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10 giugno Pensioni donne in CdM

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 10 giugno 2010, ha discusso ed approvato due emendamenti da presentare in sede di conversione del decreto-legge 78/10 (manovra finanziaria).

Uno di essi “(…) prende doverosamente atto del monito all’Italia, espresso in sede europea, ad equiparare l’età pensionabile per uomini e donne e dispone che ciò avvenga dal 1° gennaio 2012 . I risparmi derivanti da questa misura confluiranno nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e finanzieranno interventi dedicati a politiche sociali e familiari.

9 giugno 7a Camera approva DdL sulle DSA

Il 9 giugno la 7a Commissione della Camera, in sede legislativa, approva il Disegno di Legge sulle difficoltà specifiche d’apprendimento

26 maggio 7a Camera su DM Formazione iniziale docenti

La settima Commissione della Camera esprime parere favorevole con condizioni e osservazioni allo Schema di decreto del ministro dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca recante regolamento concernente la definizione della disciplina dei requisiti e delle modalita’ della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado.

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Schema di decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca recante regolamento concernente la definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado (Atto n. 205).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La VII Commissione (cultura, scienza e istruzione),

esaminato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento concernente la formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado (atto n. 205);

considerato che con lo schema di regolamento in esame si dà seguito a quanto previsto dall’articolo 2, comma 416, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), peraltro in coerenza con quanto previsto dal piano programmatico di interventi adottato sulla base dell’articolo 64 del decreto legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;

premesso che il ruolo degli insegnanti è cruciale per migliorare la qualità dei sistemi educativi, obiettivo che concorre a fare dell’Europa un’economia della conoscenza competitiva e innovativa;

tenuto conto delle indicazioni emerse nel corso delle audizioni informali di rappresentanti di associazioni di categoria e di esperti svolte dalla Commissione Cultura, scienza e istruzione , nelle sedute del 19, 20 e 25 maggio 2010;

preso atto di quanto espresso nel parere del Consiglio di Stato del 19 marzo 2010;

premesso che la formazione iniziale degli insegnanti è finalizzata a qualificare e a valorizzare la funzione docente, e che le competenze acquisite costituiscono un fondamento dell’unitarietà della stessa funzione;

rilevato che la relazione illustrativa evidenzia che l’intenzione del Ministero è quella di favorire l’attivazione immediata dei tirocini formativi attivi non appena entrerà in vigore il regolamento, mentre l’avvio dei corsi di laurea magistrali a ciclo unico per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria è previsto per l’anno accademico 2010-2011, e che è opportuno che la data di entrata in vigore delle disposizioni sia esplicitata nel testo del regolamento, eventualmente differenziando le diverse situazioni;

considerato che i limiti stabiliti dalla normativa vigente per l’istituzione di corsi di laurea, che nel caso di specie hanno carattere professionalizzante, potrebbe comportare una attivazione saltuaria rispetto all’esigenza di copertura dei posti di insegnamento disponibili;

rilevato che il corso di laurea magistrale a ciclo unico previsto per la formazione dei docenti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, su cui la Conferenza dei Presidi di Scienze della Formazione primaria si è espressa favorevolmente in data 20 febbraio 2009, all’unanimità, a differenza del precedente corso di laurea, non si articola in distinti indirizzi e che tale innovazione ha suscitato la preoccupazione, diffusamente rappresentata anche nel corso delle audizioni svolte, di una perdita di specificità per i docenti della scuola dell’infanzia;

rilevato che, sempre nella relazione illustrativa, si evidenzia che il tirocinio formativo attivo «è attivato su un numero pari a quello degli studenti annualmente iscritti al curriculum», mentre è opportuno che il criterio di accesso al tirocinio sia esplicitato nel testo del regolamento, garantendo l’ingresso a tutti gli studenti che concludono il corso di laurea magistrale con l’acquisizione dei crediti formativi richiesti;

rilevato, altresì, che nel consiglio di corso di tirocinio, organo che rappresenta il terreno di incontro fra scuola e università, occorre garantire una rappresentanza equilibrata delle due realtà;

ricordato, inoltre, che la normativa vigente (articoli 3 e 4 del decreto ministeriale 26 maggio 1998) prevede la possibilità di percorsi di studio abbreviati in relazione ai crediti riconosciuti, al fine di agevolare i passaggi di ruolo, e che è opportuno salvaguardare tale possibilità anche nella predisposizione di nuove modalità di formazione iniziale;

tenuto conto dell’ esigenza di contemperare la necessità di cambiamento con quella di non sottoporre il sistema universitario ad ulteriori tensioni, e di procedere ad una coerente armonizzazione con quanto previsto dalla riforma del sistema universitario in corso di esame da parte del Parlamento,

esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:

1) è necessario indicare esplicitamente nel regolamento l’anno accademico a partire dal quale troveranno applicazione le nuove disposizioni, eventualmente differenziando le diverse situazioni;

2) è necessario far salva la possibilità, presente nella normativa vigente, di percorsi di studio abbreviati in relazione ai crediti riconosciuti, al fine di agevolare i passaggi di ruolo e di cattedra per i docenti già possessori di altro ruolo;

3) agli articoli 3 e 6, si valuti l’attivazione di percorsi formativi distinti per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, salvaguardando comunque la possibilità di conseguire una doppia abilitazione con l’acquisizione dei crediti necessari;

4) si valuti l’opportunità di collegare la formazione specifica del docente della scuola dell’infanzia con quella del docente per gli asili nido al fine di rendere quanto più possibile permeabili le competenze professionali per i due ruoli nel corso dell’età 0-6 anni;

5) in merito alla formazione del docente di scuola primaria occorre prevedere la possibilità di acquisire, con un lavoro di approfondimento, la preparazione in una specifica area disciplinare, al fine di delineare un profilo di docente esperto in un’area disciplinare, ma in possesso al contempo di una formazione pluridisciplinare; occorre a tal fine prevedere la possibilità di cumulare crediti in una determinata area, specificando che sarebbero sufficienti due aree: l’umanistica e la scientifica;

6) all’articolo 3, comma 5, stante l’importanza dello svolgimento di esperienze di tirocinio nelle istituzioni scolastiche, occorre sostituire le parole «possono prevedere» con la parola «prevedono»;

7) all’articolo 4, si valuti la sostituzione dei commi 4 e 5 con il seguente: «4. Allo scopo di ottimizzare l’utilizzo delle competenze psico-pedagogiche e didattico-disciplinari messe a disposizione dalle università, nonché le risorse economiche e organizzative, le stesse università possono istituire ed attivare strutture di servizi comuni o Centri interateneo di interesse regionale che assicurino supporto tecnico, metodologico e organizzativo, nonché coordinamento didattico, tanto ai corsi di laurea magistrale che alle attività formative previste per il tirocinio formativo attivo. È vietata la creazione di organi di gestione dei corsi di laurea magistrale indipendenti dalle facoltà di riferimento e dalle università interessate. Dall’attuazione della presente norma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;

8) nel Profilo di tutti i docenti e nelle tabelle per gli insegnamenti prevedere almeno 10 CFU per attrezzare in maniera professionalmente specifica i futuri docenti dei significati, dei quadri teorici e degli strumenti operativi volti a riconoscere, valutare e certificare le competenze personali maturate in apprendimenti non formali e informali e, in particolare, quelle apprese sul lavoro e con il lavoro grazie alla metodologia dell’alternanza formativa o alle esperienze di alternanza scuola – lavoro;

9) occorre valutare l’inserimento dell’insegnamento di didattica e pedagogia speciale, attualmente previsto solo nell’ambito del tirocinio formativo attivo, anche nel corso di laurea magistrale e all’articolo 13 è necessario prevedere, durante la specializzazione post abilitazione per il sostegno all’integrazione agli alunni con disabilità, percorsi differenziati volti ad acquisire specifiche competenze per i diversi ambiti di disabilità;

10) all’articolo 10, è necessario esplicitare che al tirocinio formativo attivo accedono tutti gli studenti che concludono il corso di laurea magistrale con l’acquisizione dei crediti formativi richiesti;

11) al medesimo articolo 10, al comma 4, occorre garantire una rappresentanza equilibrata della componente scolastica e di quella universitaria nell’ambito del consiglio del corso di tirocinio;

12) all’articolo 11 è necessario prevedere per i tutor meccanismi certi e rigorosi di selezione e di premialità;

13) all’articolo 11, comma 5, occorre chiarire se i tutor uscenti possono riconcorrere alle selezioni per non disperdere aprioristicamente professionalità acquisite;

14) all’articolo 12 occorre specificare che il periodo di tirocinio può essere svolto anche nei Centri per l’istruzione degli adulti;

15) al medesimo articolo 12 occorre prevedere che l’elenco sia aggiornato annualmente;

16) all’articolo 15 con riferimento alle lauree a scadenza dei requisiti previsti per l’accesso alle Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (SSIS) rispetto alle nuove lauree magistrali e ai loro contenuti disciplinari, occorre che chi è in possesso o stia attualmente frequentando una delle lauree che garantivano la possibilità di concorrere alle prove di accesso alle SSIS acquisisca i crediti formativi universitari (CFU) eventualmente mancanti dal raffronto tra vecchie e nuove lauree magistrali (LM); nella fase a regime, l’aspirante in questione potrà conseguire l’abilitazione superando la prova di accesso alla Laurea Magistrale, acquisendo i CFU mancanti e compiendo l’anno di tirocinio senza dover conseguire un’ulteriore laurea Magistrale;

17) con riferimento all’articolo 7 comma 3, all’articolo 8, comma 3 e all’articolo 15 commi 12 e 13, occorre prevedere una rigorosa programmazione che tuttavia garantisca l’accesso ai percorsi abilitanti ad aspiranti di cui sia verificata, attraverso lo svolgimento di una prova orale, la preparazione disciplinare e la valorizzazione del servizio svolto anche nella scuola di istruzione secondaria; eliminare il soprannumero e riconoscere un peso graduato al servizio svolto nel punteggio finale che dà l’accesso al tirocinio, fermo restando lo sconto di una parte dei CFU relativi alla parte di tirocinio e di laboratori; riconoscere, altresì, un peso al dottorato di ricerca e all’insegnamento svolto con contratti in università, rivedendo i punteggi di cui all’articolo 15 comma 10;

18) all’articolo 15, comma 19, occorre chiarire se il secondo periodo intende riferirsi a quanti si iscrivano ai corsi – che, a differenza delle SSIS, non sono sospesi – nelle more dell’attivazione dei percorsi di cui all’articolo 9;

19) fermi i requisiti sul numero di docenti strutturati necessari per l’apertura delle Lauree Magistrali per l’insegnamento, in relazione ai limiti stabiliti dalla normativa per l’istituzione di detti percorsi che potrebbero avere un carattere saltuario in relazione alle necessità del sistema scolastico, occorre prevedere la possibilità di utilizzare i docenti strutturati nei predetti percorsi a prescindere dal fatto che già esercitino attività didattica nei limiti della normativa vigente;

20) occorre prevedere lo stesso regime di cui al comma 15 dell’articolo 15 per coloro i quali abbiano sospeso la frequenza di Scienze della Formazione primaria;

21) occorre procedere ad una coerente armonizzazione con quanto previsto dalla riforma del sistema universitario in corso di esame da parte del Parlamento;

22) in analogia con quanto previsto nei regolamenti per il riordino degli istituti di istruzione secondaria superiore, occorre, infine, prevedere un monitoraggio del nuovo assetto per la formazione iniziale degli insegnanti, con particolare riferimento alle istituzioni scolastiche accreditate,

e con le seguenti osservazioni:

a) all’articolo 6, a fini di coordinamento normativo, al comma 5, quando si parla della Commissione esaminatrice, occorre inserire un riferimento all’articolo 2, comma 8, del decreto ministeriale 26 maggio 1998 e, quando si citano i tutor, è necessario un riferimento all’articolo 11 dello schema di decreto, che disciplina la relativa figura;

b) all’articolo 7, comma 2, occorre specificare che le tabelle da 2 a 7 fanno riferimento complessivamente, a 6 delle 8 classi di concorso di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 26 marzo 2009, n. 37, non riguardando, infatti, le classi 28/A-Arte e immagine e 77/A -Strumento musicale, considerate dall’articolo 9 dello schema di decreto;

c) all’articolo 9, comma 2, è necessario specificare che le tabelle da 8 a 10 disciplinano anche i requisiti necessari per accedere ai corsi di secondo livello e occorre aggiungere dopo la parola «ciascuna» la parola «corrispondente»;

d) all’articolo 9, comma 3, occorre fare riferimento anche ai requisiti necessari per accedere ai corsi di secondo livello e occorre inserire prima delle parole «classi di abilitazione» la parola «corrispondenti»;

e) all’articolo 10, comma 7, valutare l’opportunità di sostituire la lettera b) con la seguente: b) Nell’esposizione orale di una modalità di soluzione di un problema, di un progetto, o di un compito didattico-educativo, mostrando l’impiego della relativa letteratura scientifica»;

f) sempre all’articolo 11, considerato che nel comma 5 sarà espunto il riferimento al comma 3, occorre definire la durata dell’incarico dei tutor dei tirocinanti; al comma 7, lettera c), appare necessario fare riferimento anche alle istituzioni AFAM;

g) occorre valutare l’opportunità di prevedere stages formativi all’estero durante lo svolgimento del tirocinio;

h) con riferimento all’articolo 12, comma 3, si valuti l’opportunità di inserire tra i criteri per l’accreditamento delle istituzioni scolastiche anche il Piano dell’offerta formativa (POF);

i) in relazione alle previsioni dell’articolo 14, occorre valutare l’opportunità di incentivare a livello contrattuale il conseguimento del certificato di perfezionamento per l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera;

l) all’articolo 15, comma 1, il riferimento corretto è all’allegato 2 e non all’allegato 3 del decreto ministeriale 26 luglio 2007; inoltre, ai commi 1 e 2 occorre uniformare la differente terminologia usata, cioè scegliere tra le parole «corrispondente» ed «equiparato» a proposito delle lauree magistrali utili al conseguimento dell’abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado;

m) all’articolo 15, comma 7, poiché il criterio di valutazione dei test prevede l’attribuzione di 1 punto per la risposta esatta e di nessun punto nel caso di risposta errata o omessa, occorre semplificare eliminando le parole «rispondere correttamente ad almeno 42 domande ovvero»;

n) all’articolo 15, comma 10, occorre chiarire se ci si riferisca sempre al percorso di laurea magistrale o di diploma accademico di secondo livello (per i quali, peraltro, si cita esplicitamente la media dei voti riportati negli esami), oppure se si intenda fare riferimento a tutto il percorso di studi universitari;

o) all’articolo 15, comma 13, occorre chiarire se, nell’ipotesi in cui si stipuli una convenzione ai sensi del medesimo comma, presso quella istituzione scolastica possono svolgere il tirocinio solo i soggetti che ivi sono in servizio, o anche altri soggetti;

p) all’articolo 15, comma 22, occorre definire tempi celeri per l’adozione del decreto ivi previsto per la formazione iniziale e l’abilitazione degli insegnanti tecnico-pratici.

q) è opportuno che, nei decreti di cui all’articolo 8, comma 2, e all’articolo 9 comma 3, si definiscano i percorsi necessari ad allineare le competenze disciplinari alle nuove classi di concorso della scuola secondaria di secondo grado;

r) è altresì opportuno che in tempi rapidi si proceda al completamento dell’intervento normativo con la disciplina del reclutamento, in coerenza con il presente provvedimento.

