La principessa Kaguya

Il Giappone tra umano e divino

di Antonio Stanca

  Insieme al “Ciclo dei Samurai” la casa editrice RBA Italia ha avviato il “Ciclo delle Hime”. Entrambe le pubblicazioni rientrano nella serie “Miti e leggende giapponesi” e si propongono di far giungere ai lettori italiani gli aspetti propri dell’antica letteratura giapponese, in particolare di quella narrativa. Si tratta di riedizioni di opere già comparse che vengono ora recuperate, curate, arricchite da storici, traduttori, illustratori. Del “Ciclo delle Hime” la più recente s’intitola La principessa Kaguya (La figlia della luna). È un lungo racconto che si compone di storia e leggenda, risale ai tempi passati, ad una vicenda che d’allora era entrata a far parte della cultura popolare, quella trasmessa oralmente. L’opera contiene anche una ricca documentazione illustrata ed un ampio saggio finale relativo alla storia della famiglia giapponese, ai vari modi, ai vari aspetti che nei secoli ha assunto.

   Sono un notevole contributo queste pubblicazioni affinché avvenga un’espansione, un’estensione della cultura occidentale, affinché accolga altre culture, altre letterature, si avviino dei confronti, si conoscano gli altri, quelli che erano rimasti tanto lontani da far pensare che non li si sarebbe mai conosciuti. Grande, pertanto, diventa la sorpresa, la meraviglia quando da queste letture s’impara che per molte cose, per molti modi di pensare, di fare si è stati come i giapponesi, che tanta vecchia vita giapponese è stata uguale a quella occidentale. Anche ne La principessa Kaguya si può vedere come costumi, frangenti, eventi della storia giapponese siano stati identici a quelli della nostra storia. Anche nell’ambito della leggenda è possibile scoprire dei riscontri, delle somiglianze. Ci si ritrova molte volte e così aumenta l’interesse per questa narrativa, si riduce la distanza dai suoi luoghi di provenienza. Particolare rimane, tuttavia, la produzione giapponese, specie quella del passato, poiché altri sono gli ambienti, altre le atmosfere che fanno da contorno a quanto rappresentato, altri i modi espressivi. Sa di magia, di poesia quella narrativa. La principessa Kaguya non sembra un racconto ma una favola, non una realtà ma un sogno. Lei fa parte delle “Hime”, è una creatura divina, una fanciulla dalla bellezza insuperabile, una figlia del dio eterno, onnipotente, dotata di poteri miracolosi, è lontana, estranea alla dimensione umana. Per essersi creata una situazione di tensione tra lei e il dio padre, Kaguya decide di assumere fattezze umane e scendere, inserirsi nella vita quotidiana facendo in modo da non farsi notare. Sarà la figlia adottiva di un taglialegna, Taketori, e di sua moglie, Ine, senza che questi sappiano delle sue origini, della sua condizione. Non sfuggirà, però, la sua bellezza agli occhi maschili. Tanti uomini la noteranno, la vorranno conquistare, si metteranno al suo seguito. Ma pur essendo venuta tra i mortali Kaguya non ha rinunciato alla sua natura divina, non vuole, non può, quindi, mettersi con nessun uomo perché così la perderebbe. Non cederà a nessuno, fuggirà insieme ai suoi nuovi genitori che la proteggeranno pur senza capire molto della situazione. Cambieranno sede più volte finché della bellezza di Kaguya saprà pure l’imperatore del Giappone, Daigo. La conoscerà, s’innamorerà, lei gli cederà per qualche istante, ricambierà il suo amore, il suo ardore ma subito si pentirà, soffrirà per aver rinunciato, anche se per poco tempo, alla sua vera natura. Vorrà riprenderla, lo farà aiutata dal dio padre che è comparso a correggerla, portarla con sé. Una volta svanita, ascesa all’altezza della divinità tutti capiranno chi era Kaguya e la sua diventerà una storia tramandata, scritta, narrata per secoli.

   La semplicità dell’esposizione, l’intimità dei pensieri, dei sentimenti, le luci, i colori delle acque, dei boschi, delle albe, dei tramonti, il contatto con l’invisibile e su tutto la bellezza sempre presente, sempre sfuggente di Kaguya fanno di questa non un’opera destinata alla lettura ma alla visione, non prodotta dalla ragione ma dall’immaginazione, non umana ma divina.

    Confermata ne esce una tradizione letteraria che, come quella giapponese, non ha avuto remore a fare della divinità un personaggio delle sue opere o un loro autore.