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A scuola niente politica?

A scuola niente politica?

di Maurizio Tiriticco

 

Lo sappiamo da sempre! A scuola niente politica! Almeno, niente politica tout court! Ed è corretto, in quanto è molto difficile per un insegnante, soprattutto di lettere e di filosofia, non lasciar trasparire “come la pensa”! E ciò è giustificato dal fatto che sarebbe troppo facile “plasmare” un soggetto in età evolutiva. Comunque, è certo che, quando si parla di fascismo, di seconda guerra mondiale, delle stragi di massa di ebrei, zingari o rom che siano e di tanti altri, nonché della istituzione della nostra Repubblica, della stesura sofferta della nostra Costituzione e della nostra storia fino ai nostri giorni – anche se è cosa rara che un insegnante arrivi agli eventi del 2016 – è molto difficile “non fare politica”! A meno che non si abbia a che fare con un insegnante cosiddetto “agnostico” o che viva nelle nuvole!

Le considerazioni che sto conducendo mi vengono di fatto suggerite da quanto leggo su “TuttoscuolaNEWS” n.791, “la newsletter settimanale di Tuttoscuola, la rivista per insegnanti, genitori e studenti”. E’ sufficiente leggere i primi punti del sommario: “1. Trump/1. Fine di un’era? – Trump/2. Gli USA tra populismo e neoisolazionismo – Trump/3. Tornano i voucher e gli spogliatoi separati. Trump/4. L’arma a doppio taglio del decentramento”. Tutti “pezzi” fortemente politici, se si vuole! Quando si inneggia o si depreca un evento o un personaggio, in effetti, “si fa politica”. Quindi, la rivista… per insegnanti, genitori e studenti prende posizione, e non una posizione culturale o pedagogica, ma dichiaratamente politica. Quindi, è come se i nostri insegnanti – almeno quelli lettori di Tuttoscuola – fossero di fatto autorizzati a prendere posizione sul fenomeno Trump.

Ed io sono totalmente d’accordo! Quando Obama si confrontò con George W.Bush figlio per concorrere alla presidenza degli Stati Uniti, in Italia non ci fu alcun allarme e – almeno credo – Tuttoscuola non prese posizione né per l’uno né per l’atro! In forza del fatto che… in tutte le scuole… “non si fa politica”! Tuttoscuola, oggi, ha rotto la sua prudenza di sempre e ha preso una posizione decisa. E non so quanti dei suoi lettori siano d’accordo con la linea editoriale assunta!

Io personalmente sono senz’altro d’accordo! E se i nostri insegnanti, con i loro alunni, parlassero di Trump, del Trumpismo e dei pericoli che vi sono sottintesi, per non dire dell’ungherese Orbàn, quello dei fili spinati alle frontiere, non avrei nulla da obiettare! E non avevamo nulla da obiettare ai tempi della GES, la Giornata Europea della Scuola, quando si insisteva nelle aule con i nostri studenti che ormai non siamo più soltanto italiani, ma anche e soprattutto europei! Anche se forse, oggi, dovremmo tutti sentirci semplicemente cittadini del mondo! Il che, comunque, in un’epoca come quella attuale, in cui mescolanze di culture, lingue, credenze procedono a passi sempre più spediti, diventa sempre più difficile sentirci semplicemente italiani o europei. E quant’è più difficile sentirci semplicemente cittadini del mondo! Ai miei tempi a scuola imparavamo che l’Italia confina a Nord con le Alpi, ad Est, ad Ovest e a Sud con il Mediterraneo, quel “mare nostrum” che al fascismo piaceva tanto chiamare così. Quel “mare nostrum” a cui la “perfida Albione” aveva messo i lucchetti a Gibilterra e a Suez! E imparavamo anche che l’Italia fascista proveniva direttamente dall’antica Roma imperiale! Ricordo le lastre di marmo affisse da Mussolini sugli antichi muri del Tempio della Pace, a Roma, sulla Via dell’Impero! Che oggi, più modestamente si chiama Via dei Fori imperiali. Su quelle lastre si vedeva come dalla Roma dei Sette Colli si fosse giunti con Traiano – nel giro di sette secoli circa – alla Roma imperiale che si estendeva dall’Atlantico al Reno, al Danubio e a tutte le coste dell’Africa settentrionale e dell’Asia minore. Una promessa e un monito negli anni del Duce! Torneremo grandi come nella Roma dei Cesari! “Alme sol possis nihil Urbe Roma videre maius”! Dal Carmen Saeculare di Orazio al “Sole che sorgi libero e giocondo”, con le note di Giacomo Puccini!

