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Diario d’Esame 2012-2013

Diario d’Esame 2012-2013XV edizione *
Una guida, passo per passo, al lavoro delle Commissioni

a cura di Dario Cillo

* in Notizie della Scuola, n. 17/18, Napoli, Tecnodid, maggio 2013

P. D’Acunto, Temi platonici ed educazione estetica

dacuntoPietro D’Acunto, Temi platonici ed educazione estetica, Salerno, Edisud, 1993

a cura di Umberto Tenuta

 

L’ex Ispettore tecnico del Ministero della PI, Prof. Pietro D’Acunto, già collaboratore della Cattedra di Pedagogia dell’Università di Salerno ed autore, oltre che di vari saggi, del volume Espressione e comunicazione visiva, Morano Editore, Napoli, 1991, ha pubblicato anche un altro importante volume dal titolo: Pietro D’Acunto Temi platonici ed educazione estetica, Salerno, Edisud, 1993.

La digitalizzazione del volume da parte dell’UNIVERSITà DELLA VIRGINIA induce a riconsiderare l’opera, dopo l’ampia ed approfondita recensione che ne è stata fatta nel numero 4/1994 della RIVISTA DELL’ISTRUZIONE, Maggioli Editore, Rimini.

Come si legge nella Quarta di copertina del predetto volume, Pietro D’Acunto  <<tenta di esaminare il ruolo della dimensione estetica nella formazione dell’uomo, in un momento in cui le forme e i canali di comuni­cazione si sono ampliati e i messaggi provengono per molteplici vie. La parte storica serve ad illuminare taluni nodi centrali dell’estetica contemporanea, risa­lendo ed investigando nel pensiero antico e moderno, in primo luogo in quello di Platone. L’ampiezza dei temi esaminati si presta a feconde riflessioni sulla funzione for­mativa del bello e dell’arte>>.

Il valore scientifico dell’opera era stato riconosciuto anche dal Prof. Aniello Montano, il quale così scriveva all’Autore:

<<Gentilissimo Ispettore,

ho ricevuto il suo bel libro su Temi platonici ed educazione estetica. Desidero ringraziarla del dono e, soprattutto, desidero complimentarmi con Lei per la qualità del Suo lavoro. Sono rimasto letteralmente affascinato dalla eleganza con la quale è riuscito a dar conto di alcune estetiche antiche a partire da temi e problemi delle estetiche contemporanee e a meglio illuminare alcune spinose questioni relative a queste ultime e al ruolo da esse svolto nella educazione e formazione dell’uomo con ampi, precisi e calzanti riferimenti ad estetiche antiche e moderne. Un uso così naturale e sciolto di autori e testi antichi in un tessuto ricostruttivo e argomentativo tutto sotto il segno della modernità è chiaro indice di una sicura padronanza dei testi citati e della fruttuosa possibilità di un loro riutilizzo nel presente.

Nel Suo discorso, inoltre, si lascia molto apprezzare lo sforzo inteso a fornire una fondazione storica e teoretica a questioni, anche tecniche, della pedagogia contemporanea. Si nota con piacere che la pedagogia di ispirazione filosofica ha ancora buoni cultori e appassionati indagatori. Una pedagogia sganciata dai presupposti filosofici rischierebbe di ridursi ad una sorta di tecnicismo non so quanto produttivo per la formazione di uomini consapevoli e creativi.

Complimenti, dunque, per il Suo lavoro e per il modo in cui alimenta la Sua professionalità di Ispettore che si propone a Presidi e ad insegnanti quale guida intelligente e colta e non semplicemente come un tecnico, specialista nella lettura, nel commento e nella applicazione dei contenuti di leggi e circolari.

Ancora grazie per la gentilezza usatami e auguri di vero cuore.

Con la più viva cordialità del Suo Aniello Montano>>.

 

Pietro D’acunto, con questi due volumi e con gli altri saggi pubblicati, offre ai lettori preziose ed approfondite considerazione sulla educazione estetica, che si offrono quali validi contributi agli studiosi ed anche ai docenti di ogni ordine e grado di scuola.

Il TAR Lazio riconosce il diritto alla cittadinanza italiana delle persone con disabilità intellettiva

Il TAR Lazio riconosce il diritto alla cittadinanza italiana delle persone con disabilità intellettiva (TAR Lazio 5568/13)

di Salvatore Nocera

Dopo il caso di una persona con sindrome di Down nata Italia da madre straniera cui era stato negato il diritto alla cittadinanza, poi risolto politicamente grazie all’intervento dell’AIPD, nello stesso giugno 2013 è stata depositata l’importante sentenza del TAR Lazio n° 5568/13 con la quale viene annullato per difetto di istruttoria il Decreto del Ministero dell’Interno che negava il diritto alla cittadinanza Italiana di una persona con disabilità intellettiva nata in Italia da genitori stranieri.

 

Il caso è assai interessante perché complesso. Infatti la persona interessata aveva l’amministratore di sostegno, il quale ha personalmente presentato la richiesta di cittadinanza.

Il TAR ha rigettato le obiezioni del Ministero circa la necessità che le istanze debbano essere personalmente sottoscritte dai richiedenti. Il TAR, basandosi sulla L. n° 6/06 sull’amministrazione di sostegno, ha ritenuto che l’amministratore di sostegno avesse il potere di sottoscrivere per l’interessato, il quale comunque non aveva perduto la capacità di agire a differenza dell’ipotesi in cui fosse stato interdetto.

 

Superato il primo scoglio il TAR ha affrontato nel merito il divieto posto dal Ministero dell’Interno alla concessione di cittadinanza Italiana, secondo il quale l’impossibilità di esprimersi verbalmente costituisce impedimento alla concessione della stessa poichè la normativa prevede che l’interessato debba dimostrare di conoscere la lingua Italiana e debba esprimere personalmente a voce il giuramento di fedeltà alla Repubblica.

 

Sul primo aspetto così si esprime il TAR:

“Ritiene il collegio che la carenza del linguaggio verbale non può essere motivo per ritenere una persona incapace di manifestare la propria volontà né per sostenere che essa non possa in altro modo dimostrare di quanto meno comprendere la lingua italiana.

Infatti, la capacità della XXXXXXXX di comprendere la lingua italiana, pur senza sapersi esprimere, può – con le opportune cautele e gli adeguati strumenti – essere valutata, con l’ausilio di personale specializzato, ad esempio rivolgendole semplici ordini e verificando se essi vengono eseguiti, o comunque osservando le sue reazioni alle frasi che si pronunciano in lingua italiana.”

 

E così il TAR si esprime sul secondo aspetto:

“Più arduo è invece certamente il procedimento di accertamento della volontà della disabile di diventare cittadina italiana alla luce delle sue limitazioni espressive e cognitive. Anche in questo caso, tuttavia, prima di giungere alla conclusione della impossibilità per la disabile di manifestare una tale volontà, l’amministrazione avrebbe dovuto valutare in concreto, all’esito di un accertamento approfondito e condotto con l’ausilio di personale specializzato, se una tale impossibilità effettivamente sussista, pur non essendo stata la disabile privata giuridicamente della capacità di agire. Nell’ambito di tali accertamenti potranno, eventualmente, essere presi in esame anche elementi indiziari, quali la permanenza in Italia, la comprensione della lingua e della cultura italiana, lo stile di vita, ecc.

Non risulta, invece, che tale istruttoria sia stata effettuata in quanto l’amministrazione – come si è detto – si è limitata al dato della impossibilità della disabile di sottoscrivere l’istanza e di esprimersi nella lingua italiana.”

 

 

OSSERVAZIONI

 

La Sentenza si fonda sul rispetto della Dichiarazione ONU dei diritti delle persone con ritardo mentale del 1971, la Dichiarazione ONU dei diritti delle persone con disabilità del 1975, gli art. 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea di Nizza resa vincolante dal Trattato di Lisbona del 2009, la L. n° 67/06 sulla non discriminazione delle persone con disabilità, nonché  l’art. 18 della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006, ratificata dall’Italia con la L. n° 18/09 secondo il quale:

“1. Gli Stati Parti riconoscono alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, il diritto alla libertà di movimento, alla libertà di scelta della propria residenza e il diritto alla cittadinanza, anche assicurando che le persone con disabilità:

(a) abbiano il diritto di acquisire e cambiare la cittadinanza e non siano private della cittadinanza arbitrariamente o a causa della loro disabilità”.

 

La Sentenza costituisce un’importante precedente, non solo per le successive pronunce della magistratura, ma anche per orientare la prassi del Ministero dell’Interno e delle Questure.

Si dà atto allo Studio Amoroso-Cardona  per l’importante risultato innovativo ottenuto.

Il dibattito sui BES

RECENTE NORMATIVA SUI BES: ECCESSIVA VISIONE CATASTROFICA E SOLUZIONI PALINGENETICHE

DI SALVATORE NOCERA Vicepresidente nazionale della F I S H

            Ho letto l’articolo pubblicato da Carlo Scataglini il 3 giugno su L N, nel quale facendo il punto sull’ampio dibattito in atto sulla recente normativa sui BES, schematicamente e lucidamente formula in tre punti un’analisi positiva, che condivido; in tre punti un’analisi negativa ed una serie di proposte  molte delle quali mi lasciano assai perplesso.

Veniamo subito alle tre critiche :

1-L’A. si diffonde lungamente per dimostrare come, a seguito di tale normativa, verrà negato il sostegno agli alunni meno gravi ai quali non verrà più riconosciuto la qualifica di alunni con disabilità ai sensi dell’art 3 comma 1 l.n. 104/92, poiché il limite interno tra quelli certificabili e quelli non certificabili è talmente infinitesimo che quasi tutti verranno scartati finendo nel gruppo degli altri BES, per i quali non è prevista risorsa alcuna.

MI chiedo però perché mai questa separazione dovrebbe essere stata determinata dalla recente normativa sui BES; nessuno ha impedito sino ad oggi, se era così facile separare, di  effettuarla, tanto più che  le ragioni finanziarie che oggi premono sono già presenti in Italia da  molti anni ed in modo pressante da almeno 3 anni.Eppure questi tagli al sostegno non ci sono stati a livello nazionale, se è vero che sono aumentate le certificazioni sino ad oltre duecentomila alunni ed i posti di sostegno ad oltre centomila alunni.

Comunque ritengo che i professionisti delle ASL debbano adottare certi codici previsti dalle classificazioni  ICD10 dell’OMS e non possano agevolmente  infischiarsene, pena la delegittimazione della loro professionalità ed un incremento esponenziale dei ricorsi al TAR, al quale ormai le famiglie sono abituate da anni con costanti esiti positivi.

2-si insiste sul fatto che mancando il numero necessario dei docenti di sostegno, a causa dei tagli al loro

Numero, ci sarebbe solo una consulenza esterna effettuata da gruppi di docenti specializzati itineranti.

A me pare che la recente normativa non dica  ciò; questo è un aspetto significativo della ipotesi di lavoro della ricerca della Fondazione Agnelli, che però non è stata sposata dal MIUR.

Se si immagina che ci sarà un taglio dei docenti per il sostegno per gli alunni con disabilità lieve, si può anche immaginare che il MIUR abbia sposato l’ipotesi della Fondazione Agnelli; ma ciò non mi pare sia la realtà attuale dei fatti.

3-    L’A. sostiene che  l’introduzione del termine BES, aumenta le etichette nelle quali incasellare e stigmatizzare gli alunni con difficoltà diapprendimento.

In vero la Direttiva del 27 Dicembre si dilunga a spiegare che BES non è un’ulteriore etichetta, ma anzi è il termine riassuntivo di tutti i casi di alunni con difficoltà di apprendimento.

