La scuola oltre la scuola

La scuola oltre la scuola

di Margherita Marzario

Il grande Mario Lodi scriveva nel 1963: “[…] la scuola la vorrei senza pagelle e con tante cordiali chiacchierate coi genitori, perché, alla fine, invece di una bella pagella, si abbia un bel ragazzo, cioè un ragazzo libero, sincero, migliore comunque” (in “C’è speranza se questo accade al Vho”). Sono decenni che si discute della valutazione scolastica (soggetta a continue modifiche), dei rapporti scuola-famiglia, degli obiettivi educativi trascurando, invece, il concreto “bel ragazzo” che si ha davanti e i suoi obiettivi. 

Anche il filosofo indiano Jiddu Krishnamurti scriveva nel secolo scorso: “L’educazione non è solo acquisire competenze tecniche, ma comprendere con sensibilità ed intelligenza l’intero problema del vivere. La scuola è un posto dove imparare la totalità, la pienezza della vita”. Nell’art. 31 par. 2 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge: “Gli Stati parti devono rispettare e promuovere il diritto del fanciullo a partecipare pienamente alla vita culturale ed artistica ed incoraggiano l’organizzazione di adeguate attività di natura ricreativa artistica e culturale in condizioni di uguaglianza”. La scuola dovrebbe tornare ad essere luogo di vita deputato all’arte e alla cultura e non un “progettificio”.

“Ma insegnare è proprio questo: ricominciare fino a scomparire come professori. Se non riusciamo a collocare i nostri studenti nell’indicativo presente della nostra lezione, se il nostro sapere e il piacere di servirsene non attecchiscono su quei ragazzini e quelle ragazzine, nel senso botanico del termine, la loro esistenza vacillerà sopra vuoti infiniti. Certo, non saremo noi gli unici a scavare quei cunicoli o a non riuscire a colmarli, ma quelle donne e quegli uomini avranno comunque passato uno o più anni della loro giovinezza seduti di fronte a noi. E non è poco un anno di scuola andato in malora: è l’eternità in un barattolo” (da “Diario di scuola” di Daniel Pennac). “La scuola è aperta a tutti” (art. 34 comma 1 Costituzione): la scuola sia veramente aperta a tutti, sia aperta alla vita in divenire verso l’avvenire.

“A scuola ascoltai a fondo le lezioni. Mi accorsi di com’erano importanti le cose che imparavo. Era bello che un uomo le metteva davanti a un’assemblea di giovani seduti, che avevano uno slancio nell’ascolto, nell’afferrare al volo. Bella un’aula in cui stare per conoscere. Bello l’ossigeno che si legava al sangue e che portava in fondo al corpo il sangue e le parole. […] Entrava luce in testa come ne entrava in aula. […] Tornai verso casa continuando a pensare alle lezioni. C’era una generosità civile nella scuola pubblica, gratuita che permetteva a uno come me di imparare. Ci ero cresciuto dentro e non mi accorgevo dello sforzo di una società per mettere in pratica il compito. I ricchi si sarebbero istruiti comunque. La scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva uguaglianza. Non aboliva la miseria, però tra le sue mura permetteva il pari. Il dispari cominciava fuori” (lo scrittore Erri De Luca in “Il giorno prima della felicità”). La scuola, in particolare quella pubblica, deve dare ossigeno e fare luce alle menti, elevare da ogni forma di povertà educativa. Anche questo significa attuare l’inciso costituzionale “La scuola è aperta a tutti” (art. 34 comma 1 Cost.). 

“Il vero dibattito sulla scuola non può esaurirsi attorno ai compiti. La scuola si deve aprire a sperimentazioni che colgano tutto il potenziale creativo che si annida dentro alla testa, ai sentimenti, alla poesia, all’arte dei nostri figli” (don Antonio Mazzi, impegnato nel recupero dei giovani a rischio). Il primo compito (etimologicamente da “calcolare” o da “compiere”) della scuola è fornire strumenti affinché bambini e ragazzi comprendano quale sia il compito loro affidato dalla vita da portare a compimento, cioè se stessi, la loro identità, la loro personalità. “Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro” (capo I, punto 1 del Pilastro europeo dei diritti sociali).

Nella vita scolastica, come in ogni altro ambito, “l’interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione” (art. 3 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Il più delle volte l’errore nel confronto tra genitori e insegnanti è la prospettiva: i primi considerano i bambini/ragazzi solo figli, mentre i secondi solo alunni. Con la differenza, però, che gli insegnanti sono sottoposti a esami universitari, prove selettive, graduatorie, punteggi o altro, mentre per i genitori non esiste alcun banco di scuola. Genitori e insegnanti devono trasmettere la fiammella della vita e allenare bambini e ragazzi affinché portino avanti la fiaccola nelle Olimpiadi della loro vita.