Oggi è tutto cambiato! E’ la stessa geografia del mondo intero ad essere cambiata! Anche perché la geografia non è mai una fotografia della Terra presa dall’alto! E cambierà ancora… e forse molto rapidamente! In effetti è sempre una Geostoria, più che una geografia in senso stretto, quella nuova disciplina che ancora adesso – penso – per molti insegnanti costituisce una strana cosa! Come se ogni accadimento non si verificasse, sempre e comunque, all’incrocio di due rette perpendicolari, la verticale del tempo e l’orizzontale dello spazio! E ancora! Ce n’è un’altra di disciplina, quella che si chiama, per chi non lo sapesse, Cittadinanza e Costituzione – purtroppo tanto misconosciuta perché non ha orari settimanali e non ha voto! C&C, invece, consentirebbe, e come, di parlare dei pericoli che la democrazia – e a livello mondiale – potrebbe correre qualora la politica dichiarata da un Trump venisse messa in atto.

Pertanto, bene hanno fatto Tuttoscuola e gli amici Antonio Augenti, Alfonso Rubinacci et al. a pubblicare un Tuttoscuolafocus tutto centrato su Trump e i pericoli che una deriva planetaria del trumpismo potrebbe provocare! La nostra scuola è libera, perché la stessa Costituzione sancisce che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” (art. 33).

E questa libertà va sostenuta e garantita, difendendo in primo luogo i nostri giovani dai bacilli vaganti di un trumpismo che rischia di dilagare oltre due oceani!

Di Trump e dei percoli di una deriva autoritaria

Di Trump e dei percoli di una deriva autoritaria
lettera a un amico

di Maurizio Tiriticco

donald_trump_star_hollywood_walk_of_fameCaro Gianni! Ho esplorato un po’ la tua postazione Facebook, ricca e divertente! Tra le tante cose, noto che anche tu… scoppi di gioia per l’ascesa di un Trump! Comunque, vedo che anche tanti tanti americani… manifestano la loro gioia in tutte le piazze per avere finalmente un presidente bianco (o giallo o rossiccio che sia) dopo otto anni otto di un presidente nero, negro secondo la vulgata trumpista! Mio caro! Ci aspettano tempi bui! Già vedo un’insalata russa e un hamburger di marca TrumPutin! Comunque, non c’è molto da ridere! Già i nostri Salvini scoppiano di gioia! La destra europea lepenista e… come si chiama quel leader ungherese? Ah! Orbán… è una destra particolarissima, comunque! E pericolosa! Comunque, in Europa esiste anche una destra storica a cui si deve sempre tanto rispetto! Purtroppo è questa destra lepen-orban-salvinista che avanza riempiendo i vuoti di una sinistra – almeno da noi – inconsistente e senza spina dorsale, che ha gettato a mare – o rottamato? Un’espressione orrenda!!! – il passato importante di una sinistra storica, dai socialisti di Nenni e di Saragat, dal PCI di Togliatti e di Berlinguer… in poi! Ed era il PC più forte d’Europa!

Noi qui in Italia oggi non voliamo molto alto! Siamo costretti a pensare a quel Sì o No del 4 dicembre! Ovviamente, si tratta di un passaggio costituzionale estremamente delicato, ma… è poca cosa rispetto a ciò che accade a livello planetario. Renzi, che è sempre critico verso l’UE, adesso potrebbe avere buon gioco con i “passacarte” di Bruxelles! Attenzione UE!!! C’è il rischio che si costruisca un ponte dall’Atlantico al Pacifico, da New York a Mosca, passando per la Brexit londinese!!! E voi di Bruxelles continuate a pensare sempre ciascuno al proprio ombelico? Maastricht purtroppo è lontana mille miglia da questa UE di oggi! Il Trattato che porta il nome di questa graziosa cittadina dei Paesi Bassi è del 1992! Per non dire poi quanto disti Ventotene!

Purtroppo siamo noi europei che abbiamo detto NO ad una Costituzione europea, che era anche ricca di contenuti! L’abbiamo varata a Roma nel 2004 e l’abbiamo bocciata a Lisbona nel 2007! Abbiamo avuto paura di avviarci per la strada di una confederazione!!! Ma chi l’ha mai letta quella Costituzione? Io sono tra i pochi! E l’avrai letta anche tu! Purtroppo noi europei non abbiamo avuto il coraggio di fare un passo in avanti Di fatto oggi ogni staterello dei 27 dell’UE (prima con il Regno Unito eravamo 28) l’Europa continua, come sempre, a guardare il suo ombelico!

