambini alla giusta autostima per non incorrere nella disistima o nell’iperstima (sino al disturbo narcisistico della personalità), anche con l’usare un nomignolo adeguato nel rivolgersi ai figli. Per esempio una volta si sono manifestati effetti patologici in una bambina perché la mamma la chiamava “pulce”.

“Conserva l’amore nel tuo cuore. Una vita senza amore è come un giardino senza sole dove i fiori sono morti. La coscienza di amare ed essere amati regalano tale calore e ricchezza alla vita che nient’altro può portare” (lo scrittore Oscar Wilde). Gli adulti ed in particolare i genitori hanno il diritto e il dovere di educare bambini e ragazzi alla “biofilia”, “amore per la vita, per le cose vive”, che è il contrario della “necrofilia”, “amore per la morte, le cose morte” (soldi, case, automobili, carriera): non solo dare la vita, ma trasmettere vita, infondere vita. Educare alla bellezza e nella bellezza: sia in tal senso l’educazione etica ed estetica dei bambini.

“Voi dite ciechi, ciechi, – disse il maestro, – così come direste malati e poveri o che so io. Ma capite bene il significato di quella parola? Pensateci un poco. Ciechi! Non veder nulla, mai! Non distinguere il giorno dalla notte, non veder né il cielo né il sole né i propri parenti, nulla di tutto quello che s’ha intorno e che si tocca; essere immersi in una oscurità perpetua, e come sepolti nelle viscere della terra!” (in “I ragazzi ciechi” dal libro “Cuore”di Edmondo De Amicis). Educare: illuminare la strada, far aprire gli occhi, far andare oltre le apparenze, oltre gli ostacoli, oltre immagini o bagliori.

“Io che son stato vari anni fra loro, quando mi ricordo quella classe, tutti quegli occhi suggellati per sempre, tutte quelle pupille senza sguardo e senza vita, e poi guardo voi altri… mi pare impossibile che non siate tutti felici” (in “I ragazzi ciechi”). Educare è anche richiamare il bello, rischiarare il bello della vita.È responsabilità dei genitori anche educare lo sguardo, educare allo sguardo e non rendere quelle dei figli “pupille senza sguardo e senza vita” con abuso di tablet e simili o scene di vita familiare amorfa, se non proprio arida.

“Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere!” (da “Il Piccolo Principe” di Antoine De Saint-Exupéry). Educare alle stelle per far imparare e vivere i verbi “considerare” e “desiderare”.

“Le opportunità per acquisire la sapienza non mancano: ciò che veramente fa la differenza è la volontà di metterle in atto. Alla fine ciascuno è chiamato a rispondere, nell’intimo della propria coscienza, alla domanda decisiva: l’odio è davvero, oltre che un male, uno spreco enorme di possibilità, o lo si ritiene una necessità inevitabile per affrontare i problemi della vita? Se l’odio prevale non è perché manca la saggezza, ma perché non la si vuole ascoltare. Dire che nella propria situazione è troppo difficile cambiare è uno dei tanti luoghi comuni con cui si rivendica il proprio «diritto a odiare»” (lo studioso gesuita Giovanni Cucci in “È possibile contrastare l’odio?”, 2016). Assumersi coscientemente e quotidianamente le proprie responsabilità è educare alla responsabilità, alla solidarietà, alla sostenibilità, alla legalità, all’altro. È educare al non odio, che non è necessariamente amore ad oltranza o buonismo. È attenersi (o meglio, rispettare e coltivare) ai principi costituzionali e a quelli della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

“Facilitare non significa «faciloneria». Si possono facilitare anche le questioni oggettivamente più ardue. Se un argomento è difficile e complesso, è una facilitazione già il semplice fatto di non appesantirlo ulteriormente” (lo studioso gesuita Diego Fares). Educare è facilitare, ma non spianare sino a diventare “genitori spazzaneve” (locuzione coniata dagli inglesi).

