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L’esplorazione in Matematica: analisi di un’esperienza didattica

Il seguente lavoro racchiude un’esperienza didattica che è stata svolta in un Istituto Comprensivo durante la stesura di una tesi di Laurea Magistrale. L’argomento si colloca nell’alveo della Didattica della Matematica, con particolare riferimento alla metodologia didattica incentrata sul gioco. Attraverso l’interpretazione dei questionari che hanno completato i piccoli studenti, si è potuto comprendere come un approccio ludico abbia aiutato gli scolari a raggiungere gli obiettivi posti dall’insegnante in un clima disteso ed empatico.

di Annalisa F. Cento

La scuola nel postdigitale

La scuola nel postdigitale

di Margherita Marzario

La scuola di una volta, anche con i suoi errori e limiti, era sicuramente diversa e più scuola, senza corse né corsi né ricorsi né troppi discorsi. Era riconosciuta come scuola e non svolgeva altre funzioni. E la scuola di oggi com’è o com’è considerata?

Una delle ragioni per cui la scuola di oggi non funziona più come tale è perché si ritrova a colmare, calmare, calmierare le ansie, le lacune, i sensi di colpa, le richieste (o le pretese), i ricorsi ai T.A.R. dei genitori. I genitori devono ricordare (o sapere, se non ne sono ancora consapevoli) che i figli escono come figli da casa e vi fanno ritorno come figli e nel frattempo sono alunni (parola che, etimologicamente, deriva da una radice con il significato di “nutrire, far crescere”) e devono essere alunni a scuola. Tra famiglia e scuola non c’è e non ci deve essere separazione ma distinzione: i genitori danno la vita, la scuola dà la cultura e insieme danno la cultura della e per la vita. 

“[…] sarà essenziale promuovere l’idea di «educazione della comunità», dove la scuola è un soggetto – il soggetto principale – all’interno di una rete di attori protagonisti: le famiglie, il mondo culturale, sportivo, economico, ecclesiale e sociale. All’interno di questa comunità si può costruire un progetto educativo capace di ridurre le disuguaglianze e di promuovere la mobilità sociale” (cit.). La scuola può fare tanto ma non tutto, perché ha bisogno di coerenza, coralità, collaborazione educativa con la famiglianell’“adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.). 

“La scuola è stata ridotta ad una sorta di Grande Fratello: registro elettronico, pubblicazione di foto sui siti delle scuole, richiesta di videocamere di sorveglianza…(il docente Alfio Briguglia nel convegno “L’educazione attraverso i saperi” il 1° marzo 2019 a Matera). Per ri-dare senso e con-senso alla scuola bisognerebbe riscoprire il significato etimologico di “scuola”, cioè “tempo libero” e “studio”, cioè “aspirare a qualcosa”. 

A proposito di parole, il termine stesso “parola” deriva da “parabola” e la scuola deve ritrovare anche il suo ruolo di parabola di vita. Il formatore Franco Lorenzoni sottolinea: “Nella scuola ci sono poi troppe volte le parole vuote, le parole non credute, le parole senza corpo, senza energia. Quelle che sovente ci accontentiamo di usare noi docenti, e che gli studenti fanno fatica ad ascoltare. Parole che non comunicano e non generano nulla perché non suscitano inquietudine, non mettono in movimento e in discussione, non inducono a porci domande e a dubitare, e dunque non producono scintille e non fanno scaturire nuove idee. […] È dunque il tempo di compiere nella scuola un grande lavoro di ecologia della parola. Nel senso etimologico: trovare casa alle parole, offrire casa alle parole. La casa delle parole è insieme un luogo e una tensione: il luogo è il corpo di chi le pronuncia tutto intero, sempre bisognoso di attenzione, la tensione è lo sforzo di avvicinarci agli oggetti della conoscenza. In qualche modo mi verrebbe da dire che autentica è la parola che non si accontenta, la parola che ricerca. Molto meno la parola che chiude il discorso, che afferma definitivamente”. Urge un’“ecologia della parola”, soprattutto a scuola dove incalzano acronimi, anglicismi e altri gerghi. Nella scuola sempre più aziendalizzata si usano sempre più espressioni inglesi per indicare attività che si sono sempre svolte o obiettivi che si sono sempre perseguiti ma con nomi diversi, come il coding (pensiero computazionale) e il coaching (allenamento), variamente denominato. La scuola non deve e non può adeguarsi. Adeguandosi al mondo circostante la scuola è passata dall’essere “bottega della cultura” all’essere, purtroppo, assimilabile a un discount o centro commerciale o sito di vendita online (basti vedere quanto si fa durante gli open day per orientare le iscrizioni scolastiche). 

Nella scuola deve tornare la pedagogia in modo da essere un laboratorio pedagogico dell’immaginario. “L’espressione «immaginario educativo» sta a indicare la prospettiva umanistica e personalistica dell’educazione, interessando in primo luogo le aree della scuola, della pedagogia e della formazione. Da qui il bisogno di sognare un futuro migliore per le nuove generazioni, valorizzando la capacità dell’uomo di reagire di fronte all’imprevedibilità del destino, scommettendo sulla possibilità che l’immaginario educativo trovi un nuovo punto di equilibrio centrato sulla resilienza, evitando sia le fughe in avanti nei sogni utopici sganciati dalla realtà, sia le nostalgie retrotopiche che si perdono nel passato, sia infine le previsioni apocalittiche e catastrofiche della distopia. […] «Educare» (da e-ducere, «tirar fuori») vuol dire infatti liberare la persona, e quindi l’educazione non potrà mai fare a meno dell’immaginazione, capace di spalancare orizzonti inediti” (gli esperti Antonella Fucecchi, studiosa di didattica interculturale, e Antonio Nanni, pedagogista, in “Immaginario e resilienza. La scuola dopo il virus”, 2021). Educare è dire e dare futuro e anche per questo è difficile. È quanto espresso altresì nell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, in particolare nella lettera a: “promuovere lo sviluppo della personalità del fanciullo, dei suoi talenti, delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutto l’arco delle sue potenzialità”. 

Secondo la formatrice Jessica Omizzolo la scuola deve essere “[…] una scuola che si prende cura dell’eterogeneità e la coltiva. […] una scuola attiva che promuove autonomie, che sostiene il senso di autoefficacia. […] una scuola attenta. Una scuola che NON: non incasella, non chiude, non dà risposte preconfezionate e non addestra all’ubbidienza, alla performance. […] una scuola in ascolto delle domande, che condivide dialoghi, che si pone in osservazione dei silenzi, che offre rilanci divergenti e sostenenti. […] una scuola dove adulti e bambini possano sentirsi a proprio agio nel loro essere unici. Adulti professionisti aperti, attenti, sensibili”. È triste sentire parlare e assistere che nella scuola si spinga per la visibilità e pubblicità di quello che si fa o si deve fare correndo e competendo tra insegnanti tanto affannati e poco affiatati. E la centralità del bambino? E i diritti dei bambini? E i loro bisogni e i loro tempi? E l’ascolto? La scuola è sempre più adultocentrata o egocentrata e la pandemia ha spesso fornito un alibi per renderla ancora più “a distanza”, “online” e non vicina e in linea con i soggetti principali della vita, i bambini e i ragazzi.

“[…] c’è anche una mentalità su cui lavorare perché il sistema di istruzione riacquisti credibilità e rispetto: la scuola aperta a tutti è una comunità educante nella quale i bambini, gli adolescenti e i giovani sono i protagonisti” (cit.). Bambini e ragazzi non devono essere (o non solo) ricettori ma ricercatori del sapere, di ogni forma del sapere. La scuola non è solo imparare ma stare bene insieme per imparare.

Anche il pedagogista Daniele Novara afferma: “A scuola ci vuole la capacità di creare tra gli alunni modalità di relazione tali da consentire alla classe di vivere assieme e costruire le conoscenze necessarie”. Per insegnare, come pure per la genitorialità, bisogna avere le basi come in una casa e non improvvisarsi muratori o arrivare in un appartamento già finito.

La qualità della scuola non dipende dalle riforme, dalle innovazioni tecnologiche, dalla normativa, ma da chi vi opera e da chi la vive e la rende viva. L’insegnante non deve convincere ma coinvolgere, non solo trasmettere le sue conoscenze ma far trapelare le sue emozioni, essere motivato e motivante, appassionato e appassionante, emozionare ed empatizzare…

L’insegnante deve essere curioso e suscitare curiosità. Insegnare è incuriosire, innovare, indurre, iniziare, incontrare, includere…tutt’altro che indottrinare. Non si dimentichi che la scuola è una delle fucine di salute, come si ricava dal paragrafo “Sviluppare le abilità personali” della Carta di Ottawa per la promozione della salute (1986). 

Già l’antropologa statunitense Margaret Mead sosteneva che“bisogna insegnare ai bambini a pensare, non a cosa pensare”. Nell’art. 14 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge: “Gli Stati parti devono rispettare il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”. Bisogna interrogarsi se, in particolare nella scuola basata su progetti, metodi brevettati, uso di device e altro ancora, si educhi bambini e ragazzi a pensare o piuttosto all’obbedienza. I bambini hanno semplicemente bisogno di pensare ed essere pensati: questo è il pensiero puerocentrico.

Occorrerebbero maestri come Mario Lodi. Maestro di libertà, come don Lorenzo Milani (di cui aveva le stesse iniziali invertite),è considerato ancora un maestro straordinario, “il maestro che ogni bimbo vorrebbe”, ma era semplicemente maestro dell’ordinario, come ancora la scuola non è. Mario Lodi era per la gentilezza, la mitezza, la fiducia nei bambini, che non è qualcosa che scatta subito ma si costruisce e perdura, era contro la frettolosità e per il dare tempo ai bambini. L’educazione, la relazione educativa (prima in famiglia e poi a scuola) dovrebbe essere questo.  

Lo psicologo statunitense Howard Gardner, nel libro “Verità, bellezza, bontà. Educare alle virtù nel ventunesimo secolo”, ha scritto che bisogna educare al bello, buono e vero: questa è la corresponsabilità della famiglia e della scuola, della famiglia con la scuola e non solo dell’una o dell’altra.

Visite fiscali per i dipendenti pubblici in caso di malattia

Visite fiscali per i dipendenti pubblici in caso di malattia alla luce della sentenza TAR Lazio del 3 novembre 2023. Stato dell’arte

Carmelo Salvatore BENFANTE PICOGNA, Dario Angelo TUMMINELLI, Zaira MATERA

Potrebbero esserci novità in arrivo nel pubblico impiego (personale scolastico compreso) in merito alle cosiddette fasce orarie di reperibilità per le visite fiscali atte ad accertare l’effettiva sussistenza dei requisiti per assentarsi dal servizio in occasione di eventi morbosi.

Il decreto 17 ottobre 2017, n. 206 “Regolamento recante modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l’accertamento delle assenze dal servizio per malattia, nonché l’individuazione delle fasce orarie di reperibilità, ai sensi dell’articolo 55-septies, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, meglio conosciuto come decreto “Madia-Poletti”, dal nome degli ex Ministri  dell’allora governo Gentiloni, per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia e per il lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, è stato recentemente interessato dall’intervento del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio che, con sentenza  n. 16305 del 3 novembre 2023 (consultabile integralmente al link diretto https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_rm&nrg=201802760&nomeFile=202316305_01.html&subDir=Provvedimenti) ne ha acclarato l’illegittimità, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 3.

La sentenza impone la cosiddetta armonizzazione della disciplina delle fasce orarie di reperibilità tra il settore pubblico e quello privato evidenziando una manifesta disparità di trattamento fra i due settori, con evidente violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione non avendone rispettato il principio di uguaglianza.

I dipendenti pubblici, difatti, sono stati soggetti a controlli più severi, rafforzati e restrittivi, considerati da molti come uno sviamento del potere di controllo dello Stato imponendo una fascia di controllo “quasi doppia” (7 ore a fronte di 4 nell’arco di una giornata) rispetto ai lavoratori del settore privato, in contrasto anche con il diritto alla tutela della salute sancito dalla Carta costituzionale dall’art. 32

Il ricorso al Tribunale presentato nel lontano 2018 (numero di registro generale 2760), è stato promosso dall’Organizzazione sindacale UIL Pubblica amministrazione, sindacato della Polizia penitenziaria, contro la Presidenza del Consiglio e il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Con l’annullamento del D.M. 206/2017 viene così a cadere una delle disposizioni attuative della “riforma Madia”, Decreto Legislativo 25 maggio 2017, n. 75 e del disegno di riforma disposto con la Legge 7 agosto 2015, n. 124 “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

Il decreto dovrà quindi essere riscritto tenendo conto del pronunciamento del TAR con la citata sentenza, a meno che nelle more non venga proposto ricorso d’appello per la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado al Consiglio di Stato, organo con funzioni giurisdizionali di secondo grado.

Bibliografia  

  • COSTITUZIONE Italiana, artt. 3 – 32 e 97
  • LEGGE 7 agosto 2015, n. 124 “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche
  • DECRETO LEGISLATIVO 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche
  • DECRETO LEGISLATIVO 25 maggio 2017, n. 75 “Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche
  • DECRETO 17 ottobre 2017, n. 206 “Regolamento recante modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l’accertamento delle assenze dal servizio per malattia, nonché l’individuazione delle fasce orarie di reperibilità, ai sensi dell’articolo 55-septies, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
  • TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE del Lazio, Sezione IV-ter, sentenza n. 16305 del 3 novembre 2023

Estensione delle tutele assicurative nella scuola a.s. 2023/2024

Estensione delle tutele assicurative nella scuola a.s. 2023/2024. Stato dell’arte e disamina normativa

Dario Angelo TUMMINELLI, Carmelo Salvatore BENFANTE PICOGNA e Zaira MATERA

Con nota la prot. n. AOODGOSV 0035428 del 27 ottobre 2023, il Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, Direzione generale per gli ordinamenti scolastici, la valutazione e l’internazionalizzazione del sistema nazionale di istruzione del Ministero dell’Istruzione e del merito (MIM) ha dato avvio alla diffusione della Circolare INAIL n. 45 del 26 ottobre 2023 (consultabile dal link diretto https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg-circolare-n-45-26-ottobre-2023.pdf) avente come oggetto: “Estensione della tutela assicurativa degli studenti e del personale del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore. Articolo 18 del decreto-legge 4 maggio 2023 n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85”.

Tale circolare, invero molto attesa, era stata anticipata da parte del Ministero dell’Istruzione attraverso un’intensa campagna istituzionale informativa e divulgativa, mediante la diffusione di uno specifico spot (consultabile sul canale YouTube consultabile dal link  https://www.youtube.com/watch?v=a-kXYf_2SWc) nelle reti radio e tv della Rai, oltre ai  canali social istituzionali propri, partita il 6 ottobre scorso, la quale evidenziava l’importanza della prevenzione sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, a partire proprio dalla scuola, “Perché la cura del futuro inizia dai banchi di scuola”.