Caro Gianni! Così non va! Intanto Salvini & c. hanno già acceso i motori! E noi? Aspettiamo un po’ di vento perché la barca Italia/PD affronti l’oceano? Anzi, sono due, l’Atlantico e il Pacifico! Non guardiamo troppo al 4 dicembre, perché poi c’è il 5, poi il 6 e l’anno che verrà! E sarà un anno di grandi accadimenti! Un politico vero deve guardare lontano e mirare alto. Ma ho i miei dubbi!

Caro Gianni! Ora tu mi dirai: “Ma tu sei un ispettore Miur! Hai insegnato per tanti anni! Queste cose le dovresti dire a scuola, ai tuoi ragazzi! Sono i giovani che tra i primi devono comprendere che cosa sta accadendo! Anche se lo so che ‘far politica in aula’ è vietato! Un’aula di studio non è una piazza”. E hai ragione! Il nostro Testo Unico (dlgs 297/94) afferma chiaramente che “nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dal presente testo unico, ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente. L’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni. È garantita l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca. L’azione di promozione è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni”.

Scusa il lungo e noioso copio copias, ma, come vedi, la parola politica non viene mai enunciata. Si parla di posizioni culturali le quali, ovviamente, possono e debbono essere diverse! Come sai, “ai tempi del Duce”, invece, l’ unica posizione culturale ammessa era quella che discendeva dalla dottrina, se non addirittura dalla “mistica” (no! Non scherzo) fascista!!! E non fu un caso che il Ministero della Pubblica Istruzione divenne il Ministero dell’Educazione nazionale! Il verbo educare, come sai, è molto più forte del verbo istruire! Nel primo caso, si educa a certi valori; nel secondo si istruisce su date discipline.

PERO’ – e lo scrivo maiuscolo apposta – un conto sono le “posizioni culturali”, altro conto le “posizioni politiche”. Su questo punto voglio essere molto chiaro. Se tiro in campo la “cultura”, l’ottica che adotto è quella dell’equidistanza tra posizioni diverse. Se tiro in campo la “politica” tout court, l’equidistanza va a farsi benedire! Oppure, sarebbe un’operazione sempre di estrema difficoltà. Tornando a Trump e alle derive populiste, qual è il compito della scuola oggi? La risposta, a parer mio, è molto semplice. Noi abbiamo una Costituzione, anzi abbiamo la fortuna di avere una delle più belle costituzioni del mondo, ma… in quale misura i suoi principi fondamentali sono conosciuti? E sono attuati? Sia nelle scuole che nel Paese! Si tratta di una vicenda molto triste quella dell’Educazione civica, una sorta di araba fenice che, per dirla con il Metastasio, “che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”! Anzi, oggi ha assunto una definizione ben più dignitosa: Cittadinanza e Costituzione. E il suo insegnamento investe tutti i gradi e gli ordini di studio, ma… siccome – molto all’italiana – è lasciata all’iniziativa delle scuole e degli insegnanti, non sono indicate le ore di lezione e non comporta una valutazione a sé, lascia il tempo che trova!

E’ certo! A scuola non si fa politica, ma… a fronte di derive autoritarie che provengono dagli Stati Uniti, un Paese cha dal 1776 è stato il simbolo della democrazia e della libertà, occorre stare in guardia. Abbiamo una lezione tutta nostra! Che noi italiani abbiamo subito in prima persona dalla Germania… alleata! Il “Patto d’Acciao”! Così ci è stato imposto! Chi ci ha messo in guardia dai propositi nefasti di una Germania nazista di annientare tutte le cosiddette razze (in effetti, come sai, gli esseri umani sono un’unica razza!) non riconducibili alla sola “razza” ariana? Forse sarò esagerato, ma, quando Hitler nei primi anni Trenta del secolo scorso cominciò la sua ascesa, nessuno immaginava quali fossero le sue reali intenzioni e dove sarebbe arrivato! Tutti battevamo le mani! E le battevo anch’io, da bravo balilla moschettiere! E Trump – te lo confesso – mi spaventa!