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Schema di decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca recante regolamento concernente la definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado (Atto n. 205).

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVO PRESENTATA DAI DEPUTATI DE PASQUALE, GHIZZONI, BACHELET, COSCIA, PES, SIRAGUSA, DE TORRE, LOLLI, LEVI, NICOLAIS, PICIERNO, MAZZARELLA, RUSSO, DE BIASI, ROSSA

La VII Commissione cultura,

esaminato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento concernente la formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado (atto n.205);

considerato cheper meglio valutare il significato politico e culturale del provvedimento in discussione crediamo sia utile inserire la riflessione all’interno di un più ampio contesto, quello della ricerca e degli orientamenti internazionali;

tenuto conto che nel settembre 2007 la Commissione Europea ha promulgato una Direttiva relativa agli indirizzi culturali e formativi che dovrebbero ispirare, negli stati membri, la formazione degli insegnanti. La UE insiste sul fatto che il profilo dei futuri insegnanti debba risultare dall’integrazione dei seguenti aspetti:

1. dimensione culturale: conoscenza e padronanza dello specifico metodologico ed epistemologico delle conoscenze disciplinari, dei processi di innovazione di ricerca e di sviluppo che trasformano i diversi ambiti di conoscenza e di esperienza nella società odierna;

2. dimensione psicopedagogica: conoscenza e padronanza dei principi degli strumenti e dei quadri di riferimento valoriale che assicurano effettività alla formazione e allo sviluppo del curricolo scolastico degli allievi; capacità di governarlo in relazione allo sviluppo e alla personalizzazione del loro potenziale formativo;

3. dimensione metodologica e didattica; padronanza di repertori esperti e specialistici di strategie didattiche e capacità di utilizzarle con successo, in coerenza con l’impianto formativo, organizzativo e curricolare di riferimento;

4. dimensione della pratica riflessiva: capacità di conversazione, di invenzione e di autocritica, assunte come carattere distintivo del lavoro cooperativo dell’insegnante; di qui la capacità di valutare e di essere valutati.

5. dimensione relazionale e sociale: capacità di essere partner del mondo esterno alla scuola e dunque capacità di controllare ogni tentazione di autoreferenzialità; capacità di ascoltare e comprendere gli altri, riconoscendone dignità e bisogni oltre che i talenti; saper instaurare un clima positivo ed esigente nella promozione di apprendimenti esperti da parte degli allievi;

6. dimensione organizzativa: competenze gestionali intese come capacità ad assumere ruoli, ovvero a sviluppare servizi nell’ambito del lavoro scolastico diversi dall’insegnamento; ma soprattutto capacità di contestualizzare il proprio lavoro nella conoscenza rigorosa della legislazione scolastica e dell’evoluzione delle politiche scolastiche e formative, sia in ambito nazionale che europeo.

Osservato a questo riguardo che:

il profilo del docente europeo implica un curricolo formativo integrato tra teoria e pratica, tra laboratori e tirocinio, che poggi su tre gambe: psicologia, discipline e pedagogia, in una logica d’integrazione tra i tre elementi; l’impianto formativo di questo regolamento risulta invece carente e frammentario e, soprattutto per la formazione dei docenti di scuola secondaria, fa prevalere gli interessi dei settori scientifico-disciplinari universitari;

ovunque si guardi in Europa, formazione iniziale, reclutamento, ingresso in professione e formazione in servizio dei docenti vengono considerati un continuum, pur differenziato nelle varie fasi, mentre questo regolamento disciplina la sola formazione iniziale; il mancato raccordo col reclutamento ha conseguenze nefaste così come l’assenza di previsione della formazione in servizio. le debolezze rilevate da organismi nazionali e internazionali nel nostro sistema scolastico rimarranno tali se non si interviene nel campo della formazione, rafforzando negli insegnanti già in servizio i tratti professionali prima richiamati;

l’idea di un tirocinio formativo attivo svolto sotto la preponderante regia dell’Università non giova alla scuola. Così come non ricade positivamente sulla scuola che sia l’Università a rilasciare (a conclusione dell’anno di tirocinio e previo superametno dell’esame finale) l’abilitazione all’insegnamento.labilitazione si dovrebbe conseguire (certamente dopo l’anno di trocinio nella scuola) previo superamento di un concorso pubblico,bandito dal MIUR;

l’Università è in testa ad ogni espressione di sviluppo della professione docente, mentre si ignorano le competenze degli insegnanti, si confina il sapere scolastico in un ambito di minorità, si sottraggono alla scuola alcune fondamentali condizioni per esercitare la propria autonomia;

le Istituzioni scolastiche autonome sono emarginate: esse debbono invece avere di diritto un ruolo paritetico all’Università nella programmazione con il tirocinante dei laboratori del secondo anno, nella programmazione e conduzione del tirocinio, sotto la responsabilità del dirigente scolastico e del docente tutor, nella designazione da parte del dirigente scolastico di docenti esperti per i laboratori del secondo anno, nella valutazione finale del tirocinio da parte del Dirigente scolastico con il parere del docente tutor, nella valutazione finale nell’esame abilitante con la presenza del dirigente scolastico e del docente tutor. Il sistema scolastico perciò dovrebbe essere coinvolto in modo più significativo nella progettazione e nella realizzazione del percorso di formazione iniziale (sia nel corso di alurea in scienze della formazione primaria sia nel biennio «finalizzato» nelle attività di laboratorio e in tutte le didattiche, sia soprattutto nell’anno di tirocinio formativo attivo) con una precisa corresponsabilizzazione negli organismi decisionali;

inoltre, c’è da tener presente che la scuola dell’autonomia ha ampliato il terreno della funzione docente: l’art .6 del regolamento dell’autonomia (decreto del Presidente della Repubblica 275/99) – che caratterizza le scuole come centri di ricerca in materia di innovazione metodologica, disciplinare e didattica e come sedi di progettazione educativa – riconosce ai docenti un ruolo centrale, strategico nelle decisioni e nelle scelte culturali didattiche, organizzative e gestionali;

rilevato, quale nodo problematico, che nel regolamento in esame si delineano il profilo del futuro docente e le modalità del suo percorso di formazione senza, però, chiarire quali saranno le regole per l’entrata in professione, generando confusione e precludendo futuri sviluppi, cosa che rischia di reiterare la piaga del precariato;

espressa assoluta contrarietà alla scelta del Governo, peraltro ampiamente avversata anche da numerosi esperti, associazioni professionali ed organi sindacali auditi in Commissione VII, di disgiungere la formazione iniziale dei docenti dalle modalità di reclutamento degli stessi. In tutti i disegni di legge depositati presso la Commissione VII della Camera dei deputati, compreso quello firmato da alcuni deputati del Partito Democratico ed aventi per oggetto la formazione iniziale dei docenti, vengono regolamentate contestualmente anche le modalità di reclutamento;

preso atto che lo schema di decreto trae la sua legittimità dall’articolo2 comma 416 della Legge 244/07 (Finanziaria 2008) che prevede un Regolamento per la disciplina della formazione iniziale degli insegnanti e contestualmente del loro reclutamento. Proprio l’esigenza di provvedere congiuntamente alle due questioni ha motivato la «delegificazione» disposta nella ricordata Finanziaria 2008 quando il Governo Prodi aveva trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento ed aveva programmato un ampio piano di assunzioni di 150.000 docenti precari nel giro di tre anni che avrebbe portato all’esaurimento delle graduatoria stesse ed avrebbe consentito di partire concretamente con una nuova disciplina della formazione iniziale e del reclutamento. L’attuale Governo, invece, ha operato due scelte politiche molto gravi: da un lato ha abbandonato il piano di immissioni in ruolo del precedente Governo determinando al tempo stesso la paralisi biennale della formazione e del reclutamento, dall’altro, ha operato, con il decreto legge 112/08 convertito nella legge 133/08, tagli insostenibili,agli organici della scuola per oltre 132.000 unità di personale docente ed ata in un triennio. In questo contesto, è del tutto evidente che come effetto dell’assenza di un piano di immissione in ruolo dei precari e della mancanza di indicazioni sulle nuove procedure di reclutamento, non è individuabile il fabbisogno previsto nel regolamento, che, non potrà essere concretamente definito, rendendo così impossibile un futuro lavorativo certo per il personale precario e per le giovani generazioni;

considerata inoltre l’unicità della funzione docente, occorre osservare che le dichiarazioni relative agli obiettivi della formazione iniziale degli insegnanti e alle competenze individuate come fondamento dell’unitarietà della funzione docente, non sembrano trovare nel prosieguo dell’articolato un’adeguata concretizzazione. L’unitarietà della funzione docente è in contraddizione con la netta differenziazione fra i percorsi previsti per la formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria da una parte e quelli della secondaria di primo e secondo grado dall’altra. Così come proposto, i «passaggi» da un ordine all’altro di scuola divengono impossibili. Pur essendo inevitabile una differenziazione legata alla specificità disciplinare, nella scuola secondaria e alle peculiarità didattica nella scuola primaria e dell’infanzia, nella previsione di percorsi così nettamente diversi, che rispondono solo alle esigenze dell’attuale sistema universitario, il regolamento pecca di quel coraggio propositivo che la tensione all’unitarietà della funzione docente meriterebbe. Condizione per assicurare pari dignità sarebbe quella di partire da uno base comune che curi i tratti unitari della funzione docente su cui poi innestare le doverose specificità: ciò faciliterebbe la mobilità, la non gerarchizzazione, la possibilità di «dialogo» tra docenti dei diversi gradi dell’istruzione, elemento non marginale per la continuità verticale;

rilevato che, per quanto attiene la scuola primaria e dell’infanzia, nella Tabella 1 i crediti disciplinari sono dispersi su un fronte enciclopedico di saperi, sicché l’apprendimento diventa nozionistico ed il quinquennio di formazione è schiacciato sulla figura di un maestro unico «tuttologo». In questo modo la formazione diventa nozionistico e non potrà formare insegnanti che insegnino ad apprendere;

La competenza strategica dell’insegnante primario richiede invece un’adeguata consapevolezza della logica interna di un sapere, che si può acquisire solo attraverso il lavoro di approfondimento di un’area disciplinare; da ciò l’esigenza di offrire ai docenti, accanto a una formazione pluridisciplinare, la specializzazione in un’area disciplinare. Si noti che la previsione, ad esempio, di due aree di specializzazione, una umanistica e una scientifica, non richiede necessariamente la moltiplicazione dei docenti: l’insegnamento di team, oltre a risultare necessario per le classi a tempo pieno, funziona anche con un modello di due docenti su due classi. Al fine di ovviare alle criticità evidenziate occorrerebbe prevedere, in luogo di un curricolo unico dai contenuti disciplinari frammentati, una suddivisone dei crediti formativi universitari in: alcuni comuni, per metà destinati a solide basi di area umanistica e per metà a solide basi di area scientifica e altri distinti in: due indirizzi di approfondimento per insegnanti di scuola primaria, l’uno centrato su contenuti umanistici e l’altro su contenuti scientifici, e un indirizzo specifico per insegnanti di scuola dell’infanzia, centrato sulla preparazione psicopedagogica nelle tematiche corrispondenti. In particolare per la scuola dell’infanzia, la cui specificità risulta trascurata e la cui cultura risulta cancellata in assenza di una profilo proprio della scuola dell’infanzia, nell’attuale Tabella 1, l’area di indirizzo anziché approfondire genericamente contenuti di area dovrebbe estendere la preparazione psico-pedagogica, con specifica attenzione alle problematiche della corrispondente fascia di età. La scuola dell’infanzia, infatti, deve concentrarsi maggiormente nella predisposizione dell’»ambiente di apprendimento», nella cura del così detto curricolo sommerso, mentre nella scuola primaria acquista già una sua rilevanza l’avvio delle discipline;

considerato inoltre che Il percorso formativo del futuro docente di scuola secondaria dovrebbe essere finalizzato a garantire un equilibrio tra le competenze relative alla unicità della funzione docente e quelle relative al suo profilo professionale disciplinare. Nel regolamento appare invece totalmente squilibrato che la quasi totalità dei 300 CFU precedenti il TFA siano destinati ai meri contenuti disciplinari (rendendo il percorso, pur definito ad hoc, pressoché indistinguibile dalle LM ordinarie);

nel regolamento in esame sono stati fatti passi indietro anche rispetto a quanto le SSIS, sotto il profilo didattico, offrivano. Qui l’ unico anno di tirocinio (contro i due della SSIS) è isolato rispetto al biennio magistrale. Occorre creare un raccordo e soprattutto aumentare i crediti e le esperienze didattiche: i crediti previsti dal regolamento in questo senso sono troppo pochi, ne occorrerebbero molto di più e non compressi tutti solo in un anno di tirocinio nel quale non è esplicabile una logica di ricerca-azione, ma solo di immersione o per meglio dire di «sommersione»;

per ovviare a queste negatività si potrebbero anticipare un congruo numero di crediti nel biennio magistrale: in questo modo i crediti didattici svolgerebbero, per lo studente, anche una funzione orientativa delle scelte future;

considerato che occorre assicurare una stretta interazione ed un maggiore equilibrio tra Università e scuola nella formazione iniziale dei docenti . A tal fine appare strategica la presenza di un riferimento unitario regionale che veda la collaborazione tra università, autonomie scolastiche, Ufficio Scolastico Regionale, anche al fine di assicurare il necessario collegamento strategico tra la formazione iniziale e formazione continua del personale scolastico;

rilevato inoltre che gli Atenei, ovvero le istituzioni consorziate, dovrebbero definire con propri regolamenti le modalità di gestione di ogni corso di laurea magistrale, o anche di gestione congiunta di una pluralità di corsi. Infatti limitare l’autonomia degli atenei nelle modalità di gestione delle LM ad hoc è sbagliato. In questo senso, da un lato è da prevedere che gli ammessi a molte lauree magistrali ad hoc saranno in numero molto ridotto, sicché la gestione comune di una pluralità di tali corsi sarà indispensabile per ottenere economie di scala; d’altro lato, il progetto di legge sulla riforma universitaria in discussione al Senato modifica radicalmente l’articolazione interna degli Atenei rendendo addirittura facoltativa la presenza di strutture analoghe alle facoltà. Sotto questo profilo va anche osservato che la previsione di LM ad hoc potrebbe essere utilmente affiancata da percorsi integrati nell’ambito di LM esistenti (con identico dosaggio e vincolo dei CFU), che avrebbero anche il pregio di non costringere ad una scelta irreversibile per l’insegnamento all’inizio di un lungo percorso di cinque o sei anni;