La partecipazione dei genitori a scuola è stata inserita dai cosiddetti Decreti Delegati del 1974 (e successive modificazioni). Instaurare e coltivare un buon rapporto scuola-famiglia è fondamentale e fondante per dare senso e significato alle parole delle relative indicazioni curricolari ministeriali rendendole indicazioni di vita e per la vita dei bambini e ragazzi, nella loro veste di alunni e figli. Dall’ilarità (espressione anche della gioia di vivere) alla pazienza (che è il risvolto della passione), istruzioni valide ed efficaci per ogni insegnante che voglia “lasciare il segno”, e per ogni genitore che voglia “generare”, anziché alimentare un contrasto “d-istruttivo” tra denunce e sentenze, anche della Cassazione. Un positivo e propositivo rapporto scuola-famiglia ha pure una forte valenza educativa, in particolare di educazione alla legalità, perché si dà l’esempio del rispetto di regole e ruoli. 

Alcuni genitori pretendono dalla scuola o dagli altri in generale quello che loro non danno o non riescono a dare. Insieme si lavora meglio e ancor di più nella costruzione della strada della vita.

Oggi si tende a denigrare la professione del maestro puntando, anche senza ragione, il dito contro la scuola, capro espiatorio di molti mali. Si dimenticano molti grandi che hanno lavorato nella scuola e che hanno cominciato dalla scuola. Tra i tanti, Leonardo Sciascia, maestro a scuola, maestro di vita, Gianfranco Zavalloni, ideatore del decalogo dei diritti naturali dei bambini.

La scuola italiana è stata valida e ha consentito la formazione di grandi persone e menti. Sono le ultime riforme ad averla affossata e un immaginario collettivo sempre più diffuso che la contrasta e le impedisce, spesso, di svolgere al meglio funzioni e ruoli che le spettano.

E, nonostante tutto e tutti, la scuola continua a occupare un posto centrale nella crescita di ciascuno. “[…] che anche a 12/13 anni alcune ragazze e ragazzi hanno già l’istinto e lo spirito dell’imprenditore, si sentono attratti e stimolati dalla possibilità di inventarsi un’idea di prodotto, servizio o app, metterla in pratica e vedere l’effetto che ha sul mercato, successo o fallimento che sia, non importa. Questo istinto va coltivato, è importante che il sistema scuola fornisca infrastrutture e competenze perché questi ragazzi possano sperimentare questo loro istinto. […] arricchiremo i programmi delle varie discipline con elementi di educazione all’imprenditorialità e, soprattutto, con tanti incontri in classe con imprenditori e startuppers e tante visite presso imprese e luoghi di creatività imprenditoriale” (prof. Daniele Manni). Educazione all’imprenditorialità è educazione alla creatività, educazione al lavoro e educazione alla cittadinanza. Così la scuola realizza vari principi costituzionali, tra cui l’art. 4 della Costituzione: “[…] un’attività o funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.                        

A proposito di “progresso materiale o spirituale della società”, tra le tante funzioni, la scuola è anche “scuola di riciclo”, cioè ascuola (e non solo) si può recuperare e riciclare tutto (contrastando il diffuso consumismo e tenendo conto pure dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile): e, poi, i bambini vedono il bello dappertutto se glielo si consente e glielo si indica. È quanto si ricava anche da vari testi normativi, dalla Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura (2011) alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (2012). Se si trasmettesse il senso del bello cambierebbe lo sguardo e si avrebbe di ognuno e di ogni cosa maggiore riguardo.

“Siamo convinti che se tutti iniziassero a comprendere che le città e tutti gli l’ambienti intorno sono esattamente come casa propria, ci penserebbero due volte prima di sporcare, trascurare o distruggere. Se nessuno butta pezzi di carta o lattine per terra nel proprio soggiorno, perché buttarle per strada? Se nessuno butta la spazzatura fuori dalla finestra della camera da letto, perché buttarla dal finestrino dell’auto? Il nostro sogno è vedere cento, mille ragazzi che, come noi, insegnano ai propri genitori, e agli adulti in genere, il rispetto per le cose comuni” (gli alunni della scuola Galilei-Costa di Lecce, ideatori di una “startup ambientalista”, anno scolastico 2017/18). Non una scuola di progetti, ma un progetto di scuola; non progetti per gli alunni, ma alunni in progetto; non progetti sugli alunni, ma con gli alunni. 

Il “padre costituente” Piero Calamandrei, nel discorso a Romal’11 febbraio 1950: “Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà […]. La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione”. La scuola offre un servizio pubblico ma non è al servizio del pubblico, non può essere intesa o resa come un supermercato che offre promozioni, sconti, pubblicità, prodotti e in cui gli insegnanti sono come commessi impegnati ai banconi, agli scaffali o alle casse o come hostess negli eventi. Uno degli esempi più positivi di scuola è quella dell’Istituto “Galilei-Costa” di Lecce dove, nel 2016, è nato Movimento Anti Bullismo Animato da STudenti Adolescenti “MABASTA” e, nel 2018, un’impresa sociale non “come obiettivo quello di fare e accumulare denaro, ma quello di tentare di risolvere un grave problema sociale che crea tanta sofferenza e, a differenza di un ente del terzo settore che si fonda su basi volontarie, far sì che possa essere per noi un vero e proprio lavoro, possibilmente ricompensato” (come hanno dichiarato gli studenti “imprenditori”). La scuola stessa è un’impresa (da “imprendere”, “intraprendere”, letteralmente “prendere su di sé”) in cui si apprende ad essere imprenditori della propria vita, la più bella avventura, nonostante difficoltà e rischi.