L’intento del Ministero era, dunque, far conoscere massivamente a studentesse e studenti nonché a tutti gli operatori che gravitano nel mondo scolastico (educatori, docenti di ogni ordine e grado e tutto il personale amministrativo, tecnico e ausiliario) la nuova impostazione sulle tutele assicurative all’interno dell’Istituzioni scolastiche autonome, che il dicastero dell’Istruzione ha voluto fortemente e promosso in sinergia con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Come recita la stessa nota, la previsione di legge che tutela le studentesse e gli studenti (“a 360 gradi” estendendone la copertura) nonché tutto il personale scolastico, è disposta dal cosiddetto “Decreto Lavoro” nello specifico dall’articolo 18 del Decreto Legge del 4 maggio 2023, n. 48 “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro” pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 103 del 04 maggio 2023, convertito con modificazioni, dalla Legge del 3 luglio 2023, n. 85.

Prima del citato intervento normativo l’applicazione delle tutele assicurative contro gli infortuni e le malattie professionali era limitata esclusivamente ai sinistri occorsi in alcuni ambienti scolastici, come i laboratori e le palestre, per alcune attività che richiedono o prevedono l’uso di apparecchi elettrici (es. videoterminali, computer, tablet, fotocopiatrici, videoregistratori, proiettori, ecc.).

Oggi tali tutele vengono estese in ogni ambiente scolastico, comprese le attività di orientamento al lavoro che si svolgono al di fuori delle pertinenze scolastiche.

Per far fronte all’estensione della tutela assicurativa sono stati allocati appositi fondi dallo Stato Italiano, destinando a questa misura ben 17,3 milioni di Euro per l’anno scolastico e accademico 2023/2024.

In buona sostanza le famiglie, con l’applicazione della nuova normativa, avranno un vantaggio economico, attraverso l’impegno economico assunto e sostenuto dallo Stato, per le coperture assicurative dagli infortuni previste per le studentesse e gli studenti nonché per tutto il personale scolastico, sollevandoli da ulteriori spese.

Invero tale misura non è ancora strutturata nel tempo; infatti l’estensione della tutela (copertura assicurativa INAIL prevista per lo svolgimento delle attività d’insegnamento/apprendimento) è attualmente circoscritta esclusivamente all’anno scolastico e accademico 2023/2024, ed è valida sia per il personale scolastico che per i discenti

  1. del sistema nazionale di istruzione, scuole statali, paritarie e non paritarie,
  2. del sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP),
  3. nei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS),
  4. nonché nei percorsi di formazione terziaria professionalizzante (ITS Academy) e dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA).

Le previsioni normative sul tema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro derivano dal dettato costituzionale che ne ha sancito, nell’art. 38 c. 2, i principi e i fondamenti.

Così recita la Carta costituzionale: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” mentre per quanto riguarda la norma di riferimento per  l’assicurazione obbligatoria, attualmente è il  Decreto del Presidente Della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 “Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali” pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 257 del 13 ottobre 1965 – Supplemento Ordinario, integrata dal Decreto Legislativo del 23 febbraio 2000, n. 38.

Fatta questa premessa ci addentriamo nell’argomento oggetto di questo studio.

L’INAIL, con la citata circolare n. 45 del 26 ottobre 2023, illustra le principali novità introdotte e le regole di assicurazione per le scuole autonome ovvero le differenze tra la tutela assicurativa prevista dal Testo Unico (sopra citato) e quella prevista dall’introduzione dall’articolo 18 del Decreto-Legge 4 maggio 2023, n. 48.

La circolare, come riporta il punto A), rubricato in “Tutela assicurativa dei docenti e degli alunni delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado”, regolamenta e disciplina la copertura assicurativa prevedendo tutti gli eventi lesivi (infortuni sul lavoro e le malattie professionali) occorsi per finalità lavorative, incluso l’infortunio in itinere e, trova applicazione, in caso di:

  1. uso non occasionale di macchine elettriche o elettroniche (computer, tablet, macchine fotocopiatrici, proiettori, lavagne interattive multimediali, registro di classe elettronico, ecc.) o svolgimento di attività lavorativa in via non occasionale in un ambiente organizzato in cui sono presenti macchine elettriche o elettroniche (cd. rischio ambientale);
  2. “svolgimento di esperienze tecnico-scientifiche, esercitazioni pratiche e esercitazioni di lavoro. Sono considerate esercitazioni pratiche le esercitazioni di ginnastica (scienze motorie e sportive), di alfabetizzazione informatica e di lingua straniera svolte con macchine elettriche, l’attività di sostegno e di assistenza agli alunni, di accompagnamento nei viaggi di istruzione o comunque viaggi di integrazione della preparazione di indirizzo, organizzati dalle scuole nell’ambito dell’offerta formativa.”

Rientrano nelle tutele per lo svolgimento delle suddette attività, sia i discenti che il personale scolastico delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, statali e non statali (anche privati), degli istituti di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore.

È interessante evidenziare che sono assicurati anche le bambine e i bambini della scuola dell’infanzia, precedentemente esclusi e anche le attività di esercitazioni pratiche e di lavoro.

Per quanto riguarda le studentesse e gli studenti, la copertura assicurativa INAIL trova applicazione “esclusivamente per gli eventi lesivi accaduti durante lo svolgimento di esperienze tecnico-scientifiche, esperienze di lavoro, esercitazioni pratiche, incluse le prove d’esame. Sono considerate esercitazioni pratiche le esercitazioni di ginnastica (scienze motorie e sportive), di alfabetizzazione informatica e di lingua straniera svolte con macchine elettriche, i viaggi di istruzione o comunque viaggi di integrazione della preparazione di indirizzo, organizzati dalle scuole nell’ambito dell’offerta formativa. Sono esclusi gli infortuni in itinere”.

Giova evidenziare, infine, che la tutela assicurativa INAIL copre gli eventi lesivi occorsi (infortuni e malattie professionali) comunque riconducibili al luogo di svolgimento autorizzato (e le loro pertinenze, atri e androni, ingressi, cortili etc.), a titolo di esempio, “urti contro suppellettili, infissi, e altri incidenti analoghi accaduti nei locali scolastici, scivolamenti o cadute sul pavimento, dalle scale, nei bagni, nel cortile, ecc.”.

Sono comprese anche le attività organizzate e autorizzate dagli Istituti scolastici e formativi, a titolo di esempio “le attività di mensa, le attività ricreative, le uscite didattiche, i viaggi d’istruzione, le visite guidate, i viaggi di integrazione della preparazione di indirizzo, le attività ludico sportive (giochi della gioventù)”.

Sono incluse, infine, tra le attività scolastiche assicurate i tirocini curriculari, le attività organizzate dalle istituzioni scolastiche sulla base di progetti educativi ovvero le iniziative complementari e integrative che si inseriscono (nel PTOF) negli obiettivi formativi delle scuole.

Si evidenzia, come riporta la lettera C) della circolare, che l’assicurazione INAIL“esonera le istituzioni scolastiche e formative dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali occorsi ai soggetti assicurati, nei limiti di quanto previsto dagli articoli 10 e 11 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124. L’assicurazione, dunque, non copre la responsabilità civile verso terzi” mentre la lettera D) disciplina le modalità di assicurazione. Esse sono differenziate “a seconda che il soggetto assicurante sia una istituzione scolastica o formativa statale oppure non statale. Inoltre, gli adempimenti variano a seconda che i soggetti assicurati siano docenti, alunni/studenti”.

Si conclude la presente trattazione con la menzione della nascita di un apposito fondo istituito presso il Ministero del Lavoro per i familiari delle studentesse e degli studenti deceduti, vittime di infortuni, cosi come disciplinato nell’ultima lettera E)Al fine di riconoscere un sostegno economico ai familiari di studenti […], deceduti a seguito di infortuni occorsi in occasione o durante le attività formative, con esclusione degli infortuni in itinere, è stato istituito un Fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2023 e di 2 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2024”.

Riferimenti normativi

  • COSTITUZIONE ITALIANA, art. 38 c. 2
  • DECRETO del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 “Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
  • DECRETO LEGISLATIVO 23 febbraio 2000, n. 38 “Ripubblicazione del testo del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, recante: “Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144”, corredato delle relative note
  • DECRETO-LEGGE 4 maggio 2023 n. 48 “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”, art. 18
  • LEGGE del 3 luglio 2023, n. 85 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro
  • CIRCOLARE INAIL n. 45 del 26 ottobre 2023 “Estensione della tutela assicurativa degli studenti e del personale del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore. Articolo 18 del decreto-legge 4 maggio 2023 n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85
  • NOTA MIM prot. n. AOODGOSV. 0035428 del 27 ottobre 2023

Sitografia

  • PRESIDENZA del CONSIGLIO dei Ministri “Campagna di comunicazione per l’estensione della tutela assicurativa nelle scuole

https://www.governo.it/it/media/campagna-di-comunicazione-lestensione-della-tutela-assicurativa-nelle-scuole/23800

  • MINISTERO DELL’ISTRUZIONE “Estensione tutela assicurativa nelle scuole, al via la campagna informativa istituzionale

https://www.miur.gov.it/-/estensione-tutela-assicurativa-nelle-scuole-al-via-da-oggi-la-campagna-informativa-istituzionale-1

  • MINISTERO DELL’ISTRUZIONE “Estensione tutela assicurativa nelle scuole

https://www.miur.gov.it/web/guest/-/estensione-tutela-assicurativa-nelle-scuole

  • MINISTERO DELL’ISTRUZIONE
  • MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI “Estensione tutela assicurativa nelle scuole, al via da oggi la campagna informativa istituzionale

https://www.lavoro.gov.it/stampa-e-media/comunicati/pagine/estensione-tutela-assicurativa-nelle-scuole-al-da-oggi-la-campagna

  • INAIL “Estensione della tutela assicurativa in favore del personale docente e degli studenti

https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/avvisi-e-scadenze/avviso-estensione-tutela-docenti-studenti.html

Un voto non si nega a nessuno

Un voto non si nega a nessuno

di Stefanio Stefanel

Ha fatto molto scalpore in questi giorni la questione del Liceo Morgani di Roma, dove il Collegio docenti con una votazione pressoché paritaria (37 a 36), ha eliminato la sezione “senza voti” operativa da anni. Personalmente ritengo un grave errore aver portato una simile questione in collegio docenti, visto che stava già nel PTOF che si chiude il 31 agosto 2025 e, inoltre, non andava ad intaccare la valutazione finale che deve per legge essere numerica. Rimane il messaggio molto esplicito che questa scelta ha trasmesso, cui credo abbia molto nuociuto l’esposizione mediatica data alla sperimentazione in una sola sezione, che ha trasformato, per l’opinione pubblica, tutto il Liceo Morgani di Roma in una scuola senza voti, creando, dunque, una presa di posizione avversa dei docenti che non condividevano la scelta fatta da quella sezione. La querelle sul Liceo Morgani fa, però, il paio con le varie prese di posizione di esponenti politici della destra, che da tempo vogliono il ritorno dei voti numerici anche nelle scuole primarie, aboliti dall’Ordinanza Ministeriale 172 del 2020, andata a regime nell’ambito di una grande azione formativa del Ministero conclusasi da poco. Ci sono poi vari personaggi pubblici apertamente conservatori come Paola Mastrocola o apparentemente progressisti come Viola Ardone che lodano il “2” e la sua potenza salvifica e benefica. Diciamo che le truppe dei donmilaniani sono ben agguerrite, ma in palese fase di ritirata più o meno strategica. Reginaldo Palermo in un simpatico intervento (Ci vuole una regola chiara: si usa il voto quando governa il centro-destra e il giudizio con il centro-sinistra, 2 novembre 2023, su “Tecnica della scuola”) ha scritto che, quando governa il centro sinistra nelle scuole primarie si valuta con i giudizi, quando governa il centro destra con voti.

Chi propugna una scuola senza voti (ad esempio Valentina Grion, Cristiano Corsini, Vincenzo Caico) vorrebbe una scuola in cui la trasparenza del giudizio prevalga sull’opacità del voto, anche perché il voto tende a misurare un prodotto (compito in classe, interrogazione, test), mentre il giudizio descrittivo deve addentrarsi nel problema dell’apprendimento. Faccio notare un piccolo paradosso: molti studenti con voti negativi vengono ammessi alla classesuccessiva nel secondo ciclo attraverso il così detto “voto di consiglio” (la materia è insufficiente, ma il consiglio decidendo la promozione, autorizza perciò la trasformazione del voto in positivo, magari con un asterisco che indichi l’”aiuto”). È logico tutto questo? Direi proprio di no: io penso sarebbe più semplice e serio promuovere lo studente, sostituendo quel voto falso (“6 per voto di consiglio”), con una descrizione precisa delle lacune rimaste e da colmare, che mostri palesemente come l’alunno sia stato promosso nell’ambito di una valutazione generale che nulla ha a che vedere con una singola materia. Questa descrizione c’è, ma è svogliata, e soprattutto non la legge nessuno, perché, messo in tasca il 6, uno guarda solo avanti e non indietro. Tra l’altro questo aprirebbe anche la questione, che è connessa al concetto di didattica orientativa, sull’opportunità di mantenere la struttura di apprendimento tuttologica anche per studenti che si sono già orientati in maniera definitiva (sia verso il mondo del lavoro, sia verso il mondo universitario, sia verso il nuovo e grezzo mondo degli ITS).

​Personalmente ritengo che gli argomenti per uscire dalla logica dei voti e trasferirsi in quella di una valutazione complessiva delle materie generaliste, di quelle di indirizzo, dell’educazione civica e del comportamento, dei PCTO, delle progettualità, degli Erasmus, dei corsi per l’ampliamento dell’offerta formativa, dell’orientamento, dovrebbe avere una chiara organizzazione descrittiva ed arrivare ad una trasformazione in crediti al solo fine dell’esame di stato conclusivo. Il voto di diploma dovrebbe essere integrato da una descrizione completa dello studente, non da una statica e non letta certificazione delle competenze. La valutazione senza voti è destinata a modificare la scuola italiana, che così non può più andare avanti, ma non nei prossimi anni: questo, però, avverrà solo quando sarà chiaro che il sistema della valutazione numerica produce dispersione e non la combatte, condiziona gli studenti verso il voto e non verso l’apprendimento, non aggiunge conoscenza sugli studenti e il loro percorso, ma solo appiccica numeri nel registro elettronico. A quel punto il “2” terapeutico e l’esame di stato nozionistico potranno anche essere sostituiti da prove di resistenza e maturità, sullo stile di quello che fanno i marines nell’addestramento. Prove che forgiano, ma poi l’apprendimento, anche per i marines, è altro. Faccio per dire, ovviamente, perché al giorno d’oggi bisogna stare attenti: si è presi sul serio anche quando si esagera per farsi capire meglio.