valutato che gli insegnanti devono essere preparati a costituire una équipe docente che – possedendo linguaggi in parte comuni – collabori nei Consigli di classe e nei Collegi dei docenti; tale preparazione mancherebbe se anche nell’anno professionalizzante ( nella proposta di legge presentata dal Partito Democratico gli anni previsti sono due e noi riteniamo che sia più opportuna una previsione in questo senso) che conduce all’abilitazione ognuno venisse isolato nell’ambiente separato della sua disciplina, senza alcun contatto con i futuri colleghi. Qualora il TFA venisse attuato separatamente, per ognuna delle abilitazioni, nella Facoltà da cui i laureati provengono, esso non potrebbe assumere la necessaria caratteristica di cerniera tra università e scuola; il rapporto scuola/università-AFAM, anziché avere caratteristiche istituzionali (convenzioni o altre relazioni organiche), si ridurrebbe a collaborazioni individuali di docenti delle singole materie con l’area accademica corrispondente;

considerato, infine, che per quanto riguarda la formazione nel campo della didattica e della pedagogia speciale (settore scientifico disciplinare M-PED/03) ci sembra che sia sufficientemente garantita nel percorso quinquennale (infanzia e primaria), non invece in quello per la scuola secondaria di primo e di secondo grado, per la quale andrebbero previsti strumenti formativi specifici;

preso atto che è necessario stabilire che, per le abilitazioni alle quali la precedente normativa consentiva di accedere sia con un titolo di laurea specialistica sia con un diploma AFAM, il percorso biennale a numero programmato e il TFA vengano gestiti congiuntamente da una università e da una struttura AFAM, con l’apporto coordinato delle rispettive competenze;

considerato che la presenza di competenze in larga misura complementari tra le università e le istituzioni AFAM dovrebbe suggerire, nell’interesse dei destinatari della formazione, una fattiva collaborazione, quasi sempre mancata in passato. Se tale collaborazione è auspicabile in generale, per il caso dell’insegnamento della Musica nella scuola di 1o grado essa è obbligatoria. Al contrario, vengono proposti due curricoli totalmente difformi, l’uno all’interno delle Università e l’altro all’interno dei Conservatori: la logica è quella della autarchia delle istituzioni formanti, non quella della professionalità del formando. Si tratta di un esempio emblematico delle necessità dell’integrazione tra gli apporti delle Università (prevalenti competenze storico-artistiche e pedagogiche) e dei Conservatori (prevalenti competenze tecnico-scientifico-musicali). In particolare, nell’organizzazione del TFA su base di interfacoltà, per l’AFAM va saldato l’ equilibrato rapporto/ riconoscimento tra Università (CFU) e AFAM , conservatori ed Accademie (CFA) e le rispettive peculiarità che, per quanto riguarda in particolare l’AFAM, non possono prescindere da competenze integrate tra la dimensione culturale, quella più spiccatamente professionale e quella didattica come «capacità di insegnare»;

preso atto che lascia interdetti la rigida previsione di una durata massima di 4 anni dell’incarico tutoriale e la sua assoluta non prorogabilità che rischia di disperdere e non valorizzare le competenze e la professionalità acquisite. Parrebbe invece opportuno prevedere la valutazione del titolo di supervisore di tirocinio (di cui alla legge 3 agosto 1998, n. 315), come titolo preferenziale per la selezione futura di tutor coordinatori e di tutor organizzatori. Lascia comunque interdetti la altrettanto rigida divisione tra tutor coordinatori, quasi degli amministrativi burocratizzati, ed i tutor dei tirocinanti, con funzioni più propriamente didattiche, di sostegno ed orientamento;

rilevato che le norme transitorie e finali devono rispondere alle istanze – riconosciute anche dal parere del Consiglio di Stato – dei precari non abilitati con un periodo minimo di servizio, per i quali andrebbe riconosciuto il servizio svolto per l’accesso al TFA e per l’acquisizione dei CFU relativi al tirocinio e ai laboratori;

Tutto ciò premesso:

considerata la poca aderenza del presente regolamento agli orientamenti internazionali e comunitari in materia di formazione del personale docente;

valutato che il regolamento in esame disgiunge la formazione iniziale dei docenti dalle modalità di reclutamento e non garantisce certezze rispetto al futuro delle immissione in ruolo delle centinaia di migliaia di personale precario;

valutato altresì che i dissennati tagli operati dal Governo con l’articolo 64 del decreto legge 112/08, convertito nella legge 133/08, hanno pesantemente decurtare gli organici del personale docente per quasi 88.000 posti. Contemporaneamente è stata interrotta la immissione in ruolo dei 150.000 docenti prevista dall’esecutivo Prodi e richiamata in premessa. Il combinato disposto di questa riduzione degli investimenti in istruzione, determina la permanenza nelle graduatorie ad esaurimento di centinaia di migliaia di docenti precari, che da anni svolgono il proprio lavoro nelle scuole pubbliche e ai quali affidiamo gli apprendimenti e le valutazioni dei nostri ragazzi. Da anni attendono la stabilizzazione che riconosca il servizio fino ad ora prestato. Ne consegue che le nuove modalità di formazione previste nel regolamento in parola si rivolgeranno ad una platea di giovani aspiranti docenti che non si sa quando potranno entrare in ruolo. A costoro, che legittimamente, desiderano fare dell’insegnamento la propria professione, il Governo «dei tagli» non fornisce alcuna garanzia, nel breve e nel medio periodo, di accesso a posti di docenza. La scelta del Governo depriva pertanto i giovani di una possibilità di lavoro e li illude sul loro futuro;

valutato che il regolamento non supporta, non rafforza e non sviluppa l’unicità della funzione docente, anzi fa crescere la formazione disciplinare a discapito di quella pedagogico-didattica;

valutato altresì che non sostiene una reale ed equilibrata interazione tra Università e scuola;

considerato che non sono state previste risorse aggiuntive per l’Università al fine della istituzione dei corsi normati nel presente regolamento,

esprime

PARERE CONTRARIO.

25 maggio CdM approva manovra finanziaria

Il 25 maggio il Consiglio dei ministri vara il decreto-legge “Misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e la competitivita’ economica”

Di seguito un estratto del comunicato stampa:

Il Consiglio ha approvato un decreto-legge che contiene misure finalizzate alla stabilizzazione finanziaria e alla competitività economica.

La manovra nel biennio avrà effetti finanziari strutturali per complessivi 24 miliardi di euro. Obiettivo degli interventi è ricondurre il rapporto tra indebitamento e PIL nel 2012 al di sotto del 3%, come previsto dal Trattato di Maastricht.

La manovra è incentrata su tagli alla spesa pubblica, su una riduzione dei costi della politica e della pubblica amministrazione. Dal lato delle entrate, le misure si concentrano sul contrasto all’evasione fiscale e contributiva. Viene decisa la partecipazione dei Comuni alla lotta all’evasione, a fronte di un maggiore introito sulle somme recuperate. Rafforzate le verifiche incrociate fra Inps e Agenzia delle Entrate e introdotta la tracciabilità attraverso le fatture telematiche, mentre sono escluse nuove imposte o aumenti di quelle esistenti.

Sono inoltre previsti interventi fiscali a beneficio delle reti d’impresa; per la prima volta, un regime di fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno; misure per ridurre il peso della burocrazia; il rifinanziamento del Fondo per le infrastrutture; norme in materia di procedure fallimentari.

In materia di previdenza è prevista la riduzione delle finestre di uscita. Definite con il decreto misure contro i falsi invalidi. Sul fronte del pubblico impiego si stabilisce il congelamento per tre anni dei trattamenti economici, mentre viene introdotto un taglio per le retribuzioni pubbliche più elevate.

20 maggio Riforma universitaria

Il 20 maggio la 7a Commissione del Senato termina l’esame degli emendamenti al Disegno di Legge AS 1905, Norme in materia di organizzazione delle Universita’, di personale accademico e reclutamento, nonche’ delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario. Il testo passa ora all’esame dell’Aula.

6 maggio Formazione iniziale docenti in 7a Camera

La settima Commissione della Camera esamina lo Schema di decreto del ministro dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca recante regolamento concernente la definizione della disciplina dei requisiti e delle modalita’ della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado.

Schema di decreto del ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca recante regolamento concernente la definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado (Atto n. 205).

RELAZIONE DEL RELATORE

Avviamo oggi l’esame di un altro importante tassello del processo di riorganizzazione del sistema scolastico finalizzato a conferire allo stesso maggiore efficacia ed efficienza, riqualificando anche i docenti.

In particolare, con lo schema di regolamento in esame, che disciplina i requisiti e le modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, si dà seguito alle previsioni dell’articolo 2, comma 416, della legge finanziaria per il 2008, in coerenza con le previsioni del piano programmatico di interventi adottato sulla base dell’articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008.

L’esigenza di ridisegnare la formazione iniziale degli insegnanti è legata alla constatazione – come ricorda anche la relazione illustrativa dello schema di decreto -, emersa dalle ricerche di organismi nazionali e internazionali, delle difficoltà della scuola italiana, che non riporta buoni risultati per le conoscenze disciplinari, con particolare riferimento a quelle linguistiche e di scienze matematiche, fisiche e naturali. Tali difficoltà sono riconducibili ai contenuti e alla modalità degli insegnamenti e al livello di conoscenze e competenze degli insegnanti.

Sempre la relazione sottolinea che l’obiettivo è quello di contemperare l’esigenza di cambiamento con quella di non sottoporre il sistema universitario ad ulteriori tensioni: pertanto, si è ritenuto di procedere ad interventi normativi limitati.

L’intervento proposto parte da due premesse:

la prima è quella che occorre un deciso rafforzamento delle conoscenze disciplinari, risultato che si può conseguire solo nel contesto di una laurea magistrale, che comporti anche attività di laboratorio;

la seconda è che la formazione dell’insegnante deve sviluppare capacità didattiche, psico-pedagogiche, organizzative, relazionali e comunicative, affinché egli sia capace di orientarsi a seconda delle diverse fasce di età degli studenti e possa operare al meglio sia per la migliore gestione delle relazioni interpersonali a scuola, sia per l’individuazione delle modalità educative adatte a promuovere il successo scolastico.

Le due esigenze devono essere contemperate in modo equilibrato.

Infine, la formazione degli insegnanti deve contemplare anche un rapporto diretto con la scuola, che consista non solo in periodi osservativi, ma anche in esperienze attive di insegnamento. A parere del Ministro Gelmini, da me condiviso, ciò dovrebbe consentire il passaggio «dal semplice sapere al sapere insegnare».

Svolte queste premesse, voglio ora sottolineare, come sottolinea l’articolo 2 dello schema, che la formazione iniziale degli insegnanti è finalizzata a qualificare e valorizzare la funzione docente, e le competenze che essa consente di acquisire costituiscono il fondamento della unitarietà della stessa funzione docente.

In particolare, quindi, durante il periodo di formazione iniziale i docenti devono acquisire competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali idonee a far raggiungere agli studenti i risultati di apprendimento previsti dall’ordinamento.

Ma, non meno importante, è l’acquisizione, durante il periodo di formazione, delle competenze necessarie allo sviluppo e al sostegno dell’autonomia scolastica.

Prima di illustrare i nuovi percorsi formativi, evidenzio che l’articolo 5 dello schema di decreto dispone che l’accesso ai percorsi, come già attualmente, è a numero programmato, definito annualmente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

Il numero dei posti annualmente disponibili è determinato sulla base della programmazione del fabbisogno di personale docente nelle scuole statali, che a sua volta si base sulle esigenze rilevate a livello regionale, maggiorato nel limite del 30 per cento in relazione al fabbisogno dell’intero sistema nazionale di istruzione – che è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie – e tenendo conto dell’offerta formativa degli atenei e delle istituzioni AFAM. Le modalità di svolgimento e le caratteristiche delle prove di accesso sono definite con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Così, porremo fine all’accesso illimitato alla professione che creava il precariato e con la fine del precariato sarà consentito ai giovani l’inserimento immediato in ruolo.

Prima di passare a illustrare i percorsi, ricordo che l’articolo 4 dispone che i corsi di laurea magistrale, in considerazione del loro carattere professionalizzante, sono istituiti dalle università anche in deroga al numero minimo di crediti fissati, per ogni classe di corso di laurea, per ogni attività formativa di base ed ogni attività formativa caratterizzante (articolo 10, commi 2 e 4, del decreto ministeriale n. 270 del 2004).

Le ulteriori disposizioni recate dall’articolo 4 sono volte a consentire sinergie e ottimizzazione nell’uso delle risorse. Si dispone, quindi, che i corsi di laurea possono essere istituiti con il concorso di più facoltà dello stesso ateneo, o di atenei diversi – in tal caso sulla base di specifica convenzione – ovvero in convenzione fra facoltà universitarie e istituzioni dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM). Le convenzioni devono essere sottoscritte dal rettore di ogni università che partecipa all’istituzione del corso e devono indicare, oltre che la facoltà sede del corso stesso, l’apporto di ciascun ateneo in termini di docenti, strutture didattiche e scientifiche, laboratori, risorse finanziarie. Infine, si prevede che le università possono prevedere strutture di servizi comuni ai diversi corsi di laurea e che è vietata la creazione di organi di gestione del corso indipendenti dalle facoltà e dalle università interessate.

La relazione illustrativa chiarisce che l’affidamento dell’istituzione dei corsi e della relativa gestione alle università e la possibilità di dar corso a lauree magistrali interuniversitariepurché esse non richiedano la costituzione di organi di gestione indipendenti e separati, costituiscono accorgimenti volti a prevenire il riformarsi di situazioni di cristallizzazione di strutture fisse e di gruppi di persone che riassorbono tutta l’attività formativa, isolandosi rispetto alla realtà universitaria e a quella scolastica, riscontrata durante l’esperienza delle S.S.I.S.

Al riguardo, anticipo che potrebbe essere opportuno chiarire se le disposizioni recate dal comma 3 sui contenuti delle convenzioni siano applicabili, come credo, anche alle convenzioni stipulate fra università ed AFAM, esplicitandolo.

Nel passare ad illustrare i nuovi percorsi di formazione degli insegnanti, cercherò di evidenziare che cosa cambierà rispetto alla situazione attuale. Naturalmente, lo farò in maniera sintetica, rinviando, per ogni approfondimento, al dossier predisposto dagli uffici.

Attualmente, la formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria avviene attraverso uno specifico corso di laurea, articolato in due indirizzi, in relazione alle norme del relativo stato giuridico (articolo 3, comma 2, legge n. 341 del 1990). L’esame di laurea ha valore di esame di Stato ai fini dell’abilitazione all’insegnamento, nonché di titolo per l’inserimento nelle graduatorie permanenti per l’insegnamento (da ultimo, articolo 6 del decreto-legge n. 137 del 2008).

Per la formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria di primo e di secondo grado, fino all’anno accademico 2007-2008 hanno funzionato le scuole di specializzazione, articolate in indirizzi, di durata biennale, cui si accedeva successivamente alla laurea. L’esame finale per il conseguimento del diploma aveva valore di esame di Stato e abilitava all’insegnamento (ex articolo 4, comma 2, legge n. 341 del 1990). Successivamente, l’esame ha assunto valore ai fini dell’inserimento nelle graduatorie permanenti per l’insegnamento (articolo 1, comma 6-ter, decreto-legge n. 240 del 2000).

L’accesso alle SISS è stato sospeso a partire dall’anno accademico 2008-2009, coincidente con l’avvio del X ciclo delle medesime (articolo 64, comma 4-ter, decreto-legge n. 112 del 2008).