Che nella prassi, così come si sono volgarmente classificati gli alunni con disabilità come prima categoria di BES , quelli con DSA come seconda catwegoria ed i nuovi BES come svantaggio e disagio ed altri casi come terza categoria, non può addebitarsi a questa recente normativa, perché allora occorrerebbe risalire alla  legge-quadro n. 104/92 e forse ancor prima. .

Certo il rischio c’è , ma non per causa della recente normativa, ma del modo di semplificare le cose complesse.

Quanto alle proposte:

a)     – bloccare l’applicazione immediata della Direttiva e della Circolare sui BES, per aprire un ampio dibattito nelle scuole col concorso di tutti gli interessati operatori della scuola, degli Enti locali e delle ASL nonché delle famiglie.

Mentre si condivide la proposta di discuterne anche nelle scuole, cosa che in vero sta avvenendo da Marzo in moltissime scuole, ed associazioni, non si vede l’utilità di sospenderne l’applicazione da subito. Ciò impedirebbe agli alunni con DSA e con  altri BES  , individuati dai consigli di classe, di avvalersi dei benefici che la recente normativa ha posto a loro disposizione, quali le diagnosi provvisorie di DSA in attesa di quella definitiva dell’ASL e l’utilizzo di strumenti compensativi e dispensativi riconosciuti  dai Consigli di classe anche agli altri BES in particolari casi.

Inoltre non verrebbe formulato il PAI, piano delle attività inclusive , da effettuarsi entro Giugno, che costringe tutte le scuole a cominciare a ragionare  sui punti di forza e di debolezza delle loro capacità inclusive anche per richiedere al Governo una migliore distribuzione delle scarse risorse disponibili.

B)- spalmare le attuali risortse disponibili, cioè  il numero dei docenti per il sostegno a favore di tutti i casi di BES( la qualcosa comunque richiederebbe pur sempre l’individuazione anche di questi nuovi BES ).

Per questa decisione però, a mio avviso, occorrerebbe un’ampia discussione nel Paese che comporterebbe come conclusione la modifica della normativa  legislativa vigente, confermata e rafforzata dalla Giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale il sostegno va assegnato esclusivamente agli alunni con disabilità certificata ed a nessun altro.Non è quindi cosa che può farsi immediatamente.

C)- Realizzare immediatamente la formazione di tutti  i docenti sulla didattica inclusiva. E’ questa una proposta che già da tempo formuliamo come F I S H, ma occorre una norma che avvii la formazione iniziale in tal senso per tutti i futuri docenti ed una obbligatoria in servizio ; ma ciò non può farsi immediatamente, perché occorre una proposta di legge per la formazione iniziale ed accordi sindacali per quella obbligatoria in servizio. Comunque se c’è la convergenza delle associazioni e dei docenti , la cosa ha molte più probabuilità di essere realizzata nel prossimo futuro.D ) creare un nuovo profilo dei docenti per il sostegno che sappiano operare con tutti i casi di BES. Questa proposta  necessita lo scioglimento del problema se i docenti specializzati debbano occuparsi di tutti o solo degli alunni con disabilità. E, data la denuncia dell’A. circa i tagli ai posti di sostegno, la proposta mi sembra contraddittoria, perché ridurrebbe invece che aumentare le ore di sostegno disponibili per gli alunni certificati con disabilità, come attualmente avviene.

E ) – creare un’apposita classe di concorso per il sostegno in modo da realizzare una vera e stabile scelta professionale.

Anche questa è una proposta della F I S H che risale a molti anni fa e che adesso stiamo concretizzando in una proposta di legge ad hoc.

In conclusione, alcune proposte, a mio avviso, sono condivisibili; ma altre , specie se supportate da ipotetiche denunce di tagli al sostegno, non mi paiono condivisibili.

Comunque la democrazia èè bella perché nel dibattito di idee diverse e talora contrapposte, si può pervenire a delle soluzioni maggiormente ragionate

E non frettolose.

Per questo non condivido e non sottoscriverò né farò propaganda per ciò, la petizione per l’immediata disapplicazione di questa recente normativa, che ha , se non altro, il merito di aver riacceso il dibattito culturale sull’inclusione in Italia che langue da  quasi 13 anni.

Cero la recente normativa non è perfetta; anche noi della F I S H chiediamo delle correzioni , specie per la parte concernente l’organizzazione ed il raccordo dei nuovi organismi ( CTI, CTS) coi precedenti ( CTI, GLIP ).

Però l’analisi di Scataglini mi sembra troppo catastrofica e le soluzioni palingenetiche, mentre occorre gradualità , ovviamente purchè non sia gattopardesca.

 

Funzionamento Inclusivo Limite. Una proposta/ Il dibattito sui BES

Scritto da Carlo Scataglini 03 Giugno 2013. Categoria: Scuola e università

Il dibattito e i sorrisi

Bene, il dibattito è ripartito! Forse qualcuno pensava che la partita fosse già chiusa, ma non è così.

Leggendo gli interventi, le risposte e i commenti al mio articolo Le scatole e le etichette. Sull’Invalsi e i BES nella scuola pubblica pubblicato dal sito www.laletteraturaenoi.it, mi viene subito da precisare una cosa: la mia non vuole essere e non è una rivendicazione sindacale, né una difesa ad oltranza della mia categoria, quella degli insegnanti di sostegno.

Sorrido però di fronte alla tenacia con la quale si cerca di negare l’evidenza, affermando che non ci saranno tagli di posti di sostegno e che a nessun alunno sarà tolto il diritto a ricevere un sostegno specializzato. Sorrido perché a chi lavora a scuola da qualche decennio e da una decina di anni è nel gruppo tecnico provinciale che studia le certificazioni e le singole situazioni degli istituti scolastici per stilare gli organici provinciali del sostegno, non può sfuggire un particolare che in maniera maldestra si cerca di tenere celato. I cosiddetti FIL, gli alunni con funzionamento intellettivo limite o Borderline cognitivo, sono la chiave di volta, il punto di snodo, il vero gioco di prestigio di tutta la strategia dei tagli al sostegno.

Il dibattito e la verità

Mi spiego, spero in maniera chiara, spero per l’ultima volta.

Il giorno 8 maggio 2013, presso il Ministero si è svolto un seminario – conferenza di servizio sui BES. In quell’occasione è stato consegnato agli uffici scolastici regionali un modello di Piano Annuale dell’Inclusività. In esso vengono chiaramente definite tre fasce diverse di BES:

  • le disabilità certificate (Legge 104/92 art.3, commi 1 e 3);
  • i disturbi evolutivi specifici (DSA, ADHD, DOP, FIL, altro);
  • lo svantaggio (socio – economico, linguistico – culturale, comportamentale – relazionale).

Nella prima fascia, quindi, ci sono i disabili (gravi e non gravi) che hanno un certificato, hanno il sostegno specializzato e beneficiano di un Piano Educativo Individualizzato (PEI).

Nella seconda ci sono coloro che, pur avendo un certificato, non avranno alcun sostegno specializzato e saranno seguiti dagli insegnanti di classe secondo un Piano Didattico Personalizzato (PDP) stilato e attuato dagli stessi insegnanti di classe.

Nella terza fascia sono compresi gli svantaggiati, che non hanno certificato, non beneficeranno di alcun sostegno specializzato, verranno individuati dagli insegnanti di classe in base a svantaggi socio – economici (!), linguistico – culturali e comportamentale – relazionali, e beneficeranno di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) stilato e attuato dagli stessi insegnanti di classe.

Ha ragione chi dice che da nessuna parte e in nessuna norma sta scritto che il sostegno specializzato sarà assegnato solo nei casi di disabilità grave. Il punto è un altro. Chi sono gli alunni di prima fascia, cioè i disabili, che non hanno la situazione di gravità? Da molto tempo, come dicevo prima, collaboro alla realizzazione degli organici di sostegno della mia provincia come docente esperto e posso rispondere al volo: la maggior parte delle certificazioni di disabilità (senza situazione di gravità) riguarda gli alunni FIL – funzionamento intellettivo limite. Praticamente, ora, i FIL vengono sistemati contemporaneamente in due fasce diverse, una che prevede il sostegno e una che invece lo esclude.

Il dibattito e le domande evase

Quindi, mi chiedo:

  • I FIL saranno da sostegno o semplici BES da PDP?
  • Chi deciderà l’una o l’altra possibilità?
  • È possibile prevedere che chi aveva già il sostegno continuerà ad averlo mentre le nuove certificazioni di FIL no? Oppure saranno rivisitate immediatamente le vecchie certificazioni (che per lo più recitano testualmente: “Alunno con funzionamento intellettivo limite, necessita di intervento di sostegno scolastico”) per far transitare subito questi alunni dalla prima alla seconda fascia?
  • Sarà stabilito un limite di FIL (praticamente un funzionamento intellettivo sopra il limite o sotto il limite!) al di là del quale si darà il sostegno e al di sotto del quale basterà l’insegnante di classe con il PDP? E chi effettuerà tali millimetriche misurazioni di limite?
  • Verrà prospettata ai genitori una scelta discrezionale del tipo: “Più intervento individualizzato o meno impatto sociale? Sostegno o PDP?”?
  • Sarà lasciata totale discrezionalità all’équipe multidisciplinare della ASL?
  • Conteranno qualcosa le valutazioni sulle reali esigenze didattiche degli alunni fatte dai consigli di classe, dalle scuole e dai GLI?

Allo stato attuale non è possibile rispondere, perché queste domande vengono evase. Nelle more qualcuno sfida i timorosi: “vedremo!”, dice e alla luce dei fatti agiremo.

Intanto però è inutile negare che vi saranno tagli ai posti di sostegno, poiché si potranno far “scivolare” i FIL da un piano ad un altro, da una condizione ad un’altra. I tagli ci saranno, quindi, forse non domani mattina o dal prossimo anno scolastico, ma certamente nel giro di due o tre anni.

Il dibattito e la realtà

I nostri discorsi pieni di strane sigle, di percentuali, di stime occupazionali, di valutazioni entusiastiche o apocalittiche, di considerazioni di “pancia” o “politiche”, di punti di vista interni o molto lontani dalla quotidiana vita delle classi, spesso dimenticano proprio i due attori principali della questione, vale a dire l’alunno con funzionamento intellettivo limite (insieme, ovviamente, alla sua famiglia) e l’insegnante disciplinare.

L’alunno FIL e il suo insegnante di inglese, per esempio. Quale sarà uno scenario plausibile in una futura ora di inglese? Classe di ventinove, tra cui, poniamo, il FIL di cui sopra, un DSA, due stranieri e uno svantaggio socio-economico. Bene, dice qualcuno, questi alunni c’erano anche prima, non è colpa della circolare sui BES. Certo, ma prima in classe i ventinove alunni e il loro prof. d’inglese potevano contare sull’intervento specializzato di un insegnante specializzato nominato e in servizio per un alunno (il FIL) ma che, per norma e per operatività, era un insegnante di tutta la classe. Di sostegno all’alunno FIL, di sostegno a tutta la classe, di sostegno al prof. d’Inglese.

In che modo di sostegno? Attraverso metodologie inclusive e strategie didattiche di cerniera, attraverso un sostegno diretto in classe, attraverso una gestione in presenza e collaborativa della didattica.A tal proposito va pure detto; non fa onore a chi argomenta contro l’attuale assetto didattico fa leva sul luogo comune dell’insegnante di sostegno che si isola o viene isolato, dell’insegnante di classe che delega ed esclude. Poiché di luogo comune davvero si tratta. Qui sì che dobbiamo veramente applicare le norme che già ci sono. L’insegnante disciplinare delega? Bene, intervenga il dirigente scolastico. L’insegnante di sostegno non si prepara, non collabora e si imbosca? Basta l’intervento il dirigente scolastico. Non serve smantellare la scuola per riequilibrarne l’eventuale cattivo funzionamento.