​Una domanda, alla fine, me la devo porre: ma se è così chiaro che il voto e le modalità con cui viene assegnato producono più danni che altro e poiché le motivazioni di chi propone una scuola senza voti sono più che convincenti, perché si rafforza l’idea che il voto è oggettivo, migliore, utile, chiaro? Se l’attuale governo ripristinerà i voti nella scuola primaria (magari lasciando intatti gli obiettivi: sarebbe un vero capolavoro di astrattismo cubistico) io credo che i genitori degli scolari delle primarie saranno quasi tutti contenti, i commentatori che hanno spazio nei giornali e nelle televisioni plauderanno, molte maestre e qualche maestro (sono molti meno) tireranno un sospiro di sollievo. C’è dunque qualcosa che sfugge a chi ritiene che la pedagogia sia una cosa seria, che l’apprendimento non coincida con l’insegnamento, che la valutazione non sia misurazione. Anche perché l’opinione pubblica ha potere sulle professioni quando le professioni sono deboli, lo si è visto sui vaccini anti-Covid, ma lo si vede anche in altri settori: chi discuterebbe su come si costruisce un grattacielo mettendo sullo stesso piano il gradimento popolare e la progettazione dell’opera? Nella scuola sta avvenendo questo: i progettisti e costruttori di grattacieli (l’apprendimento di bambini e ragazzi) sono messi sullo stesso piano di coloro che in quei grattacieli vorrebbero essere al sicuro da crolli e pericoli senza però sapere nulla di ingegneria (genitori, opinione pubblica, commentatori, politici). E allora cosa succede realmente? Succede che è il mondo della scuola a volere i voti, ad agognare le verifiche, a godere dei compiti in classe, ad appassionarsi alle interrogazioni dove a domanda si risponde come vuole chi ha fatto la domanda.

​Tutto questo avviene – in questo caso ne sono certo, quindi non scrivo: a mio parere – perché la gran parte dei docenti senza voto non sa proprio come fare. Non come fare a valutare, perché ogni docente sa valutare i suoi studenti con una sufficiente profondità, ma proprio come fare: come fare tutto. Senza voto un numero enorme di docenti non saprebbecome e cosa insegnare, come vivere in classe, come verificare, come valutare in maniera trasparente, come correggere, come correggersi, come formarsi, come aggiornarsi. Il voto, soprattutto negativo, certifica che l’insegnante è in grado di vedere il fallo, e certifica anche il suo potere, attraverso voti negativi disciplinari, di poter decidere il futuro dello studente (promosso o bocciato). I docenti ritengono che la loro professione alla fine debba avere un confine e questo confine è proprio il voto, pena l’ingovernabilità del sistema. Il voto è complicato e per questo piace ai docenti, perché è un rapporto personale che non descrive nulla, riferito a standard personalied esoterici, dentro criteri d’istituto per lo più inutili perchépermettono davanti alla medesima prova di assegnare sia “4” che “7” (come Corsini ha dimostrato nel disinteresse generale della scuola). 

Su questa questione si è poi innestata la propaganda sulmerito non descritto come giusto riconoscimento di chi è bravo (cui il sistema non da nulla di diverso da chi bravo non è), ma come contraltare al “demerito”, per cui “il sei te lo devi meritare” diventa una frase emblematica di una scuola dove si deve studiare per avere i voti non per apprendere e dove anche se apprendi questo non vale nulla finché al tuo apprendimento non viene appiccicato un voto. Tra l’altro per molti docenti insegnare la propria materia è una missione e, come ogni missionario (Pizarro incluso), ritengono che, se non si riesce ad insegnare con le buone le cattive vanno benissimo (da lì i “2” salvifici, che aprirebbero la conversione allo studio di tutti quelli che li prendono).

Dunque, che fare in questo caos? Direi lavorare molto e tacere ancora di più: lavorare nelle scuole con coscienza e saggezza, cercando di fare emergere su giornali, televisioni, social niente o quasi, come avviene per gli ingegneri che non pubblicano sui social i progetti dei grattacieli che progettano e che poi ditte specializzate costruiscono nel silenzio mediatico più assoluto.

Ordinanza TAR Campania sul dimensionamento scolastico

La discutibile ordinanza cautelare del TAR Campania n. 3905/2023 sul dimensionamento scolastico

Francesco G. Nuzzaci

1. Sintesi del provvedimento

1.1. Con ordinanza n. 3905 del 30 ottobre 2023,  il TAR Campania ha accolto, nei termini che seguono, il ricorso della Regione Campania – sostenuta ad adiuvandum da CGIL e UIL – avverso il decreto n. 127 del 30 giugno 2023, con cui il MIM di concerto con il MEF ha stabilito i criteri per la definizione del contingente    dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi e la sua distribuzione tra le Regioni per il triennio 2024-2025/2026-2027, assegnando alla Regione Campania 839 istituzioni scolastiche a fronte delle 965 attuali.

Il Decreto interministeriale impugnato rinviene la sua fonte nell’art.1, comma 557 della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025); che violerebbe, a giudizio della ricorrente, il sistema di riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni stabilito all’art, 117, comma 3 della Carta costituzionale, che annovera tra le numerose materie di legislazione concorrente l’istruzione, stabilendo all’ultimo periodo che “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

Le norme censurate sarebbero quindi invasive della sfera di competenza legislativa riservata alla Regione, nella misura in cui non si limiterebbero alla consentita determinazione dei principi fondamentali, sostanziando invece disposizioni di dettaglio che spetta solo ad essa emanare. E perciò il decreto sarebbe viziato in via di derivazione dalla illegittimità costituzionale dell’art. 19, commi quater e quinquies del D.L. n. 98/2011 convertito con la legge n. 111/2011: commi quivi inseriti dall’art.1, comma 557 della predetta legge 197/2022.

1.2. Il Collegio ha stimato rilevante e non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale, rilevando inoltre che il divisato carattere incostituzionale, che va fondatamente ascritto alle norme in questione, emerge con una certa evidenza nella parte della disposizione che istituisce un potere d’intervento sostitutivo in capo allo Stato, operante per il caso di mancato raggiungimento dell’accordo con le Regioni (come in effetti avvenuto ed anche in passato).

Per tali motivi ha accolto la domanda cautelare e sospeso “nei limiti dell’interesse regionale della ricorrente Regione Campania” e fino al deposito della sentenza dell’adita Corte costituzionale il D.I. n. 127/2023 e le parimenti impugnate note ministeriali a seguito.

2. Una pronuncia tutt’altro che persuasiva

Non convince, preliminarmente, la decisione del TAR Campania di aver ritenuto la propria competenza territoriale per essere “la proposta impugnazione delimitata dai confini dell’interesse azionato dalla ricorrente”, ai sensi dell’articolo 13 del Codice del processo amministrativo (D. Lgs. 104/2010), ancorché gli atti in controversia promanino da un’autorità statale e perciò, secondo la regola, radicanti la competenza in capo al TAR Lazio.

A sostegno di tale decisione è richiamata una giurisprudenza supposta conforme, ma che invece la smentisce laddove afferma che, certamente, vi è competenza del TAR territoriale anche a fronte di provvedimenti-atti-accordi-comportamenti di pubbliche amministrazioni centrali, purché questi dispieghino i propri “effetti diretti esclusivamente nell’ambito territoriale di un tribunale periferico” (CGA Sicilia, n. 51/2018), ovvero “effetti territoriali limitati alla circoscrizione del Tribunale medesimo” (TAR Lombardia – Milano, n. 69/2020). Mentre qui gli avversati provvedimenti in concerto tra MIM e MEF interessano l’intero territorio nazionale e non incidono in via diretta ed esclusiva la sfera giuridica di una singola regione. O, se più piace, non producono i propri effetti sulla sola Campania, sì da legittimare la stravagante (sia pure provvisoria) statuizione del locale Giudice amministrativo di sospendere il decreto in parola e successive note ministeriali “nei limiti dell’interesse regionale della ricorrente Regione Campania”, ma evidentemente non per le altre Regioni: almeno fino a quando queste, o alcune di esse, non li impugnino autonomamente davanti al TAR domestico!

Non meno censurabile, e forse ancor più, appare la decisone del TAR campano nel merito o,per essere esatti, riguardo l’apparente fondatezza del buon diritto, di cui a breve.

Per quel che invece concerne l’altro obbligato presupposto di ogni provvedimento cautelare, cioè il pericolo da ritardo, questo è stato ritenuto sussistente per “lo stadio avanzato del processo di attuazione delle denunciate norme e dell’imminente realizzazione del dimensionamento scolastico”;mentre il giorno successivo il TAR Lazio, correttamente adito (ante) dalla Regione Puglia sullo stesso oggetto, per come riportato dalla stampa ha, all’opposto, statuito che “non sono positivamente riscontrabili gli stringenti presupposti di estrema gravità e urgenza … per la concessione della richiesta tutela cautelare monocratica, tenuto conto che nessun concreto pregiudizio è stato comprovato, tantomeno in termini di irreparabilità alla luce della complessiva e concreta situazione”.

3. In via previa, breve storia del dimensionamento scolastico

Il D.P.R. 233/1998, attuativo della specifica previsione figurante nell’articolo 21 della legge 59/1997, ha prescritto i requisiti entro i limiti minimo di 500 alunni (300 nelle zone in deroga) e massimo di 900 nella configurazione di istituzioni scolastiche dotate di (e per l’esercizio della) autonomia funzionale: sulla scorta di plurimi indici, quali la conformazione geografica dei luoghi, peculiari situazioni locali, tipologia dei settori d’istruzione compresi nell’istituzione scolastica, contesto socio-economico-culturale, organizzazione politico-amministrativa dei territori; e al riguardo anche prevedendo unificazioni sia in verticale (istituti comprensivi nel primo ciclo o ipercomprensivi nel mettere insieme scuole del primo e del secondo ciclo) che in orizzontale (all’occorrenza assemblando differenti tipi e indirizzi di studio del secondo ciclo).

Su questa base normativa, e in parallelo con la sopravvenuta riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, hanno impattato le modifiche apportate negli anni 2008-2011 nel quadro di una più ampia razionalizzazione del sistema scolastico.

Con il combinato disposto del D.L. 112/2008, e suo piano attuativo, e dell’art. 19 del D.L. 98/2011, convertito dalla legge 111/2011, si è in primo luogo proceduto a un forzoso accorpamento di scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado in istituti comprensivi aventi almeno 1000 alunni (senza alcun limite massimo, così come per il settore secondario superiore), ridotti a 500 nelle confermate zone in deroga; e in secondo luogo si è prescritto di non assegnare alle scuole con meno di 500 alunni (300 sempre per le zone in deroga) un dirigente titolare, quindi affidate in reggenza.

Di lì a breve la legge 183/2011, Legge di stabilità per il 2012, in esito al preannunciato giudizio d’incostituzionalità della prima parte del predetto combinato disposto (poi avvenuto con sentenza n. 147/2012 e di cui in prosieguo), ha generalizzato il parametro minimo di 600 alunni (400 per le consuete deroghe) per tutte le istituzioni scolastiche, del primo e del secondo ciclo; e, dopo il dirigente, ha negato a tutte quelle sotto tale parametro anche un DSGA titolare.

Otto anni dopo, irrompendo il Covid-19, la legge 178/2020, art. 2, commi 978-979, legge di bilancio per il 2021, ha inteso ripristinare provvisoriamenteper il solo anno scolastico 2021-2022 i parametri minimi 500/300 e mantenendo solo le scuole sotto tali soglie – invero contenute nel numero – orfane del dirigente e del DSGA. E, persistendo l’emergenza pandemica, la succedanea 234/2021, articolo 1, comma 343, ha prorogato la primigenia misura (e relative risorse finanziarie) sino al corrente anno scolastico; e contestualmente ha previsto un ridisegnato dispositivo di dimensionamento a decorrere dal primo settembre 2024 (infra).

4. L’intreccio delle competenze tra Stato e Regioni

Si sa che la riforma del Titolo V nel 2001 ha costituzionalizzato l’assetto della legge basica 59/1997 nella materia dell’istruzione.

Qui semplificando al massimo, spetta alla competenza esclusiva dello Stato dettare le norme generali sull’istruzione (sostituite dai livelli essenziali delle prestazioni per l’istruzione e formazione professionale, questa di esclusiva competenza delle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano), secondo un nutrito elenco desunto da una serie di concordanti pronunce della Corte costituzionale (in particolare sentenza n. 200/2009 e successive n. 92/2011 e n. 147/2012) e in cui è pacificamente compresa la provvista del personale (dirigenti, docenti, ATA) e relativa assegnazione alle istituzioni scolastiche. Norme generali auto-consistenti, che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme sull’intero territorio dello Stato.

Mentre le Regioni e le due Province autonome di Trento e di Bolzano sono competenti nell’organizzazione sui rispettivi territori del servizio d’istruzione e d’istruzione e formazione professionale, ma nel rispetto dei principi fondamentali definiti dallo Stato per la prima e dei livelli essenziali delle prestazioni, pure definiti dallo Stato, per la seconda.

Principi che, sempre secondo la giurisprudenza costituzionale, “pur sorretti da esigenze unitarie, non esauriscono in sé stessi la loro operatività, ma informano … altre norme (id est: delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano) più o meno numerose” (Corte cost., sentenza 279/2005, oltre alle riferite nn. 200/2009, 92/2011, 147/2012) e più o meno differenziate per corrispondere alle vocazioni dei singoli territori.

È fuor di dubbio che l’organizzazione del servizio scolastico nei pertinenti territori, ma nel rispetto dei vincoli significati dai principi fondamentale, costituisce prerogativa delle Regioni e Province autonome; e che include primariamente il dimensionamento e/o la configurazione delle istituzioni scolastiche e formative. Come si sa altresì che, in luogo di un comportamento di leale collaborazione degli attori, richiesto naturaliter da una  legislazione qui concorrente, si è piuttosto prodotto un endemico e tuttora irrisolto conflitto, con la continua chiamata in causa della Corte costituzionale nel non agevole compito di dirimerlo; e che dovrà pronunciarsi a breve (il 21 novembre) sulla questione di costituzionalità del nuovo sistema di dimensionamento scolastico di cui alla menzionata legge 197/2022, impugnata da diverse Regioni e tra le quali, ovviamente, figura la Campania.

5. Nel merito – provvisorio – dell’ordinanza cautelare

Il Tribunale partenopeo ha condiviso le prospettazioni attoree, laddove l’impugnato decreto e note ministeriali a corredo, attuativo della legge statale testé menzionata, non conterrebbe principi fondamentali inquanto l’assegnazione alle regioni di un dirigente e di un DSGA preposti necessariamente, o strutturalmente, ad ogni istituzione scolastica secondo un coefficiente mobile di 900-1000 alunni (e con alcuni correttivi) configura “una norma di dettaglio”; che, in ultima analisi, “imbriglia la potestà legislativa della regione entro margini assai limitati, atteso che appare evidente che ogni criterio in quanto tale circoscrive e astringe lo spazio di determinazione autonoma del destinatario del criterio stesso”.