In particolare proprio la sospensione delle SISS determina l’urgenza di emanare una nuova disciplina delle modalità di formazione iniziale degli insegnanti.

Passo ora ad illustrare i nuovi percorsi formativi.

In base agli articoli 3 e 6 dello schema, i percorsi formativi per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria sono articolati in un corso di laurea magistrale quinquennale a ciclo unico (LM 85-bis), che comprende un tirocinio a partire dal secondo anno. Quest’ultimo è pari a 600 ore, corrispondenti a 24 crediti formativi, e le relative attività devono svolgersi con modalità che assicurino un aumento progressivo del numero dei crediti formativi nel corso degli anni.

Il corso di laurea magistrale quinquennale è a ciclo unico poiché, come evidenzia la relazione illustrativa, tenendo conto delle riflessioni e degli studi condotti sull’attuale laurea quadriennale nelle facoltà di Scienze della formazione e delle specificità educative degli insegnanti, appare difficile dare un senso ad un percorso articolato in un triennio e in un successivo biennio. Il corso è attivato presso le facoltà di scienze della formazione e presso altre facoltà dotate dei requisiti qualitativi e quantitativi nel caso in cui non esista a livello regionale una facoltà di scienze della formazione. Per essere ammessi, è richiesto il possesso di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado e il superamento della prova di accesso.

La struttura del corso di laurea è recata dalla tabella 1 allegata allo schema di decreto, della quale una sintesi è presente nel dossier predisposto.

Esso si conclude con la discussione della tesi e della relazione finale del tirocinio che costituiscono esame avente anche valore abilitante all’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria.

Rispetto alla situazione attuale, quindi, il percorso si allungherà di un anno e all’interno del corso di laurea non ci saranno più due distinti indirizzi, relativi ai due ordini di scuola (infanzia e primaria). Avanzo con convinzione il timore – e lo sottopongo alla riflessione comune – che questo possa togliere specificità al docente della scuola dell’infanzia e «appiattire» in maniera esagerata il ruolo del docente della scuola primaria su quello del docente della scuola dell’infanzia (per il quale, forse, una laurea, seguita da un anno di tirocinio formativo attivo, sarebbe potuta essere congrua).

In base agli articoli 3, 7, 8 e 9 dello schema di decreto, i percorsi formativi per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado si articolano in un corso di laurea magistrale (biennale) – ovvero, nel caso di percorsi finalizzati all’insegnamento delle discipline artistiche, musicali e coreutiche nel corso di diploma accademico di secondo livello – e in un successivo anno di tirocinio formativo attivo. Il percorso si conclude con l’esame con valore abilitante. Da un punto di vista di durata complessiva del percorso, in questo caso non si registrano, quindi, variazioni per chi aveva una laurea del vecchio ordinamento, che si è trovato a studiare 6 anni (4 anni per la laurea, più 2 nella scuola di specializzazione) e si riduce di un anno per chi ha conseguito una laurea magistrale nel nuovo ordinamento (nella vigenza delle scuole di specializzazione avrebbe dovuto studiare 7 anni, cioè 5 per conseguire la laurea magistrale e due nella scuola di specializzazione).

L’accesso, come ho già detto, è a numero programmato.

Per quanto concerne la scuola secondaria di primo grado, i requisiti per sostenere la prova di accesso ai corsi di laurea magistrale, nonché la laurea magistrale necessaria per accedere al tirocinio annuale, sono stabiliti, con riferimento a 6 delle 8 classi di abilitazione di cui al decreto ministeriale 29 marzo 2009, n. 37, dalle tabelle da 2 a 7 allegate allo schema di decreto.

Sotto il primo profilo, esse definiscono, in particolare, il numero minimo di crediti che occorre aver acquisito nel corso di laurea con riferimento ai settori scientifico disciplinari indicati.

Sotto il secondo profilo, vengono istituite due nuove classi di laurea magistrale, ossia LM 95 – Scienze matematiche, fisiche e naturali ed LM 96 -Tecnologia, e si determina la ripartizione dei crediti che occorre aver acquisito durante il corso di laurea magistrale.

Sulla base delle tabelle da 2 a 7, si determina, quindi, la seguente corrispondenza fra le attuali classi di abilitazione e le classi delle lauree magistrali che determinano l’accesso al tirocinio:

Classe di abilitazione —> Classe di laurea magistrale

A043 – Italiano, storia e geografia nella scuola secondaria di I grado —> LM 14 – Filologia moderna

A045 – Lingua inglese e seconda lingua straniera —> LM 37 – Lingua straniera

A059 – Matematica e scienze nella scuola secondaria di I grado —> LM 95 – Scienze matematiche, fisiche e naturali (NUOVA)

A030 – Scienze motorie e sportive —> LM 67 – Scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattate // LM 68 – Scienze e tecniche dello sport

A032 – Musica —> LM 45 – Musicologia e beni musicali

A033 – Tecnologia nella scuola secondaria di I grado —> LM 96 – Tecnologia (NUOVA)

Per quanto concerne la scuola secondaria di secondo grado, invece, la determinazione dei requisiti per sostenere la prova di accesso ai corsi di laurea magistrale, nonché la laurea magistrale necessaria per accedere al tirocinio annuale è subordinata alla revisione delle classi di concorso (il Consiglio dei Ministri ha esaminato lo schema di regolamento in prima lettura il 12 giugno 2009) e al riordino del secondo ciclo (il Presidente della Repubblica ha emanato i regolamenti il 15 marzo scorso).

Sia per l’uno che per l’altro percorso si dispone, infine, sull’accesso al tirocinio formativo attivo in soprannumero, previo superamento di una prova orale, di coloro che hanno conseguito il dottorato di ricerca e di coloro che hanno svolto per almeno 2 anni, anche se non consecutivi, attività di ricerca scientifica a tempo determinato in ambiti attinenti i contenuti disciplinari della relativa classe di abilitazione. I soggetti in questione possono frequentare il tirocinio senza interrompere o sospendere il rapporto con l’istituzione di appartenenza, e anche senza preventiva autorizzazione della stessa, a meno che ciò non sia richiesto dai rispettivi obblighi contrattuali.

Sostanzialmente lo stesso percorso, mutatis mutandis, viene seguito per l’insegnamento di materie artistiche, musicali e coreutiche nella scuola secondaria di primo e secondo grado è identico (articolo 9).

In tal caso, ovviamente, si richiede il conseguimento del diploma accademico di secondo livello ad indirizzo didattico. I corsi accademici biennali necessari per accedere al tirocinio annuale per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo grado sono stabiliti, con riferimento alle corrispondenti classi di abilitazione (A-032 Musica, A-077 Strumento musicale, A028 Arte e immagine) dalle tabelle da 8 a 10 allegate allo schema di decreto.

Queste ultime, in realtà, disciplinano anche i requisiti necessari per accedere ai corsi di secondo livello. Appare quindi necessario che nel testo dell’articolo 9, comma 2, si faccia riferimento ad essi. E reputerei anche opportuno aggiungere, dopo la parola «ciascuna», la parola «corrispondente».

Invece, come già visto prima e per le medesime ragioni, le tabelle relative alla scuola secondaria di secondo grado saranno adottate con successivo decreto. Anche in tal caso, occorrerebbe fare riferimento anche ai requisiti necessari per accedere ai corsi di secondo livello e inserire, prima delle parole «classi di abilitazione», l’aggettivo «corrispondenti».

Ai sensi dell’articolo 3, tutti i percorsi indicati – quindi, sia quelli per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, sia quelli per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado – possono prevedere periodi di tirocinio nelle istituzioni scolastiche accreditate. Inoltre, costituisce parte integrante di tutti i percorsi l’acquisizione delle competenze linguistiche di lingua inglese di livello B2 (post intermedio) e delle competenze digitali per l’utilizzo di linguaggi e contenuti multimediali.

A questo punto, voglio sottolineare la necessità che, così come è stato finora, sia fatta salva la possibilità di percorsi di studio abbreviati in relazione ai crediti riconosciuti, al fine di agevolare i passaggi di ruolo. A titolo di esempio, ricordo che l’articolo 3 del decreto ministeriale 26 maggio 1998 prevede che chi ha conseguito una laurea ritenuta dalla competente struttura accademica rilevante per l’insegnamento nella scuola elementare o materna può conseguire la laurea in scienze della formazione in non più di 4 semestri. Analogamente, l’articolo 4 dello stesso decreto ministeriale prevede percorsi abbreviati (1 semestre) per chi sia già in possesso di un’abilitazione oppure per chi sia in possesso, oltre che della laurea necessaria per l’accesso alla scuola, anche di quella in scienze della formazione primaria.

Il tirocinio formativo attivo (TFA), che è qualificato quale «corso di preparazione all’insegnamento», è disciplinato nell’articolo 10. Esso sostituisce il percorso effettuato, fino all’anno accademico 2007-2008, nelle scuole di specializzazione.

Voglio segnalare, al riguardo, che la relazione illustrativa evidenzia che il tirocinio «è attivato su un numero pari a quello degli studenti annualmente iscritti al curriculum». Io ritengo che si debba esplicitare nel testo dello schema di decreto – perché tutti possano conoscere e comprendere il criterio – che al tirocinio formativo attivo devono poter accedere gli studenti che concludono il corso di laurea magistrale con l’acquisizione dei crediti formativi richiesti, cioè «con successo».

Il TFA ha durata annuale e alla sua conclusione, previo superamento di un esame finale, si consegue il titolo di abilitazione all’insegnamento, che:

per la scuola secondaria di primo grado è in una delle classi di abilitazione previste dal decreto ministeriale n. 39 del 2007;

per la scuola secondaria di secondo grado, fino all’adozione del regolamento di riordino delle classi di concorso, è in una delle classi di abilitazione previste dal decreto ministeriale 30 gennaio 1998, n. 39 e dal decreto ministeriale 9 febbraio 2005, n. 22 (complessivamente, nel numero di 100).

Il tirocinio formativo attivo è istituito presso una facoltà universitaria o presso le Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica e può essere svolto in collaborazione fra più facoltà della stessa o di diverse università, nonché in collaborazione fra facoltà universitarie e Istituzioni AFAM.

Esso comprende quattro gruppi di attività, che corrispondono a 60 crediti formativi, ripartiti sulla base della tabella 11 allegata allo schema (sulla quale, peraltro, interviene, con una disposizione di carattere transitorio, l’articolo 15, comma 20). Si tratta dei seguenti gruppi:

insegnamenti di scienze dell’educazione (ai quali sono attribuiti 18 CFU, di cui 6 di pedagogia speciale per i bisogni speciali);

un tirocinio di 475 ore presso le istituzioni scolastiche, sotto la guida di un tutor, in collaborazione con il docente universitario o delle Istituzioni AFAM. Il percorso di tirocinio è progettato di concerto fra le istituzioni scolastiche e il consiglio di corso di tirocinio e comprende una fase di osservazione e una fase di insegnamento attivo. Il tirocinio dà diritto a 19 CFU;

insegnamenti di didattiche disciplinari, anche in contesti laboratoriali, integrando approccio disciplinare e approccio didattico;

laboratori pedagogico-didattici, indirizzati alla rielaborazione e al confronto delle pratiche educative e delle esperienze di tirocinio (ai quali, unitamente agli insegnamenti di didattiche disciplinari, sono attribuiti 18 CFU).

Gli ulteriori 5 CFU sono previsti per la tesi e la relazione finali.

La gestione delle attività del tirocinio formativo attivo è affidata al consiglio del corso di tirocinio. In particolare, esso cura l’integrazione fra i quattro gruppi di attività, organizza i laboratori e stabilisce le modalità di collaborazione fra i tutor, i tutor coordinatori e i docenti universitari o delle Istituzioni AFAM.

Questo organo nelle università è composto dai docenti e dai ricercatori che hanno incarichi didattici, da due rappresentanti dei tutor coordinatori, da due dirigenti scolastici designati dall’ufficio scolastico regionale tra i dirigenti delle istituzioni scolastiche che ospitano i tirocini, da un rappresentante degli studenti tirocinanti. Il Presidente è eletto fra la componente dei docenti, dura in carica 3 anni e può essere rieletto una sola volta. Nel caso delle Istituzioni AFAM, l’unica variazione sostanziale è riferita alla assenza, naturalmente, di ricercatori. Si tratta, quindi, dell’organo che rappresenta il terreno di incontro fra scuola e università e nel quale, proprio perché tale, occorre garantire una rappresentanza equilibrata delle due realtà.

Il TFA si conclude con la stesura di una relazione che non deve consistere solo nella illustrazione delle attività svolte, ma deve evidenziare la capacità del tirocinante di integrare ad un elevato livello culturale e scientifico le competenze acquisite nell’attività svolta in classe, le conoscenze psico-pedagogiche e le competenze didattico-disciplinari e, in particolar modo, laboratoriali.

Il tirocinante svolge, quindi, l’esame di abilitazione all’insegnamento che consiste:

nella valutazione dell’attività svolta durante il tirocinio, valutabile fino ad un massimo di 30 punti;

nell’esposizione orale di un percorso didattico su un argomento scelto dalla commissione, valutabile fino ad un massimo di 30 punti; (Con riferimento a questo punto propongo di sostituire la parola «argomento» con le seguenti» modalità di soluzione di un problema, di un progetto, o di un compito didattico-educativo, mostrando l’impiego della relativa letteratura scientifica);

nella discussione della relazione finale, valutabile fino ad un massimo di 10 punti.

L’esame è superato con il conseguimento di una votazione almeno pari a 50/70. La Commissione aggiunge al punteggio risultante dai tre passaggi sopra indicati il punteggio risultante dalla media ponderata dei voti conseguiti negli esami di profitto della laurea magistrale o del diploma accademico di secondo livello e degli esami di profitto sostenuti durante l’anno di tirocinio, fino ad un massimo di 30 punti.

Al riguardo, potrebbe essere opportuno fornire qualche specifica sugli esami di profitto durante l’anno di tirocinio, dei quali si parla solo ai fini del calcolo del punteggio complessivo, anche in considerazione del fatto che una forma di valutazione è prevista anche dall’articolo 11, comma 2, lettera c).

Il punteggio complessivo, espresso, quindi, in centesimi, costituisce il voto di abilitazione all’insegnamento e dà luogo al rilascio del relativo diploma.

La Commissione esaminatrice, nominata dalla autorità accademica competente, nelle università è composta da 3 docenti universitari che hanno svolto attività nel corso di tirocinio, da 2 tutor o tutor coordinatori e da un rappresentante designato dall’ufficio scolastico regionale. Nelle AFAM, la composizione è la medesima, con la presenza, ovviamente, di docenti di tali Istituzioni. La Commissione è presieduta da un docente universitario designato dalla facoltà o dall’istituzione AFAM di riferimento.

Al riguardo, segnalo l’opportunità di chiarire a chi spetti designare il presidente e nel caso di corsi interfacoltà o in collaborazione fra facoltà e istituzioni AFAM.

Segnalo, altresì, la necessità che in tale Commissione sia garantita una presenza paritetica della componente scolastica e di quella universitaria.

L’articolo 11 disciplina le funzioni e le modalità di selezione delle diverse figure di tutor che partecipano alle attività di tirocinio.