Un abbraccio affettuoso, come sempre! Maurizio

L’insegnamento di Umberto Veronesi

L’insegnamento di Umberto Veronesi

di Maurizio Tiriticco

“Ho definito la medicina moderna come un insieme di tre componenti: scienza, arte e magia, dove la scienza è il pensiero ideativo, il saper risolvere; l’arte è il saper fare, l’uso della tecnologia; e la magia è la capacità di influenzare la mente del paziente perché lo si conosce e lo si ama.” Umberto Veronesi.

 

umberto_veronesi“Basta chiamarli malati: nella medicina del futuro ci sono solo persone”. E’ il titolo di un intervento – l’ultimo – che Umberto Veronesi ha scritto per presentare “Secondo Natura”, la giornata organizzata da Repubblica Salute il primo dicembre a Bologna sul tema dell’umanizzazione delle cure e della medicina. L’intervento è stato pubblicato da la Repubblica il 31 novembre. Giova ricordare, a sottolineare la particolare sensibilità di Umberto Veronesi, che quando, con il secondo Governo Amato, fu Ministro della Salute, dall’aprile 2000 al giugno del 2001, volle istituire la “Giornata del Sollievo”, finalizzata a “promuovere la cultura del sollievo dalla sofferenza fisica e morale in favore di tutti coloro che stanno ultimando il loro percorso vitale”. L’iniziativa è tuttora replicata ogni anno.

Veronesi ha sempre coltivato e sostenuto la cosiddetta “umanità in ospedale”. In effetti molto spesso il medico cura la malattia più che il malato. Veronesi, invece, ha sempre pensato che la malattia non è altra cosa rispetto al cosiddetto “stato di salute”, e che non è sempre facile diagnosticare con esattezza lo stato e il livello del male come non è facile diagnosticare il livello della salute. In altri termini esiste più il malato che la malattia. Un’attenzione particolare Veronesi l’ha sempre dedicata ai malati cosiddetti “senza speranza”, per i quali occorrono attenzioni particolari. Si tratta, appunto dei malati verso cui l’attenzione e la cura medica a volte vengono ad attenuarsi o a mancare, in considerazione del fatto che abitualmente si considera che “ormai non c’è nulla da fare”.

Ma il “nulla da fare” per Veronesi non è mai esistito. Anzi, egli ha sempre sostenuto che tra medico e malato, al di là del fatto che il primo rilascia ricette e il secondo assume medicinali, deve sempre istituirsi un rapporto di empatia. Si tratta di una delle prime e più interessanti metodologie di aiuto nei confronti del malato sviluppata negli anni Quaranta dallo psicoterapeuta americano Carl Rogers, autore, appunto del volume “Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications and Theory”,. London: Constable, 1951, pubblicato in Italia da Giunti con il titolo “La terapia centrata sul cliente”. Trattasi, tuttavia di un “cliente” che di fatto è una “persona”. Si tratta di un approccio che Veronesi ha fatto proprio. Ciascun soggetto, sano o malato, è in primo luogo una persona: si tratta di un approccio che permette di superare la distanza che in genere corre tra gli aggettivi “sano” e “malato” e tra “medico” e “paziente”, in funzione del fatto che ciò che è centrale non è tanto la patologia quanto la fisiologia: in altri termini non tanto il male o il malato quanto la persona in quanto tale. L’applicazione della metodologia rogersiana, ovviamente corredata da tutte le intuizioni di uno scienziato dalla sensibilità di un Veronesi, ha permesso a quest’ultimo di adottare una metodologia – ed è qui uno nei nuclei importanti e fondanti del suo approccio – che sollecita il “cliente” ad avviare un percorso di auto-comprensione mediante il quale è il “cliente” stesso a riuscire a comprendersi meglio e a migliorare il suo stato. In altri termini, non esiste in assoluto la separazione che da sempre siamo abituati a considerare tra stato di salute e stato di malattia, tra soggetto sano e soggetto malato.

Sono considerazioni a cui Veronesi è giunto anche perché non ha mai pensato che c’è da una lato una mente e dall’altra il corpo, da un lato lo stato di benessere, dall’atro il male. La medicina moderna “non potrà più curare una persona senza sapere chi è, cosa pensa, cosa crede e in che cosa spera. Cioè, senza considerare il malato nella sua complessa unità di corpo e di mente. Bisogna tenere presente che il dolore che la malattia provoca nel corpo, fortunatamente sempre più spesso ha una durata molto limitata. La sofferenza, nella mente, può rimanere presente a lungo. Non possiamo quindi considerare un malato guarito solo quando esce dall’ospedale e la sua malattia è regredita, scomparsa o comunque sotto controllo; dobbiamo fare in modo che possa ritrovare anche la sua dimensione di vita dopo la malattia. In un certo senso è sorprendete cha la medicina abbia atteso tanto tempo ad orientarsi in questa direzione” (ibidem, in la Repubblica del 31 novembre).