Aspetti positivi, aspetti negativi

Chiarite le posizioni e le diverse ragioni che le ispirano, a mio avviso, è necessario trovare una soluzione operativa al caos che l’imposizione della circolare sui BES rischia di originare. Mi spiego. Non è completamente negativo l’approccio ai Bes previsto dalla circolare di marzo. Ci sono degli aspetti positivi, accanto ad altri che invece destano più di una perplessità. Proviamo dunque a conciliare critiche e proposte. Volendo schematizzare, a mio parere, è possibile individuare tre punti di forza e tre evidenti criticità della nuova normativa sui BES. Li indico di seguito.

Aspetti positivi

  1. I bisogni educativi speciali esistono per davvero! Non sempre le nostre scuole hanno dedicato e dedicano la giusta attenzione a tali bisogni. Il dibattito, in alcuni casi mosso anche da perplessità, paure e senso di inadeguatezza, che si è scatenato nelle nostre scuole, nelle sale professori, nelle dirigenze scolastiche e nelle segreterie studenti, è una importante novità. È un bene che ci siano tale attenzione e tale dibattito. Occorre però che le domande operative che ne scaturiscono non ricevano risposte ambigue o lontane dalla realtà. Ai docenti disciplinari, giustamente preoccupati, occorrerà che qualcuno spieghi ufficialmente che riceveranno consulenza a distanza da parte di una decina di gruppi di lavoro, ma che in classe poi dovranno vedersela da soli.
  2. La circolare prevede che le scuole stilino un Piano Annuale dell’Inclusività e che sia il Collegio dei Docenti a prenderlo in carico. Finalmente si pensa di organizzare in modo funzionale tutte le risorse della scuola. Per anni ho provato a insistere personalmente su questo punto, scrivendo o intervenendo nei gruppi istituzionali di cui ho fatto parte. Mi pareva assurdo il fatto che il Ministero e gli Enti Locali, che forniscono rispettivamente insegnanti e assistenti, non si parlassero per assegnare le risorse, per capire veramente di cosa c’era bisogno. Il paradosso, però, è che oggi che si richiede alle scuole di stilare un piano annuale che comprenda tutte le risorse necessarie, tali risorse vadano incontro a tagli sempre più pesanti. Il rischio è che si vada verso una richiesta finalmente centrata sull’organizzazione e su quello che serve per farla funzionare proprio nel momento in cui quello che serve non sarà più possibile ottenerlo.
  3. L’attuale approccio ai bisogni educativi speciali prevede una formazione specifica di tutti gli insegnanti disciplinari e di quelli di sostegno. È una esigenza inderogabile nella nostra scuola pubblica. Formazione specifica, prima di tutto sulle situazioni di gravità che richiedono competenze, professionalità e tecniche che non si possono improvvisare e sulle quali anche noi insegnanti di sostegno dobbiamo prepararci in maniera sicuramente più adeguata. Formazione sulle metodologie inclusive e sulle strategie didattiche di cerniera. Formazione sui disturbi specifici di apprendimento, sulle modalità di conduzione della classe, sull’attivazione di attività laboratoriali e cooperative. Formazione sulla gestione collaborativa della lezione tra più docenti, sulle modalità di programmazione personalizzata e sulla verifica e valutazione dei risultati. Occorre però che ai buoni propositi (formazione per tutti!) faccia seguito la volontà di dedicare a questo progetto risorse finanziarie importanti e di individuare con molta attenzione le agenzie che saranno chiamate a formare i docenti. Occorre che vengano utilizzate in maniera massiccia le risorse di formazione interne alle scuole, che venga finalmente attivata una vera circolarità di risorse anche attraverso la diffusione di buone prassi di integrazione. Occorre, insomma, che alle parole e agli intenti seguano gli strumenti necessari per dare una risposta concreta alla urgente necessità di formazione della nostra scuola.

Aspetti negativi

  1. Si è deciso di circoscrivere una competenza specifica e specializzata, come quella dei docenti di sostegno, all’interno di un ambito preciso, quello della disabilità grave, rinunciando a tale competenza per tutti gli altri bisogni educativi speciali.
  2. Si intende spostare il concetto stesso di sostegno dalla didattica operativa, fatta di strategie specifiche in presenza, a una sorta di consulenza a distanza che non può incidere operativamente sull’inclusione di tutti gli alunni nei percorsi comuni. Tale spostamento ha queste conseguenze: a) finisce col rendere impossibile il compito degli insegnanti disciplinari, di fatto unici responsabili e attuatori della didattica personalizzata; b) penalizza fortemente gli alunni con difficoltà (in particolare quelli con funzionamento intellettivo limite) che vengono privati di un piano educativo individualizzato e della possibilità di ricevere un sostegno didattico specializzato.
  3. Si genera una molteplicità di categorie e sottocategorie di alunni con bisogni educativi speciali, assegnando etichette, con o senza certificato, che producono frammentazione, divisione ed esclusione, più che favorire una vera inclusione.

Il dibattito e una proposta

E allora? Quale può essere la soluzione? Cosa bisogna fare per evitare il rischio che un tema così importante, come quello dei bisogni educativi speciali, possa mandare in tilt il sistema organizzativo scolastico a danno principalmente degli stessi alunni?

Secondo me è indispensabile:

  • bloccare immediatamente gli effetti organizzativi sul prossimo anno scolastico della direttiva e della circolare sui BES;
  • realizzare, nel prossimo anno scolastico, un dibattito costruttivo e condiviso, che parta dalla base – dalle scuole – dagli insegnanti – dai genitori – dalle associazioni – dal mondo della sanità – e che costruisca un modello organizzativo funzionale per la personalizzazione dei percorsi degli alunni con bisogni educativi speciali nelle scuole di ogni ordine e grado;
  • prevedere e destinare le risorse di personale specializzato e le risorse finanziarie necessarie per un modello organizzativo che preveda un intervento personalizzato per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali, uscendo dalla consueta logica del “Voi intanto partite con le innovazioni che per le risorse vi faremo sapere poi …”;
  • attivare immediatamente la formazione specifica sui BES per i docenti disciplinari, per quelli di sostegno e anche per i dirigenti scolastici;
  • creare un nuovo profilo degli insegnanti specializzati per il sostegno, ampliandone i compiti e le competenze, sia nell’ottica dei bisogni educativi speciali e del PDP, sia in quella delle situazioni di gravità che vanno affrontate con una competenza tecnica e specifica reale ed adeguata;
  • creare una classe di concorso specifica per gli insegnanti di sostegno specializzati, in modo da richiedere una scelta professionale che in nessun modo possa essere dettata da esigenze di organici (sistemazione di docenti soprannumerari) o di opportunismo personale.

In definitiva, ritengo sia indispensabile prendere una decisione coraggiosa, adesso e prima di settembre. La decisione di bloccare gli effetti di un cambiamento di cui probabilmente sono stati sottovalutati gli effetti negativi. Credo valga la pena discuterne ancora, coinvolgendo le comunità scolastiche nella discussione, prima di mettere a rischio ciò che è stato costruito in oltre trent’anni di integrazione nella nostra scuola pubblica.

NOTA

Chi è d’’accordo con le posizioni espresse in questo intervento può firmare la petizione ““Referendum sui BES – Fermiamo la CM 8 e costruiamo il cambiamento””. L’’obiettivo della petizione è di raggiungere cinquantamilaeuno firmatari, che simbolicamente corrispondono al numero della metà più uno dei docenti specializzati che insegnano nelle nostre scuole. L’obiettivo concreto è di dare voce a tutti gli insegnanti, agli stessi studenti e alle loro famiglie, alle associazioni e a tutti coloro che a qualsiasi titolo hanno a cuore l’’integrazione scolastica.

 

Petizione contro i Bes, Nocera (Fish): ”Ho invitato a non firmare”
Per il vicepresidente della Federazione la circolare ministeriale sui Bisogni educativi speciali non minaccia il sostegno per i disabili lievi. Ciambrone (Miur): ”Quest’anno 6.000 posti in più per il sostegno”

ROMA  – E’ online una petizione per bloccare ”gli effetti organizzativi sul prossimo anno scolastico” della direttiva e della circolare sui Bisogni educativi speciali, ”Referendum BES. Fermiamo la CM 8 e costruiamo il cambiamento”. L’iniziativa è promossa da Carlo Scataglini, insegnate di sostegno e docente a contratto presso l’Università de L’Aquila. La preoccupazione è che dal prossimo anno scolastico non verrà concesso il sostegno agli alunni con disabilità lieve e che ci saranno tagli al sostegno, “forse non domani mattina o dal prossimo anno scolastico, ma certamente nel giro di due o tre anni”. La petizione mira a raggiungere cinquantunmila firme, che “simbolicamente corrispondono al numero della metà più uno dei docenti specializzati”.

Per Salvatore Nocera, vicepresidente della Fish, le premesse che spingono ad affermare con certezza che agli alunni con disabilità non grave non verrà dato il sostegno ”sono infondate”. ”Ho invitato – sottolinea – a non sottoscrivere quella petizione, perché se passasse verrebbero bloccati tutti gli effetti positivi che la circolare ministeriale contiene”. In un articolo di risposta a Scataglini, pubblicato sul www.laletteraturaenoi.it lo scorso 26 maggio, il vicepresidente della Fish sottolinea come da nessun documento ufficiale, né da dichiarazioni del ministero per l’Istruzione risulti questa volontà. ”…non incrementiamo dicerie prive di fondamento, – scrive Nocera – impegniamoci invece sempre di più a pretendere che si avvii la formazione iniziale ed obbligatoria in servizio di tutti i docenti curricolari, in modo da poter prendersi in carico in prima persona il progetto di inclusione scolastica, come era quando cominciammo il processo inclusivo alla fine degli anni Sessanta, sostenuti dai colleghi specializzati per il sostegno”.

A far ulteriore chiarezza le dichiarazioni di Raffaele Ciambrone, dirigente Miur (Ufficio disabilità) che in una intervista sulla situazione degli alunni con bisogni educativi speciali riafferma tutto l’impegno nei confronti degli alunni disabili. “Abbiamo voluto assicurare maggior tutela ad alunni e studenti che non rientravano nei casi previsti dalle leggi 104/92 e 170/2010, nella prospettiva di una scuola sempre più accogliente e inclusiva. Rimane confermato e rafforzato il nostro impegno per gli alunni con disabilità per i quali, quest’anno, sono stati assegnati ulteriori 6.000 posti in più per il sostegno”. (cch)

Fand critico sulla petizione contro i Bes: “Su circolare Miur giudizio positivo”
Il presidente Pagano sottolinea ”lo scrupolo con cui si è giunti alla emanazione della circolare ministeriale n. 8 e gli sforzi profusi dal ministero per mettere in campo maggiori risorse da destinare al sostegno”

ROMA – La Fand, Federazione tra le associazioni nazionali delle persone con disabilità, non condivide il giudizio negativo espresso dai promotori di una petizione on line in merito alla circolare ministeriale del Miur n. 8/2013 riguardante i Bes, ovvero i bisogni educativi speciali. Lo afferma l’organizzazione in una nota appena diffusa. “Gli organizzatori di tale petizione rimarcano la preoccupazione che in un prossimo futuro non verrà concesso il sostegno agli alunni con disabilità lieve e che il sostegno sarà oggetto di tagli con gravi conseguenze, soprattutto per le famiglie – scrive il presidente della Federazione Giovanni Pagano -. Noi invece evidenziamo che negli incontri avuti con il Miur, soprattutto in sede di Osservatorio per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, non sono emerse siffatte preoccupazioni né si è avuto sentore di tentativi in tal senso”. Pagano sottolinea invece “lo scrupolo con cui si è giunti alla emanazione della circolare ministeriale n. 8,  il proficuo lavoro svolto tra il Miur e la Fand, unitamente alla Fish, e anche l’impegno e gli sforzi profusi dal ministero per mettere in campo maggiori risorse da destinare al sostegno”.

