Il tempo della scuola e il diritto alla noia

IL TEMPO DELLA SCUOLA E IL DIRITTO ALLA NOIA


di Piervincenzo Di Terlizzi


Sul tema dei “tre mesi” di vacanza degli studenti, riportato all’attenzione mediatica da una dichiarazione del Ministro Poletti, ha ottimamente scritto Alessandro Basso; alle sue ampieargomentate e totalmente condivisibili riflessioni rimando senz’altro. Tra tutte quelle presenti nel contributo del collega, trovo ricca d’implicazioni quella in merito alla necessità che il sistema scolastico elaboriandando effettivamente oltre alle intenzioni dichiarate e giustamente legate alla “scuola delle competenze”, gli strumenti per conferire reale cittadinanza alle esperienze di apprendimento non formali ed informali dei ragazzi: cosa, questa, che vedrebbe la scuola diventare uno snodo, socialmente riconosciuto, di riconoscimento e validazioni dei multiformisaperi di una società che è molto più dinamica e cangiante rispetto alla disposizione rigida dei banchi, alle classi per età e alla collocazione delle aule


Il tema del tempo-scuola (chiamiamolo così) e della sua dilatazione, peraltro, è una questione tipica e propria di tutte le istituzioni che strutturano la nostra società: è, in effetti, un aspetto dell’eterna questione della inevitabile tendenza delle istituzioni (si tratti di scuola, sanità, politica) a saturare, di un’unica dimensione di sé, tempo e spazio, tendenzialmente all’infinito: mentre, al contrario, il compito proprio di ogni istituzione è sapere anche “entrare nel rischio” (per usare una bella espressione di Francesco Stoppa), tenere dentro di sé lo spazio di rispetto per la contraddizione, per ciò che è altro, diversità, alternativa. In questo senso, mi pare giusto ricordare che l’istituzione-scuola misura se stessa, il proprio senso e la propria vitale tenuta in un preciso momento dell’esperienza di ogni studente, che è quello della negazione, del vuoto. E con questo torniamo, in un prospettiva diversa, alla questione della lunghezza delle vacanze: nel ricordo di moltissimi, tra quanti leggono, sta senz’altro un momento, dentro un giorno più o meno monotono o pigro (uno spazio, quello della pigrizia, sul quale si può vedere questa bella intervista di Roland Barthesdi vacanza, magari estiva, in cui si è assaggiato il bizzarro sapore della noia, del vuoto (anche, soprattutto, quelloesistenziale): un sapore legato a quel tempo, non strutturato, né organizzato, né progettato, e che ha segnato di sé tutto quanto aveva.


E’, appunto, in quel vuoto, in quella solitudine, in quella noia, nella negazione di tutto ciò che è divertimento (perché non ci si può sempre di-vertire, cioè guardare altrove da se stessi), che siamo “entrati nel rischio”: e, lì, gli attrezzi fornitici dal tempo e dalle esperienze passati a scuola, se qualcosa d’importante avevano (e in tanti casi lo avevano),hanno rivelato la loro tenuta, ci si sono rivelati appieno nella loro forza e debolezza e in ciò che era loro specifico, e ci hanno dischiuso qualcosa di noi stessi. In qualche modo, la buona scuola è quella che porta con sé lo spazio per il rispetto della sua negazione, e il buon tempo passato nella (possibilmente) buona scuola è quello che reca il rispetto del tempo che scuola non è.