Ora, che i principi possano circoscrivere o astringere o imbrigliare la potestà legislativa delle regioni è proprio, e per l’appunto, la loro funzione, allorquando fissano – devono fissare – “criteri, obiettivi, direttive o discipline tese ad assicurare l’esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale”.

L’ordinanza richiama a comprova, e tra le altre, la sentenza della Corte costituzionale n. 147/2012 (ante), estensore l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha investito nel giudizio di costituzionalità il citato articolo 19, comma 4 del decreto legge 98/2011, convertito con modificazioni dalla legge 111/2011, poi a sua volta corretto dalla legge 183/2011 nell’elevare da 500 a 600 il numero minimo di alunni affinché ogni scuola potesse avere un proprio dirigente e un proprio DSGA.

Tale normativa, per i giudici della Consulta, contiene due previsioni strettamente connesse.

La prima impone la costituzione forzosa di istituti comprensivi di almeno 1000 alunni (500 nelle zone in deroga) nel primo ciclo (ante): ed è affetta da incostituzionalità, per contrasto con l’art. 117, comma 3., Cost., in quanto incide direttamente sul dimensionamento obbligando le Regioni in una rigida organizzazione della rete, quasi una camicia di forza, e  nella sostanza imponendo lo Stato delle misure di dettaglio più che indicare dei principi o criteri siccome entrambi dotati di una necessaria elasticità, sì da consentire un loro “adattamento” alle situazioni locali.

La seconda previsione – continua la sentenza – afferente al numero minimo di alunni 600/400 e al di sotto del quale non possono essere assegnati dirigenti scolastici (e DSGA titolari), “è indubbio che incide in modo significativo sulla condizione della rete scolastica, ma la norma in questione non sopprime posti di dirigente scolastico (e diDSGA), limitandosi a stabilirne un diverso modo di copertura e, tenendo presente che i dirigenti scolastici (e i DSGA) sono dipendenti pubblici statali (pagati dallo Stato enondalle regioni, così come i DSGA), è chiaro che il titolo di competenza esclusiva statale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g, Cost., assume un peso decisamente prevalente rispetto al titolo di competenza concorrente (delle regioni). Sicché “la questione relativa va dichiarata infondata”.

Pertanto, seguendo questo filo argomentativo della Consulta, a maggior ragione non può pensarsi incostituzionale il futuro impugnato dispositivo: che, rispetto a quello tuttora vigente, consegna alle Regioni una maggiore libertà di organizzazione della rete scolastica, con scuole non soggette a limiti minimi di alunni per poter avere comunque un proprio dirigente e un proprio DSGA, risultando cancellate in radice le scuole sottodimensionate (e dunque da affidare a doppia reggenza).

Ma per il TAR Campania l’aver il legislatore nazionale fissato “addirittura” un coefficiente numerico per l’individuazione del numero dei dirigenti, e dei DSGA, entro un range oscillante tra 900 e 1000 alunni (dirigenti e DSGA, giova ripeterlo, dipendenti statali e dallo Stato pagati) configura “uno spiccato carattere di disposizione di dettaglio e non certo di principio, elidendo in toto ogni spazio di concorrente intervento del legislatore regionale, che finisce per essere in buona parte esautorato”(!?). TAR che condivide come ulteriore motivo di non manifesta infondatezza costituzionale il mancato accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni, non essendosi realizzata – come per prassi – l’unanimità, e la conseguente previsione di legge del potere sostitutivo dello Stato.

Ignora però una giurisprudenza costituzionale – sentenza 200/2009, per altri versi richiamata – che, correggendo il Legislatore (legge 183/2011: ante), ha sì riconosciuto alle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano il potere esclusivo sull’organizzazione del servizio scolastico nei territori di pertinenza, ma nel contempo precisando che non è affatto precluso – pure nelle materie di competenza esclusiva delle Regioni – l’intervento statale nella “creazione di strutture organizzativeomogenee”, in quanto “l’attività unificante dello Stato, in omaggio al principio cardine di unità e indivisibilità della Repubblica”, può ben dispiegarsi ad ampio (potenzialmente illimitato) spettro. E questo proprio in base al principio di sussidiarietà; che, con i complementari principi di differenziazione e di adeguatezza, risulta dotata di una “attitudine anche ascensionale”, sì darendere legittima extrema ratio una “deroga al riparto delle competenze non solo legislative, ma pure amministrative”. 

6. Falsità consapevoli e pigrizie mentali

6.1. È proprio delle rispettive regole d’ingaggio replicare copioni precostituiti, che prescindono dai dati di realtà ovvero artatamente li manipolano, secondo il criterio dell’utile (liberamente stimato tale) rispetto a quello del vero.

Lo è per un presidente di Regione che, sfruttando una guadagnata sponda di prossimità, può affermare che si è fermata la scellerata decisione del Governo di “tagliare scuole, risorse e personale scolastico” e questo “ci incoraggia a proseguire la nostra battaglia fino alla conclusione positiva” (dal sito ufficiale della Regione Campania, 30.10.2023).

Lo è per le sigle sindacali intervenute ad adiuvandum, che ben possono gioire per “un grande risultato … che, senza questa decisione del TAR, si sarebbe andati incontro alla perdita di centinaia di sedi scolastiche con tutto quello che ne consegue in termini di perdita occupazionale, affollamento delle classi e completa sparizione di scuole nelle zone interne”; quindi “continua la lotta per evitare che, nell’arco del prossimo triennio, attraverso smembramenti e accorpamenti di plessi e sedi le attuali 8.007 scuole diventino 7.309, sopprimendosi in pratica il 9% delle sedi esistenti” (dal sito www.flcgil.it, 31.10.2023). Ovvero che possono esternare il loro plauso per essersi fermata la procedura “che avrebbe portato a una riduzione delle autonomie scolastiche nella nostra regione … oltre 120 autonomie scolastiche in meno (che) comporterebbero la perdita dell’identità di tante istituzioni scolastiche oltre che la riduzione di Dirigenti Scolastici, Dsga, personale ATA, e in prospettiva anche di docenti” (così la segretaria regionale Uil Scuola Rua della Campania, in www.vocedellascuola.it, 30.10.2023).

Lo è per l’opposizione parlamentare, esponenti del M5S in commissione Istruzione alla Camera, che ritengono quella del prefigurato nuovo dimensionamento scolastico “una norma iniqua, sbagliata e dannosa per interi territori” (in www.tecnicadellascuola.it, 30.10.2023).

E lo è per gli estensori dei titoli di giornali e riviste telematiche dedicate, che devono attrarre l’attenzione del lettore, tipo “Bocciato il taglio dei DS e DSGA conseguente all’accorpamento delle istituzioni scolastiche” (id.).

6.2. Sono delle bufale. Ma l’informazione distorta o del tutto falsa ha facile gioco nell’epoca della post-verità, decretata parola dell’anno del 2016 dall’Oxford Dictionary, a significare argomentazioni caratterizzate da un forte appello all’emotività; che, basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati, tende ad essere accettata come veritiera dall’opinione pubblica e grazie, soprattutto, agli strumenti comunicativi resi massivamente disponibili dall’incessante sviluppo tecnologico.

Post-verità ad un tempo causa ed effetto della “scomparsa del pensiero”, denunciata da Ermanno Bencivegna – logico e filosofo del linguaggio – nel testo edito da Feltrinelli, con lo stesso titolo, l’anno dopo: laddove uno sbrigativo, e compulsivo, clic surroga la fatica di una verifica delle fonti e di un ragionamento logico in grado di distinguere i fatti dalle opinioni sparate a prescindere, che richiede tempi più distesi e un’attitudine alla riflessione frigido pacatoque animo, evidentemente incompatibili con la frenesia dei giorni nostri e tuttavia esigibili da soggetti professionali, come coloro che operano nella scuola.  

6.3. Nel caso in esame, è disarmante la lettera della norma e granitica la testardaggine dei numeri.

Nel ricorso la Regione Campania si è riferita al criterio di dimensionamento che consente di assegnare in via esclusiva dirigenti scolastici e direttori dei servizi generali e amministrativi alle scuole con almeno 500 studenti (300 se situate nelle piccole isole, nei comuni montani o nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche). Si tratta di un criterio provvisorio, in deroga al normale parametro 600/400 alunni, introdotto per far fronte alla pandemia per gli anni scolastici 2021-2022, 2022-2023, 2023-2024 e che, dopo questo periodo, non avrà più copertura finanziaria (legge 178/2000 e legge 234/2021).

Nell’anno scolastico 2022-2023 la Campania presenta (ha presentato) il numero più alto di scuole al di sotto dei parametri ordinari: 108 su 617 a livello nazionale. Stesso primato avrà (ha) nel 2023-2024, con 102 scuole su 644 a livello nazionale sotto i parametri. Quindi, la pianificazione della rete scolastica nella Regione è stata condotta negli ultimi anni senza prestare la necessaria attenzione al contenimento del numero delle istituzioni scolastiche sottodimensionate.

Secondo i dati ISTAT della popolazione 3-18 anni la Campania sarà interessata da un severo calo degli alunni: nel 2024 ne perderà 17.239 e l’anno successivo 19.456, per un totale di 36.695. Il calo, combinato con il parametro ordinario 600/400 che tornerebbe operativo nel 2024-2025, farebbe avere alla Campania 832 scuole normodimensionate (con un proprio dirigente e un proprio DSGA).

Rispetto a questo dato si è intervenuti applicando, prima di tutto, indici correttivi che hanno determinato il numero delle istituzioni scolastiche autonome in Campania in 839, con un incremento di 7 unità. Inoltre, si è data alla Regione la possibilità di definire la rete di istituti senza vincoli dimensionali minimi, in modo da preservare l’autonomia anche di piccole scuole che, altrimenti, sarebbero affidate in (doppia) reggenza in modo permanente.

Infine, è importante sottolineare che non si è prevista la chiusura di alcun plesso scolastico, poiché sono stati preservati i punti di erogazione del servizio attualmente esistenti.

È, testualmente, il contenuto della dichiarazione che il ministro Valditara ha consegnato alla stampa il 26 giugno 2023 e omettendo di aggiungervi che non si perdono posti di dirigente scolastico, né di docente, né di DSG e neanche di personale ATA, essendo comunque assicurato il mantenimento dell’attuale organico.

Negli stessi termini il discorso è estensibile a tutte le altre Regioni, che abbiano o meno investito la Corte costituzionale.

7. Due, brevi, considerazioni conclusive

7.1. Nella sua nuda oggettività il sistema di dimensionamento scolastico che decorrerà dal primo settembre 2024 è di gran lunga più razionale di quello vigente, oltre che maggiormente rispettoso delle prerogative regionali nell’organizzazione del servizio sui rispettivi territori (ante), tal che pare alquanto improbabile che il Giudice delle leggi, smentendo la sua precedente copiosa giurisprudenza, dichiari – totalmente o anche parzialmente – affetto da incostituzionalità il sistema di dimensionamento delle istituzioni scolastiche statuito dalla legge 197/2022.

Ma se così dovesse essere, significherebbe il mantenimento del dispositivo attuale e, tra le altre conseguenze, il sovrapporsi alla libera volontà del Legislatore che, volendo dotare ogni istituzione scolastica di un dirigente e di un DSGA, sarebbe costretto a subire la volontà delle Regioni di tenere in vita, e magari creandone di nuove, quelle che potrebbero avere anche un centinaio di alunni o poco più!

7.2. Una ragione, però, le Regioni ricorrenti e le sigle sindacali che le affiancano ce l’hanno: una ragione solida, oggettiva e generalmente condivisa.

Che tutte le istituzioni scolastiche debbano fare affidamento su un proprio dirigente e un proprio DSGA è condizione pregiudiziale per il presidio e l’implementazione dei processi organizzativi funzionali allo scopo ad esse assegnato e riassunto nell’incipit del D.P.R. 275/1999, art. 1, comma 2,, Regolamento dell’autonomia: la “progettazione e realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”. Ed è sempre condizione pregiudiziale per una loro capacità di efficace interlocuzione con la governance esterna, includente le altre istituzioni scolastiche e gli uffici periferici dell’Amministrazione, allorquando esse “provvedono – devono provvedere – alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa nel rispetto delle funzioni delegate alla Regione e dei compiti e funzioni trasferite agli enti locali … promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione” (ivi, comma 1).

Se non è verosimile far corrispondere le nuove istituzioni scolastiche, tutte per definizione normo-dimensionate, agli attuali quarantamila e più plessi o luoghi di erogazione del servizio, non potranno neanche tollerarsi mega-istituti che,  per consentire la costituzione di scuole autonome nei piccoli luoghi che popolano il nostro Paese, possono arrivare ai duemila studenti e ai trecento e oltre tra docenti e personale ATA, naturaliter ingovernabili sui canonici  e compresenti versanti gestionale, dei rapporti con il territorio, educativo-didattico: sicché il nanismo delle une e il gigantismo delle altre darebbero corpo al medesimo singolare effetto di un’offerta formativa non rispondente ai reali bisogni delle studentesse e degli studenti.

Occorrerebbe allora – e questo ci sembra il punto – una sinergia tra i diversi soggetti istituzionali e una loro concorde azione nel coinvolgimento ragionato dell’opinione pubblica, per premere all’unisono su Governo e Parlamento per una decisa riduzione dei codificati coefficienti 900/1000 a non oltre i 600/700. È un investimento, atteso che i costi, già di per sé alquanto contenuti, sarebbero di gran lunga inferiori ai benefici di una migliore qualità del servizio.

Viceversa, l’arroccamento su posizioni di assoluta intransigenza, quando non si voglia porre in essere una vera e propria – ma impropria – opposizione tutta politica, potrebbero sortire il mantenimento, e su tempi sicuramente non brevi, di soluzioni regressive. Indipendentemente da pronunce della Corte costituzionale.

Ciao Luigi

Ciao Luigi, padre dell’Autonomia Scolastica Italiana

di Bruno Lorenzo Castrovinci

L’autonomia scolastica, a volte percepita quasi come un’entità mitologica, è stata effettivamente introdotta nel sistema scolastico italiano con la legge n. 59 del 15 marzo 1997, un’innovazione firmata Luigi Berlinguer. Nonostante siano trascorsi 25 anni, questa riforma epocale non è stata pienamente attuata, se non in rare eccezioni. Ora, con i nuovi finanziamenti del PNRR che rinnovano gli ambienti di apprendimento, si presenta una nuova opportunità per realizzare la visione di Berlinguer: una scuola inclusiva, universale, autonoma, che si adatti ai contesti di riferimento e valorizzi gli alunni a prescindere dai cambiamenti sociali, dai valori in evoluzione e dai costrutti della società.