Per tutti i percorsi formativi si prevedono tutor coordinatori e tutor dei tirocinanti. Inoltre, nei corsi di laurea magistrale a ciclo unico per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria sono presenti anche tutor organizzatori.

Ricordo, preliminarmente, che su questo articolo il Consiglio di Stato ha chiesto al MIUR, nel parere interlocutorio del 2 febbraio 2010, un chiarimento, rilevando, in particolare, una contraddizione fra il comma 3, che stabilisce che i tutor dei tirocinanti sono designati dai dirigenti scolastici e il comma 5, che affida lo svolgimento delle selezioni, anche per questa figura di tutor, alle facoltà.

Nella nota di chiarimento inviata al Consiglio di Stato il 23 febbraio 2010, il MIUR ha rilevato che nel comma 5, primo periodo, verrà eliminato il riferimento al comma 3. Il Consiglio di Stato prende atto di tale impegno nel parere del 19 marzo 2010, n. 1061. Anche se il testo inviato alle Camere non comprende la modifica, io ve lo illustrerò considerando già tale modifica.

I tutor sono docenti e dirigenti in servizio nelle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione.

I tutor coordinatori hanno compiti di:

orientare e gestire i rapporti con i tutor assegnando i tirocinanti alle diverse scuole e classi e formalizzando il progetto di tirocinio di ogni studente;

provvedere alla formazione del gruppo di studenti attraverso le attività di tirocinio indiretto e l’esame dei materiali di documentazione prodotti dagli studenti nelle attività di tirocinio;

supervisionare e valutare le attività di tirocinio;

seguire le relazioni finali per l’aspetto relativo alle attività svolte in classe.

Ricordo che potrebbe essere opportuno chiarire il raccordo della valutazione delle attività di tirocinio con gli esami di profitto menzionati dall’articolo 10, comma 9.

I tutor dei tirocinanti orientano gli studenti sugli aspetti organizzativi e didattici della scuola e delle attività che si svolgono in classe, e ne monitorano l’inserimento in classe e la gestione degli insegnamenti. Essi sono designati dai dirigenti scolastici delle scuole accreditate tra i docenti di ruolo in servizio che ne abbiano fatto domanda.

Nei corsi di laurea magistrale a ciclo unico per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria operano anche i tutor organizzatori.

Ad essi è affidato il compito di organizzare e gestire i rapporti fra le università e le istituzioni scolastiche; gestire le attività amministrative (distacchi dei tutor coordinatori, rapporto con le scuole e con l’Ufficio scolastico regionale, rapporto con gli studenti); coordinare la distribuzione degli studenti nelle scuole; assegnare ai tutor coordinatori, ogni anno, il contingente di studenti da seguire.

I contingenti del personale necessario per lo svolgimento delle funzioni di tutor coordinatore e di tutor organizzatore sono stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che definisce anche la loro ripartizione fra le facoltà o le Istituzioni AFAM e i relativi criteri di selezione.

Su tali basi, le facoltà indicono e svolgono le selezioni e affidano l’incarico, che ha la durata massima di quattro anni, prorogabile solo per un anno, ed è soggetto a conferma annuale. Annualmente il consiglio di facoltà (meglio sarebbe sulla base dei criteri stabiliti a livello di coordinamento di ateneo e di interateneo) valuta se il tutor debba essere confermato o revocato sulla base di come egli ha condotto gli studenti, gestito i rapporti con le scuole, con gli insegnanti e con l’istituzione universitaria, gestito i casi a rischio. Ai fini della conferma possono essere utilizzati anche i risultati di eventuali questionari di valutazione dell’esperienza svolta, che il consiglio di facoltà può predisporre per i tirocinanti. L’incarico comporta, infine, un esonero parziale dall’insegnamento per i tutor coordinatori e un esonero totale per i tutor organizzatori. I tutor organizzatori e i tutor coordinatori rispondono, nello svolgimento dei loro compiti, al consiglio di facoltà.

In considerazione del fatto che il comma 5, nel testo finale, non farà più riferimento ai tutor dei tirocinanti, segnalo la necessità di definire la durata del relativo incarico. Al comma 7, lettera c), inoltre, credo che sia necessario citare anche le Istituzioni AFAM.

L’articolo 12 prevede che per lo svolgimento delle attività di tirocinio le università o le Istituzioni AFAM stipulano convenzioni con le istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione accreditate. Il comma 21 dell’articolo 15, peraltro, prevede che fino alla predisposizione degli elenchi delle istituzioni scolastiche accreditate le convenzioni sono stipulate con le istituzioni scolastiche d’intesa con gli Uffici scolastici regionali, ai quali compete la vigilanza sulle attività di tirocinio.

La relazione illustrativa precisa che il periodo di tirocinio può essere altresì svolto nei Centri per l’istruzione per gli adulti. Si tratta di una specifica che sarebbe opportuno introdurre esplicitamente nel testo.

I criteri per l’accreditamento saranno stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

Ogni Ufficio scolastico regionale predispone e aggiorna un elenco telematico delle istituzioni scolastiche accreditate, per ciascuna evidenziando gli elementi indicati nel testo, e vigila sul rispetto delle convenzioni e sulla persistenza delle condizioni previste per l’inserimento nell’elenco. Se la convenzione non viene rispettata, o se vengono meno le condizioni, l’istituzione scolastica interessata è espunta dall’elenco.

Alla luce del compito di controllo attribuito all’Ufficio scolastico regionale, riterrei opportuno specificare anche che ad esso compete l’accreditamento.

L’articolo 13 detta una disciplina transitoria per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità, in attesa della istituzione di specifiche classi di abilitazione. La specializzazione si consegue esclusivamente presso le università, attraverso la partecipazione a corsi autorizzati dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, cui possono accedere solo gli insegnanti abilitati. Anche tali corsi sono a numero programmato e richiedono il superamento di una prova di accesso predisposta dalle università.

Le caratteristiche dei corsi sono definite nel regolamento di ateneo sulla base di criteri stabiliti dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentito il Consiglio universitario nazionale e le associazioni nazionali competenti in materia

Essi, comunque, devono prevedere l’acquisizione di almeno 60 crediti formativi (quindi, devono durare almeno un anno); comprendere almeno 300 ore di tirocinio; articolarsi distintamente per i diversi ordini di scuola.

Per lo svolgimento di tali corsi, in relazione a specifici insegnamenti non attivati nell’ambito dell’ateneo, le università possono avvalersi di personale con specifica e documentata esperienza nel campo delle didattiche speciali.

A conclusione del corso si sostiene un esame finale che comporta, se superato, il conseguimento del diploma di specializzazione per l’attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità. Il possesso del diploma consente l’iscrizione negli elenchi per il sostegno per le assunzioni a tempo determinato e indeterminato.

Peraltro, l’articolo 15, comma 23, prevede che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca definisce con decreto le procedure e i percorsi finalizzati, in via transitoria, al conseguimento della specializzazione da parte degli insegnanti che hanno titolo per l’inserimento nelle graduatorie di istituto.

L’articolo 14 disciplina l’istituzione presso le università di corsi di perfezionamento per l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera (CLIL – Content and Language Integrated Learning) ai quali possono partecipare gli insegnanti in possesso di abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria di secondo grado che siano in possesso di competenze certificate nella lingua straniera almeno di livello C1 del Quadro Comune europeo di riferimento per le lingue (livello avanzato). I corsi sono disciplinati nel regolamento didattico di ateneo e, come nel caso dei corsi di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni disabili, prevedono l’acquisizione di almeno 60 crediti formativi e comprendono almeno 300 ore di tirocinio.

A conclusione del corso, però, il partecipante che supera con esito favorevole l’esame finale non consegue un diploma di specializzazione, ma un certificato che attesta le competenze acquisite. Per garantire l’omogeneità dei corsi, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentito il Consiglio universitario nazionale, emanerà un decreto recante criteri.

L’articolo 15 contempla una serie di situazioni per le quali si rende necessario prevedere una disciplina transitoria, in alcuni casi fino all’anno accademico 2012-2013, in altri fino all’anno accademico 2011-2012. La relazione illustrativa precisa che si tratta delle diverse categorie di soggetti che, sulla base dei titoli già acquisiti, godono della legittima aspettativa di entrare nel nuovo sistema di abilitazione all’insegnamento, senza dover ricominciare il percorso formativo.

Sempre la relazione evidenzia che l’intenzione del Ministero è quella di favorire l’attivazione immediata dei tirocini formativi attivi non appena entrerà in vigore il regolamento, mentre l’avvio dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria è previsto per l’anno accademico 2010-2011.

Riterrei opportuno indicare esplicitamente nel regolamento l’anno accademico a partire dal quale troveranno applicazione le nuove disposizioni, eventualmente differenziando per le diverse situazioni.

Ai sensi dei commi 1 e 2, fino all’anno accademico 2012-2013 (e, nel caso del secondo grado, comunque fino alla revisione delle classi di concorso) coloro che sono in possesso dei requisiti previsti per l’accesso alle SSIS conseguono l’abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado previo svolgimento del tirocinio formativo attivo.

Gli accessi al tirocinio di cui ai commi 1 e 2 sono a numero programmato. Le università e le Istituzioni AFAM espletano la prova di accesso, che mira a verificare le conoscenze disciplinari relative alle materie che sono oggetto di insegnamento della classe di abilitazione. Vi è una dettagliata indicazione dell’articolazione della prova, che si articola in un test di 60 domande a risposta multipla, identico in tutto il territorio nazionale per ogni tipo di percorso, che comporta l’attribuzione di un massimo di 60 punti ed è predisposto dal MIUR, e in una prova orale, organizzata tenendo conto delle specificità delle varie classi di laurea, che comporta l’attribuzione di un massimo di 20 punti. Per essere ammesso alla prova orale, il candidato deve aver riportato almeno 42/60 nel test, mentre la stessa prova orale è superata se si conseguono almeno 15/20.

Al punteggio derivante dalla somma del punteggio conseguito nel test e del punteggio conseguito nella prova orale, sono sommati fino ad ulteriori 20 punti, riservati ai titoli di studio e alle pubblicazioni, con la ripartizione indicata per le varie tipologie. Si perviene così alla graduatoria degli ammessi al tirocinio formativo attivo, espressa in centesimi.

Con riferimento alla valutazione del percorso di studi previsto dalla lettera a) del comma 10, riterrei opportuno chiarire se ci si riferisca sempre al percorso di laurea magistrale o di diploma accademico di secondo livello (per il quale, peraltro, si cita esplicitamente la media dei voti riportati negli esami), oppure se si intenda fare riferimento a tutto il percorso di studi universitari. In ogni caso, si potrebbe valutare l’opportunità di chiarire i criteri di valutazione. E si potrebbe valutare anche l’opportunità di disporre in merito alla composizione della Commissione esaminatrice.

Il comma 12 riguarda l’ammissione in soprannumero al tirocinio formativo attivo dei dottori di ricerca e dei soggetti che hanno svolto per almeno 2 anni, anche se non consecutivi, attività di ricerca scientifica a tempo determinato, prevedendo che essi siano ammessi ai sensi dei commi 1 e 2 dello stesso articolo 15. Ricordo che tali soggetti sono ammessi al tirocinio previo superamento della sola prova orale.

Il comma 13 prevede che fino all’anno accademico 2011-2012 i soggetti che hanno i requisiti già indicati ai commi 1 e 2, nonché i soggetti che hanno un diploma ISEF già valido per l’insegnamento di educazione fisica o il diploma di conservatorio o di accademia di belle arti già valido per l’insegnamento nella scuola secondaria, che non sono in possesso di abilitazione ma hanno svolto, alla data di entrata in vigore del decreto, almeno 360 giorni di insegnamento nella classe di concorso di riferimento, sono ammessi in soprannumero al tirocinio formativo attivo. Anche tali soggetti devono sostenere la prova di accesso prima illustrata.

Il servizio prestato per almeno 360 giorni vale a coprire parte dei crediti i formativi previsti. Qualora la loro attività di insegnamento è in corso, le convenzioni disciplinate all’articolo 12 sono stipulate con le relative istituzioni scolastiche anche se non sono accreditate, per consentire che il tirocinio si svolga senza interrompere l’attività.

Potrebbe essere opportuno chiarire se, nell’ipotesi in cui si stipuli una convenzione ai sensi del comma 13, presso quella istituzione scolastica possono svolgere il tirocinio solo i soggetti che ivi sono in servizio, o anche altri soggetti.

Il comma 14 prevede che fino all’anno accademico 2011-2012 le facoltà presso le quali è attivato il corso di laurea magistrale a ciclo unico per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria possono attivare percorsi formativi finalizzati esclusivamente al conseguimento dell’abilitazione da parte di chi ha conseguito il diploma della scuola o dell’istituto magistrale entro l’anno scolastico 2001-2002 e ha maturato, alla data di entrata in vigore del decreto, almeno 360 giorni di servizio. Per tali soggetti, infatti, il decreto ministeriale 10 marzo 1997 ha fatto salvo il valore legale del titolo di studio, prevedendo che lo stesso consentiva la partecipazione alle sessioni di abilitazione e ai concorsi.

Anche tali soggetti devono sostenere la prova di accesso. Il percorso deve durare un anno e si conclude con un esame avente valore abilitante (al pari dell’esame conclusivo disciplinato, a regime, dall’articolo 6), che consiste nella redazione e nella discussione di un elaborato originale che deve coordinare l’esperienza pregressa con le competenze acquisite.

Una ulteriore fattispecie è contemplata dal comma 15, che stabilisce che fino all’anno accademico 2011-2012 coloro che hanno superato l’esame di ammissione alle SISS e hanno poi sospeso la frequenza sono ammessi in soprannumero al tirocinio formativo attivo senza dover sostenere l’esame di ammissione e con il riconoscimento degli eventuali crediti acquisiti.

Il comma 16 riguarda, invece, i docenti e i dirigenti distaccati presso le facoltà in cui nell’anno accademico 2008-2009 si sono svolti i corsi di laurea in scienze della formazione. Essi, a domanda, possono essere confermati nell’incarico fino al completamento dei corsi.

Il comma 17 stabilisce che i soggetti iscritti al corso di laurea in scienze della formazione primaria alla data di entrata in vigore del decreto concludono il corso di studi e conseguono l’abilitazione all’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria secondo la normativa vigente all’atto dell’immatricolazione.

Il comma 18 riguarda i diplomi accademici di secondo livello conseguiti entro la data di entrata in vigore del decreto presso le Accademie di belle arti e quelli relativi alle classi di concorso di educazione musicale e di strumento musicale, che conservano la loro validità per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado.

Il comma 19, primo periodo, stabilisce che coloro i quali alla data di entrata in vigore del decreto sono iscritti ai corsi di diploma di secondo livello già illustrati in riferimento al comma 18, concludono il corso di studi secondo la normativa vigente all’atto dell’immatricolazione, conseguendo il titolo finale che abilita all’insegnamento per le classi di concorso o di abilitazione per cui sono stati ammessi. Il secondo periodo prevede che successivamente, e fino all’anno accademico 2012-2013, l’abilitazione si consegue attraverso il compimento dell’anno di tirocinio formativo attivo.

Sembrerebbe opportuno chiarire, sempre per garantire la migliore comprensibilità dei testi agli utenti interessati, se il secondo periodo intende riferirsi a quanti si iscrivano ai corsi – che, a differenza delle SSIS, non sono sospesi – nelle more dell’attivazione dei percorsi di cui all’articolo 9.