La cosa che mi sorprende del pensiero e dell’azione di Umberto Veronesi è il fatto che ciò che lui pensa del medico – mutatis mutandis – può valere, anzi vale, anche per l’insegnante. E non è affatto un caso che la ricerca di Carl Rogers, fondata sulla terapia centrata sul cliente è trasferibile su un insegnamento che sia centrato, appunto, sull’alunno. In effetti, “la trasposizione in ambito educativo dei principi e criteri psicopedagogici è operata dallo stesso Rogers, che considera i principi della terapia centrata sul cliente non suscettibili di combinarsi con mete educative autoritarie. L’insegnante, come il terapeuta, è caratterizzato da un atteggiamento empatico nei confronti dei componenti del suo gruppo-classe, dalla sua capacità di comunicare con autenticità e genuinità, dall’accettazione, dalla fiducia nella possibilità di autosvilupparsi dei suoi allievi… La condizione principale per raggiungere nella classe scolastica un clima accettante sta nell’impegno dell’insegnante a comunicare in modo non autoritario e ad accompagnare una siffatta comunicazione verbale con effettive ed autentiche pratiche non autoritarie”. Si veda Alba Porcheddu, “Insegnamento e comunicazione”, pag. 84, Giunti & Lisciani Editori, Teramo, prima edizione 1984.

Tutta la ricerca pedagogica, internazionale e italiana, dalla fine del secolo scorso ad oggi ha sempre insistito e insiste sulla necessità di un rapporto insegnante/alunno in cui quest’ultimo non sia oggetto indiscriminatamente di lezioni frontali, ma soggetto stimolato a ricercare, scoprire, inventare, produrre. L’insegnamento attivo ormai è sollecitato da ogni ricerca psicopedagogica e dalla stessa amministrazione della scuola… e non solo nel nostro Paese. I richiami ad una didattica attiva, ad una didattica laboratoriale costituiscono ormai indicazioni che ritroviamo in tutti i documenti di riordino dei nostri cicli di istruzione.

E non solo! Abbiamo assunto come categorie fondanti per il lavoro dei nostri alunni e dei nostri insegnanti le indicazioni che ci sono suggerite da Edgar Morin in “Les sept savoirs nécessaires à l’éducation du futur”, Unesco- Paris, 2000, dei quali è importante riportare il secondo e il quinto: 2 – insegnare a cogliere le relazioni che corrono tra le parti e il tutto in un mondo complesso; 5 –insegnare a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze.

Concludendo, anche se Umberto Veronesi ci ha lasciato, la sua eredità di scienziato e di “uomo” darà senz’altro i suoi frutti. Nel suo libro “l’ombra e la luce”, pubblicato nel 2008 da Einaudi, Veronesi scrive: “Questo libro ripercorre la mia vita lungo la strada più tortuosa e allo stesso tempo più affascinante. In fondo tutti i medici, più o meno coscientemente e coerentemente, si dedicano a comprendere il male. Io ho semplicemente provato a fare qualcosa di più. Prima da studente, poi da medico, da ricercatore, e ancora da direttore di ospedale e persino da politico, ho scelto di sfidare il male. Perché, per combattere il cancro, non basta affrontare la malattia, bisogna anche scacciarne i fantasmi. Insieme con la patologia, bisogna capire e attaccare i suoi simboli: ciò che si ha paura a nominare, ciò che nasce dentro di noi per distruggerci, ciò che non si può evitare, ciò che non porta redenzione, ciò che non ha un perché. Questo libro non è un altro libro sul cancro. È piuttosto un dibattito sulla percezione del benessere e del dolore attraverso la nostra mente e il nostro corpo.”