Signoriii… in Carrozza!!!

Signoriii… in Carrozza!!!
o meglio, verso un programma credibile

di Maurizio Tiriticco

Quando ancora non c’erano le Frecce e si viaggiava con le locomotive a vapore – quanto fumo, quanto fracasso! – e non c’erano né display né altoparlanti, con quel reiterato appello il capotreno sollecitava i viaggiatori a salire in vettura! Fuor di metafora, sono anni che improvvisati ministri dell’istruzione non riescono a far salire nessuno su treni fatiscenti che non si sa dove portano, anzi… finora hanno sempre portato la nostra povera scuola su binari morti!

Dopo anni ho avuto la fortuna di leggere una dichiarazione di intenti, un programma articolato, serio, prudente e che a largo raggio tocca tutti i problemi del nostro “Sistema educativo di istruzione e formazione”, da quelli strutturali a quelli ordinamentali e istituzionali. Si va dalla sicurezza e dall’edilizia scolastica alle finalità dell’Istruzione e della Formazione professionale e al ruolo chiave che, in un processo di effettivo riordino e in una prospettiva di rinnovamento, spetta agli insegnanti. Alludo alle linee programmatiche che il Ministro Carrozza ha recentemente illustrate alle Commissioni del Senato e della Camera.

Finalmente, dopo che per anni ci hanno detto che con la cultura non si mangia e che, quindi, sulla scuola non conviene investire, si afferma invece che “il livello di formazione (e quindi di istruzione) ha un legame diretto con il tasso di sviluppo economico di una certa popolazione e di un certo Paese in un dato momento storico”. E che “l’impatto del capitale umano sulla crescita economica passa anche per il suo effetto sulla disuguaglianza economica e sociale. Un Paese con alte disuguaglianze di partenza e mercati del credito poco efficienti deprimono l’investimento in capitale umano nella parte più povera del Paese e rafforzano tali disuguaglianze di partenza, riducendo al contempo la mobilità sociale e la percezione di vivere in un contesto fruttuoso di pari opportunità”. Pertanto, “partendo dal sistema scolastico, ritengo che le nostre politiche dovranno essere in assoluta coerenza con un unico irrinunciabile obiettivo: garantire ai nostri ragazzi luoghi di apprendimento sicuri e un percorso scolastico che possa incidere positivamente nella realizzazione del loro progetto di vita e sul loro futuro, permettendo a tutti i meritevoli, ancorché privi di mezzi, di raggiungere i più alti gradi dello studio secondo il dettato della nostra Costituzione”

E ancora. E’ necessario “sviluppare: l’inclusività del sistema formativo e la qualità degli apprendimenti. Sotto il profilo dell’inclusività, occorre spezzare il persistente circolo vizioso tra povertà economica e povertà di istruzione. Va favorito ogni sforzo teso al consolidamento precoce delle conoscenze e competenze irrinunciabili. Per questo il Governo intende proseguire ed estendere le azioni mirate a prevenire e contrastare la dispersione scolastica che, nonostante una continua diminuzione negli ultimi venti anni, riguarda ancora il 18% della popolazione giovanile, dando piena attuazione all’Agenda di Lisbona dell’UE e conseguendo l’obiettivo di portare il tasso di dispersione sotto il 10% entro il 2020”. Occorre quindi “salvaguardare il principio di inclusione e di solidarietà su cui la nostra scuola si fonda per dare attuazione concreta all’articolo 3 della nostra Costituzione. Ciò richiede un forte presidio sugli apprendimenti nella scuola di base”. Inclusione e solidarietà sono fattori caratterizzanti dei percorsi e delle finalità di un sistema di istruzione che investa veramente tutti i cittadini, anche in chiave di apprendimento permanente. Dopo anni in cui siamo stati frastornati dal concetto di “merito” fine a se stesso e che, come tale, presume e istituzionalizza il “demerito” riservato ad aeternum ai più deboli, è importante sentire un ministro dell’istruzione che fa dell’inclusione l’obiettivo primario del nostro Sistema di Istruzione e Formazione.

Il ministro sottolinea anche che “è fondamentale potenziare l’istruzione tecnico-professionale, raccordare i sistemi di istruzione, formazione e lavoro, e, soprattutto, rafforzare gli Istituti Tecnici Superiori in una dimensione multi-regionale”. E ancora: “In particolare, le misure di semplificazione e promozione dell’istruzione tecnico-professionale contenute nella Legge 35/2012 vanno accompagnate con misure di rafforzamento dell’istruzione tecnico professionale, anche a livello terziario e con l’aumento dei percorsi di alternanza studio/lavoro, a sostegno dell’occupazione dei giovani, colmando progressivamente il divario ancora esistente tra domanda e offerta di lavoro per le professioni tecniche, e di crescita delle filiere produttive nei settori strategici dell’economia nazionale, anche ai fini della loro internazionalizzazione”. Che sia veramente venuta l’ora del superamento del primato degli studi liceali? E dell’attualismo gentiliano? In forza del fatto che, con il continuo sviluppo scientifico e tecnologico siamo sempre più tenuti a “pensare con le mani e a fare con il cervello”.

Per quanto riguarda gli insegnanti, il ministro ritiene che, “se vogliamo garantire la qualità degli apprendimenti, dobbiamo anche dare un segnale di valorizzazione e di riconoscimento al prezioso lavoro del docente” E sottolinea quanto “sia necessario avere come priorità la valorizzazione della professione docente e del personale scolastico tutto. Vanno introdotte nuove modalità di sviluppo di carriera dei docenti, con l’avvio di un sistema di valutazione delle prestazioni professionali collegato ad una progressione di carriera, svincolata dalla mera anzianità di servizio”. A tal fine il ministro ricorda quanto sia necessaria la diffusione nella scuola di una cultura della valutazione che, a mio avviso, deve investire, in un sistema di istruzione avanzato, tutti i fattori che vi operano, quelli strutturali e organizzativi e quelli umani.

A mio avviso, la valutazione degli insegnamenti – non degli insegnanti tout court – non può prescindere da una politica attiva di formazione in servizio, e la valutazione degli apprendimenti non può prescindere dal superamento del sistema della valutazione decimale. Il ritorno ai voti nel primo ciclo di istruzione ha significato soltanto sferrare un duro colpo a decenni di ricerca valutativa. Si tratta di condizioni che il ministro non ha affrontato, ma che a mio avviso sono ineludibili se si vuole andare – come lo stesso ministro auspica – verso “un miglioramento complessivo del sistema scuola, anche mediante un approfondimento concreto del rapporto tra qualità degli apprendimenti e sviluppo della qualità dell’insegnamento”. Nello scenario che si apre, il ruolo dell’Invalsi può essere prezioso, a condizione però che nel contempo maturi una cultura e una pratica della valutazione coerente con quanto la ricerca educativa e quella docimologica ci indicano ma che a tutt’oggi non sono ancora patrimonio attivo delle nostre istituzioni scolastiche. E, a mio avviso, è anche su questo terreno che potremo misurare l’iniziativa del nuovo ministro a cui va – come penso – l’augurio di tutta la scuola militante.

I paradossi del referendum bolognese

I paradossi del referendum bolognese

di Giancarlo Cerini [1]

 

Se la somma continua a fare “zero”

Gli esiti del referendum bolognese sui finanziamenti pubblici (comunali) alle scuole dell’infanzia paritarie lascia le cose (quasi) come prima. E’ probabile che il Comune di Bologna mantenga il proprio (modesto) sostegno alle scuole private (1 milione di euro, rispetto ai 36 investiti nelle proprie strutture pubbliche), che “pesa” meno del 10% del costo pro-capite di un alunno della scuola paritaria). E’ possibile che restino le liste d’attesa dei bambini che chiedono invano un servizio statale o comunale (paradosso di una regione che già oltre 30 anni fa aveva raggiunto la piena scolarizzazione per la fascia di età tra i 3 e i 6 anni). Infatti è quasi certo – a meno di svolte negli indirizzi politici nazionali – che lo Stato non interverrà per “sanare” un deficit di offerta di servizi educativi statali.

I referendari potranno gioire pensando di aver vinto una battaglia (almeno) di principio, ed è certo così; ma lo schieramento “avverso” potrà dire che il 28% dei votanti non è tale da poter sconvolgere una linea politica e pedagogica (quella del sistema integrato pubblico-privato) che trova ampio consenso di opinione pubblica e consente di garantire elevati standard di qualità, assicurando comunque la centralità del servizio pubblico, che a Bologna veleggia sul 77% di copertura, rispetto al 68% nazionale, proprio in virtù dello storico intervento del Comune.

Eppure qualche scricchiolio si avverte nel sistema locale e nazionale della scuola dell’infanzia. I vincoli di bilancio non consentono di far fronte alla domanda crescente di scuole per i piccoli. I costi, anche per gli utenti, si stanno elevando ed allontanano famiglie e bambini da un servizio che ormai consideravamo un diritto universale…

 

La scuola materna statale: “vorrei ma non posso”

Lo Stato da alcuni anni non ha più un proprio piano di sviluppo di nuove istituzioni (ed il caso è clamoroso anche a Bologna) e quando estende il servizio assegna solo metà del personale necessario per far funzionare a pieno tempo una sezione: sono centinaia le sezioni a turno antimeridiano in Emilia-Romagna, Toscana, Marche, che riducono l’ampiezza del servizio e costringono ad organizzazioni stiracchiate anche ricorrendo ad apporti esterni (finanziamenti locali, cooperative, ecc.). Manca una regia nazionale della scuola dell’infanzia statale, dopo la stagione gloriosa del “Servizio scuola materna” operante presso il MIUR nel trentennio 1970-2000; langue la formazione del personale docente e non è detto che le pur meritevoli Indicazioni per il curricolo/2012 siano capaci di accendere la scintilla di un rilancio pedagogico della scuola dell’infanzia statale.

Tab. 1 – Scuole dell’infanzia e alunni per tipo di gestione. A.s. 2009-2010

  Totale Scuole

statali

% Scuole paritarie pubbliche % Scuole

paritarie

private

%
Scuole      24.221   13.553 56,0     1.841     7,6     8.094    33,4
Alunni 1.680.987 993.226 59,1 153.031     9,1 501.668    29,8

Fonte: MIUR, La scuola in cifre 2009-2010, Sistan, Miur, 2010.

 

Le antiche virtù della scuola comunale

Per i Comuni gli scenari non sono migliori. La legge non considera le specificità del settore educativo, per cui il personale docente soggiace ai vincoli di bilancio ed alle ferree regole del patto di stabilità (che, ad esempio, impediscono di sostituire i dipendenti in pensione e di stabilizzare il personale precario). E’ però evidente che la scuola non è equiparabile ad un mero servizio amministrativo e questo vincolo (se non rimosso) potrebbe costringere molti Enti Locali a dismettere la gestione diretta delle scuole, considerandole un onere improprio e non la testimonianza di un patrimonio storico-pedagogico di inestimabile valore, come dimostra -ad esempio – l’esperienza di Reggio Emilia.

