Per far ripartire la scuola ci vogliono le “larghe intese”?

Per far ripartire la scuola ci vogliono le “larghe intese”?

di Gian Carlo Sacchi

Anche se nel momento in cui scriviamo le larghe intese si sono già ristrette, e chissà quali altri stravolgimenti ci saranno in questo periodo di concitata azione politica, vale comunque la pena soffermarci su quanto è accaduto nel Governo ed in Parlamento a proposito del così detto decreto Carrozza, approvato in tempi brevissimi, se si considerano le lungaggini legislative e senza l’ormai di prammatica voto di fiducia.

Non è che al momento della conversione in legge ci fossero tanti parlamentari presenti, ma tant’è, di questi tempi….; non è che si tratti di una grande innovazione, anzi non c’è proprio niente di nuovo, ma forse tappare i buchi storici è l’unico modo per far approvare la legge senza turbare sindacati e altre realtà sempre pronte ad alzare steccati; non è che ci siano in ballo tante risorse, ma quanto basta per aver fatto dire al ministro che è il primo provvedimento che esce dalla logica dei tagli, prendendo i voti anche di chi ha contribuito a tagliare per troppi anni.

Certo si è trattato di rispettare accordi a monte, ma seguendo il dibattito nelle commissioni parlamentari, viene  da fare qualche altra considerazione di merito, rilevando come deputati e senatori, ieri contrapposti  in modo da sembrare insanabile, abbiano smussato più di un angolo per favorire l’approvazione del provvedimento.

Non si tratta soltanto di un pannicello caldo, ma della condivisione di una linea di fondo, che, come hanno fatto notare alcuni osservatori, conferma un impianto centralista e dirigista del governo nazionale sul sistema scolastico, tornando ad occupare, con quei pochi soldi, tutti gli spazi che timidamente si era in passato cercato di decentrare ai territori ed affidare alle responsabilità professionali.

Una tale impostazione con una mano da e con l’altra (la spending review) toglie, deprimendo i servizi e non contribuendo a smantellare le cariatidi burocratiche. Di piani triennali di assorbimento del precariato poi ne abbiamo sentiti troppi senza esito e quindi anche questa volta si può esprime un certo scetticismo.

Quindi si è capito chiaramente che il problema non sta più nel conflitto tra destra e sinistra, ma tra centro e periferia, con buona pace del nuovo, si fa per dire, titolo quinto della Costituzione e delle politiche liberali, pur con qualche fuga nel privato.

Ancora una volta si conferma che il sistema scolastico non riesce ad emanciparsi dalla politica; con l’autonomia ci eravamo illusi che fosse il sistema stesso a diventare autonomo e non le singole scuole schiacciate tra l’amministrazione statale e gli enti locali e che fossero le professionalità a costituire un punto di riferimento non solo per le prove INVAlSI, ma per la loro capacità di sostenere, mediante la dimensione educativa, la  crescita della società locale e così via fino al livello nazionale, passando per l’assunzione di responsabilità diretta da parte di altri ambiti territoriali. Una nuova governance in tal senso non è infatti solo un problema amministrativo, evoca quella “società educante” di cui si sono perse le tracce, che sembra essere stata delegata ai social network, che non riesce nemmeno a raggiungere per quanto riguarda il nostro Paese l’obiettivo europeo della longlifelearning.  Di questo fa parte una nuova politica del personale, non solo del precariato o di una mobilità rallentata, un passo indietro è il reclutamento dei dirigenti scolastici mediante la scuola della pubblica amministrazione ed uno avanti è l’aver sancito l’obbligo della formazione in servizio dei docenti, ma a rischio risorse.

Di fronte a nuove condizioni, crearle non sempre costa all’erario, anzi forse ottimizza quello che c’è, si potrà spingere sulla leva dell’innovazione dall’interno, che è l’unico modo per realizzare il miglioramento continuo e porre in essere la capacità di elaborazione e di innovazione.

Entrando più in profondità negli emendamenti proposti dalle varie parti politiche, soprattutto alla Camera, dove si è avuto il più ampio confronto, si intravvedono due linee, una più concentrata sul ruolo della scuola istituzione come garanzia di cittadinanza e di uguaglianza delle opportunità e l’altra più diluita su diversi ambiti riconducibili a strategie di tipo formativo, compreso il lavoro. L’alternanza scuola-lavoro, arenatasi ai tempi della Moratti e ridotta a tirocini, ritorna  con la previsione di un regolamento per la definizione dello status giuridico degli studenti impegnati in tali percorsi. Nel sistema di istruzione e formazione si possono acquisire competenze anche mediante attività realizzate in ambito lavorativo con la possibilità di ricavare utili economici per la scuola. Si pensi a quanto già introdotto circa la possibilità di assolvere all’obbligo di istruzione mediante contratti di apprendistato. Alcuni emendamenti avrebbero voluto istituzionalizzarli già dal primo biennio del secondo ciclo.

Abbastanza fuori da una riflessione appropriata sui curricoli appare l’introduzione della geografia negli istituti tecnici e professionali e le solite esortazioni, anche se socialmente rilevanti, sull’educazione all’affettività e la lotta alle discriminazioni. Bene per il ritorno delle compresenza nella scuola primaria e il generale consenso sugli istituti comprensivi, mentre le complicate questioni sui libri i testo e gli e-book, danno come al solito un colpo al cerchio dell’editoria ed uno alla botte della didattica.

Anche la lotta alla dispersione, come l’orientamento dimostrano che le scuole non possono farcela da sole e non con soli controlli o ritornando ad operazioni legate alla compatibilità occupazionale. Si tratta di un grosso investimento pedagogico prima che strutturale e finanziario, che inevitabilmente coinvolge con precise responsabilità attori sociali e politiche territoriali.

Non tutto quanto proposto in sede di emendamenti è diventato legge, anche perché un tale provvedimento non poteva trasformarsi, come capita per quelle rare volte sulla scuola, in un assalto alla diligenza, ma si è potuto verificare che la nuova maggioranza ha fatto registrare un qualche passo in avanti. Si tratta solo di convenienza o qualcosa è cambiato nella cultura politica, almeno per quanto riguarda la possibilità di instaurare un confronto costruttivo. Qualcos’altro a portata di mano per il ministro Carrozza ci sarebbe: l’organico di istituto e di rete, legge del governo Monti e la proposta già approvata dalla settima commissione della Camera, sulla riforma degli organi collegiali, che speriamo sia stata l’ultima occasione per fare le barricate.