Luigi Berlinguer è stato una figura eminente nella storia contemporanea italiana, esercitando un’influenza profonda sul sistema educativo nazionale. Il suo impegno nell’istruzione e nella politica ha aperto la strada a significative trasformazioni: l’introduzione dell’autonomia scolastica ha cambiato radicalmente il modo in cui l’istruzione veniva erogata e gestita in Italia, influenzando anche il dibattito educativo globale.

Precedentemente alla riforma, il sistema educativo italiano era soffocato da un centralismo rigido. Ogni dettaglio era regolamentato dal governo centrale, ignorando le esigenze locali e lasciando scarsa libertà alle scuole di innovare e di adattarsi alle richieste di un mondo in continua evoluzione. Le direttive standardizzate limitavano le scuole, particolarmente in termini di innovazione metodologica e curriculare.

Con l’assunzione del ruolo di Ministro dell’Istruzione negli anni ’90, Berlinguer si trovò davanti a un sistema educativo desueto e pronto per una modernizzazione radicale. La riforma dell’autonomia scolastica che propose aveva come fine ultimo il trasferimento del potere decisionale dalle mani dello stato a quelle delle singole istituzioni educative. Di conseguenza, le figure del vecchio preside si trasformarono nei nuovi Dirigenti Scolastici, dotati nei limiti delle competenze degli Organi Collegiali, di ampi poteri gestionali e didattici.

La riforma toccò vari aspetti fondamentali: la governance scolastica, la gestione finanziaria, la selezione del personale, la scelta e l’elaborazione dei programmi di studio. Il Piano dell’Offerta Formativa (POF) divenne il documento in cui le scuole delineavano la propria identità didattica e curriculare.

Per implementare tale cambiamento, Berlinguer instaurò un dialogo aperto con tutti gli stakeholder del sistema educativo, cercando di equilibrare l’autonomia con la necessità di mantenere standard nazionali e garantire l’equità. Nonostante le resistenze e le critiche, perseguì la sua visione di un sistema educativo flessibile e adatto alle esigenze del nuovo millennio.

La formazione degli insegnanti divenne un pilastro della riforma, con la necessità di preparare un corpo docente capace di essere protagonista del cambiamento. La riforma, però, incontrò ostacoli: la personalizzazione dei curricoli rimase spesso un miraggio, e la scelta dei libri di testo finì per dettare i programmi, riducendo in parte l’ambizione dell’autonomia.

Salvatore Giuliano, con il suo Book in Progress, tentò di riportare al centro l’autonomia didattica, ma nonostante alcuni successi, in molte scuole italiane la riforma non riuscì a scardinare le vecchie routine.

Berlinguer, anche come europarlamentare, promosse un’istruzione aperta e inclusiva, anticipando concetti come l’Universal Learning, e sostenendo programmi di mobilità internazionale come Erasmus e Comenius.

L’eredità di Berlinguer oggi persiste in tutte le scuole italiane, e in particolare in quelle più innovative, alcune delle quali si sono addirittura unite in movimenti come quello delle Avanguardie Educative, sperimentando nuovi modi di insegnare in un’era segnata dall’intelligenza artificiale e dal Metaverso. La sua visione richiede un impegno costante per assicurare che l’autonomia scolastica non rimanga un vantaggio esclusivo di pochi, ma diventi un beneficio per tutti.

Luigi Berlinguer ci lascia con il suo sogno di una scuola diversa, un sogno che ance se lentamente sta trasformando il panorama educativo italiano, portando la sua rivoluzione oltre i confini nazionali.

Social media e rischi disciplinari

di Carmelo Salvatore BENFANTE PICOGNA, Dario Angelo TUMMINELLI, Zaira MATERA

Con l’evolversi delle nuove tecnologie della comunicazione (TIC) nell’odierna “società liquida” impregnata dalla rapida espansione dei mezzi di comunicazione di massa, i pubblici dipendenti (insegnanti compresi) sono sempre più frequentemente esposti a potenziali rischi di natura disciplinare e penale.

In particolare, in ambito scolastico, i “social network” (Facebook, Instagram, Tit-tok, Twitter, canale YouTube, WhatsApp, Telegram etc.), hanno contribuito sensibilmente e in modo esponenziale, con il loro uso improprio (o, comunque, distorto), a spargere addebiti a carico del personale scolastico con successive e consequenziali irrogazioni di sanzioni disciplinari, per inosservanza dei propri doveri d’ufficio e/o nei casi più gravi, fino a provvedimenti espulsivi quali il licenziamento per giusta causa.

Questa non piena “coscienza” dei rischi e la non perfetta conoscenza della norma ha generato, talvolta, tra il personale scolastico un uso improprio dei social.

Può accadere che il postare sui social un proprio commento (convinzione o parere) inopportuno, sconveniente, se non addirittura denigratorio o comunque lesivo, il cui contenuto possa in qualche modo nuocere all’immagine e al decoro dell’Amministrazione a cui appartiene (a tutti i livelli), possa essere erroneamente scambiato per il sacrosanto diritto di critica e di manifestazione del libero pensiero, invocato dai più a seguito dei conseguenti provvedimenti restrittivi (di censura) a carattere sanzionatorio.

Il diritto di critica e di manifestazione del libero pensiero risiedono nella Carta costituzionale del 1948, nello specifico nell’art. 21, il quale statuisce che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, mentre il comma 2 dello stesso articolo prosegue aggiungendo che: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” naturalmente, a patto che, le stesse pubblicazioni (cartacee e digitali) e tutte le altre forme libere di espressione (manifestazioni di pensiero e diritto di critica) non siano contrarie al buon costume o non offendano altre persone o soggetti di diritto.

Tali principi, si noti bene, di rango costituzionale, sono stati pienamente recepiti e traslati nell’art. 1 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 131 del 27 maggio 1970, semplicemente nota ai più come “Statuto dei lavoratori”.

Per completezza della trattazione si riporta integralmente il citato articolo 1: “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge”.

Fatta questa premessa ci addentriamo nell’argomento oggetto di questo studio.

Con il decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2023, n. 81 “Regolamento concernente modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62” recentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 150 del 9 giugno 2023 si sono, infatti, apportate delle importanti e innovative modifiche al testo originale del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 comunemente noto come “Codice di condotta” o ancora come “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici” a norma dell’articolo 54 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introducendo una serie di articoli (nello specifico 11-bis e 11-ter) che analizzeremo a breve approfonditamente e nel dettaglio (v. infra).

Come previsto dal comma 3 dell’art. 11-bis (da poco introdotto), rubricato in “Utilizzo delle tecnologie informatiche” statuisce che: “il dipendente è responsabile del contenuto dei messaggi inviati” dai loro account istituzionali (caselle di posta elettroniche) e/o personali e similarmente diffusi o pubblicati nelle bacheche virtuali delle piattaforme informatiche e/o digitali.

A regolamentare nel dettaglio l’uso dei mezzi di informazione e dei social media è l’articolo 11-ter del sopracitato decreto. L’articolo in parola, composto da soli cinque commi, sensibilizza ulteriormente il personale dipendente statale, invitandolo sempre e comunque al corretto uso dei mezzi digitali, c.d. “etica pubblica” o comportamento etico, e ad ogni altra forma di prudenza e cautela nell’utilizzare i propri account personali sui “social network”, e nel contempo ad astenersi dal diffondere e pubblicare le proprie opinioni, convinzioni e pareri,  o ancora i propri giudizi, il cui contenuto possa in qualche modo nuocere all’immagine e al decoro dell’Amministrazione a cui appartiene, riguardanti eventi, cose o persone (personale dirigenziale e colleghi).

Approfondimento In merito all’etica pubblica o comportamento etico, l’Amministrazione di appartenenza, come previsto espressamente l’art. 15 comma 5-bis del decreto n. 81, dovrà prevedere dei cicli formativi sui tali temi, da “svolgersi obbligatoriamente, sia a seguito di assunzione, sia in ogni caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, nonché di trasferimento del personale, le cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità”.   Si evidenzia che l’etica professionale di un educatore, quale è appunto l’insegnante, non si risolve a conclusione del suo orario lavorativo o di servizio, ovvero varcando l’uscita del cancello della scuola, ma permane sempre e ovunque esso/a si trovi e con chiunque si relazioni. Il docente è, dunque, chiamato a non trascendere mai nei toni e nel linguaggio e a non usare parole e/o espressioni deplorevoli o comunque lesive, offensive o denigratorie per altrui cose e persone.

In buona sostanza, la recente disposizione normativa stabilisce che l’uso degli account istituzionali (posta elettronica) è consentito esclusivamente per finalità connesse all’attività lavorativa.

Nello specifico, infatti, il comma 2 invita il pubblico dipendente: “ […] ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale” mentre il successivo comma 4 istituisce per la prima volta una “Social Media Policy”, potremmo dire una sorta di “netiquette” da introdurre a sua volta nei Codici di comportamento, all’uopo adottati dalle pubbliche Amministrazioni, individuando in tal modo le condotte passibili di procedimenti disciplinari, graduandoli adeguatamente e proporzionalmente in base alla gravità delle condotte come di seguito riportato nello tralcio: “Nei codici di cui all’articolo 1, comma 2, le amministrazioni si possono dotare di una “social media policy” per ciascuna tipologia di piattaforma digitale, al fine di adeguare alle proprie specificità le disposizioni […]. In particolare, la “social media policy” deve individuare, graduandole in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni”.

È interessante notare che il comma 5, prevede che: “Fermi restando i casi di divieto previsti dalla legge, i dipendenti non possono divulgare o diffondere per ragioni estranee al loro rapporto di lavoro con l’amministrazione e in difformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 33, e alla legge 7 agosto 1990, n. 241, documenti, anche istruttori, e informazioni di cui essi abbiano la disponibilità”.

Per completezza della trattazione si evidenza che il codice di comportamento generale deve essere poi integrato con quello specifico adottato dalle singole amministrazioni.

Per tutti i dipendenti in servizio presso il Ministero dell’Istruzione (Amministrazione centrale e periferica, ivi compreso il personale con qualifica dirigenziale, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e determinato, a tempo pieno e a tempo parziale, nonché il personale comandato) è attualmente in vigore il Codice di comportamento allegato al Decreto Ministeriale del 26 aprile 2022, n. 105.

Il decreto in parola, a firma dell’allora Ministro Bianchi, superato il controllo di legittimità, è stato ammesso alla registrazione alla Corte dei conti, con prot. n. 1676 del 03 giugno 2022.

Come viene riportato nel sito del Ministero, la violazione degli obblighi previsti dal Codice integra comportamenti contrari ai doveri d’ufficio ed è dunque fonte di responsabilità disciplinare nonché, nei casi previsti, di responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile.

Si dà, infine, menzione della Tabella di corrispondenza tra la violazione dei doveri e le sanzioni disciplinari vigenti, consultabile dal link:

https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Tabella+codice+comportamento.pdf/471af791-daee-96d1-8faf-fba08bc3cad6?t=1654524003277

Casistica

A conclusione della presente trattazione, si dà menzione della casistica richiamando alcuni orientamenti giurisprudenziali oggetto di sanzioni disciplinari per violazione dei doveri d’ufficio per l’uso improprio dei “social media” o per dichiarazioni o espressioni lesive nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza.

Con sentenza n. 24989 del 6 novembre 2013 la Corte di Cassazione ha definitivamente pronunciato il licenziamento disciplinare di un insegnante per aver criticato e offeso l’Istituzione scolastica d’appartenenza consigliando contestualmente, ad alcune studentesse e studenti, di iscriversi altrove palesando apertamente un pregiudizio radicato verso la gestione scolastica.

Approfondimento Con ordinanza del 12 novembre 2018 n. 28878 la Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa inflitto ad un dipendente che aveva pubblicato sui “social media” (nella fattispecie, Facebook) immagini e commenti offensivi nei confronti della società privata (azienda) in cui il dipendente prestava servizio confermando la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte d’Appello di Torino (e, ancora prima, dal Tribunale di Alessandria). La suprema Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, con sentenza precedente del 27 aprile 2018 n. 10280 confermava lo stesso orientamento.

È interessante, inoltre, citare l’ordinanza n. 246 del 03 marzo 2016 del Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia, sezione III, con la quale il giudice ha ritenuto violazione dei doveri d’ufficio l’aggiunta del like o pollice in alto (ovvero c.d. “mi piace”) al commento di una notizia a sua volta pubblicata sulla bacheca di Facebook. Questa ha determinato un danno all’immagine all’Amministrazione, assumendone dunque rilevanza disciplinare.

Approfondimento La Corte EDU, sezione II, con sentenza 15 giugno 2021, ric. n. 35786/19 si è pronunciata su un noto caso avvenuto in Turchia in merito al licenziamento disciplinare di un insegnante del Ministero dell’Istruzione per aver messo e cliccato “Mi piace” su diversi articoli pubblicati sulla bacheca virtuale di Facebook da terzi. I Giudici di Strasburgo hanno ritenuto insufficienti le ragioni per il licenziamento alla docente e sproporzionate rispetto alla sanzione inflitta per violazione dell’art. 10 Cedu.

Si è invece pronunciato, in senso opposto, il Tribunale di Roma, con sentenza del 19 maggio 2020. Il Giudice adito ha sollevato una docente dalla contestazione di addebito nella quale veniva accusata di aver pubblicato su Facebook, durante il suo orario di servizio, espressioni lesive e indecorose che lasciavano intendere una cattiva gestione scolastica. Il Giudice le ha ritenute troppo generiche; diversamente il Tribunale di Alessandria, sezione lavoro, recentemente con sentenza n. 130/2021, pubblicata il 19 maggio 2021 ha confermato il licenziamento individuale per giusta causa inflitto all’insegnante dall’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte (Ufficio III, Affari Giuridici, Contenzioso e Disciplinare)

Riferimenti normativi

  • COSTITUZIONE ITALIANA, art. 21
  • CODICE CIVILE, artt. 1175, 1375, 2105
  • LEGGE 20 maggio 1970, n. 300 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, art. 1
  • LEGGE 30 marzo 1981, n. 116 “Interpretazione autentica dell’articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417, concernente norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato”, art. 1
  • DECRETO LEGISLATIVO 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, art. 54
  • DECRETO Presidente Repubblica 31 maggio 1974, n. 417, “Norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato”, art. 93
  • DECRETO del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
  • DECRETO del Presidente della Repubblica 13 giugno 2023, n. 81 “Regolamento concernente modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62
  • DECRETO MINISTERIALE del 26 aprile 2022, n. 105
  • TRIBUNALE Amministrativo Regionale Lombardia sezione III, ordinanza n. 246 del 03 marzo 2016
  • TRIBUNALE di Roma, sentenza del 19 maggio 2020
  • TRIBUNALE di Alessandria, sezione Lavoro, sentenza n. 130/2021 del 19 maggio 2021
  • CORTE di CASSAZIONE, sentenza del 6 novembre 2013 n. 24989
  • CORTE di CASSAZIONE civile, sezione lavoro, ordinanza del 12 novembre 2018 n. 28878
  • CORTE di CASSAZIONE civile, sezione lavoro, sentenza del 27 aprile 2018 n. 10280
  • CORTE EDU, sezione II, sentenza 15 giugno 2021, ric. n. 35786/19

Sitografia

  • MINISTERO DELL’ISTRUZIONE Codice disciplinare e di condotta

https://www.miur.gov.it/codice-disciplinare-e-di-condotta

Riforma Sport 2023 e Scuola

Le ricadute della Riforma dello Sport 2023 sulla Scuola

di Gennaro Palmisciano

Con il termine Riforma dello Sport 2023 si fa riferimento al complesso di misure introdotte dai decreti legislativi 36/2021 e 39/2021, le quali sono state modificate ed integrate dai due successivi decreti 163/2022 (cosiddetto correttivo) e 120/2023 (correttivo bis).