Occorrono decisioni legislative conseguenti, per evitare che i Comuni siano piegati obtorto collo verso soluzioni e istituzionali (come il passaggio dalla gestione diretta municipale a quella tramite “istituzioni” o “aziende di pubblico servizio”, che lasciano l’amaro in bocca e a molti appaiono  l’anticamera della privatizzazione, con la possibile trasformazione degli enti gestori in Fondazioni o addirittura in Società per Azioni.

La presenza di un segmento comunale (che oggi è pari a circa il 9,1% del settore con 1.841 scuole) è indice di pluralismo e di vitalità, anche per mantenere aperte interessanti orientamenti pedagogici, come quelli legati alla prospettiva “0-6 anni” di forte attenzione ai temi della cura educativa, della relazione, dell’identità, della gradualità e “lentezza” dei processi di crescita. Bene hanno dunque fatto alcuni Comuni, come quello di Napoli, che hanno forzato al massimo l’interpretazione della norma per consolidare i  propri servizi educativi e stabilizzare il personale.[2]

 

Il privato “sociale” per l’infanzia

Il settore privato ha un suo posizionamento storico, esprime una presenza valoriale legata a comunità parrocchiali o ordini religiosi, e mantiene – nel settore dell’infanzia (e primaria) – una forte caratterizzazione sociale e popolare, diversamente da altri comparti del settore paritario che esibiscono un più marcato carattere elitario quando non spiccatamente mercantile. La legge sulla parità, la n. 62/2000 (cd. Berlinguer), ha imposto l’esigenza di garantire alcuni standard di funzionamento, pari a quelli previsti dallo Stato (ad esempio in materia di organico del personale, di numero massimo di allievi, di forme di sostegno e di coordinamento pedagogico). La quota finanziaria che lo Stato eroga alle scuole paritarie, non è dovuto, ma rappresenta il riconoscimento del contributo del sistema paritario all’ampliamento dell’offerta formativa di scuole dell’infanzia (e primarie). Tuttavia, i gestori  delle scuole paritarie vorrebbero che dal riconoscimento della parità, ne venisse anche una sorta di copertura finanziaria integrale al funzionamento della scuola privata.

 

Pubblico e privato nell’immaginario giuridico e “mediatico”

Quella del finanziamento dello Stato ai privati non era la questione in gioco a Bologna (il quesito referendario verteva su un modesto e supplementare finanziamento comunale alla scuola paritaria privata), ma vale la pena sintetizzare alcune considerazioni[3]:

a) il sistema paritario non è tout court pubblico, perché – come afferma la legge 62/2000 – esso si articola in scuole paritarie pubbliche (come ad esempio quelle degli enti locali) e scuole paritarie private (come ad esempio quelle degli ordini religiosi e delle comunità parrocchiali);

b) il sistema è sì integrato, ma la legge lo denomina “sistema nazionale di istruzione”, non pubblico; anche se riconosce alle scuole paritarie lo svolgimento di una funzione pubblica, qualora rispetti determinati requisiti (soggetti a controllo da parte dello Stato). La parità attrae il privato nella sfera pubblica, ma non fino ad annullarne le differenze;

c) c’è dunque una differenza pubblico-privato che non può essere sottaciuta, ad esempio nella facoltà concessa ai gestori di “testimoniare” senza remore la propria identità e ispirazione spirituale (infatti le scuole paritarie devono dotarsi di un proprio PEI – progetto educativo di istituto – formula ricompresa invece, per le scuole statali, nel concetto di POF previsto dal regolamento sull’autonomia scolastica);

d) lo strumento della convenzione pubblico-privato è importante per ampliare le opportunità, tuttavia se ad un genitore che chiede la scuola statale o comunale, si offre come equivalente la scuola privata (anche se a prezzi calmierati) si compie una forzatura (e questo certamente potrebbe avvenire a Bologna per smaltire le liste d’attesa). Insomma, educare non è come sottoporsi ad una radiografia…

 

A Bologna, dopo A e B, occorre C

Ecco perché il referendum bolognese lascia le cose invariate: riconferma le posizioni di principio (pubblico è diverso da privato, e la gente è affezionata a tale distinzione), richiede di aprire sezioni statali e comunali, ma se tutto ciò si fa a somma zero (cioè togliendo i pochi fondi al sistema paritario), si finisce con il danneggiare un’altra parte dell’utenza che dovrà pagare rette più elevate, soprattutto l’utenza più popolare, come ricorda l’economista della sussidiarietà Stefano Zamagni.

Insomma, al di là  di A e B (cioè si o no ai finanziamenti pubblici) che incrociano inutilmente i ferri, servirebbe una ipotesi C, come ho scritto altrove[4], cioè un consistente aumento delle risorse a disposizione dell’intero sistema educativo prescolastico. In tal modo si potrebbe rispettare il principio della libertà di scelta dei genitori, tenendo conto della previsione costituzionale per cui la Repubblica ha l’obbligo di istituire scuole statali per “ogni ordine e grado” dell’istruzione.

 

Ce lo chiede l’Europa…

Occorre dunque riprendere il filo delle politiche pubbliche verso l’educazione dell’infanzia, come ci prescrivono ormai da molti anni l’Unione Europea e l’OCSE. Nei documenti internazionali si osserva un processo di avvicinamento dei segmenti 0-3 e 3-6, sotto la comune dicitura di ECEC (cioè educazione e cura per l’infanzia) per rimarcare il nesso inscindibile tra crescita, benessere, sviluppo sociale e apprendimento.

L’Europa ha indicato, in ET 2020, il benchmark strategico del 95% di scolarizzazione per i bambini dai 4 anni fino all’accesso all’istruzione primaria (obiettivo già raggiunto dall’Italia, ma che ora è messo a rischio) ed il 33% di copertura del servizio educativo per i bambini da 0 a 3 anni (e qui siamo lontanissimi, addirittura al di sotto del 50% dal traguardo). Nella Direttiva 66/2011 della Commissione Europea si ricorda che l’investimento nell’educazione della prima infanzia è garanzia di coesione sociale e democratica e di pari opportunità [COM (2011) 66 del 17-2-2011 – “Educazione e cura della prima infanzia: consentire a tutti i bambini di affacciarsi al mondo di domani nelle condizioni migliori”]. La direttiva impegna i paesi membri ad adottare politiche conseguenti, inserendole nella prospettiva del contrasto alla dispersione, da ridurre al di sotto del 10% (attualmente in Italia al 18%), e della emancipazione dalle condizioni di povertà. Il documento europeo presta particolare attenzione anche alla questione dei costi (più elevati se i servizi sono privati) e dell’efficacia dei finanziamenti, auspicando un “giusto equilibrio tra investimento pubblico e privato”, mentre sul modello pedagogico raccomanda un profilo educativo capace di “soddisfare il complesso delle esigenze dei bambini (cognitive, affettive, sociali e fisiche)”, anche grazie alla collaborazione interistituzionale, al coinvolgimento dei genitori e, soprattutto, alla qualificazione del personale.

 

..e l’OCSE ci ricorda che…

Di tenore simile sono le previsioni contenute nei Report dell’OCSE pubblicati negli ultimi anni, con una serie di documenti – denominati “Starting Strong” (“Partire alla grande”) – dedicati in maniera specifica proprio alle politiche educative per l’infanzia. Policy è un termine intraducibile in lingua italiana perché non si riferisce ad un generico impegno politico, ma ad azioni puntuali che si traducono in regolamentazioni, direttive, risorse dedicate, verifiche dei risultati. In Italia abbiamo poche policies (azioni politiche) e molta politica (e oggi tanta anti-politica) proprio per questa carenza nelle azioni concrete che danno un seguito alle idealità e ai progetti[5]. Disponiamo in genere buone leggi, ma ci manca poi la capacità di darvi attuazione, con impatti differenziati da regione a regione (e questo è ancora più vero per la scuola dell’infanzia e gli asili nido).

Il più recente paper dell’OCSE, Starting Strong III,[6] raccomanda ai paesi membri di:

– mettere al centro degli impegni la qualità degli obiettivi e delle regolamentazioni;

– definire e sviluppare standard educativi e curricolari;

– migliorare la qualificazione, la formazione e le condizioni di lavoro del personale;

– coinvolgere maggiormente le famiglie e le comunità locali.

Visti dall’osservatorio italiano questi punti dovrebbero convincere a riprendere la felice stagione degli investimenti sui servizi educativi, attraverso politiche espansive più efficaci. Altre ricerche OCSE attestano che i paesi che sono stati capaci di dedicare maggiori risorse all’educazione dell’infanzia ne hanno tratto un beneficio diretto, ad esempio nei migliori livelli di apprendimento registrati a 15anni (una “buona” scuola dell’infanzia vale +53 punti Pisa, dieci anni dopo)[7].

 

Una volta tanto, se ce lo chiede l’Europa (ma anche la comunità internazionale), facciamolo!



[1]    Giancarlo Cerini è direttore di “Rivista dell’istruzione”, il bimestrale edito da Maggioli dedicato ai temi dell’istruzione e della governance del sistema educativo. Nel numero 4/2013 (luglio-agosto 2013) verrà dedicato ampio spazio a dati, commenti e orientamenti in materia di servizi educativi per l’infanzia, con interventi di G.Cerini, L.Campioni, F.Cremaschi, G.Zunino, S.Benedetti, L.Lega e altri.

[2]    La Corte dei Conti ha riconosciuto la correttezza del comportamento del Comune di Napoli nell’assunzione di 300 docenti a tempo determinato, per poter garantire la continuità del servizio educativo. Tra le (dure) ragioni della spending review (patto di stabilità) e il diritto all’educazione da salvaguardare, così come previsto dalla Costituzione, ha scelto quest’ultimo principio (da una comunicazione di Anna Maria Palmieri, Assessore all’istruzione del Comune di Napoli).

[3]    Un’analisi del profilo giuridico delle scuole non statali è riportata nella voce “parità” (curata da G.Cerini) in S.Auriemma (a cura di), Repertorio 2013. Dizionario normativo della scuola, Tecnodid, Napoli, 2013.

[4]    G.Cerini, Referendum a Bologna, i finanziamenti alle scuola tra proposta A e opzione B,  in www.leggioggi.it (24-5-2013).

[5]    Una rigorosa analisi dei miti e dei riti della politica scolastica italiana è compiuta da M.G.Dutto, Acqua alle funi. Per una ripartenza della scuola italiana, Vita e Pensiero, Milano, 2013.

[6]    Starting Strong III: A Quality Toolbox for Early Childhood Education and Care, 2012, Executive Summary.

[7]    OECD (2012), Education Today 2013: The OECD Perspective, OECD Publishing

Piano personalizzato di sostegno

PER L’APPLICAZIONE DELL’ART. 14 L. 328/2000 E DELLA L.162/98 PER L’ATTUAZIONE DEI PIANI PERSONALIZZATI DI SOSTEGNO ALLE PERSONE CON DISABILITA’ GRAVE

Il Progetto Individuale (previsto dall’art. 14 della L. 328/00) rappresenta la definizione organica degli interventi e servizi che dovrebbero costituire la risposta complessiva ed unitaria che la rete dei servizi – a livello assistenziale, riabilitativo, scolastico e lavorativo – deve garantire alle persone con disabilità per il raggiungimento del loro progetto di vita.

Il Progetto Individuale, nella sua definizione e realizzazione, è un processo dinamico che deve sapersi adattare alle necessità delle persone che mutano nelle diverse fasi della vita.