Sui temi caldi dell’oggi

Interlocuzione tra tre amici… sui temi caldi dell’oggi

di Maurizio Tiriticco

A – Eviterei di lanciarmi nei soliti proclami buonisti. L’immigrazione non è un fenomeno di ora, anche se adesso se ne parla molto di più e ci fanno vedere le immagini dei barconi. Quella è solo il volto strappalacrime di un fenomeno che va avanti da almeno trent’anni e che, almeno in passato, quando l’immigrazione era, soprattutto, dall’est europeo, avveniva con mezzi più convenzionali, tipo treni o corriere che attraversavano il confine senza nessun controllo, se provenienti dall’interno dell’area Schengen. L’immigrazione, da sempre, ha fatto il gioco del capitalismo, perché permette di abbattere il costo della mano d’opera, favorendo una forma di ricatto sociale nei confronti dei lavoratori autoctoni. Poi, potremmo anche far finta di non vedere quello che è accaduto e che sta accadendo, e continuare a credere alla narrazione che ne viene fatta, soprattutto da parte di una certa finta sinistra. In un certo qual modo il fenomeno ha anche a che fare con la deindustrializzazione, almeno con quella di chi porta le fabbriche all’estero per abbattere il costo della mano d’opera.

Dopo la deindustrializzazione del nostro Paese, quella vera, pesante, voluta da Germania e Francia, a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del terzo millennio – da non confondere con la delocalizzazione di chi porta la “fabbrichetta” all’estero – l’Italia è diventata un Paese sempre meno industriale e sempre più un Paese terziario. E, guarda caso, se ci si guarda attorno, nel terziario sono impiegati tantissimi immigrati da Paesi il cui tenore di vita è più basso del nostro. E questo non solo in Italia. Scandali tipo quali quello degli addetti, sottopagati, ai magazzini di certe grandi catene di distribuzione (l’ultimo, in ordine di tempo, è stato Amazon), con orari sempre più massacranti e la costante riduzione dei diritti dei lavoratori, sono stati resi possibili solo dal fatto che si ha sempre più mano d’opera a bassissimo costo, formata da disperati.

Se ci rifiutiamo di vedere queste cose e ci rifiutiamo di vedere anche l’accanimento che le nostre istituzioni dimostrano, invece, contro i cittadini italiani, anche quelli in difficoltà, non solo lasceremo sempre più campo ai vari Salvini, ma finiremo col lavorare, tutti, 20 ore al giorno, in qualche fabbrica gestita da cinesi, per un tozzo di pane.

B – Perfetto! Hai colto con lucidità ciò che ho anche spiegato ai miei studenti oggi. La globalizzazione è un fenomeno che ha arricchito pochi e impoverito popoli interi, e noi italiani abbiamo perso tante nostre industrie. C’è il rischio che in un prossimo futuro saremo solo consumatori, alla mercé dei Paesi che in Europa sono i più forti. In effetti questa Europa mi spaventa! E’ inutile che si ricordi e si commemori il Manifesto di Ventotene! Già, appunto, commemorazione e basta! Si commemorano i morti, ma poi tutto torna come prima! A Ventotene la celebrazione è stata tenuta soltanto da tre grandi dell’Europa, o presunti tali. E gli altri 25 Stati? Mah! No! L’Europa, quella vera – diciamo quella dei popoli – con tutte le sue dinamiche, le sue contraddizioni ed anche la sua voglia di andare a una confederazione vera e propria è una cosa seria.

Ma ora questa Unione europea non lo è ancora! Sono più i laccioli che una vera marcia in avanti. Certamente nel lontano 1957, quando a Roma sei Stati, Italia, Francia, Germania dell’Ovest, Belgio, Olanda e Lussemburgo sottoscrissero il Trattato con cui si dava vita alla CEE, ovvero Comunità Economica Europea, le certezze e le attese erano grandi. E in seguito la Comunità superò i limiti dell’economia e divenne pienamente politica! Con il Trattato di Maastricht nel 1992 si ebbe il grande balzo: dalla Comunità (CEE) solo economica si passò a quell’Unione Europea (UE), tutta politica – o che così dovrebbe essere – una UE che oggi conta ben 28 Paesi membri. Ma fu solo un’illusione! Quella ambiziosa Costituzione europea, sottoscritta a Roma il 29 ottobre 2004, dopo soli tre anni cessò di esistere, bocciata da alcuni Parlamenti, e si giunse così alla stesura di un Trattato, sottoscritto a Lisbona il 13 dicembre del 2007. E, purtroppo non si è trattato solo di un passo indietro, ma di una vera e propria sconfitta. Se ancora certi Paesi dell’Unione debbono subire l’arroganza di altri, è la stessa stabilità dell’Unione che viene messa in causa. E proprio ora, quando sembra che gi Usa di Trump e la Russia di Putin sembrano voler volare alto… e la vecchia Europa… sì, prorio la vecchia Europa…

Sono dati di fatto e vicende che danno l’impressione di una strada tutta in salita per la costruzione di una vera Unione Europea, e che nessuno vuole percorrere – vai vanti tu, che ti seguo – più che di un processo del quale ogni Paese ed ogni Popolo europeo siano convinti promotori e attori.