Sono tre le principali ricadute sulla Scuola.

1)Si riporta il testo dell’art. 1, comma 17 lettera d) del decreto legislativo 120/2023, entrato in vigore il 5/9/2023:

“I lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001, n.  165,  possono  prestare  in  qualità  di  volontari  la  propria attività  nell’ambito  delle  società   e   associazioni   sportive dilettantistiche,  delle  Federazioni   Sportive   Nazionali,   delle Discipline Sportive Associate, delle associazioni benemerite e  degli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici, e direttamente  dalle proprie  affiliate  se  così  previsto  dai   rispettivi   organismi affilianti, del CONI, del CIP e della società Sport e salute S.p.a., fuori dall’orario di lavoro, fatti salvi gli  obblighi  di  servizio, previa comunicazione all’amministrazione  di  appartenenza.  In  tali casi a essi si applica il regime previsto per le prestazioni sportive dei volontari di cui all’articolo 29, comma  2.  Qualora  l’attività dei soggetti di cui al presente comma rientri nell’ambito del  lavoro sportivo ai sensi del presente decreto e preveda il versamento di  un corrispettivo,   la   stessa   può   essere   svolta   solo   previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza che la rilascia o la rigetta entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, sulla base di parametri definiti con decreto del Ministro per  la  pubblica amministrazione, di concerto con  l’Autorità  politica  delegata  in materia di sport, sentiti  il  Ministro  della  difesa,  il  Ministro dell’interno, il Ministro dell’istruzione e del merito e il  Ministro dell’università e delle ricerca. Se, decorso il termine  di  cui  al terzo periodo, non interviene il rilascio  dell’autorizzazione  o  il rigetto dell’istanza, l’autorizzazione è da ritenersi in  ogni  caso accordata.  In  tal  caso  si  applica  il  regime  previsto  per  le prestazioni sportive di cui all’articolo 35, commi 2, 8-bis e 8-ter e all’articolo 36, comma 6. I soggetti di cui al  presente  comma,  che prestano la loro attività in qualità di volontari o  di  lavoratori sportivi, possono inoltre ricevere i premi erogati dal CONI, dal  CIP e dagli  altri  soggetti  ai  quali  forniscono  proprie  prestazioni sportive, ai sensi dell’articolo 36, comma 6-quater”.

La norma disciplina la collaborazione al movimento sportivo dei dipendenti pubblici.

Costoro possono prestare la propria attività come volontari per ASD, SSD, Federazioni, Enti di Promozione Sportiva etc., fuori dall’orario di lavoro, fatti salvi gli obblighi di servizio, previa comunicazione di tale attività all’Amministrazione di competenza.

Se l’attività sportiva prestata rientra invece nell’ambito del lavoro sportivo e prevede un compenso, va chiesta preventivamente l’autorizzazione all’Amministrazione, che la concede, o la rigetta, entro trenta giorni, tenendo in conto la disciplina dell’incompatibilità.  In mancanza di risposta, scatta il silenzio-assenso. In carenza della richiesta e della autorizzazione sono previste sanzioni disciplinari e amministrative.

Resta vigente l’art. 454 del testo unico scuola, che disciplina i congedi straordinari per lo svolgimento di attività artistiche e ai docenti di educazione fisica (su richiesta del C.O.N.I. per particolari esigenze di attività tecnico sportiva, per ogni anno scolastico, con durata complessiva non superiore a 30 giorni) e la messa a disposizione del C.O.N.I. (per una durata non superiore ad un anno, in relazione alle Olimpiadi, ai Campionati del mondo ovvero a manifestazioni internazionali ad essi comparabili, di docenti di ruolo e non di ruolo di educazione fisica che siano atleti e preparatori tecnici di livello nazionale in quanto facenti parte di rappresentative nazionali, al fine di consentire loro la preparazione atletica e la partecipazione alle gare sportive. con retribuzione a carico del C.O.N.I.).

2)L’art.30 del D.lgs 36/2021 ha introdotto l’apprendistato sportivo, il quale può assumere tre forme diverse: quello di I livello (per conseguire diploma e qualifica professionale), quello di III livello (allo scopo di alta formazione e ricerca) e l’apprendistato sportivo professionalizzante . Gli enti sportivi dilettantistici possono stipulare contratti di apprendistato dei primi due tipi, mentre le società professionistiche possono attivare contratti di apprendistato professionalizzante. FIGC, Lega Pro e AIC hanno sottoscritto un accordo per l’apprendistato professionalizzante. Un addendum all’accordo collettivo definisce un set di regole e di strumenti da mettere a disposizione delle società sportive di serie C. Alcune di queste hanno cercato così di garantire agli atleti la migliore acquisizione della professionalità sportiva e validi percorsi di formazione.

In conclusione, da un lato gli apprendisti, grazie a questo tipo di contratto, possono acquisire una formazione specifica nel settore sportivo e mettere in pratica le proprie competenze lavorative in un ambiente reale. Dall’altro lato gli enti sportivi hanno l’opportunità di formare giovani talenti e contribuire alla crescita del comparto sportivo dilettantistico.

3)la registrazione dei verbali di revisione degli statuti per adeguamento alle previsioni di cui al d.lgs. 36/2021 sarà esente da imposta di registro non solo per gli enti sportivi, ma anche per le scuole che dovessero avere la necessità di aggiornare lo statuto dell’associazione sportiva scolastica.

Scuola di vita, vita di scuola

Scuola di vita, vita di scuola

di Margherita Marzario

 

Uno dei più grandi filosofi e pedagogisti di tutti i tempi è lo statunitense John Dewey (1859-1952), assertore della “scuola progressiva”, fondata sull’esperienza, sull’apprendimento come processo sociale e democratico, sul dialogo, sui valori della persona, attenzione per i bambini, per i poveri, per i fragili, per gli immigrati, per le persone di colore, sui diritti civili, contro un capitalismo esasperato che offende la dignità umana. Per Dewey, la crescita è un processo incessante: “Non c’è nulla a cui la crescita sia connessa se non una crescita superiore, non c’è nulla a cui l’educazione debba essere subordinata se non una maggiore educazione”. Sempre secondo Dewey, la democrazia è un bene inestimabile, da sostenere con il pensiero, con le opere e con l’esempio. La scuola attuale, però, il più delle volte asseconda la società e non la feconda. 

La scrittrice Paola Mastrocola afferma: “Credo che non vadano difese solo certe minoranze che ci piacciono di più o ci sembrano più deboli. Ci sono minoranze altrettanto sofferenti che invece non vediamo, ad esempio quelli molto bravi, messi da parte sia dai compagni sia dagli insegnanti, i quali preferiscono portar avanti i più deboli, a volte anche chi non ha proprio voglia di studiare. Diciamoci la verità: la scuola pubblica non sa che farsene di quelli bravi. […] Non mi piace la perdita di profondità. Restiamo in superficie a galleggiare in un mondo sempre più difficile, in cui dovremmo insegnare ai giovani a scendere in loro stessi, ad amare il pensiero. Lo studio è coltivare lo spirito, smanettare su Internet è un’altra cosa. Internet è meraviglioso, è entrato nella nostra vita e non ne uscirà più, ma non è il caso di usarlo sei ore al giorno a scuola. Lo studio è una scrivania, un libro aperto, il gomito sul tavolo e la testa appoggiata che pensa”. Aprire è schiudere, togliere i serrami, gli impedimenti, gli ostacoli: è questa la funzione primaria della scuola. “La scuola è aperta a tutti” (art. 34 comma 1 Cost.). Etimologicamente “aula” significa “luogo libero, arioso”, ha la stessa radice – che significava “soffiare, spirare” – di “aulico” e “flauto”. La scuola, perciò, dovrebbe essere luogo ameno di libertà in cui far respirare aria nuova alle nuove generazioni e far vibrare i loro strumenti. 

“La scuola non è solamente l’istituzione dedicata all’apprendimento formale del minore, ma anche uno dei luoghi dove se ne forma la personalità, attraverso percorsi che investono il suo sviluppo sociale e anche fisico. Un ruolo fondamentale nella crescita è attribuito allo sport e alle attività fisiche, di norma praticate al di fuori delle mura scolastiche. Ma anche la scuola può contribuire all’alfabetizzazione motoria del minore, specialmente in quelle situazioni dove le difficoltà economiche precludono alle famiglie la partecipazione del bambino ad attività sportive extrascolastiche” (nel Report “Povertà educativa. Servizi per l’infanzia e i minori”, febbraio 2018). Non si può continuamente bistrattare la scuola data la sua rilevanza costituzionale, dallo svolgimento della personalità (art. 2 Cost.) alla tutela della salute (art. 32 Cost.). 

Lo storico Ernesto Galli Della Loggia (nel suo libro “L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola”, 2019), citando il filosofo Francesco De Sanctis, per il quale la scuola aveva il compito di fare gli Italiani e “fare di diversi popoli un popolo solo”, evidenzia i mali che affliggono la scuola – in particolare, il personale mal pagato, scoraggiato, deluso –, ma ha la speranza che una scuola all’altezza dei tempi sia ancora possibile. Egli dichiara che “ogni istruzione vera, se vuole, può essere ed è un’educazione civica” e che bisogna credere “che nulla sia stato deciso una volta per tutte, che la «buona battaglia» resti ancora da combattere. Il tempo rimasto è poco, ma il destino della nostra scuola è ancora nelle nostre mani”. L’importanza della scuola è e rimane attuale e fondamentale. Bisognerebbe rivalutare pure la sua collocazione nel Titolo II “Rapporti etico-sociali” e la sua disciplina nella Costituzione (artt. 33 e 34) dopo la famiglia, la salute e prima del lavoro. 

La scuola è diventata da “ricettario” di valori a “ricettacolo” di disvalori. Ci si dimentica che è un luogo e un soggetto “costituzionale” in cui si cresce e si vive nei valori costituzionali, già a cominciare da quelli espressi nell’art. 1 della Costituzione: democrazia, lavoro, sovranità (di cui il sapere è uno dei primi poteri). La scuola stessa è progetto di vita e di vite e non ci sarebbe bisogno di proporre altri progetti rendendo così la scuola un “progettificio”. 

Alla scuola si chiedono sempre più competenze e meno compiti da dare. In realtà se ne esce, poi, sempre meno competenti e meno compìti. Perché scaricare continuamente tutto sulla scuola o qualcun altro? Perché non riconoscere la propria responsabilità? E perché non educare alla responsabilità? Prima “famiglia è scuola”, poi “famiglia e scuola”.

I genitori non dovrebbero chiedere agli insegnanti “Come va mio figlio a scuola”, perché significa puntare l’attenzione sui successi scolastici che sono limitati nel tempo e nello spazio, sono solo risultati, dati, elementi di una dimensione più vasta, ma dovrebbero chiedere “Come si comporta o come sta mio figlio a scuola”, perché questo riguarda l’aspetto relazionale che è fondamentale nella vita in quanto essa è un continuo processo di apprendimento.  

La storica Lucetta Scaraffia osserva: “Oggi, invece, una scuola permissiva e rinunciataria sforna ragazzi che non hanno imparato a scrivere e a parlare bene, a capire un testo o un contesto culturale, e quindi anche a riconoscere e gestire i legami sociali. In questa situazione allora la provenienza sociale fa la parte del leone: i ragazzi che vengono da famiglie di ceto medio-alto, dove si parla italiano corretto, si legge, si ragiona con i figli, dove i figli vengono mandati all’estero a imparare le lingue che la scuola italiana insegna malissimo, si trovano in condizioni di partenza lontane anni luce da quelle dei loro coetanei meno fortunati. La scuola non svolge più la funzione di ascensore sociale, di fabbrica di possibilità per un futuro migliore per tutti, se solo si impegnano”. “La scuola è aperta a tutti” (art. 34 comma 1 Cost.) significa che la scuola non deve livellare, annullare o disconoscere le differenze ma deve fornire a tutti gli strumenti affinché siano cittadini che sappiano esercitare i diritti e adempiere ai doveri, come si legge in quegli articoli della stessa Costituzione in cui si usa l’aggettivo o pronome indefinito “tutti”, a cominciare dall’art. 3. Nella scuola di oggi ci sono alcuni insegnanti demotivati e altri che lavorano nel nascondimento e nella solitudine rispetto a un sistema che “macina” tutto e tutti.

La scuola è sempre più delegata dai genitori nella funzione educativa che, invece, spetterebbe loro e, al tempo stesso, è “legata al cappio” perché basta un nonnulla che scattano denunce e ricorsi o altro ancora da parte dei genitori o altre subdole vessazioni. 

“Non dimenticate mai che a scuola vanno i vostri figli, non voi genitori – richiama il pedagogista Daniele Novara –. Ma questo non toglie la possibilità di creare la giusta cornice organizzativa, grazie alla quale i figli sentono il sostegno dei genitori nella sfida scolastica”. I figli vanno sostenuti non sostituiti. Bisogna garantire loro l’assistenza morale (artt. 147 e 315 bis comma 1 cod. civ.) e non l’assistenza legale contro la scuola o chiunque altro ritenuto a priori responsabile di qualsiasi cosa possa succedere ai figli. La scuola è un diritto e un dovere, esperienza di crescita, di cittadinanza, dell’esistenza di ogni diversità.

In Amazzonia, e precisamente a Manaus, c’è una scuola speciale, una scuola agricola per la salvaguardia dell’Amazzonia, e gli allievi vi arrivano con la canoa anche dopo giorni di navigazione per rimanervi e imparare tecniche nel rispetto dell’ambiente. Nella nostra scuola, invece, capita che vi siano allievi apatici o aggressivi, insegnanti non sempre appassionati e appassionanti e genitori che nei confronti dei figli fanno di tutto (professori, sindacalisti, avvocati, complici, amici) fuorché i genitori. 