Deve, quindi, garantire continuità nei processi, soprattutto in occasione di quelle fasi di passaggio avvertite come particolarmente critiche e spesso di abbandono.

Una presa in carico globale richiede un approccio multidimensionale e, quindi, è necessaria un’équipe multi-professionale  che sia integrata da figure professionali specifiche, relativamente agli ambiti di vita della persona con disabilità.

Gli interventi ed i servizi previsti vengono raccolti in un Dossier Unico, curato dall’assistente sociale di riferimento, nel ruolo di case manager. Prerequisito per l’attivazione del percorso di presa in carico è l’accertamento della condizione di disabilità, attualmente disciplinato dalla Legge n. 104/1992.

Allegati

La valorizzazione della professionalità docente

La valorizzazione della professionalità docente: un terreno molto scivoloso

di Enrico Maranzana

“Saranno attuate nuove modalità di carriera e valutazione, un cursus professionale basato sul merito e non sugli scatti automatici degli stipendi. Alla base il sistema di valutazione elaborato dal precedente Governo” [M.C. Carozza] che ha allineato l’Italia “agli altri Paesi Europei sul versante della valutazione dei sistemi formativi pubblici per rispondere agli impegni assunti nel 2011 con l’Unione europea” [Miur]

Evidente l’incongruenza tra intenzionalità e strategia, dissonanza generata sia dall’estrinseca motivazione costitutiva dell’organismo sia dalle sue finalità:

1. tener sotto controllo gli indicatori di efficacia e di efficienza dell’offerte formative elaborate dalle scuole:

traguardo perseguibile se, solamente se i POF sono stati sottoposti a controllo antecedente per accertare la loro compatibilità con le finalità e con “gli obiettivi generali del processo formativo e con gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni” definiti dal Miur

Condizione non soddisfatta

2. sostenere le scuole in difficoltà:

Una scuola è in difficoltà se non consegue gli obiettivi programmati. Il superamento di tale carenza implica l’attenta ricerca e capitalizzazione degli scostamenti mete .. risultati. Il disposto ministeriale, che avversa i rapporti dialogici, prefigura un processo “d’autovalutazione da effettuarsi sulla base di un fascicolo elettronico di dati messi a disposizione dalle banche dati del sistema informativo del Ministero dell’istruzione dell’INVALSI e delle stesse istituzioni scolastiche”.

Si sterilizza l’autonomia scolastica che “si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione”

3. valutare i dirigenti scolastici:

Nella scuola la cultura dell’organizzazione è assente, ancorata al tradizionale, obsoleto modello lineare gerarchico: la legge, uniformandosi alla dottrina, ha riconosciuto la dimensione del problema educativo e ha ristrutturato il sistema decisionale. [CFR in rete “Quale formazione per il dirigente scolastico” e “Coraggio! Organizziamo le scuole”].

La valutazione della funzione dirigenziale, isolata dal sistema di regole in cui la scuola è immersa, è perdente

L’ambito in cui nasce il problema “Valorizzare la funzione del docente” è visibile in rete: “La professionalità dei docenti: un campo inesplorato”.

Disabilità e Cittadinanza

Disabilità e Cittadinanza

di Alfonso Amoroso

La sentenza emessa dal Tribunale amministrativo regionale del lazio del 4 giugno 2013 N. 05568/2013 REG.PROV.COLL., N. 05332/2011 REG.RIC, assume un importanza degna di essere presa in considerazione.

La storia che ha scaturito questa sentenza dimostra ancora una volta di quanto può essere grande il cuore umano e piccolo il motore celebrale delle istituzioni

Questa ragazza che chiameremo, come i suoi amici Jessica, con una grave disabilità cognitiva veniva data in affidamento ad una signora che con amore ricostruiva alla ragazza un tessuto sociale ed umano che alla stessa era mancato nell’infanzia. Infanzia difficile di questa ragazza, nata a Roma, che aveva frequentato solo le scuole e le istituzioni di questo paese, che però per questioni ottuse e non comprensibili non era cittadina italiana.

Scrivono i Giudici “La ragazza, nata a Roma da genitori bosniaci da sempre residenti in Italia, ha frequentato e frequenta le scuole italiane, comprende – pur non potendo parlare – la lingua italiana e si considera, nonostante la sua grave disabilità, una cittadina italiana.”

Ma la domanda per ottenere la cittadinanza veniva rigettata dal Ministero in quanto la stessa non aveva potuto firmare la domanda ed inoltre “in quanto la disabile non sarebbe in grado di manifestare la propria volontà di diventare cittadina italiana.”

Tradotto in burocratese non sai scrivere non sai parlare e pertanto non puoi diventare cittadino

La sentenza, anche in questo caso, in un paese, dove la magistratura è diventato l’unico difensore dei diritti dei cittadini tutti, ha fatto chiarezza e giustizia censurando il comportamento discriminatorio ed illegittimo del ministero

Ma in riferimento ai principi costituzionali ed internazionali ha sancito un obbligo da parte della P.A.  dicono i Giudici:

“Ritiene il collegio che la carenza del linguaggio verbale non può essere motivo per ritenere una persona incapace di manifestare la propria volontà né per sostenere che essa non possa in altro modo dimostrare di quanto meno comprendere la lingua italiana.

Infatti, la capacità di Jessica di comprendere la lingua italiana, pur senza sapersi esprimere, può– con le opportune cautele e gli adeguati strumenti – essere valutata, con l’ausilio di personale specializzato, ad esempio rivolgendole semplici ordini e verificando se essi vengono eseguiti, o comunque osservando le sue reazioni alle frasi che si pronunciano in lingua italiana.

Più arduo è invece certamente il procedimento di accertamento della volontà della disabile di diventare cittadina italiana alla luce delle sue limitazioni espressive e cognitive. Anche in questo caso, tuttavia, prima di giungere alla conclusione della impossibilità per la disabile di manifestare una tale volontà, l’amministrazione avrebbe dovuto valutare in concreto, all’esito di un accertamento approfondito e condotto con l’ausilio di personale specializzato, se una tale impossibilità effettivamente sussista, pur non essendo stata la disabile privata giuridicamente della capacità di agire. Nell’ambito di tali accertamenti potranno, eventualmente, essere presi in esame anche elementi indiziari, quali la permanenza in Italia, la comprensione della lingua e della cultura italiana, lo stile di vita, ecc.

Non risulta, invece, che tale istruttoria sia stata effettuata in quanto l’amministrazione – come si è detto – si è limitata al dato della impossibilità della disabile di sottoscrivere l’istanza e di esprimersi nella lingua italiana.

Letta questa sentenza non posso altro che aggiungere benvenuta tra noi Jessica e grazie per averci dato questa lezione di vita

Le competenze… sottintese!

Le competenze… sottintese!

di Maurizio Tiriticco

In seguito al mio ultimo “pezzo” sull’obbligo di istruzione in chiave europea, alcuni amici mi hanno posto, implicitamente o esplicitamente, il problema del “che fare”, oggi – o meglio al termine del presente anno scolastico – e domani, per ciò che riguarda la certificazione delle competenze di fine obbligo. Fino a ieri, in assenza di una presa di posizione certa della nostra amministrazione circa la necessità di dichiarare a quali livelli europei corrispondano i nostri titoli di studio, la certificazione operata dalle istituzioni scolastiche ha sempre avuto più un carattere formale che sostanziale: come fosse uno dei tanti adempimenti burocratici a cui bisogna attendere!!! Così in effetti è stata letta e sentita da una gran parte dei nostri insegnanti del biennio! Oggi, le cose sono cambiate! O dovrebbero cambiare! Lo studente che assolve all’obbligo di istruzione sa – o dovrebbe sapere… sperando che qualcuno lo informi – che il suo titolo di studio corrisponde al secondo livello europeo, riconosciuto in ciascuno dei Paesi dell’Unione e che ha conseguito – o avrebbe dovuto conseguire – i seguenti livelli di apprendimento:

conoscenze: conoscenze pratiche di base in un ambito di lavoro e di studio;

abilità: abilità cognitive e pratiche di base necessarie per utilizzare le informazioni rilevanti al fine di svolgere compiti e risolvere problemi di routine, utilizzando regole e strumenti semplici;

competenze: lavorare o studiare sotto supervisione diretta con una certa autonomia [1].

E ciò sta scritto – nero su bianco – nell’“Accordo sulla referenziazione del sistema italiano delle qualificazioni al Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF), di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008. Accordo ai sensi dell’articolo 4, comma 1 del dlgs 28 agosto 1997, n. 281, n. 252”, che è stato firmato dalle nostre Autorità il 20 dicembre 2012.

Ma! Ed ecco il “ma”!!! Le conoscenze, abilità e competenze di cui sopra sono state debitamente certificate alla conclusione del biennio obbligatorio? Assolutamente no! Sono state certificate competenze culturali relative a quattro assi pluridisciplinari! E in nessuno dei relativi indicatori figurano le conoscenze, le abilità e le competenze di cui all’Accordo italiano e alla Raccomandazione europea!

Poi lo studente va a vedere ciò che c’è scritto in calce al documento di certificazione e legge quanto segue: “Le competenze di base relative agli assi culturali sopra richiamati sono state acquisite dallo studente con riferimento alle competenze chiave di cittadinanza di cui all’allegato 2 del regolamento citato in premessa (1. imparare ad imparare; 2; progettare; 3. comunicare; 4. collaborare e partecipare; 5 agire in modo autonomo e responsabile; 6 risolvere problemi; 7. individuare collegamenti e relazioni; 8. acquisire e interpretare l’informazione)”. E si chiederà che cosa significa questa postilla; e che cosa significa il rinvio all’allegato 2… E dove lo va a trovare questo allegato 2? E si chiederà anche che cosa sono quei verbi scritti tra parentesi! Forse qualche insegnante volenteroso gliene avrà parlato, ma… è una cosa importante o no? E, se è importante, perché è scritta tra parentesi? Mah!

Tutto ciò che cosa comporta? Che l’amministrazione deve assolutamente farsi carico del fatto che l’obbligo di istruzione è stato innalzato di due anni e che alla fine di questo percorso le competenze di cittadinanza attiva, essenziali ai fini dell’apprendimento permanente e per misurarsi con quanto accede nei Paesi membri dell’Unione europea, non sono affatto da sottovalutare.

Nell’allegato 2 al dm 139/07, istitutivo dell’obbligo di istruzione decennale, quelle competenze, che poi sono malamente finite nel documento di certificazione tra parentesi, costituivano – e costituiscono – una necessaria premessa alle competenze culturali e non possono essere indicate in nota e tra parentesi. In effetti, nell’allegato 2 al citato dm, queste competenze non solo sono debitamente dettagliate, ma sono introdotte dalla seguente premessa: “L’elevamento dell’obbligo di istruzione a dieci anni intende favorire il pieno sviluppo della persona nella costruzione del sé, di corrette e significative relazioni con gli altri e di una positiva interazione con la realtà naturale e sociale”. In effetti:

– “imparare ad imparare” e “progettare” afferiscono alla FORMAZIONE del Sé, della persona;

– “comunicare”, “collaborare e partecipare”, “agire in modo autonomo e responsabile” afferiscono all’EDUCAZIONE del Sé con l’Altro, alla collaborazione, alla cittadinanza attiva;

– “risolvere problemi”, “individuare collegamenti e relazioni”, “acquisire e interpretare l’informazione” afferiscono all’area dell’ISTRUZIONE, finalizzata all’acquisizione di quei saperi che poi serviranno nel mondo dl lavoro.

