L’alunno nel contesto scuola

L’alunno nel contesto scuola

Gino Lelli, Andrea Sorcinelli

Ad un tratto arriva il grande momento, il primo giorno di scuola. Generalmente può essere atteso con eccitazione, gioia oppure con ansia, paura, in ogni caso, è importante e significativo.

Gli alunni salutano i familiari sulla porta di casa e/o all’entrata della scuola, poi sono soli, in un ambiente sconosciuto, con compagni che non conoscono, di fronte ad una nuova autorità impersonata dalla maestra. Inizia, dunque, la nuova esperienza scolastica.

Nella società moderna il sistema scolastico rappresenta per molti bambini la prima esperienza di subordinazione a ciò che i sociologi chiamano «organizzazione formale»; ciò significa molto semplicemente un’istituzione le cui regole vengono esplicitamente formulate e amministrate da personale specialistico.

Varcando la soglia che divide la famiglia dalla scuola, ilgiovane passa sotto una nuova giurisdizione, diversa, una istituzione che lo sottopone a regole nuove che valgono non solo per lui, ma anche per i compagni.

L’alunno per certi aspetti perde quello status di unicità presente a casa iniziando un nuovo percorso che lo vede membro di un gruppo di coetanei. Entrando a scuola il giovane compie il suo primo passo in un mondo più vasto, che l’istituzione rappresenta e media nello stesso tempo.

L’istruzione nella società moderna

L’istruzione nella società moderna può essere vista come quel fenomeno universale e complesso di forme di socializzazione successive al compimento della socializzazione primaria (il complesso delle forme di socializzazione secondaria).

Nell’età dello sviluppo, il sistema scolastico è la più importante fra le grandi istituzioni che un giovane si trova di necessità a frequentare.

Negli ultimi anni, il sistema di istruzione ufficiale ha coinvolto sempre di più le famiglie, con asili nido, scuole materne, gruppi ricreativi e così via.

La strutturazione della personalità nell’alunno

La strutturazione della personalità del giovane nella società moderna riceve un forte impulso dalla scuola, che, oltre ad influenzare la socializzazione offre concrete occasioni per sperimentare le proprie naturali disposizioni a vivere con gli altri, ne favorisce lo sviluppo intellettuale, ne amplia ed arricchisce l’iniziale patrimonio di conoscenze con una azione intenzionale e programmata che costituisce l’essenza di ciò che si definisce insegnamento.

La convinzione che la riuscita negli studi di un alunnodipenda in gran parte se non esclusivamente dalla qualità delle prestazioni di un insegnante è molto radicata nei genitori, particolarmente attivi e sovente apprensivi nel momento in cui devono iscrivere i propri figli a scuola.

Gli insegnanti sono a loro volta condizionati da tanti fattori, come la varietà di studenti della classe, i rapporti con la gerarchia scolastica, l’ambiente materiale in cui operano, i sussidi didattici di cui possono disporre, e così via, tuttavia, rimangono i conduttori reali dei processi di apprendimento degli alunni. Possono stimolarli, guidarli o anche frenarli con un atteggiamento eccessivamente rigoroso e punitivo.

Alcuni insegnanti pur promuovendo la collaborazione fra gli alunni, possono involontariamente far scattare meccanismi di segno opposto, cioè di competizione e rivalità.

Una delle situazioni più frequenti è quella in cui l’insegnante irritato dalla mancata risposta di un alunno a una sua domanda, si rivolge poi ad un altro che abitualmente non tradisce le sue aspettative.

Tale comportamento determina frustrazione nel primo allievo derivante non tanto dal fallimento della sua prova, quanto dal confronto con il compagno che lo vede perdente e lo fa sentire inadeguato, incapace. Peraltro, l’allievo ritenuto bravo, in virtù delle costanti attenzioni dell’insegnante, accresce la sua autostima motivandosi ancora di più all’apprendimento, ma può anche diventare supponente e arrogante. 