C – Herbert Marcuse negli anni Sessanta nel suo “L’uomo a una dimensione: l’ideologia della società industriale avanzata“, ci metteva in guardia dai pericoli indotti dalla cosiddetta civiltà affluente, in cui la corsa di tutti e di ciascuno all’acquisto dei beni materiali rischia di omologare desideri, speranze, attese. Il che con grave nocumento della personalità di ciascuno e con un’altrettanto grave limitazione della sua vera libertà di scelta. L’“uomo massa”, quindi, perde di vista la “realtà”, rincorre gli “oggetti immagine” e acquista prodotti proposti e indotti da un mercato univoco, anche se apparentemente dfferenziato. Insomma, con un’analisi così rigorosa, possiamo dire di essere passati dal sogno infranto del comunismo alla realtà del consumismo. Nel primo caso si prevedeva di costruire una società in cui “a ciascuno deve essere dato secondo i suoi concreti bisogni”; nel secondo non si prevede, ma addirittura si costruisce e si migliora giorno dopo giorno una società in cui “a ciascuno viene dato secondo i suoi bisogni indotti e fittizi”.

Il richiamo a Marcuse per certi versi ci può aiutare a capire alcune tendenze di quel capitalismo globale che – non avendo oppositori di rilievo – tende a controllare l’intero pianeta Nella pianificazione internazionale non detta, ma attuata giorno dopo giorno, il nostro Paese svolge oggi un ruolo di semplice consumatore. La nostra industria, pesante o leggera che sia, sta morendo, aggredita da una concorrenza internazionale spietata, non esiste più. Dobbiamo solo consumare e dividere le briciole… ed anche con i “migranti”, che sbarcano a migliaia ogni giorno sulle nostre spiagge. E noi dobbiamo continuare ad essere “buoni” e ad accoglierli sempre e comunque, anche se le risorse concrete per una operazione così costante ed invasiva giorno dopo giorno tendono ad esaurirsi. La cosiddetta accoglienza di fatto ci viene imposta secondo un disegno non sappiano come dove e quando sia stato sottoscritto. A lungo andare, saremo sempre più… stretti e costretti! Tutta la nostra politica dell’accoglienza e della cosiddetta integrazione è sballata. Papa Francesco e Sergio Mattarella insistono insieme sul buonismo ad oltranza, quando intervengono sul tema… ma – e sono cattivello, ma vuole essere una metafora – si guardano bene dall’aprire il Vaticano e il Quirinale agli immigrati! Mah! Tanti anni fa una popolazione affamata assalì un Palazzo d’Inverno! Qui in Italia ormai entrano tutti, perché siamo i più vicini all’Africa e perché siamo… i più buoni!!! Con tale andazzo sempre più incontrollato, a fronte del quale abbiamo un governo indifferente, se non addirittura complice, non so quale situazione ingovernabile ci troveremmo di qui a dieci anni o poco meno. L’accoglienza dell’altro è altra cosa a fronte dell’invasione degli altri! E c’è il rischio che vengano assalite le nostre case… d’inverno e d’estate:

A, B e C – La vediamo brutta! Chissà se l’effetto Trump (trump significa tra l’altro inventare, sfidare) produrrà qualche riflessione mirata in chi ci governa. MahI In questi giorni il governo e il suo partito sono troppo presi dal Sì o No del prossimo referendum. E i piagnistei di molti per la sconfitta di Hillary non servono a nulla. Il mondo sta cambiando e non è facile prevedere/intravedere le linee del cambiamento. Ma bisogna provarci, se non vogliamo ritrovarci alla coda di un insieme di eventi che non abbiamo previsto e che potrebbero travolgerci.