Il pedagogista Pierpaolo Triani precisa: “La collaborazione è un principio ineludibile in considerazione del compito della scuola e delle risposte che è chiamata a dare in una realtà soggetta a continui cambiamenti, che deve fare i conti soprattutto con la multiculturalità, quindi con la necessità di trovare una unitarietà di valori riconosciuti come patrimonio comune. Finalità che possono essere raggiunte mettendo al centro il processo collaborativo e la dimensione comunitaria della scuola”. La collaborazione scuola-famiglia ha un fondamento costituzionale: innanzitutto la collocazione della disciplina della scuola (artt. 33 e 34 Cost.) segue a quella della famiglia (artt. 29-31 Cost.) e in mezzo alle due istituzioni c’è la tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.); l’istruzione e l’educazione dei figli sono primario dovere e, poi, diritto dei genitori (art. 30 comma 1 Cost.); ogni lavoro, quale attività o funzione, concorre al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 comma 2 Cost.). E, su tutti i princìpi, la solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione.

Con i bambini bisogna fare insieme affinché imparino, imparino meglio e con la gioia di fare. Questo vale in famiglia e a scuola, anche per la trasmissione dei valori costituzionali summenzionati. Imparare non riguarda solo i bambini ma tutti perché stare con l’altro presenta sempre qualche novità da affrontare e imparare. Così l’educazione diviene quel processo interpersonale e intrapersonale secondo i traguardi e gli obiettivi delineati nell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Psicopatologia del voto

Psicopatologia del voto

di Giovanni Fioravanti

C’era il professore di fisica che l’aveva interrogato sulla puleggia, ma lo studente aveva fatto scena muta e quindiera stato rimandato al posto con due. Eppure conosceva tutto sulle carrucole, ma non sapeva che puleggia e carrucola fossero la stessa cosa.

Da questo aneddoto molti anni fa, erano gli anni novanta del secolo scorso, prendeva l’avvio uno dei primi libri, pubblicati nel nostro paese, sulla valutazione scolastica del docimologo Gaetano Domenici. Docimologia è la scienza degli esami, termine introdotto dallo psicologo francese Henry Piéron, quando iniziò le sue prime ricerche sugli esami di licenza elementare nel lontano 1922. 

Si poneva così la questione della valutazione scolastica e della sua affidabilità sulla base della quale docenti e responsabili del governo della scuola avrebbero dovuto strutturare le loro decisioni. 

È che la valutazione come consapevolezza dei processi d’apprendimento e dei loro risultati ha sempre faticato a trovare cittadinanza nello spirito delle nostre scuole e del nostro insegnamento, timorosi d’essere contaminati dal germe dell’aziendalismo, tanto che ancora troppi sono i docenti, e non solo, che guardano con sospetto, quando non con ostilità, ai dati forniti di anno in anno dai test Ocse Pisa e da quelli dell’ Invalsi.

In compenso resistono i voti, con i loro ingredienti disoggettività ed emotività, di giudizi morali, di effetti pigmalione che nulla c’entrano  con la misurazione degli apprendimenti e dei processi scolastici. I voti per cui, se sei anche un campione in fisica, ti abbasso il voto perché la tua condotta scolastica lascia a desiderare.

Ora il voto è imputato di produrre ansia e stress ed ogni discorso sulla validità e finalità delle valutazioni scolastichepassa in secondo piano.

Dalla scuola del merito all’ansia da prestazione degli studenti, al burnout degli insegnanti. La nostra scuola sempre più si avvia ad essere una maionese impazzita. Da un lato un ministro che ripristina lo spirito di competizione,dall’altro studenti e docenti che non reggono, che denunciano tutta la loro fragilità.

Studenti stressati dall’essere valutati,  insegnanti, sempre più immiseriti nel loro ruolo,  che, perdendo lo strumento del voto, temono di vedere ancora più svilita la loro funzione, dall’altra parte i genitori restii a rinunciare al voto che resta comunque l’indicatore prioritario per esercitare il controllo sull’andamento scolastico dei figli.

Psicopatologie, dunque, stati d’animo, stress dei protagonisti come se il teatro e il testo della commedia da mettere in scena ogni giorno poco contassero.

Dopo la pandemia da Covid il voto è divenuto l’imputato numero uno delle psicopatologie di tanti studenti, tale da indurre taluni istituti a relegarli esclusivamente al termine dell’anno scolastico.

Una sorta di tregua sul campo di battaglia che resta la scuola, una cura psicoterapica per consentire all’adolescenza di riprendersi dai traumi scolastici.

Curioso, perché nel frattempo l’antico ministero della pubblica istruzione ha perso l’aggettivo “pubblica” per recuperare il sostantivo “merito”.

Questo vezzo tutto italiano di affrontare i problemi del sistema scolastico a spizzichi e bocconi, tipo il liceo quadriennale sperimentale, ora la sospensione di voti e quadrimestri, lasciando inalterato tutto il resto come se ogni parte non fosse funzionale al tutto, come se si fosse potuto fare a meno di voti e quadrimestri o trimestri anche prima. E allora perché non si è provveduto per tempo? Perché alcuni sì ed altri no? Perché nascondere i voti per un intero anno scolastico per poi farli ricomparire al termine di esso? Farli ricomparire all’esame di stato?

Altroché psicopatologia del voto, qui siamo di fronte alla schizofrenia scolastica.

Preoccupa la cultura nelle cui mani è oggi posta la nostrascuola, dal ministro ai dirigenti, agli insegnanti.

Ma siete proprio onestamente convinti che siano i voti la vera causa del disagio di tanti studenti? Ci credete davvero? Le alte percentuali di abbandono e di dispersione scolastica non riescono a suggerirvi altro? È davvero preoccupante, perché significa che la nostra scuola non è nelle mani giuste.

Dovrebbe essere chiaro da anni che il problema dei voti è solo un aspetto, un sintomo di una crisi più vasta del nostro sistema formativo, con il suo seguito di modello docenteprevalente, di cattedre, di interrogazioni, pagelle ed esami ed altro ancora. Tutto coerente con la filosofia persistente dell’ organizzazione gentiliana del nostro sistema scolastico, che ci si ostina a voler mantenere, quando da alcuni addirittura non si pretenderebbe di ripristinarne l’antico splendore, a dispetto dell’usura dei tempo.

Una struttura scolastica che ancora fa degli esami, anche questi di emanazione gentiliana, non solo il momento finale del processo, ma un fattore di condizionamento di tutto il processo, una motivazione che si sovrappone ad ogni altra motivazione, una gara che esalta il clima competitivo della vita scolastica e l’individualismo conseguente.

Un modello di insegnante che, essendo l’emanazione di questa struttura scolastica, finisce col subordinare alla funzione giudicatrice ogni altra funzione, collocando in essa la sostanziale motivazione dell’insegnamento, quando non la sua gratificazione.

Allora il disagio degli studenti è il sintomo di una contaminazione prodotta da una scuola disagiata e a sua volta disagiante, è l’espressione più eclatante della crisi della sua funzione, quella che dovrebbe essere oggi, rispetto ai bisogni formativi qui e ora, e non quella di ieri, di epoche che non ci sono più.

Età ed esercizio del dovere di vigilanza

L’incidenza dell’età nell’esercizio del dovere di vigilanza a scuola

di Anna Armone

Le fonti regolative dell’obbligo di vigilanza a scuola sono costituite dagli articoli 2047 e 2048, nonché dall’art. 1218 del codice. Per l’illustrazione del tema in oggetto ci soffermeremo essenzialmente sull’art. 2048.

La giurisprudenza è oramai concorde nel considerare il fattore età come fattore ordinario, il che significa che in ogni analisi sul livello di responsabilità afferente alla carente o omessa vigilanza tale elemento va preso necessariamente in considerazione.

Secondo una parte della giurisprudenza della Cassazione l’art. 2048 c.c., comma 2 “si riferisce unicamente ai danni provocati dal minore sottoposto alla vigilanza dell’insegnante e non a quelli procurati dall’allievo maggiorenne”, non apparendo “dubitabile che la responsabilità dei precettori e degli insegnanti, al pari di quella dei genitori, cessi con il raggiungimento della maggiore età degli allievi, in quanto da tale momento non vi è più ragione che l’insegnante eserciti la vigilanza su persone ormai dotate di piena maturità e capacità di discernimento”: pertanto “la responsabilità dell’insegnante e quindi dell’istituzione scolastica” deriverà, se ne ricorrono i presupposti, dall’art. 2043, o dall’art. 2051 c.c..

Per quanto riguarda la capacità del soggetto, l’art. 2048, presuppone l’esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale sono esclusivamente configurabili la “culpa in educando” e la “culpa in vigilando”, rispettivamente previste dal primo e dal secondo comma, per cui la responsabilità dei genitori o tutori/insegnantiviene a concorrere con la responsabilità del minore, mentre entrambe restano escluse nell’ipotesi di caso fortuito che come tale elimina l’ingiustizia del danno. 

Facciamo un cenno al richiamato art. 1218 del codice civile che porta alla stessa considerazione sull’elemento età. L’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo a scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità del medesimo allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni e, quindi, di predisporre gli accorgimenti necessari affinché non venga arrecato danno agli alunni in relazione alle circostanze del caso concreto. Tali circostanze possono essere ordinarie, come l’età degli studenti, che impone un controllo crescente con la diminuzione della stessa età, od eccezionali, implicando, allora, la prevedibilità di pericoli derivanti dalle cose e da persone, anche estranee alla scuola e non conosciute dalla direzione didattica, ma autorizzate a circolarvi liberamente per il compimento della loro attività. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO VENEZIA, 09/05/2018). In particolare, in relazione ad alunni in tenerissima età, al fine di escludere qualsivoglia profilo di responsabilità in capo all’istituto scolastico ed ai precettori dipendenti, si richiedeun controllo all’interno dell’aula molto serrato, in modo da impedire un gesto improvviso e potenzialmente dannoso degli alunni. Qualora, pertanto, l’evento pregiudizievole si verifichi ai danni di un bambino di pochi anni durante l’attività ricreativa, che richiede un controllo ancora maggiore, presunta l’omessa vigilanza degli insegnanti presenti, deve  concludersi per la responsabilità contrattuale dell’istituto scolastico.

Secondo giurisprudenza costante, pertanto, il contenuto dell’obbligo di vigilanza è inversamente proporzionale al grado di maturità degli alunni, per cui con l’avvicinarsi di questi all’età del pieno discernimento il dovere di vigilanza dei precettori richiede in minor misura la loro continua presenza -, nella quale già si sarebbe riconosciuto che, con l’acquisizione del “pieno discernimento” coincidente con il raggiungimento della maggiore età, cessa l’obbligo di vigilanza ex art. 2048, comma 2, in lineacon la cessazione di responsabilità dei genitori secondo il primo comma per culpa in educando. Richiamiamo in modo più specifico la sentenza della Cass. sez. 3, 30 maggio 2001 n. 7387, che ha effettivamente attribuito all’articolo 2048, secondo comma, quale presupposto, l’età minorenne dell’allievo, dovendosi presumere che non sia stato riservato “ai precettori e maestri d’arte un trattamento deteriore rispetto a quello dei genitori di cui al primo comma, irrazionalmente dilatando, oltre quel limite temporale, la loro responsabilità”.

Ma secondo altra posizione giurisprudenziale, occorre fare una lettura esegetica dell’art. 2048 che nel primo comma prevede la responsabilità dei genitori o del tutore per il danno causato dal fatto illecito “dei figli minori non emancipati” o delle persone soggette alla tutela che abitano con loro, mentre nel comma 2, attribuisce responsabilità a “precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte” per il danno causato dal fatto illecito “dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”.Le due fattispecie racchiuse nei primi due commi dell’art. 2048 c.c., non sono, in realtà, del tutto sovrapponibili come prospettato da qualche giudice, ovvero non sono configurabili come due species di un unico genus di responsabilità che si infrange sul confine della maggiore età dell’autore del fatto illecito. L’unico elemento in comune fra le due fattispecie risiede nel terzo comma, il quale indica che a entrambe le responsabilità viene posto limite in una prova liberatoria: che, peraltro, pur essendo identico il testo normativo – esigente la prova “di non aver potuto impedire il fatto” -, logicamente non può avere un contenuto identico, poiché la fonte della responsabilità è diversa.

Dalla lettura dei due commi si nota la loro evidente divergenza: il comma 1, disegna quella che tradizionalmente viene qualificata come responsabilità per culpa in educando senza peraltro indicare che cosa genitori (e tutori) abbiano omesso di fare affinché la responsabilità insorga, tutto essendo presupposto nella qualità genitoriale da un lato e filiale dall’altro; e il secondo comma, invece, indica espressamente che cosa non è stato fatto, cioè la “vigilanza”. Notoriamente, anche i genitori sono tenuti alla vigilanza dei figli minorenni; ma è evidente che la “vigilanza” del comma 2, è di contenuto specifico, in quanto si rapporta alla cognizione culturale e tecnica che viene trasferita dai responsabili ai loro “allievi e apprendisti”. Già questo basta per escludere che il raggiungimento della maggiore età di per sé estingua l’onere della vigilanza, poiché la maggiore età non significa che il soggetto cessi di essere allievo o apprendista, ovvero cessi di essere sottoposto a quella vigilanza che, logicamente, è teleologica, ovvero necessaria per l’attività di insegnamento/addestramento cui si riferisce l’art. 2048, comma 2.

Il comma 2, in altre parole, è molto più specifico rispetto al comma 1: l’attività dell’allievo/apprendista si svolge in un luogo e in un tempo specifici – quelli in cui si svolge l’obbligo di vigilanza -, ed è proprio la presenza dell’allievo/apprendista in quel luogo e in quel tempo che costituisce il presupposto del fatto illecito rilevante ai fini dell’articolo 2048, comma, laddove, nel comma 1, il luogo e il tempo in cui si verifica il fatto illecito è irrilevante, trattandosi di una responsabilità del tutto “generalista” riferita al rapporto di filiazione. Peraltro una stretta connessione con l’attività di insegnamento sussiste normalmente pure nel caso in cui l’insegnamento non ha per oggetto attività materiali: a differenza dell’epoca in cui fu scritto il codice civile, al giorno d’oggi l’insegnamento viene erogato quasi sempre in un ambito collettivo, ovvero non tramite lezioni personali da parte appunto di “precettori”, bensì entro istituti scolastici: e allora l’insegnamento comporta anche il controllo della condotta sociale degli studenti in tale ambito, così da consentire che l’insegnamento sia praticato in modo proficuo e che gli studenti esperimentino in modo positivo la loro socialità, comportandosi in modo corretto e rispettoso delle persone – compagni di classe e personale con cui condividono la socialità entro l’istituto scolastico.