Il comma 20 integra transitoriamente, ai fini dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria di secondo grado, i settori scientifico disciplinari di scienze dell’educazione indicati nella tabella 11 dello schema di decreto.

Del comma 21 – e del successivo comma 23 – ho già detto illustrando, prima, gli articolo 12 e 13.

Il comma 22 prevede che i percorsi finalizzati alla formazione iniziale e all’abilitazione degli insegnanti tecnico-pratici saranno definiti dopo l’entrata in vigore dei regolamenti concernenti il riordino delle classi di concorso e la ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola.

Il comma 24, infine, riguarda la formazione degli insegnanti delle scuole della Val D’Aosta, delle province autonome di Trento e di Bolzano, e delle scuole in lingua slovena e in lingua ladina, e prevede l’intervento di un decreto che, con riferimento alle particolari situazioni linguistiche, è adottato previa intesa con la provincia autonoma di Bolzano e con la Val D’Aosta.

Sull’articolo 16, infine, devo preliminarmente evidenziare che il testo presente nello schema trasmesso non è il testo sul quale dobbiamo esprimere il parere: infatti, a seguito di una richiesta di chiarimenti del Consiglio di Stato, il MIUR ha comunicato al medesimo organo che intende adottare la seguente riformulazione:

«I corsi di cui al presente decreto sono organizzati dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nel rispetto di quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306, in materia di contribuzione studentesca».

In tal modo sono state superate le perplessità manifestate dal Consiglio di Stato sulla formulazione che vedete nello schema trasmesso, che prevede(va) che i corsi di formazione iniziale degli insegnanti fossero organizzati con i proventi derivanti dal pagamento delle tasse e dei contributi a carico dei corsisti e affidava ad un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca la definizione della misura delle stesse tasse.

Concludo rilevando che in sede di stesura finale del testo, occorrerà qualche perfezionamento formale, che di seguito riepilogo:

all’articolo 6, a fini di coordinamento normativo, al comma 5, quando si parla della Commissione esaminatrice, sembrerebbe opportuno inserire un riferimento all’articolo 2, comma 8, del decreto ministeriale 26 maggio 1998 e, quando si citano i tutor, sembrerebbe opportuno un riferimento all’articolo 11 dello schema di decreto, che disciplina la relativa figura;

all’articolo 7, comma 2, non appare corretto il riferimento a «ciascuna classe di abilitazione di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 26 marzo 2009, n. 37», poiché le tabelle da 2 a 7 fanno riferimento, complessivamente, a 6 delle 8 classi (non riguardano, infatti, le classi 28/A – Arte e immagine e 77/A – Strumento musicale, considerate dall’articolo 9 dello schema di decreto);

all’articolo 15, commi 1 e 2, il riferimento corretto è all’allegato 2 (e non all’allegato 3) del decreto ministeriale 26 luglio 2007. Inoltre, occorre valutare se abbia una ragione sostanziale l’utilizzo dei differenti termini «corrispondente» ed «equiparato» a proposito delle lauree magistrali utili al conseguimento dell’abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado;

all’articolo 15, comma 7, poiché il criterio di valutazione dei test prevede l’attribuzione di 1 punto per la risposta esatta e di nessun punto nel caso di risposta errata o omessa, si potrebbe semplificare eliminando le parole «rispondere correttamente ad almeno 42 domande ovvero»;

a pagina 2 della tabella 1 si prevede che «i laureati della classe conseguono l’abilitazione all’insegnamento per la scuola primaria» (e non anche «per la scuola dell’infanzia, come, invece, in coerenza con il testo dello schema di regolamento, è scritto a pagina 4 della stessa tabella).

Segnalo inoltre con riferimento ai precari non abilitati (190.000 circa con almeno 360 giorni di servizio) e alla incongruenza rilevata dal Consiglio di Stato tra la programmazione degli accessi e il soprannumero e alla possibile apertura di contenziosi, che occorre effettuare al riguardo una rigorosa programmazione; togliere il soprannumero e riconoscere un peso graduato al servizio svolto nel punteggio finale che dà l’accesso al tirocinio con sconto di una parte dei CFU relativi alla parte di tirocinio e di laboratori; riconoscere un peso al dottorato di ricerca e all’insegnamento svolto con contratti in università.

Resta peraltro fermo il percorso abilitante per i vecchi diplomati Isef e Magistrali, cui magari togliere il servizio come requisito di accesso; si tratta, a mio avviso, dell’unica «sanatoria» che ha un’esigenza reale.

Per quel che riguarda le lauree a «scadenza» rispetto alle nuove lauree magistrali e ai loro contenuti disciplinari, occorre, a mio giudizio, in via transitoria per la secondaria di primo grado prevedere che chi ha i requisiti di accesso alle SSIS acquisisce i CFU eventualmente mancanti dal raffronto tra vecchie e nuove LM; mentre a regime occorrerebbe prevedere che chi ha i requisiti previsti per l’accesso alle SSIS deve superare la prova di accesso alla LM, acquisisce i CFU mancanti e completa il percorso attraverso il TFA

Un’ulteriore criticità deriva a mio avviso dai Limiti stabiliti dalla normativa per l’istituzione di corsi e dallo statuto «professionalizzante» dei percorsi che potrebbe portare a una attivazione saltuaria, rispetto alle esigenze di copertura dei posti disponibili. A tal proposito, fermi i requisiti sul numero di docenti strutturati, occorrerebbe prevedere la possibilità di utilizzare i docenti strutturati in un corso aggiuntivo oltre che presso le LM per l’insegnamento: alla fine, quindi un docente strutturato può essere contato al massimo tre volte: laurea, LM e LM per insegnamento, qualora detta LM sia di nuova attivazione.

Per quel che riguarda invece i problemi derivanti dall’ampliamento delle attuali classi di abilitazione rispetto alle previgenti, per gli abilitati in classi di concorso affini (esempio, A047/ A049; A050/ A051) che dovessero convergere nelle nuove classi di abilitazione, si potrebbe prevedere l’acquisizione dei CFU mancanti.

Infine, occorrerebbe naturalmente garantire una connessione tra reclutamento dei docenti e programmazione dell’accesso ai corsi.

29 aprile Camera approva DdL collegato Lavoro

Il 29 aprile la Camera approva il DdL: “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione degli enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche’ misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”, gia’ approvato definitivamente dal Senato, in quarta lettura, il 3 marzo 2010, e rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica per una nuova deliberazione il 31 marzo us. Il testo torna ora all’esame del Senato

28 aprile Riforma Istruzione Adulti in 7a Camera

Il 28 aprile la settima Commissione della Camera inizia le audizioni sullo Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante norme generali per la ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali

16 aprile CdM approva Codice processo amministrativo

Il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, nella seduta del 16 aprile 2010, il Codice del processo amministrativo.

Di seguito un estratto del comunicato stampa:

(…) Si tratta di un complesso lavoro di riforma della materia, in attuazione di un’importante delega conferita al Governo dall’art. 44 della legge n. 69 del 2009, volta a riordinare la normativa in materia adeguandola ai moderni principi processuali: snellezza, concentrazione ed effettività della tutela, garanzia della ragionevole durata del processo, piena attuazione del contraddittorio, anche con specifico riguardo all’imprescindibile fase cautelare. Il Codice costituisce un intervento di portata storica, la cui improcrastinabile esigenza è unanimemente riconosciuta, giacché il processo amministrativo è stato finora regolato da leggi risalenti anche di oltre un secolo (regio decreto 17 agosto 1907, n. 642; regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054; legge 6 dicembre 1971, n. 1034; legge 21 luglio 2000, n. 205), cui si aggiunge una molteplicità di norme settoriali contenute nelle più disparate leggi speciali. Si è dunque di fronte alla prima codificazione, in assoluto, del processo amministrativo nella storia d’Italia e forse anche dalla stessa nascita del diritto amministrativo moderno. A ciò si aggiunge l’obiettivo di far corrispondere la normativa, così coordinata, alle importanti evoluzioni giurisprudenziali recenti, a partire da quella relativa al riconoscimento della risarcibilità della lesione degli interessi legittimi.
Il complesso lavoro di codificazione si è svolto, su incarico del Governo e conformemente a quanto previsto dalla legge delega, nell’ambito di una Commissione speciale istituita ad hoc dal Presidente del Consiglio di Stato, aperta alle più significative professionalità delle altre magistrature e delle classi accademica e forense. Il testo è stato in parte (significativa, ma non basilare) rielaborato d’intesa con il Ministro della economia e delle finanze, al precipuo fine di non introdurre istituti che, anche indirettamente o mediatamente ed in prospettiva temporale di medio periodo, potessero essere suscettibili di determinare incremento di oneri per la finanza pubblica, evidentemente insostenibili nell’attuale fase congiunturale.

Il Codice approvato oggi in via preliminare dal Consiglio dei Ministri sarà trasmesso alle competenti Commissioni parlamentari per il prescritto parere e, poiché dev’essere approvato in via definitiva entro il prossimo 4 luglio, se ne è prevista l’entrata in vigore dal 16 settembre 2010.

14 aprile Riforma Istruzione Adulti in 7a Camera

Il 14 aprile la settima Commissione della Camera torna ad esaminare lo Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante norme generali per la ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali

31 marzo Legge Lavoro reinviata alle Camere

Il Presidente della Repubblica ha chiesto alle Camere, a norma dell’art. 74, primo comma, della Costituzione, una nuova deliberazione in ordine alla legge: “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione degli enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche’ misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”, approvata definitivamente dal Senato, in quarta lettura, il 3 marzo 2010.

Di seguito il testo integrale del messaggio del Presidente Napolitano alle Camere:

Palazzo del Quirinale, 31/03/2010

“Onorevoli Parlamentari,

mi è stata sottoposta, per la promulgazione, la legge recante: “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”.

Il provvedimento, che nasce come stralcio di un disegno di legge collegato alla legge finanziaria 2009 (Camera n.1441-quater), ha avuto un travagliato iter parlamentare nel corso del quale il testo, che all’origine constava di 9 articoli e 39 commi e già interveniva in settori tra loro diversi, si è trasformato in una legge molto complessa, composta da 50 articoli e 140 commi riferiti alle materie più disparate.

Questa configurazione marcatamente eterogenea dell’atto normativo – che risulta, del resto, dallo stesso titolo sopra riportato – è resa ancora più evidente da una sia pur sintetica e parziale elencazione delle principali materie oggetto di disciplina: revisione della normativa in tema di lavori usuranti, riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, regolamentazione della Commissione per la vigilanza sul doping e la tutela della salute nelle attività sportive, misure contro il lavoro sommerso, disposizioni riguardanti i medici e professionisti sanitari extracomunitari, permessi per l’assistenza ai portatori di handicap, ispezioni nei luoghi di lavoro, indicatori di situazione economica equivalente, indennizzi per aziende in crisi, numerosi aspetti della disciplina del pubblico impiego (con conferimento di varie deleghe o il rinvio a successive disposizioni legislative), nonché una ampia riforma del codice di procedura civile per quanto attiene alle disposizioni in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro.

Ho già avuto altre volte occasione di sottolineare gli effetti negativi di questo modo di legiferare sulla conoscibilità e comprensibilità delle disposizioni, sulla organicità del sistema normativo e quindi sulla certezza del diritto; nonché sullo stesso svolgimento del procedimento legislativo, per la impossibilità di coinvolgere a pieno titolo nella fase istruttoria tutte le Commissioni parlamentari competenti per ciascuna delle materie interessate. Nel caso specifico l’esame referente si è concentrato alla Camera nella Commissione lavoro e al Senato nelle Commissioni affari costituzionali e lavoro, mentre, ad esempio, la Commissione giustizia di entrambi i rami del Parlamento ed anche la Commissione affari costituzionali della Camera sono intervenute esclusivamente in sede consultiva e non hanno potuto seguire l’esame in Assemblea nelle forme consentite dai rispettivi Regolamenti. Tali inconvenienti risultano ancora più gravi allorché si intervenga, come in questo caso, in modo novellistico su codici e leggi organiche.

Ciò premesso – con l’auspicio di una attenta riflessione sul modo in cui procedere nel futuro alla definizione di provvedimenti legislativi, specialmente se relativi a materie di particolare rilievo e complessità – sono indotto a chiedere alle Camere una nuova deliberazione sulla presente legge dalla particolare problematicità di alcune disposizioni che disciplinano temi di indubbia delicatezza sul piano sociale, attinenti alla tutela del diritto alla salute e di altri diritti dei lavoratori: temi sui quali – nell’esercizio del mio mandato – ho ritenuto di dover richiamare più volte l’attenzione delle istituzioni, delle parti sociali e dell’opinione pubblica.

Intendo qui riferirmi specificamente all’articolo 31 che modifica le disposizioni del codice di procedura civile in materia di conciliazione ed arbitrato nelle controversie individuali di lavoro e all’articolo 20 relativo alla responsabilità per le infezioni da amianto subite dal personale che presta la sua opera sul naviglio di Stato. Su di essi sottopongo alla vostra attenzione le considerazioni ed osservazioni che seguono.

1. L’articolo 31, nei primi nove commi, che ne costituiscono la parte più significativa, modifica in modo rilevante la sezione prima del capo primo del titolo quarto del libro secondo del codice di procedura civile, nella parte in cui reca le disposizioni sul tentativo di conciliazione e sull’arbitrato nelle controversie individuali di lavoro (artt. da 409 a 412-quater del codice di procedura civile), introducendo varie modalità di composizione delle controversie di lavoro alternative al ricorso al giudice. Apporta inoltre, negli ultimi sette commi, una serie di modifiche al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dirette a rafforzare le competenze delle commissioni di certificazione dei contratti di lavoro.

La introduzione nell’ordinamento di strumenti idonei a prevenire l’insorgere di controversie ed a semplificarne ed accelerarne le modalità di definizione può risultare certamente apprezzabile e merita di essere valutata con spirito aperto: ma occorre verificare attentamente che le relative disposizioni siano pienamente coerenti con i princìpi della volontarietà dell’arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole.

Entrambi questi princìpi sono stati costantemente affermati in numerose pronunce dalla Corte Costituzionale. La Corte infatti ha innanzi tutto dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme che prevedono il ricorso obbligatorio all’arbitrato, poiché solo la concorde volontà delle parti può consentire deroghe al fondamentale principio di statualità ed esclusività della giurisdizione (art. 102, primo comma, della Costituzione) e al diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (artt. 24 e 25 della Costituzione). Inoltre, con riferimento ai rapporti nei quali sussiste un evidente, marcato squilibrio di potere contrattuale tra le parti, la Corte ha riconosciuto la necessità di garantire la “effettiva” volontarietà delle negoziazioni e delle eventuali rinunce, ancora una volta con speciale riguardo ai rapporti di lavoro ed alla tutela dei diritti del lavoratore in sede giurisdizionale. Questa linea giurisprudenziale, ripresa e sviluppata dalla Corte di Cassazione, ha condotto a far decorrere la prescrizione dei crediti di lavoro nei rapporti privi della garanzia della stabilità dalla cessazione del rapporto. Ciò in analogia con quanto previsto dall’art. 2113 del Codice civile in ordine alla decorrenza del termine per l’impugnazione di rinunce e transazioni che abbiano avuto ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi (si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 63 del 1966, n. 143 del 1969, n. 174 del 1972, n. 127 del 1977, n. 488 del 1991, nn. 49, 206 e 232 del 1994, nn. 54 e 152 del 1996, n. 381 del 1997, n. 325 del 1998 e n. 221 del 2005).