Fra studente e insegnante si viene a creare un rapporto circolare nel corso del quale l’educatore riesce a trasmettere all’allievo le aspettative che alla fine si possono realizzare.

L’organizzazione del lavoro didattico

Tra i compiti di maggior impegno che devono affrontare gli insegnanti c’è quello relativo all’organizzazione del lavoro didattico.

Secondo alcuni orientamenti pedagogici la natura di questo compito consiste in una mediazione che gli insegnanti operano cercando di adeguare gli obiettivi didattici alle concrete o reali possibilità di apprendimento di ogni alunno.

Gli educatori devono quindi conoscere non solo i contenuti culturali da trasmettere, ma anche la modalità di assimilazione, tenendo presente che l’apprendimento assume valenze diverse a seconda dell’età dell’allievo, della sua struttura cognitiva (l’insieme delle conoscenze già acquisite dall’allievo e dalle quali occorre ragionevolmente partire per le ulteriori acquisizioni), e di variabili di personalità, che incidono su motivazioni, interessi, timore di non riuscire in un compito, e così via, dalle quali spesso dipende il successo o l’insuccesso scolastico.

Gli insegnanti dovrebbero definire con chiarezza gli obiettivi didattici e le aspettative di apprendimento degli alunni. Un obiettivo del tipo «saper commentare un brano di prosa di facile comprensione», ad esempio, è sufficientemente chiaro, come anche «comporre frasi brevi senza errori di grammatica o di ortografia».

In entrambi i casi le aspettative sono prive di ambiguità e ciò agevola il comprendere il compito e la verifica dei risultati.

Al contrario, un obiettivo del tipo «saper pensare, saper osservare» risulta incomprensibile e generico.

Non sempre è facilmente osservabile se un alunno abbia raggiunto o meno un determinato obiettivo di comprensione.

Un episodio di storia, per esempio, può essere riferito esattamente con le stesse parole del libro senza che ciò permetta di poter definire con certezza se l’allievo lo abbia veramente compreso o non si sia limitato invece ad una ripetizione meccanica.

In tal caso, il comportamento prodotto (la ripetizione dell’episodio) lascia in ombra qualcosa di importante (la comprensione reale dei fatti) accertabile solo con verifiche più specifiche e complesse.

Programmare gli obiettivi didattici significa anche ordinarli secondo un criterio che ne permetta lo svolgimento graduale, definire una gerarchia, talvolta, però, in taluni settori della conoscenza, l’apprendimento non è cumulativo ma problematico e impone a volte ristrutturazioni radicali di quanto l’alunno aveva precedentemente appreso.

In ogni caso, è necessario che l’insegnante accerti, in via preliminare, quali conoscenze siano già possedute dall’allievo in modo che l’argomento di studio venga affrontato su una base minima di familiarità.

Ciò evita di provocare nell’alunno risposte emotive che insorgono in maniera fastidiosa quando la situazione è non solo nuova, ma priva di apparenti ancoraggi.

La funzione dell’insegnante è anche quella di facilitare l’apprendimento dello studente, di stimolare le sue potenzialità, facendo leva su contenuti e abilità che già possiede.

Grazie alla struttura cognitiva dell’alunno si determina il collegamento tra le conoscenze possedute, le modalità di acquisizione e il nuovo materiale oggetto di apprendimento.

La valutazione dell’alunno

La valutazione del profitto non è fine a sé stessa, ma è uno strumento che permette all’insegnante di:

1. proseguire lo svolgimento del programma passando ad una o più unità didattiche successive a quelle cui si riferisce la verifica, nel caso in cui l’alunno dimostri di averne una sufficiente padronanza;

2. ricercare ed individuare le difficoltà incontrate in una prova poco convincente e di predisporre interventi adeguati (chiarimenti sui punti critici, esercizi integrativi, e così via) affinché l’obiettivo di apprendimento venga definitivamente raggiunto.