Tuttavia, la maggiore età, benché non eserciti la propria incidenzasulla responsabilità dell’art. 2048 c.c., comma 2, incide nella determinazione del contenuto dell’obbligo di vigilanza, che appunto la giurisprudenza di legittimità da tempo commisura alle concrete caratteristiche del soggetto vigilato che consentono di conoscere le sue condotte prevedibili: e tra queste caratteristiche è inserita l’età. Scorrendo gli ultimi decenni, Cass. sez. 3, 4 marzo 1977 n. 894 già chiaramente afferma che il maestro delle scuole pubbliche elementari, quale rientrante nella nozione di precettore di cui all’ art. 2048 c.c., comma 2, in riferimento al comma 3, dell’articolo “in tanto… si libera dalla presunzione di responsabilità, in quanto provi di aver esercitato la vigilanza sugli alunni nella misura dovuta e che, nonostante l’esatto, completo adempimento di tale dovere…gli sia stato impossibile impedire il compimento dell’atto illecito causativo di danno per la sua repentinità e imprevedibilità, che non ha consentito un tempestivo efficace intervento”, non essendo però assoluto il contenuto del dovere di vigilanza, “bensì relativo all’età e al normale grado di maturazione degli alunni”; l’arresto ne deduce che la vigilanza nella scuola elementare (oggi scuola primaria) deve pertanto “raggiungere il massimo grado di continuità e attenzione nella prima classe”.

Nello stesso intento di commisurare il contenuto dell’obbligo di vigilanza anche rispetto all’età della persona vigilata, la Cassazione, sez. 3, con sentenza del 15 gennaio 1980 n. 369 ribadisce che il dovere di vigilanza previsto dall’ art. 2048 c.c., comma 2, “è da intendere in senso non assoluto ma relativo, in quanto il contenuto di detto obbligo è in rapporto inversamente proporzionale al grado di maturità degli alunni, con la conseguenza che con l’avvicinarsi di costoro all’età del pieno discernimento il dovere di vigilanza dei precettori richiede meno la loro continua presenza”. Ancora, la sentenza  Cass. sez. 3, 23 luglio 2003 n. 11453 riconosce che la presunzione di responsabilità ex art. 2048, comma 2, “non è assoluta – come se si trattasse di ipotesi di responsabilità oggettiva – ma configura una responsabilità soggettiva aggravata in ragione dell’onere… di fornire la prova liberatoria, onere che risulta assolto in relazione all’esercizio – da accertarsi in concreto – di una vigilanza adeguata all’età e al normale grado di comportamento” degli affidati, che in quel caso erano minorenni. Da ultimo, Cass. sez. 1, 9 maggio 2016 n. 9337, quanto al superamento probatorio della presunzione di responsabilità dell’insegnante per il fatto illecito dell’allievo, pur nell’ambito di un’impostazione assai rigorosa, giunge a sfociare nell’età dei vigilati come elemento sostanzialmente dirimente, affermando che l’insegnante dovrebbe dimostrare “di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, e di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di quella serie, commisurate all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto, dovendo la sorveglianza dei minori essere tanto più efficace e continuativa in quanto si tratti di fanciulli in tenera età”.

Conclusioni

La vigilanza costituisce un supporto suppletivo di cui devono fruire in primis proprio i soggetti vigilati che non abbiano ancora capacità di gestire, o di gestire in modo completo, la propria condotta nell’ambito e nell’attività specifici in cui si trovano, così da evitare di porre in essere fatti dannosi. L’età della persona vigilata usualmente si rapporta, d’altronde, con il livello di capacità autogestionale: e quel che la tradizione definisce capacità di discernimento alla luce del notorio si incrementa con lo sviluppo psicofisico ed esperienziale della persona.

Al riguardo, su un piano generale, il legislatore, conferendo la maggiore età, presume che tale età renda capace una persona normale sotto il profilo psicofisico che l’ha raggiunta di evitare consapevolmente una condotta colpevole che cagioni danni a terzi. Se, allora, nel caso specifico dell’art. 2048, comma 2, la maggiore età del soggetto direttamente non priva il soggetto stesso del supporto della vigilanza da parte dell’insegnante, ciò non toglie che la presunzione di capacità di autogestione propria della maggiore età, quantomeno per le attività che non sono attività materiali oggetto di insegnamento (come potrebbero essere le attività sportive, artigianali, meccaniche e in generale tecniche), incida così da rendere a questo punto imprevedibile – nel senso di eccezionale, e quindi ordinariamente inevitabile – una condotta da parte dell’allievo maggiorenne che sia dannosa alle persone a lui prossime. Il che è insito nel secondo comma dell’articolo 2048 in un’ottica di interpretazione che aggiorni una norma promulgata negli anni 40 del secolo scorso con la situazione complessiva in cui oggi viene ad essere applicata. Non solo, infatti, il legislatore ha anticipato, rispetto a quell’epoca, l’età maggiorenne – che quando fu promulgato il codice ben difficilmente avrebbe potuto essere raggiunta da chi ancora frequentava un istituto scolastico o svolgeva attività di apprendistato -; ma altresì deve considerarsi che la complessiva evoluzione sociale è coerente ormai con il riconoscere nelle persone di età prossima ai 18 anni una maturazione psicofisica ormai completa, e quindi idonea a giustificare una loro autoresponsabilità come responsabilità diretta ed esclusiva. I c.d. grandi minori costituiscono oramai, in effetti, una fascia di passaggio tra l’età adolescenziale in senso stretto e la maggiore età, assimilandosi, peraltro, più a quest’ultima che a un periodo di necessità di sostegno altrui e di incapacità di comprendere direttamente gli effetti delle proprie azioni od omissioni. Mentre all’epoca della promulgazione del codice civile il minore era, d’altronde, complessivamente ancora un soggetto passivo, tanto che il genitore, sul piano più generale, esercitava nei suoi confronti una potestà, nel sistema odierno il minore è ora un soggetto, per così dire, giuridicamente incrementato; a fortiori, dunque, l’età del discernimento pieno non può non presumersi raggiunta dall’allievo maggiorenne in riferimento a quelle condotte che, come già si è detto, non necessitano di particolari conoscenze tecniche per essere compiute in modo corretto e privo quindi di pericoli.

Se, dunque, permane la responsabilità ex art. 2048, comma 2, anche nel caso in cui l’allievo sia maggiorenne, in ultima analisi l’età maggiorenne incide comunque sul contenuto dell’onere probatorio dell’insegnante, in quanto la dimostrazione da parte sua della maggiore età dell’allievo – al di fuori, come si è appena ripetuto, di condotte specificamente correlate ad un insegnamento tecnico – deve ritenersi ordinariamente sufficiente per provare che l’evento dannoso ha costituito un caso fortuito, essendo stato posto in essere da persona non necessitante di vigilanza alcuna in quanto giunta ad una propria completa capacità di discernimento, persona che pertanto – essendo ben consapevole delle sue conseguenze – non era prevedibile che effettuasse una siffatta condotta. Questo principio, per le appena descritte condotte, per così dire, socialmente “generaliste”, non può non valere anche per le persone che sono ormai prossime alla maggiore età, come sono usualmente quelle che frequentano l’ultimo anno di una scuola superiore. Il caso fortuito, infatti, si ripete, non può non conformarsi alla complessiva realtà giuridica e sociale odierna in cui viene ad inserirsi una norma precauzionale come l’art. 2048 c.c., comma 2, ben potendo comunque – è ovvio – la parte danneggiata contrastare la presunzione di caso fortuito appena delineata come discendente dalla dimostrazione dell’età maggiorenne o prossima alla maggiore età con la prova della prevedibilità della condotta dannosa da parte del soggetto che l’ha posta in essere, ovvero di un peculiare contenuto dell’obbligo di vigilanza che l’insegnante non abbia adempiuto: per esempio, dimostrando che autore dell’evento dannoso è stata una persona che aveva già manifestato spiccati elementi di asocialità, oppure una persona notoriamente ostile/vendicativa per pregressi eventi nei confronti della persona danneggiata ecc..

Elezioni suppletive Consigli Circolo o Istituto

Elezioni suppletive relative ai consigli di circolo o di istituto: stato dell’arte e ricognizione normativa

di Leon Zingales

I punti riferimenti normativi relativi alle Elezioni suppletive relative ai consigli di circolo o di istituto sono l’articolo 35 del D.Lgs. 297/1994 e l’articolo 53 dell’O.M. 215/1991. Si reputa essenziale riportare integralmente quest’ultimo riferimento normativo.

Art. 53 – Surrogazione – Elezioni suppletive relative ai consigli di circolo o di istituto 1. I membri dei consigli di circolo o di istituto, cessati dalla carica per qualsiasi causa, devono essere sostituiti con il procedimento della surrogazione. Un membro dimissionario o decaduto, regolarmente surrogato, viene depennato definitivamente dalla lista. In caso di impossibilità di procedere alla surrogazione suddetta per esaurimento delle rispettive liste non si può ricorrere ad altre liste, ma i posti vacanti devono essere ricoperti mediante elezioni suppletive. 2. Pur essendo valida la costituzione del consiglio anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza (art. 28 D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416), si dà luogo a elezioni suppletive, qualora manchi la rappresentanza della componente genitori, nell’ambito della quale deve essere eletto il presidente del consiglio di circolo o istituto. 3. Anche per le elezioni suppletive, tale la facoltà di presentazione di liste contrapposte. 4. Le elezioni suppletive, per motivi di opportunità, debbono essere indette, di norma, all’inizio dell’anno scolastico successivo all’esaurimento delle liste, contestualmente alle elezioni annuali”.

Come precisato anche dalla recente Nota ministeriale 29795 dell’11-09-2023 “Elezioni degli organi collegiali a livello di istituzione scolastica – a. s. 2023-2024”, le elezioni suppletive si devono svolgere secondo la procedura ordinaria di cui al titolo III dell’O.M. 215/1991, con la tempistica riportata nell’approfondimento. Relativamente al corrente Anno Scolastico, la data della votazione sarà fissata dal Direttore generale/dirigente preposto di ciascun Ufficio Scolastico Regionale, per il territorio di rispettiva competenza, in un giorno festivo dalle ore 8,00 alle ore 12,00 ed in quello successivo dalle ore 8,00 alle ore 13,30 non oltre il termine di domenica 26 novembre e lunedì 27 novembre 2023.

Nel frattempo (ovvero fino all’insediamento dei nuovi eletti), il consiglio di istituto potrà funzionare, nella pienezza delle sue prerogative e attribuzioni, anche nella composizione ridotta.

APPROFONDIMENTO: Tempistica delle elezioni suppletive per la surroga dei Componenti A partire dalla data fissata dal Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale per lo svolgimento delle elezioni per il rinnovo del consiglio e per le elezioni suppletive, vengono determinate a ritroso le scadenze per gli adempimenti propedeutici alle operazioni elettorali in relazione alla seguente tempistica: nomina della commissione elettorale: non oltre il 45° giorno antecedente a quello fissato per le elezioni (O.M. 215/1991, art. 24 comma 6)formazione e aggiornamento degli elenchi degli elettori: entro il 35° giorno antecedente (O.M. 215/1991, art. 27 comma 1)deposito elenchi elettori presso la segreteria: non oltre il 25° giorno antecedente a quello fissato per le elezioni (O.M. 215/91, art. 27 comma 5)eventuali ricorsi entro 5 giorni dal deposito (O.M. 215/91, art. 28)presentazione delle liste dalle ore 9 del 20° giorno antecedente a non oltre le 12 del 15° giorno ( O.M. 215/1991 art. 32)esposizione delle liste: stesso giorno di scadenza della presentazione delle liste (O.M. 215/1991, art. 33)eventuale regolarizzazione delle liste entro tre giorni dal termine ultimo di presentazione delle liste (O.M. 215/1991, art. 34 comma 5)riunioni per la presentazione dei candidati e programmi dal 18° al 2° giorno antecedente quello fissato per le elezioni (O.M. 215/91, art. 35)la comunicazione del dirigente circa il numero seggi alla commissione elettorale entro il 35° giorno antecedente a quello fissato per le elezioni (O.M. 215/1991, art. 37)nomina dei seggi elettorali: in data non successiva al 5° giorno antecedente a quello delle votazioni (O.M. 215/1991, art. 38). Nel computo delle date è valido il principio: “Dies a quo non computatur in termino, dies ad quem computatur“, ossia nel computo dei termini il giorno iniziale non si computa, mentre va conteggiato il giorno finale.

Si precisa che tra i Componenti da surrogare vi sono anche quelli decaduti a seguito di tre assenze consecutive senza giustificato motivo.  Il provvedimento di surroga, che deve essere disposto dal dirigente, deve essere successivo alla delibera di decadenza da parte del Consiglio d’Istituto.

APPROFONDIMENTO: Surroga di componente del Consiglio di Istituto a seguito di tre sedute consecutive di assenza senza giustificato motivo L’art. 38 del D. Lgs. 297 del 16 aprile 1994 prevede la decadenza dalla carica di componente del Consiglio di istituto a seguito di tre assenze consecutive senza giustificato motivo. Il Consiglio, nell’esaminare la decadenza dei consiglieri assenti senza giustificati motivi per tre sedute consecutive, trattandosi di decadenza “de facto”, non esprime una valutazione discrezionale dei fatti medesimi, ma produce una delibera di decadenza. Si rammenta che in alcun modo il Consiglio d’Istituto può sindacare sulle eventuali giustificazioni d’assenza, ovvero pretendere dichiarazione sostitutiva, tenuto conto il Consiglio non è un organo amministrativo e quindi è privo di potere di accertamento della veridicità della dichiarazione.  

A differenza delle altre Componenti, solo per la Componente Genitori è stabilito che debbono essere indette elezioni suppletive anche nel caso in cui, nelle elezioni per il rinnovo triennale, per la predetta componente non siano state presentate liste.

APPROFONDIMENTO: Elezioni suppletive nel caso assenza di Componente per mancata presentazione della lista nelle elezioni ordinarie Componente genitore Nel caso trattasi di  componente genitori, ai sensi dell’articolo 53 dell’O.M. 215/1991, in considerazione del fatto che è tra la componente dei genitori che deve essere eletto il presidente, è stabilito che debbono essere indette elezioni suppletive anche nel caso in cui nelle elezioni per il rinnovo triennale per la predetta componente non siano state presentate liste. Altra Componente Nel caso in cui la Componente che non aveva presentato alcuna lista non è la Componente genitore, risulta valido l’art. 37 del D. Lgs. 297/1994 che stabilisce che “l’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la loro rappresentanza”.  Di conseguenza le elezioni suppletive debbono essere indette solo nel caso in cui, per decadenza o dimissioni di qualche consigliere, risultino esaurite le liste in cui i decaduti o dimissionari erano stati eletti e quindi non si possa dar luogo alla surrogazione. Quindi, in tale contesto, non vi è nessun consigliere da sostituire e non possono essere indette elezioni suppletive a distanza di un anno dalle elezioni ordinarie.

Bibliografia

  • D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416
  • O.M. 215/1991
  • D.Lgs. 297/1994
  • Nota ministeriale 29795 dell’11-09-2023 “Elezioni degli organi collegiali a livello di istituzione scolastica – a. s. 2023-2024”