“Il «no», invece, è l’orizzonte come limite. Ma mai come un limite assoluto; piuttosto, come limite di ciò che può danneggiare il «sì», come limite che può ingabbiarlo e impedirgli di crescere. Nella vita e nell’amore il «no» è al servizio del «sì». […] I principi negativi aiutano la vita a non mutarsi in morte, ma la vita avanza e matura a forza di «no» moltiplicati, bensì tramite la gradualità di molti «sì»” (Diego Fares). Educare è anche dire no, nei tempi e nei modi giusti, con espressione coerente col diniego e motivazione concorde con altre scelte.

Si è soliti pensare che l’educazione riguardi prevalentemente i valori, i principi o limitazioni e, perciò, la sfera interiore, invece bisogna partire dal corpo, dal rispetto del corpo e non soltantocome educazione corporea e al movimento. Il filosofo Adriano Fabris spiega: “Il corpo ha bisogno di soddisfare i propri bisogni. La carne sente, agisce, ama. L’essere umano pensato come un corpo occupa nel mondo uno spazio, e toglie spazio ad altri corpi, che occupano a loro volta un loro spazio. Se due corpi vogliono occupare lo stesso spazio il conflitto è inevitabile. Da qui le guerre che devastano il mondo. L’essere umano pensato come un corpo è poi condannato alla ricerca del proprio utile. In quanto brama, desidera, vuole, esso cerca di ottenere qualcosa che il mondo ha, che gli altri hanno. Vuole, cerca, acquisisce, ma non gli basta mai. Dunque, se l’essere umano è pensato solo come un corpo, lo sfruttamento è uno sbocco implicito, è la chiave del rapporto con il mondo. E conflitti e guerre, di nuovo, sono inevitabili, visto che non ci sono risorse sufficienti per soddisfare i bisogni di tutti. Ma l’essere umano non è solamente un corpo. Non lo è, nonostante il fatto che nella mentalità comune siano diffuse da tempo ideologie che lo riducono a questo solo aspetto. L’essere umano è carne. Sente e sa di sentire, patisce e agisce, è esposto a ciò che gli può capitare e interagisce con il mondo e con gli altri esseri umani”. Educare alla differenza tra corpo (che riguarda solo la fisicità) e corporeità (che non è solo fisicità) per passare dall’individualità alla solidarietà (art. 2 Costituzione), educare a se stessi, alla propria complessità per costruire l’identità (per la quale è fondamentale la conoscenza e la consapevolezza di sé) è altresì educare alle differenze. Non c’è bisogno di appositi programmi o progetti per educare alle diversità (qualsiasi diversità), perché l’educazione è tale e contribuisce allo sviluppo della persona nella sua interezza, come rimarca la pedagogista Luigina Mortari: “Pensare al bambino come ad un essere mancante di certe capacità o pensarlo, invece, come una persona intera le cui forme dell’esserci sono già tutte presenti seppure in forma germinale eattendono solo di essere nutrite ha implicazioni rilevanti nel modo di intendere la cura educativa” (in “Filosofia della cura”).

“Un conto è fidarsi e un altro educare, un compito che tocca a noi genitori e che, per quanto difficile, dobbiamo interpretare anche ribadendo regole e paletti vari e anche il nostro parere sulle loro azioni, che possono essere di volta in volta giuste o sbagliate e non diventano l’una o l’altra cosa semplicemente perché ad agirle sono i nostri amatissimi figli a cui vorremmo essere ‘simpatici’”(la giornalista Renata Maderna). I primi educatori sono e restano i genitori: i figli ereditano il patrimonio genetico e quello educativo (e anche diseducativo). Nella Costituzione (art. 30 comma 1) si parla di dovere e diritto di educare solo riferito ai genitori, per cui l’educazione è un dovere costituzionale, non solo perché previsto nella Costituzione, ma perché costituisce la genitorialità e la famiglia. 

“Per educare un bambino ci vuole un intero villaggio” (adagio africano). Oltre alla coralità ci vuole coraggio, atto del cuore, perché “La relazione educativa è sempre accompagnata da un atteggiamento di cura” (dalla Parte III – La centralità dei bambini – Linee pedagogiche per il sistema integrato zerosei, adottate con Decreto Ministeriale del 22 novembre 2021, n. 334).