Se la verifica giungesse in ritardo, per esempio quando l’argomento è stato interamente svolto, le difficoltà iniziali tenderebbero a sommarsi con quelle che inevitabilmente sopraggiungerebbero (deficit cumulativo); questo potrebbe dar luogo nell’alunno anche a un vero e proprio blocco psicologico di apprendimento.

Per questo motivo, è preferibile far precedere la valutazione sommativa, cioè finale, da una valutazione formativa intermedia, cioè continua, considerando quest’ultima parte integrante del processo di insegnamento-apprendimento.

Le ragioni del mancato apprendimento possono essere le più diverse e di solito a quelle più propriamente cognitive se ne associano altre di natura diversa, quali ad esempio turbe emotive, disinteresse per la materia, affaticamento e così via.

La valutazione continua permette il più delle volte all’allievo stesso di individuare la natura della difficoltà incontrata e di porvi prontamente rimedio.

Generalmente, inoltre, è incompatibile con episodi particolarmente traumatici, in quanto viene percepita come verifica di riepilogo di unità didattiche.

Ciò che sembra maggiormente allontanarsi dagli obiettivi di una didattica che voglia portare gli alunni a padroneggiare gli argomenti svolti, è la correzione ritardata degli elaborati in quanto contraddice con l’importante principio docimologico (la docimologia è la scienza della valutazione), di indicare subito all’alunno l’errore commesso.

Talvolta i metodi tradizionali di verifica del rendimento scolastico, definiti intuitivi perché affidati largamente alla discrezionalità dell’insegnante, possono anche rivelarsi strumenti inadeguati perché si basano su criteri molto variabili.

Un elaborato di italiano, ad esempio, può essere valutato positivamente per il suo contenuto nonostante siano presenti incertezze grammaticali o sintattiche.

Un ricorso a prove oggettive corrispondenti ai programmi svolti talvolta è auspicabile per una migliore valutazione dello studente.

Le prove oggettive di profitto si compongono solitamente di un certo numero di items, cioè di quesiti a cui l’allievo deve dare una risposta.

La loro forma può variare, andando dal vero/falso, alla scelta multipla, al riordinamento di parole, al completamento di frasi, a risposte aperte.

La forma di items vero/falso, molto diffusa in passato, oggi è meno utilizzata, in modo particolare in quelle materie come la storia o la letteratura, nelle quali è difficile formulare un’asserzione universalmente condivisibile.

Conclusioni

Con l’ingresso nella scuola l’alunno inizia un rapporto con la rete dei controlli formali, d’ora in poi deve seguire determinate regole educative e sociali.

Il successo scolastico, in termini di apprendimento, diventa l’obiettivo comune ad allievo e insegnante. La valutazione in itinere consente di monitorare l’acquisizione di conoscenze e di intervenire in tempo nel caso di lacune, quella finale, invece, di capire se più unità didattiche sono state comprese. Il fine delle valutazioni mediante prove di esame, deve essere compreso dagli alunni. Gli insegnati giocano il ruolo determinante di spiegare e far capire tale intento, così le verifiche verranno vissute con maggiore tranquillità.

La pressione che il sistema scolastico può esercitare sull’alunno può determinare sensazioni di inadeguatezza e/o paura di insuccesso. Competizione e insuccesso contraddistinguono anche il gioco e le pratiche sportive, si possono ottenere, quindi, degli insuccessi anche praticando tali attività. Gli insegnanti devono educare gli allievi alla accettazione delle sconfitte e a considerarle come circostanziate e generate esclusivamente dall’evento, evitando così generalizzazioni che potrebbero estendersi alla valutazione che lo studente ha di sé come persona.


Bibliografia

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• Santamaita S., Storia della scuola. Dalla scuola al sistema formativo, Pearson, Londra, 2021

• Vallieres, S., L’arte di comunicare con i bambini: Le frasi e i comportamenti che funzionano davvero, Red, Milano, 2017.