Si tratta di tre vettori che sono chiaramente enunciati nell’articolo 1, comma 2, del dpr 275/99, il Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di EDUCAZIONE, FORMAZIONE e ISTRUZIONE mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il SUCCESSO FORMMATIVO, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.

Le considerazioni fin qui condotte intendono sottolineare che l’Accordo delle scorso dicembre non può risolversi nell’ennesima operazione formale! E’ bene che l’amministrazione ne tragga le debite conseguenze e si adoperi per riscrivere il modello della certificazione delle competenze di base. Infatti, le competenze culturali non implicano quelle di cittadinanza! I corrotti di cui il nostro Paese, purtroppo, abbonda, sono più che competenti in materia di economia e di finanza, ma assolutamente… incompetenti, se si può dir così, per ciò che riguarda i loro doveri civili!



[1] Com’è noto, la competenza relativa al lavoro non riguarda il nostro ordinamento, in quanto “l’età minima di ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria” (dlgs 345/99, art. 5), quindi dopo il compimento dei 16 anni di età. E’ opportuno ricordare che ai 15 anni di età è possibile accedere all’apprendistato di primo livello, finalizzato al compimento dell’obbligo di istruzione, al conseguimento di una qualifica di primo livello e a un diploma professionale (si veda il Testo Unico sull’apprendistato, dlgs 167/2011).

Due quadri e qualche riflessione

Due quadri e qualche riflessione
“La mia bambina con la palla in mano” (scontenta delle prove INVALSI) e altri bambini

di Beatrice Mezzina

 

Primo quadro

Una bambina a me molto cara, sette anni, seconda primaria. Come la figlia di Ernesto Saba, “con la palla in mano, con gli occhi grandi colore del cielo e dell’azzurra vesticciola” paragonata a “cose leggere e vaganti”, mi conquista con la sua esilità, i suoi occhi curiosi, le sue capriole ei suoi salti quasi aerei, imparati in un corso di ginnastica. Inesausta raccontatrice di storie, che scrive anche. Brava a scuola, la maestra le scrive “campionessa” su molti compiti.

La sua leggerezza appannata dall’INVALSI.

Era triste l’altro giorno dopo la prova di Italiano. La maestra le ha detto che ha fatto sette o otto errori. Non vuole parlare a lungo della prova.  Mi dice che lei a scuola fa pochi errori e che per lei sette o otto errori sono troppi.

Eppure la sua scuola, in un quartiere  “bene”, ha lavorato molto per  preparare i bambini: fin da inizio anno i genitori hanno ricevuto  dalle maestre varie mail con le prove INVALSI degli anni scorsi da stampare e consegnare ai figli per le esercitazioni (ormai è così, non vi sono soldi per le fotocopie), sono stati acquistati libretti di esempi di prove che ormai circolano in gran numero.

Le maestre sono brave e hanno saputo calibrare la preparazione alle prove nazionali senza che prevaricassero le altre attività.

Il  caso della bambina non è  isolato.  Altri bambini bravi hanno commesso errori. Anche le maestre sono scontente. Sento altre mamme e colleghe: situazione simile in molte altre scuole.

 

Secondo quadro

Ho seguito in questi anni il bellissimo progetto “Diritti a Scuola” della Regione Puglia che ha investito molto danaro e energie per il miglioramento delle Competenze di base in Italiano e Matematica degli studenti pugliesi dalla primaria al biennio della Secondaria con un geniale e semplice percorso: dare alle scuole alcuni insegnanti aggiunti che hanno il compito di aiutare e supportare gli studenti in difficoltà. Questo progetto ha un protocollo di monitoraggio e valutazione molto attento  per analizzare se insomma il grande investimento produce miglioramento nelle scuole.

I risultati sono davvero notevoli, segno che, quando si investe in formazione e quando alcuni studenti più difficili possono disporre di un insegnante che sta loro vicino, li segue, cerca di comprenderne le difficoltà, la situazione migliora.

E’ l’ennesima conferma che se si investe nella scuola, se in una classe con molti alunni (ormai classi pollaio in molte scuole) un altro insegnante supporta gli studenti, si programma una codocenza efficace, si svolge qualche incontro suppletivo, si lavora sul metodo di studio e sulla motivazione,  i risultati in termini di diminuzione della dispersione, di rafforzamento delle competenze di base, di inclusione,  sono evidenti e sensibili.

Molte scuole pugliesi ne usufruiscono con interessantissime buone pratiche (vedere www.dirittiascuola.it).

Tra queste una scuoletta di un quartiere difficile di una grande città, che ho visitato più volte per il monitoraggio di “Diritti a scuola”.

Maestre bravissime, bambini con difficoltà comprensibili, non seguiti dalle famiglie, con problemi economici, in un ambiente di bassissimo livello socioculturale.

La scuola utilizza bene il Progetto  “Diritti a scuola” che dà loro insegnanti di supporto in Italiano e Matematica, con ottime pratiche. Anche se i processi sono lunghi e complessi, dato il contesto difficilissimo in cui opera la scuola.

Sono depresse le maestre prime delle prove INVALSI. Mi dicono che l’anno scorso è stato uno sfacelo e anche quest’anno pensano sarà così. La maggior parte dei bambini in seconda classe della primaria non legge ancora bene,  moltissimi non reggono a una lettura silenziosa e autonoma.

I risultati in molte scuole del genere si vedono più tardi, con lentezza e tanta pazienza.

 

Prima riflessione

Fin ora, che ha fatto l’INVALSI o il MIUR per le scuole in difficoltà? Si è premurato di evidenziarne le cause dell’insuccesso nelle prove, ha finanziato le scuole perché facciano meglio? Ha messo in atto un sistema di valutazione articolato con strumenti e procedure capaci di evidenziare davvero criticità e punti di forza di tutti i processi del sistema di istruzione, con misure di supporto all’attività di autovalutazione e ai processi di ricerca e azione dedicati ad individuare e realizzare percorsi di miglioramento?

Che anzi, rispunta – mai sopito – l’intento dell’idea gelminiana di rendere pubblici i risultati così che i genitori possano avere elementi di valutazione su quale scuola scegliere per iscrivere i figli.

Così si affosseranno proprio le scuole che hanno bisogno di aiuto.

Riporto una riflessione di Bruno Losito (www.cidi.it). “Sui temi della valutazione e dell’uso dei risultati delle indagini valutative – così come su tutti problemi aperti da affrontare – credo ci sia il bisogno di sviluppare un dibattito ampio e approfondito che coinvolga responsabili politici, esperti e – prima di tutto – scuole, insegnanti, dirigenti. Con l’obiettivo di sostenere le scuole e di migliorarne l’intervento, in una prospettiva di maggiore equità del nostro sistema di istruzione”.

Un corollario: è possibile che alcune scuole superiori considerate “valide”, con iscrizioni eccedenti facciano test di ingresso ad escludendum per accaparrarsi i migliori studenti che si iscrivono al I anno? Propongo contro questo scempio che le “brave” scuole, facciano pure test di ingresso ma accettino le iscrizioni  relative a tre fasce di studenti che si rilevano dai test,  bassa, media, alta, in pari percentuale, per dimostrare che sono buone scuole anche con un’utenza composita.

Se no, che buone scuole sono? E’ facile essere buone scuole solo con studenti bravi.

 

Seconda riflessione

Leggo nella prova di Italiano –  seconda primaria – il racconto “le multe” e le domande proposte.

Testo ironico e simpatico. Difficili le domande e i distrattori rispetto alle risposte esatte sono spesso infidi. Anch’io vado indietro a rileggere il testo per rispondere a domande molto analitiche e che comportano una forte attenzione alla lettura, non so quanto compatibile con i livelli di concentrazione di bambini di sette anni.

Per alcune domande non vi sono risposte univoche: nella B 17 , tanto per un esempio che dimostrerebbe la comprensione profonda del testo, se il bambino risponde che il titolo può essere completato con “Le multe: molto meglio dei castighi” o “le multe: un gioco divertente della mamma” fa molta differenza? E’ proprio un errore? Non sono entrambe accettabili?

In una pratica didattica reale le maestre non avrebbero forse anticipato le domande con una riflessione sul testo, non avrebbero forse sollecitato la discussione dei bambini, prima di porre le domande?

Che rapporto tra i processi di valutazione autentica che si sbandierano nei corsi di formazione e le prove standardizzate?

Non la voglio fare troppo lunga. Per chi voglia, rimando a un intervento interessantissimo della maestra  Adriana Presentini al Convegno di “AmicaSofia: filosofare con bambini e ragazzi”, reperibile in rete cliccando “ I signori Invalsi”, titolo dell’intervento, su un motore di ricerca.

 

Insomma, per finire ed estendere la riflessione oltre il dilemma INVALSI sì/no,

ricordo soprattutto ai giovani una vecchia polemica che si sviluppò sugli indimenticabili Quaderni Piacentini nel 1978 n.67/68, a proposito di un intervento di H.M.Enzensberger sulla lettura come “atto anarchico…sfogliare il libro, saltare passi interi, ricavare dal testo conclusioni che il testo ignora, arrabbiarsi con lui, dimenticarlo… ”, contro il vizio odioso della interpretazione giusta che aveva fatto prendere un brutto voto alla figlia del suo macellaio proprio sull’interpretazione  di una sua poesia non intesa per via delle domande troppo precostruite in una univoca interpretazione.

Mi piace e mi è sempre piaciuta la lettura anarchica (ne sono ancora seguace) contro le logotecnocrazie, tante nelle scuole, per cui raffinati metodi di analisi del testo sono stati propinati impropriamente agli studenti come sinonimo di modernità.

Ma so bene, come allora diceva C.Segre in opposizione alla lettura anarchica, che una lettura colta e anarchica può aversi solo se si siano acquisite le basi per leggere, in una scuola che è lavoro continuo, sperimentazione di metodi, per insegnare a leggere anche alla figlia del macellaio, senza poi torturarla con domande troppo cogenti.

Possiamo trovare un punto d’incontro tra le semplificazioni dell’INVALSI e i complessi processi di lettura e comprensione?

Insomma, insegnare stanca.  E bisogna lavorare nelle scuole, non solo testare.

E forse la scuola e i Signori Invalsi dovrebbero tener conto di tante angolature dell’apprendimento, della leggerezza della mia bambina e degli altri bambini,  senza spegnerli.

Pratica della valutazione nella scuola primaria

Pratica della valutazione nella scuola primaria

di Nicola Zuccherini

Valutare è diventato difficile. Il copioso dibattito pubblico di questi anni non ha aiutato la formazione, nelle scuole, di una cultura valutativa all’altezza dei tempi nelle scuole, anzi. Le continue ridefinizioni e esplicitazioni della sostanza, dei fini e dei confini della valutazione hanno reso la materia scivolosa, hanno generato stanchezza, confusione di idee e diffidenza.

Promuovere o non promuovere gli alunni

Promuovere o non promuovere gli alunni

di Umberto Tenuta

E’ imminente la fine dell’anno scolastico ed i docenti si accingono a valutare gli alunni, ai fini della loro promozione o bocciatura.

Al riguardo, è opportuno tenere presente che, come si affermava nel RAPPORTO FAURE, <<ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>>[1] e che tale affermazione si ritrova sostanzialmente riprodotta nell’art. 1 del Regolamento dell’Autonomia scolastica, laddove si afferma che <<L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento>> (Art. 1 del D.P.R. 8.3.1999, n. 275).

In effetti, la normativa pone come obiettivo includibile il successo formativo di tutti i singoli alunni e, al riguardo indica la strategia da seguire, costituita dal miglioramento della efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.