Sulla base di tali indicazioni, non può non destare serie perplessità la previsione del comma 9 dell’art. 31, secondo cui la decisione di devolvere ad arbitri la definizione di eventuali controversie può essere assunta non solo in costanza di rapporto allorché insorga la controversia, ma anche nel momento della stipulazione del contratto, attraverso l’inserimento di apposita clausola compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro.

Del resto l’esigenza di verificare che la volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie sia “effettiva” risulta dalla stessa formulazione del comma 9, che affida tale accertamento agli organi di certificazione di cui all’art. 76 del citato decreto legislativo n. 276 del 2003. Garanzia che peraltro non appare sufficiente, perché tali organi – anche a prescindere dalle incertezze sull’ambito dei relativi poteri, che scontano più generali difficoltà di “acclimatamento” dell’istituto – non potrebbero che prendere atto della volontà dichiarata dal lavoratore, una volta che sia stata confermata in una fase che è pur sempre costitutiva del rapporto e nella quale permane pertanto una ovvia condizione di debolezza.

Ulteriori motivi di perplessità discendono dalla circostanza che, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 412 del codice di procedura civile contenuta nel comma 5 dell’art. 31 (disposizione espressamente richiamata dal comma 9 dello stesso articolo) la clausola compromissoria può ricomprendere anche la “richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento”.

Come è noto, nell’arbitrato di equità la controversia può essere risolta in deroga alle disposizioni di legge: si incide in tal modo sulla stessa disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, rendendola estremamente flessibile anche al livello del rapporto individuale. Né può costituire garanzia sufficiente il generico richiamo del rispetto dei principi generali dell’ordinamento, che non appare come tale idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di diritti indisponibili, al di là di quelli costituzionalmente garantiti; e comunque un aspetto così delicato non può essere affidato a contrastanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, suscettibili di alimentare contenziosi che la legge si propone invece di evitare. Perplessità ulteriori suscita la estensione della possibilità di ricorrere a tale tipo di arbitrato anche in materia di pubblico impiego: in tal caso è particolarmente evidente la necessità di chiarire se ed a quali norme si possa derogare senza ledere i princìpi di buon andamento, trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 97 della Costituzione.

Del resto un arbitrato di equità può svolgere un ruolo apprezzabile ed utile solo a patto di muoversi all’interno di uno spazio significativo ma circoscritto in limiti certi e condivisi. In sostanza l’obiettivo che si intende perseguire è quello di una incisiva modifica della disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, che si è finora prevalentemente basata su normative inderogabili o comunque disponibili esclusivamente in sede di contrattazione collettiva. E in effetti l’esigenza di una maggiore flessibilità risponde a sollecitazioni da tempo provenienti dal mondo dell’imprenditoria, alle quali le organizzazioni sindacali hanno mostrato responsabile attenzione guardando anche alla competitività del sistema produttivo nel mercato globale. Si tratta pertanto di un intendimento riformatore certamente percorribile, ma che deve essere esplicitato e precisato, non potendo essere semplicemente presupposto o affidato in misura largamente prevalente a meccanismi di conciliazione e risoluzione equitativa delle controversie, assecondando una discutibile linea di intervento legislativo – basato sugli istituti processuali piuttosto e prima che su quelli sostanziali – di cui l’esperienza applicativa mostra tutti i limiti.

Il problema che si pone è dunque quello di definire – nelle sedi dovute e in primo luogo nel Parlamento – in modo puntuale modalità, tempi e limiti che rendano il ricorso all’arbitrato – nell’ambito del rapporto di lavoro – coerente con la necessità di garantire l’effettiva volontarietà della clausola compromissoria e una adeguata tutela dei diritti più rilevanti del lavoratore (da quelli costituzionalmente garantiti agli altri che si ritengano ugualmente non negoziabili). Si tratta cioè di procedere ad adeguamenti normativi che vanno al di là della questione, pur rilevante, delle garanzie apprestate nei confronti del licenziamento dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori.

A quest’ultimo proposito lo scorso 11 marzo la maggior parte delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese si è impegnata a definire accordi interconfederali che escludano l’inserimento nella clausola compromissoria delle controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro ed il Ministro del lavoro e delle politiche sociali si è a sua volta impegnato a conformarsi a tale orientamento negli atti di propria competenza. Ma pur apprezzando il significato e il valore di tali impegni, decisivo resta il tema di un attento equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale. Solo il legislatore può e deve stabilire le condizioni perché possa considerarsi “effettiva” la volontà delle parti di ricorrere all’arbitrato; e solo esso può e deve stabilire quali siano i diritti del lavoratore da tutelare con norme imperative di legge e quali normative invece demandare alla contrattazione collettiva. A quest’ultima, nei diversi livelli in cui si articola, può inoltre utilmente affidarsi la chiara individuazione di spazi di regolamentazione integrativa o in deroga per negoziazioni individuali adeguatamente assistite così come per la definizione equitativa delle controversie che insorgano in tali ambiti.

Si avvierebbe in tal modo un processo concertato, ed insieme ispirato ad un opportuno gradualismo, attraverso il quale ripristinare quella certezza del diritto che è condizione essenziale nella disciplina dei rapporti di lavoro per garantire una efficace tutela del contraente debole e una effettiva riduzione del contenzioso in un contesto generale di serena evoluzione delle relazioni sindacali.

Non sembra invece coerente con i princìpi generali dell’ordinamento e con la stessa impostazione del comma 9 in esame, che consente di pattuire clausole compromissorie solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro, il prevedere un intervento suppletivo del Ministro – di cui tra l’altro non si stabilisce espressamente la natura regolamentare né si delimitano i contenuti – che dovrebbe consentire comunque, anche in assenza dei predetti accordi, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge tale possibilità, stabilendone le modalità di attuazione e di piena operatività: suscita infatti serie perplessità una così ampia delegificazione con modalità che non risultano in linea con le previsioni dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Al di là delle osservazioni fin qui svolte a proposito dell’articolo 31, è da sottolineare l’opportunità di una riflessione anche su disposizioni in qualche modo connesse – presenti negli articoli 30, 32 e 50 – che riguardano gli stessi giudizi in corso e che oltretutto rischiano, così come sono formulate, di prestarsi a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi.

2. Secondo l’articolo 20 della legge, l’articolo 2, lettera b), della legge 12 febbraio 1955, n. 51, recante delega al Governo per l’emanazione di norme per l’igiene del lavoro, si interpreta nel senso che l’applicazione della legge delega è esclusa non soltanto – come espressamente recita la lettera b) dell’articolo 2 – per “il lavoro a bordo delle navi mercantili e a bordo degli aeromobili”, ma anche per “il lavoro a bordo del naviglio di Stato, fatto salvo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno eventualmente subito”.

Dai lavori parlamentari emerge che con detto articolo 20 si è inteso evitare che alle morti o alle lesioni subite dal personale imbarcato su navigli militari e cagionate dal contatto con l’amianto, possano continuare ad applicarsi – come invece sta accadendo in procedimenti attualmente pendenti davanti ad autorità giudiziarie – le sanzioni penali stabilite dal DPR 19 marzo 1956, n. 303, che disciplina l’applicazione di tali sanzioni, escludendole unicamente nei casi di morti o lesioni subite da personale imbarcato su navi mercantili.

Si ricorda altresì che in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro, oggi disciplinata dal decreto legislativo n. 81 del 2008, sono previste sanzioni per la inosservanza delle norme in tema di protezione dai rischi per esposizione ad amianto in tutti i settori di attività, pubblici e privati, sia pure con i necessari adattamenti, con riguardo in particolare alle forze armate, peraltro non ancora definiti.

Al di là degli aspetti strettamente di merito, occorre rilevare innanzitutto che l’articolo 20 in esame non esplicita alcuno dei possibili significati dell’articolo 2, lettera b), della legge del 1955 e quindi non interpreta ma apporta a tale disposizione una evidente modificazione integrativa. La norma incide, inoltre, su una legge delega che ha già esaurito la sua funzione dopo l’adozione del DPR attuativo n. 303 del 1956, senza invece intervenire su di esso, risultando di fatto inapplicabile e priva di effetti.

L’articolo 20 presenta inoltre profili problematici anche nella parte – in sé largamente condivisibile – che riguarda la “salvezza” del diritto del lavoratore al risarcimento dei danni eventualmente subiti. In assenza di disposizioni specifiche – non rinvenibili nella legge – che pongano a carico dello Stato un obbligo di indennizzo, il risarcimento del danno ingiusto è possibile esclusivamente in presenza di un “fatto doloso o colposo” addebitabile a un soggetto individuato (art. 2043 del codice civile). Qualora la efficacia della norma generatrice di responsabilità sia fatta cessare, con la conseguente non punibilità delle lesioni o delle morti cagionate su navigli di Stato, non è infatti più possibile individuare il soggetto giuridicamente obbligato e configurare ipotesi di “dolo o colpa” nella determinazione del danno.

Per conseguire in modo da un lato tecnicamente corretto ed efficace, e dall’altro non esposto a possibili censure di illegittimità costituzionale, le finalità che la disposizione in esame si propone, appare quindi necessario escludere la responsabilità penale attualmente prevista per i soggetti responsabili di alcune categorie di navigli, in linea del resto con gli adattamenti previsti dal citato testo unico n. 81 del 2008, e prevedere, come già accade per altre infermità conseguenti ad attività di servizio, un autonomo titolo per la corresponsione di indennizzi per i danni arrecati alla salute dei lavoratori.

Per i motivi innanzi illustrati, chiedo alle Camere – a norma dell’articolo 74, primo comma, della Costituzione – una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 3 marzo 2010″.

3 marzo Obbligo a 15 anni

Il 3 marzo 2010 il Senato, in quarta lettura, con 151 voti favorevoli, 83 contrari e 5 astenuti, approva definitivamente il disegno di legge S 1167-B sul lavoro.

Il nuovo testo prevede, all’art. 48, comma 8, che “fermo restando quanto stabilito dall’articolo 48 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ivi compresa la necessaria intesa tra regioni, Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le parti sociali, prevista dal comma 4 del citato articolo 48, l’obbligo di istruzione di cui all’articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, si assolve anche nei percorsi di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione di cui al predetto articolo 48.”

Disegno di Legge AS 1167-B

Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche’ misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Approvato definitivamente da Senato in un testo risultante dallo stralcio, deliberato dalla Camera dei deputati, degli articoli 23, 24, 32, da 37 a 39 e da 65 a 67, del disegno di legge n. 1441 d’iniziativa governativa, modificato dal Senato e nuovamente modificato dalla Camera dei deputati)

31 dicembre Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica

Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

(Palazzo del Quirinale, 31/12/2009) “Buona sera a voi che siete in ascolto.

Nel rivolgervi, mentre sta per concludersi il 2009, il più cordiale e affettuoso augurio, vorrei provarmi a condividere con voi qualche riflessione sul difficile periodo che abbiamo vissuto e su quel che ci attende. Un anno fa, molto forte era la nostra preoccupazione per la crisi finanziaria ed economica da cui tutto il mondo era stato investito. La questione non riguardava solo l’Italia, ma avevamo motivi particolari di inquietudine per il nostro paese.

Oggi, a un anno di distanza, possiamo dire che un grande sforzo è stato compiuto e che risultati importanti sono stati raggiunti al livello mondiale: non era mai accaduto nel passato, in situazioni simili, che i rappresentanti degli Stati più importanti, di tutti i continenti, si incontrassero così di frequente, discutessero e lavorassero insieme per cercare delle vie d’uscita nel comune interesse, e per concordare le decisioni necessarie. Proprio questo è invece accaduto nel corso dell’ultimo anno. L’Italia – sempre restando ancorata all’Europa – ha dato il suo apprezzato contributo, con il grande incontro del luglio scorso a L’Aquila, e ha per suo conto compiuto un serio sforzo.

Dico questo, vedete, guardando a quel che si è mosso nel profondo del nostro paese. Perché, lo so bene, abbiamo vissuto mesi molto agitati sul piano politico, ma ciò non deve impedirci di vedere come si sia operato in concreto da parte di tutte le istituzioni, realizzandosi, nonostante i forti contrasti, anche momenti di impegno comune e di positiva convergenza. Nello stesso tempo, nel tessuto più ampio e profondo della società si è reagito alla crisi con intelligenza, duttilità, senso di responsabilità, da parte delle imprese, delle famiglie, del mondo del lavoro.

Perciò guardiamo con fiducia, con più fiducia del 31 dicembre scorso, al nuovo anno.

Non posso tuttavia fare a meno di parlare del prezzo che da noi, in Italia, si è pagato alla crisi e di quello che ancora si rischia di pagare, specialmente in termini sociali e umani.C’è stata una pesante caduta della produzione e dei consumi ; ce ne stiamo sollevando; si è confermata la vocazione e intraprendenza industriale dell’Italia; ma ci sono state aziende, soprattutto piccole e medie imprese, che hanno subito colpi non lievi; e a rischio, nel 2010, è soprattutto l’occupazione. Si è fatto non poco per salvaguardare il capitale umano, per mantenere al lavoro forze preziose anche nelle aziende in difficoltà, e si è allargata la rete delle misure di protezione e di sostegno; ma hanno pagato, in centinaia di migliaia, i lavoratori a tempo determinato i cui contratti non sono stati rinnovati e le cui tutele sono rimaste deboli o inesistenti; e indubbia è oggi la tendenza a un aumento della disoccupazione, soprattutto di quella giovanile.

Vengono così in primo piano antiche contraddizioni, caratteristiche dell’economia e della società italiana. Dissi da questi schermi un anno fa: affrontiamo la crisi come grande prova e occasione per aprire al Paese nuove prospettive di sviluppo, facendo i conti con le insufficienze e i problemi che ci portiamo dietro da troppo tempo – dalla crisi deve e può uscire un’Italia più giusta. Ebbene, questo è il discorso che resta ancora interamente aperto, questo è l’impegno di fondo che dobbiamo assumere insieme noi italiani.

Ma come riuscirvi? Guardando con coraggio alla realtà nei suoi aspetti più critici, ponendo mano a quelle riforme e a quelle scelte che non possono più essere rinviate, e facendoci guidare da grandi valori: solidarietà umana, coesione sociale, unità nazionale.

Parto dalla realtà delle famiglie che hanno avuto maggiori problemi: le coppie con più figli minori, le famiglie con anziani, le famiglie in cui solo una persona è occupata ed è un operaio. Le indagini condotte anche in Parlamento ci dicono che nel confronto internazionale elevato è in Italia il livello della disuguaglianza e della povertà. Le retribuzioni dei lavoratori dipendenti hanno continuato ad essere penalizzate da un’alta pressione fiscale e contributiva; più basso è il reddito delle famiglie in cui ci sono occupati in impieghi “atipici”, comunque temporanei.

Le condizioni più critiche si riscontrano nel Mezzogiorno e tra i giovani. Sono queste le questioni che richiedono di essere poste al centro dell’attenzione politica e sociale, e quindi dell’azione pubblica. L’economia italiana deve crescere di più e meglio che negli ultimi quindici anni: ecco il nostro obbiettivo fondamentale. E perché cresca in modo più sostenuto l’Italia, deve crescere il Mezzogiorno, molto più fortemente il Mezzogiorno. Solo così, crescendo tutta insieme l’Italia, si può dare una risposta ai giovani che s’interrogano sul loro futuro.

C’è una cosa che non ci possiamo permettere: correre il rischio che i giovani si scoraggino, non vedano la possibilità di realizzarsi, di avere un’occupazione e una vita degna nel loro, nel nostro paese. Ci sono nelle nuove generazioni riserve magnifiche di energia, di talento, di volontà : ci credo non retoricamente, ma perché ho visto di persona come si manifestino in concreto quando se ne creino le condizioni.

Ho visto la motivazione, ho visto la passione di giovani, tra i quali molte donne, che quest’anno mi è accaduto di incontrare nei laboratori di ricerca; la motivazione e l’orgoglio dei giovani specializzati che sono il punto di forza di aziende di alta tecnologia ; la passione e l’impegno che si esprimono nelle giovani orchestre concepite e guidate da generosi maestri. E penso alla motivazione e alla qualità dei giovani che si preparano alle selezioni più difficili per entrare in carriere pubbliche come la magistratura. Certo, sono queste le energie giovanili che hanno potuto prendere le strade migliori ; e tante sono purtroppo quelle che ancora si dibattono in una ricerca vana. Ma ho fiducia nell’insieme delle nuove generazioni che stanno crescendo ; a tutti i giovani la società e i poteri pubblici debbono dare delle occasioni, e in primo luogo debbono garantire l’opportunità decisiva di formarsi grazie a un sistema di istruzione più moderno ed efficiente, capace di far emergere i talenti e di premiare il merito.

Più crescita, più sviluppo nel Mezzogiorno, più futuro per i giovani, più equità sociale. Sappiamo che a tal fine ci sono riforme e scelte da non rinviare : proprio negli scorsi giorni il governo ne ha annunciato due su temi molto impegnativi, la riforma degli ammortizzatori sociali e la riforma fiscale. La prima è chiamata in particolare a dare finalmente risposte di sicurezza e tutela a coloro che lavorano in condizioni di estrema flessibilità e precarietà. La riforma annunciata per il fisco, è poi assolutamente cruciale; in quel campo, è vero, non si può più procedere con “rattoppi”, vanno presentate e dibattute un’analisi e una proposta d’insieme. E in quel dibattito si misurerà anche una rinnovata presa di coscienza del problema durissimo del debito dello Stato. Intanto, il Parlamento si è impegnato a riordinare la finanza pubblica con la legge sul federalismo fiscale e a regolarla con un nuovo sistema di leggi e procedure di bilancio. Due riforme già votate, su cui il Parlamento è stato largamente unito.

E vengo alle riforme istituzionali, e alla riforma della giustizia, delle quali tanto si parla. Ho detto più volte quale sia il mio pensiero; sulla base di valutazioni ispirate solo all’interesse generale, ho sostenuto che anche queste riforme non possono essere ancora tenute in sospeso, perché da esse dipende un più efficace funzionamento dello Stato al servizio dei cittadini e dello sviluppo del paese. Esse dunque non sono seconde alle riforme economiche e sociali e non possono essere bloccate da un clima di sospetto tra le forze politiche, e da opposte pregiudiziali. La Costituzione può essere rivista – come d’altronde si propone da diverse sponde politiche – nella sua Seconda Parte. Può essere modificata, secondo le procedure che essa stessa prevede. L’essenziale è che – in un rinnovato ancoraggio a quei principi che sono la base del nostro stare insieme come nazione – siano sempre garantiti equilibri fondamentali tra governo e Parlamento, tra potere esecutivo, potere legislativo e istituzioni di garanzia, e che ci siano regole in cui debbano riconoscersi gli schieramenti sia di governo sia di opposizione.

Ho consigliato misura, realismo e ricerca dell’intesa, per giungere a una condivisione quanto più larga possibile, come ha di recente e concordemente suggerito anche il Senato. Voglio esprimere fiducia che in questo senso si andrà avanti, che non ci si bloccherà in sterili recriminazioni e contrapposizioni.

Il nuovo slancio di cui ha bisogno l’Italia, per andare oltre la crisi, verso un futuro più sicuro, richiede riforme, richiede convinzione e partecipazione diffuse in tutte le sfere sociali, richiede recupero di valori condivisi. Valori di solidarietà: e il paese, in effetti, se ne è mostrato ricco in quest’anno segnato da eventi tragici e dolorosi, da ultimo sconvolgenti alluvioni. Se ne è mostrato ricco stringendosi con animo fraterno alle popolazioni dell’Aquila e dell’Abruzzo colpite dal terremoto, o raccogliendosi commosso attorno alle famiglie dei caduti in Afganistan, e come sempre impegnandosi generosamente in molte buone cause, quelle del volontariato, della fattiva e affettuosa vicinanza ai portatori di handicap, ai più poveri, agli anziani soli, e del sostegno alla lotta contro le malattie più insidiose di cui soffrono anche tanti bambini.

E’ necessario essere vicini a tutte le realtà in cui si soffre anche perché ci si sente privati di diritti elementari : penso ai detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca.

Solidarietà significa anche comprensione e accoglienza verso gli stranieri che vengono in Italia, nei modi e nei limiti stabiliti, per svolgere un onesto lavoro o per trovare rifugio da guerre e da persecuzioni: le politiche volte ad affermare la legalità, e a garantire la sicurezza, pur nella loro severità, non possono far abbassare la guardia contro razzismo e xenofobia, non possono essere fraintese e prese a pretesto da chi nega ogni spirito di accoglienza con odiose preclusioni. Anche su questo versante va tutelata la coesione, e la qualità civile, della società italiana.

Qualità civile, qualità della vita: aspetti, questi, da considerare essenziali per valutare la condizione di una società, il benessere e il progresso umano. Contano sempre di più fattori non solo di ordine materiale ma di ordine morale, che danno senso alla vita delle persone e della collettività e ne costituiscono il tessuto connettivo.

E’ necessario che si riscoprano e si riaffermino valori troppo largamente ignorati e negati negli ultimi tempi. Più rispetto dei propri doveri verso la comunità, più sobrietà negli stili di vita, più attenzione e fraternità nei rapporti con gli altri, rifiuto intransigente della violenza e di ogni altra suggestione fatale che si insinua tra i giovani.

Considero importante il fatto che nel richiamo alla solidarietà e ai valori morali incontriamo la voce e l’impegno di religiosi e di laici, della Chiesa e del mondo cattolico. Così come nel discorso su una nuova concezione dello sviluppo – che tenga conto delle lezioni della crisi recente e dell’allarme per il clima e per l’ambiente – ritroviamo l’ispirazione e il pensiero del Pontefice. Vedo egualmente sentita da quel mondo l’esigenza dell’unità della nazione italiana.

In realtà, non è vero che il nostro paese sia diviso su tutto : esso è più unito di quanto appaia se si guarda solo alle tensioni della politica. Tensioni che è mio dovere sforzarmi di attenuare. E’ uno sforzo che mi auguro possa dare dei frutti, come è sembrato dinanzi a un episodio grave, quello dell’aggressione al Presidente del Consiglio: si dovrebbero ormai, da parte di tutti, contenere anche nel linguaggio pericolose esasperazioni polemiche, si dovrebbe contribuire a un ritorno di lucidità e di misura nel confronto politico.

Io posso assicurarvi che sono deciso a perseverare nel mio impegno per una maggiore unità della nazione: un impegno che richiede ancora tempo e pazienza, ma da cui non desisterò.

Anche perché nulla è per me come Presidente di tutti gli italiani più confortante che contribuire alla serenità di tutti voi. Mi hanno toccato le parole del comandante di un contingente dei nostri cari militari impegnati in missioni all’estero. Mi ha detto – dieci giorni fa in videoconferenza per gli auguri di Natale – che lui e i suoi “ragazzi” traggono serenità dai miei messaggi quando gli giungono attraverso la televisione.

Sì, hanno bisogno di maggiore serenità tutti i cittadini in tempi difficili come quelli attuali, lavoratori, disoccupati, giovani alle prese con problemi assillanti, quanti sono all’opera per rilanciare la nostra economia, e quanti servono con scrupolo lo Stato, in particolare le forze armate chiamate a tutelare la pace e la stabilità internazionale, o le forze dell’ordine che combattono con crescente successo le organizzazioni criminali.

E a questo bisogno debbono corrispondere tutti coloro che hanno responsabilità elevate nella politica e nella società.

Serenità e speranza sento di potervi trasmettere oggi. Speranza guardando all’Italia che ha mostrato di volere e saper reagire alle difficoltà. Speranza guardando al mondo, per quanto turbato e sconvolto da conflitti e minacce, tra le quali si rinnova, sempre inquietante, quella del terrorismo. Speranza perché nuove luci per il nostro comune futuro sono venute dall’America e dal suo giovane Presidente, sono venute da tutti i paesi che si sono impegnati in un grande processo di cooperazione e riconciliazione, sono venute dalla nostra Europa, che ha scelto di rafforzare, con nuove istituzioni, la sua unità e rilanciare il suo ruolo, offrendo l’esempio della nostra pace nella libertà.

Questo è il mio messaggio e il mio augurio per il 2010, a voi italiane e italiani di ogni generazione e provenienza che salutate il nuovo anno con coloro che vi sono cari o lo salutate lontano dall’Italia ma con l’Italia nel cuore.

Ancora buon anno a tutti”.

17 dicembre Consiglio dei Ministri

Il Consiglio dei Ministri, riunitosi alle ore 9,55 a Palazzo Chigi, ha autorizzato il ministro dell’Istruzione all’assunzione di 647 dirigenti scolastici, 8000 unita’ di personale docente, 8000 unita’ di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola e 70 unita’ di personale docente presso le Accademie ed i Conservatori di musica.

Di seguito un estratto del comunicato stampa:

(…) Il Ministro dell’interno, Roberto Maroni, ha illustrato al Consiglio i contenuti di un disegno di legge che prevede disposizioni di contrasto alla diffusione di reati attraverso internet, con l’obiettivo di rimuovere dal web eventuali contenuti illeciti. A questo proposito il disegno di legge disporra’ la costituzione, presso il Ministero dello sviluppo economico, di un gruppo di lavoro a cui parteciperanno rappresentanti dei fornitori di connettivita’ e di servizi internet per elaborare un codice di autoregolamentazione teso ad evitare che contenuti illeciti vengano pubblicati su internet. Il provvedimento prevede anche disposizioni tese a modificare la disciplina in materia di riunioni pubbliche. L’esame del disegno di legge proseguira’ nella prossima seduta del Consiglio.

Il Consiglio ha poi approvato i seguenti provvedimenti:

su proposta del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi:

(… ) 2. un decreto-legge che proroga alcuni termini previsti da disposizioni legislative. Di particolare importanza la proroga al 30 aprile 2010 dello scudo fiscale; dal 1° gennaio e fino al 28 febbraio 2010 l’aliquota fiscale per aderire allo “scudo” viene portata al 6%, mentre per i mesi di marzo e aprile è del 7%.

Tra gli altri, per settori, vengono prorogati:

(…) università e ricerca: al 31 dicembre 2010 le disposizioni in materia di reclutamento dei ricercatori universitari;al 30 settembre 2010 il Consiglio nazionale per l’alta formazione artistica, musicale e coreutica;

(…) su proposta del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini:

– un decreto legislativo che riordina la disciplina relativa agli statuti e agli organi degli enti di ricerca vigilati dal Ministero, al fine di promuovere il sostegno, il rilancio, la razionalizzazione delle attività nel settore della ricerca. Agli enti viene attribuita autonomia statutaria e capacità di articolare le proprie missioni nell’ambito del Piano nazionale di ricerca e degli obiettivi strategici fissati dal Ministro e dall’Unione europea. Previsto anche il riconoscimento e la valorizzazione di meriti eccezionali. Particolari disposizioni riguardano il Consiglio nazionale delle ricerche, l’Agenzia spaziale italiana, l’Istituto nazionale di fisica per il settore ricerca, l’INVALSI per il settore istruzione. Il provvedimento ha ricevuto il parere favorevole delle Commissioni parlamentari;

(…) su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini:

– un regolamento che disciplina la struttura, l’organizzazione ed il funzionamento dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, istituto con personalità giuridica pubblica, con sede in Roma, dotato di autonomia amministrative e contabile e vigilato dal Ministero, che sovrintende al sistema pubblico nazionale di valutazione della qualità delle università e degli enti di ricerca, assicurando la coerenza con le migliori prassi internazionali. Le Commissioni parlamentari ed il Consiglio di Stato hanno espresso parere sul provvedimento;

– tre schemi di regolamento per il riordino dell’Ente nazionale di assistenza magistrale- ENAM, dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione INVALSI, nonché dell’ Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica- ANSAS, della quale viene approvato contestualmente lo statuto (l’Agenzia ha sede in Firenze ed opera in raccordo con gli uffici scolastici regionali in campo di ricerca educativa, formazione e aggiornamento del personale della scuola, attivazione di servizi di documentazione, partecipazione ad iniziative internazionali),. Sui tre schemi saranno acquisiti i pareri prescritti;

(…) su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta:

– un decreto legislativo che, in attuazione di specifica delega conferita al Governo, introduce nell’ordinamento il nuovo istituto del ricorso per l’efficienza delle Amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici e ne detta la disciplina processuale, colmando così una lacuna nel nostro ordinamento. L’organizzazione della pubblica amministrazione infatti, così come si è definita negli anni, non ha consentito una verifica dei risultati raggiunti attraverso un confronto con i cittadini fruitori dei servizi. Con l’obiettivo del recupero di efficienza dell’apparato pubblico, il provvedimento avvicina la pubblica amministrazione alle esigenze, alle richieste e ai bisogni dei cittadini; inoltre, da un punto di vista economico, mira ad un forte recupero di produttività, fattore non secondario ai fini del superamento della crisi finanziaria ed economica. Il provvedimento garantisce la tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle Amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard di riferimento, prevedendo una tipologia di ricorsi diversa dall’azione collettiva introdotta nel nostro ordinamento dalla legge finanziaria per il 2008, che riguarda le lesioni dei diritti di consumatori e utenti in ambito contrattuale e per certi ambiti extracontrattuale, ma non il rapporto tra cittadini e pubbliche amministrazioni o concessionari in relazione alla natura pubblica del servizio erogato. Sul provvedimento è stata acquisita l’intesa in sede di Conferenza unificata ed i pareri delle Commissioni parlamentari;

(…) Su proposta del Ministro della pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta, e del Ministro dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti, il Consiglio ha autorizzato il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ad assumere 647 dirigenti scolastici, 8000 unità di personale docente, 8000 unità di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola e 70 unità di personale docente presso le Accademie ed i Conservatori di musica.

(…) La seduta ha avuto termine alle ore 12,15.