Altrove[2] abbiamo scritto che il successo formativo non può essere condizionato dalle potenzialità dei singoli alunni, ma dipende dalle strategie formative che i docenti ed il loro collegio mettono in atto.

Scrive Kant che <<La bestia è già resa perfetta dall’istinto… L’uomo invece… non possiede un istinto e deve quindi formulare da sé il piano del proprio modo di agireLa specie umana deve esprimere con le sue forze e da se stessa le doti proprie dell’umanità. Una generazione educa l’altra… L’uomo può diventare tale solo con l’educazione>>[3].

Il compito della scuola è quello di promuovere l’umanizzazione dei giovani, il loro divenire uomini, acquisendo i valori che sono propri dell’umanità, in una forma singolare che è frutto del contesto formativo e del progetto della propria umanità che ogni singolo giovane via via esprime.

Come scrive il Doll: <<Per capacità potenziali dei singoli noi intendiamo quelle potenzialità di grandezza imprevedibile, che possono scaturire dall’interno della personalità: potenzialità che possono venire sviluppate o ridotte col processo educativo… le capacità potenziali non sono considerate come delle qualità congenite nell’individuo, che divengono attuali attraverso un processo di maturazione su cui non influisce in alcun modo l’ambiente. Anzi, queste capacità si sviluppano e si “manifestano nello scambio dinamico di influssi fra l’individuo e il suo ambiente”. Vengono definite capacità “potenziali” perché sono un modo di essere dell’individuo, sono una capacità individuale di reagire positivamente e in modo praticamente imprevedibile: “senza alcun preconcetto quanto ai …limiti” delle capacità potenziali…. L’essenza della concezione ebraica e greca dell’uomo era invece di porre l’accento sulla personalità umana dotata di capacità potenziali illimitate, di considerare positivo il fatto che gli sviluppi della personalità umana sono imprevedibili…>>[4].

Non esiste la scolaresca, costituita da venticinque studenti, ciascuno dei quali deve essere aiutato nel suo impegno a costruire la propria personalità, originale, irripetibile, singolare.

Non esiste una scolaresca di venticinque studentii[5] che possono essere impegnati negli stessi apprendimenti, con le stesse strategie e tecnologie, magari costituite dalla voce del docente, dal libro di testo e, a volte, dalle stesse tecnologie educative. Il compito fondamentale dei docenti è quello di personalizzare l’attività formativa, individuando attraverso quali attività ogni studente riesce a realizzare la sua irripetibile personalità.

E’ questo il significato della valutazione formativa[6]

Ovviamente, la valutazione formativa ha significato se si attua in una scuola che privilegia le unità di apprendimento[7] e non le lezioni.


[1] FAURE E, (a cura di), Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, p. 249.

[2] In merito al successo formativo di tutti i singoli alunni, vedi i saggi dello scrivente in RIVISTA DIGITALE DELLA didattica (www.rivistadidattica.com) e nella rubrica DIDATTICA&EDSCUOLA a cura di Umberto Tenuta  ( www.edscuola.it/dida.html ).

[3] KANT E., Pedagogia, O.D.C.U., Rimini, 1953, pp. 25-27.

[4] DOLL R. C., L’istruzione individualizzata, La Nuova Italia, Firenze, 1969, pp. XI, 19, 21.

[5] Preferiamo indicare gli scolari con il termine studenti, inteso nel suo significato etimologico di “colui che ama” imparare per formarsi: . Studente da studium che in latino significa anche “passione, desiderio, impulso interiore“.. Scrive F. Ferrarotti che <<La scuola non sembra in grado di stimolare e far scoprire ai giovani la gioia della lettura, e di riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>> (Presentazione: del volume FERRAROTTI F., Leggere, leggersi, Donzelli, Roma, 1998). In merito, vedi: LEZIONI NOIOSE BASTA: VIVA LA GIOIA DI APPRENDERE! di Umberto Tenuta, in www.rivistadidattica.com

6 In altri termini, <<la valutazione è il momento della esperienza educativa… nella quale l’educatore riesce a comprendere per quale itinerario riuscirà a prestare il suo aiuto, quello cioè che legittima la sua funzione, affinché la ricchezza del potenziale educativo (intelligenza, linguaggio, affettività, socialità, volontà, memoria, ecc.) si traduca in libertà personale, in coscienza (intesa, alla maniera dello Spranger, come sorgente normativa), in volontà morale, in creatività: senza nessuna manomissione, senza alienazione di sorta>>(AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, La Scuola, Brescia, 1974 e UMBERTO TENUTA, Valutazione: selettiva o formativa?, in http://www.edscuola.it/archivio/didattica/valselform.html.

7 In merito cfr. il saggio UNITÀ DIDATTICHE E UNITÀ DI APPRENDIMENTO di Umberto Tenuta, in www.rivistadidattica.com

Finalmente un obbligo di istruzione in chiave europea!

Finalmente un obbligo di istruzione in chiave europea!

 di Maurizio Tiriticco

Dopo anni e anni… finalmente!… Era ora! Il nostro Governo ha assunto le sue decisioni in merito al Quadro Europeo delle Qualifiche, o meglio alla necessità di dichiarare a quale degli otto livelli indicati dall’Unione europea fin dal 5 settembre del 2006 (è la data della proposta di Raccomandazione, poi approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 23 aprile 2008) corrisponda ciascuno dei nostri titoli di studio.

Si veda al proposito l’“Accordo sulla referenziazione del sistema italiano delle qualificazioni al Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF), di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008. Accordo ai sensi dell’articolo 4, comma 1 del dlgs 28 agosto 1997, n. 281, n. 252”, sottoscritto il 20 dicembre 2012.

Dall’Accordo si evincono le seguenti corrispondenze tra i livelli europei e i nostri titoli di studio:

livello1 – diploma di licenza conclusiva del primo ciclo di istruzione;

livello 2 – certificato delle competenze di base acquisite in esito all’assolvimento dell’obbligo di istruzione;

livello 3 – qualifica di operatore professionale;

livello 4 – diplomi conclusivi del secondo ciclo di istruzione; diploma professionale di tecnico; certificato di specializzazione tecnica superiore;

livello 5 – diploma di Istruzione Tecnica Superiore;

livello 6 – laurea; diploma accademico di primo livello;

livello 7 – laurea magistrale; diploma accademico di secondo livello; master universitario di primo livello; diploma accademico di specializzazione (I); diploma di perfezionamento o master (I);

livello 8 – dottorato di ricerca; diploma accademico di formazione alla ricerca; diploma di specializzazione; master universitario di secondo livello; diploma accademico di specializzazione (II); diploma di perfezionamento o master (II).

Nell’Accordo leggiamo anche che occorre “adottare le misure necessarie affinché, a far data dall’1 gennaio 2014, tutte le certificazioni delle qualificazioni rilasciate in Italia… riportino un chiaro riferimento al corrispondente livello del Quadro Europeo delle Qualificazioni per l’apprendimento permanente”.

Gli 8 livelli europei sono scanditi secondo tre descrittori, ormai noti anche nel nostro Paese: conoscenze, abilità e competenze; e di ciascun livello si indicano le rispettive corrispondenze.

Per quanto riguarda la conclusione del primo ciclo italiano, gli esiti di apprendimento indicati dall’Unione europea sono i seguenti:

conoscenze: conoscenze generali di base;

abilità: abilità di base necessarie per svolgere mansioni/compiti semplici;

competenze: lavorare o studiare sotto supervisioni diretta in un contesto strutturato.

Com’è noto, la competenza relativa al lavoro non riguarda il nostro ordinamento, in quanto “l’età minima di ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria” (dlgs 345/99, art. 5), quindi dopo il compimento dei 16 anni di età. E’ opportuno ricordare che ai 15 anni di età è possibile accedere all’apprendistato di primo livello, finalizzato al compimento dell’obbligo di istruzione, al conseguimento di una qualifica di primo livello e a un diploma professionale (si veda il Testo Unico sull’apprendistato, dlgs 167/2011).

Per quanto riguarda il conseguimento dell’obbligo di istruzione decennale (si consegue nei percorsi del secondo ciclo di istruzione, nei percorsi dell’istruzione e formazione professionale regionale e nell’apprendistato), gli esiti di apprendimento indicati dall’Unione europea sono i seguenti:

conoscenze: conoscenze pratiche di base in un ambito di lavoro e di studio;

abilità: abilità cognitive e pratiche di base necessarie per utilizzare le informazioni rilevanti al fine di svolgere compiti e risolvere problemi di routine, utilizzando regole e strumenti semplici;

competenze: lavorare o studiare sotto supervisioni diretta con una certa autonomia.

Il quarto livello interessa gli studenti che concludono e superano il secondo ciclo di istruzione. Gi esiti di apprendimento, di cui al quarto livello europeo, sono i seguenti:

conoscenze: conoscenze pratiche e teoriche in ampi contesti in un ambito di lavoro e di studio;

abilità: una gamma di abilità cognitive e pratiche necessarie per creare soluzioni a problemi specifici in un ambito di lavoro e di studio;

competenze: autogestirsi all’interno di linee guida in contesti di lavoro o di studio solitamente prevedibili, ma soggetti al cambiamento; supervisionare il lavoro di routine di altre persone, assumendosi una certa responsabilità per la valutazione e il miglioramento delle attività di lavoro e di studio.

L’accordo entrerà in vigore – come già detto – a partire dal primo gennaio 2014. Ciò non significa che fin da quest’anno non si debba porre attenzione a quanto da esso stabilito e alle corrispondenze che corrono tra le finalità e gli obiettivi che sono proposti dalla nostre norme – nella fattispecie, per quanto riguarda l’istruzione, ciò che è prescritto nelle Indicazioni nazionali del primo ciclo, in quelle dei licei, nelle Linee guida degli istituti tecnici e professionali e nei decreti relativi all’innalzamento dell’obbligo di istruzione, dm 139/07 e 9/10 – e quanto indicato dai livelli della Raccomandazione europea.

Comunque, dal prossimo anno la certificazione dovrà diventare una “cosa” seria, come si suol dire, soprattutto in considerazione del fatto che i titoli di studio rilasciati dalle istituzioni scolastiche e formative di un Paese membro dell’Unione europea sono leggibili e spendibili negli altri Paesi membri. E, stante la difficile situazione lavorativa, la mobilità di cittadini e titoli di studio all’Interno dell’Unione assumerà in un prossimo futuro proporzioni sempre più massicce.

Pertanto, la certificazione delle competenze, a tutt’oggi ancora per certi versi “snobbata” dalle nostre istituzioni scolastiche, assumerà un rilievo sempre più importante e necessario. Va anche ricordato che, in tale prospettiva, la certificazione delle competenze alla conclusione del secondo ciclo di istruzione, a tutt’oggi ampiamente “snobbata” in quanto il Miur non ha mai indicato quali siano le competenze da certificare, nella tornata di esami del 2015 – al compimento del riordino avviato nell’anno scolastico 2010/11 – diventerà operativa.

Com’è noto le Linee guida degli istituti professionali e tecnici indicano con chiarezza le competenze disciplinari terminali; invece, le Indicazioni per i licei sono più vaghe in tale materia. Comunque, il Miur dovrà adottare i necessari provvedimenti perché l’attuale procedura dell’esame venga riformulata. L’attuale modello di certificazione (dm 26/09), anche se plurilingue, si limita a indicare i punteggi ottenuti dal candidato, non le competenze certificate. Pertanto, occorrerà rivedere la normativa che regola le procedure dell’esame. I tempi ci sono, ma… speriamo che l’amministrazione non si riduca all’ultimo momento.

E non sarebbe la prima volta!

Roma, festa della Repubblica 2013