Conversando…

Conversando con Barbara mia amica da sempre

 di Maurizio Tiriticco

Hai ragione, Barbara, quando in un recente post su FB, scrivendo di questa nostra bella Costituzione che qualche improvvido politico dei nostri giorni vorrebbe modificare, affermi che, quando fu scritta, “Maurizio c’era”! Ed è corretto! Sono nato nel 1928 e sono stato un convinto BALILLA MOSCHETTIERE! A proposito: puoi scaricare dal web il mio libro, che è anche divertente: il “ventennio” vissuto e visto da un bambino; un volumetto forse più adatto per studenti che non sanno nulla di quel tempo e che non arrivano mai a studiarlo perché è sempre finito l’anno scolastico! Poi dalla caduta del suo DUCE – il 25 luglio del ’43 – all’8 settembre il bambino, ormai grandicello, cade in CRISI PROFONDA! Che stava succedendo? E non ci capiva niente! Poi fortunatamente, lo zio Lele e lo zio Gino, il primo socialista da sempre, il secondo repubblicano, lo hanno aiutato a “comprendere”. Di qui l’iscrizione prima alla FGCI, poi al PCI, sezione universitaria di Roma. E poi, una volta cresciuto – almeno penso – quante lotte, quante manifestazioni! E quante volte ci siamo incontrati io e te! E quante volte abbiamo evitato le manganellate della Celere di Scelba. Una storia, o più storie, tutte da raccontare!

I ragazzi di oggi non sanno nulla di nulla – o poco o niente – del nostro passato! Dell’8 settembre, della lotta partigiana, della nascita della Repubblica! E’ molto raro che a scuola giungano a studiare la storia fino ai tempi nostri. Anche perché questi testi scolastici di storia – e non solo – pesano l’iradiddio, ovviamente per costare un sacco! Per cui sono pieni di figure, letture, grafici, sintesi, santarelli, prove di verifica quasi sempre idiote. Una prova di verifica non si improvvisa! Nasce da un ricerca che si chiama docimologia, che è una disciplina come le altre! E spesso uno storico non è un docimologo! Insomma certi manuali contengono più amenità che concetti, per cui non aiutano affatto lo studente a cogliere i nodi reale degli avvenimenti .Temo che anche molti insegnanti – e non voglio offendere nessuno – sappiano poco della nostra storia, anche perché in aula – come si suol dire – “non si deve fare politica”! E la storia più è recente più è occasione di rischio! Bella scusa!

Per non dire del “presente”. In effetti oggi è difficile capire bene che cosa sta avvenendo in Siria e a Mossul. Ci sono stato in quei Paesi, che sono ricchi di storia e di monumenti: il Krak dei Cavalieri in Siria; la Grande Moschea di Mossul, che è una delle più belle dell’intero Medioriente. Chi sta combattendo in quei luoghi e per che cosa? E poi, spostandoci al Nord, sul confine russo che sta succedendo? Ci sono anche i nostri soldati! E poi ancora, il fenomeno Trump, un incolto aspirante dittatorello, insolito per la storia degli USA! Io faccio il tifo per Hillary: prima di tutto perché è donna e poi perché sa pienamente il fatto suo che – penso – è anche il nostro! Non fare politica in un’aula scolastica è più che giusto, ma la storia è un’altra cosa! E la linea di confine tra il passato e il presente è labilissima. Alle prime elezioni, quelle del ’46, a cui parteciparono per la prima volta anche le donne, votò il 90% degli italiani!!! Ora, come sai, vota solo poco più della metà del corpo elettorale. Che tristezza! L’antipolitica, spesso per colpa della politica stessa, avanza lentamente e non sembra recedere. Il che, di fatto, rende anche poco significativo lo studio della storia nelle nostre scuole! Anzi della Geostoria! Ma che bella invenzione!!! Tutto all’insegna del risparmio!

Insomma, stiamo attraversando un periodo storico molto difficile, se non brutto! Da Nord un’Europa che ci bacchetta! Da Sud sbarchi continui di “altri da noi” che nel corso degli anni provocheranno modifiche profonde nel corpus stesso della popolazione della penisola (hai notato? non ho scritto “popolazione italiana”). Siamo alla vigilia di grossi cambiamenti socioantropologici e la nostra politica sembra incapace di tentare almeno una prima e grossolana interpretazione! E poi di agire conseguentemente! E’ troppo facile per la Rete 4 di Berlusconi e il suo mentore Maurizio Belpietro mettere il dito sulla nostre piaghe per fare spettacolo! Che pena fare audience sulle sofferenze degli abitanti dei nostri piccoli centri in cui i prefetti giorno dopo giorno inviano d’autorità immigrati. E’ chiaro che l’identità stessa di un piccolo paese viene messa a rischio! Si tratta di un fenomeno che nelle grandi città, ovviamente, è meno avvertito. Purtroppo sono fenomeni non controllati, non disciplinati, non interpretati da parte di chi dovrebbe farlo, e invece subiti dalla popolazione! E, in assenza di ogni analisi sociopolitica e successivi interventi, chi paga le conseguenze sono i nostri concittadini dei piccoli centri. Insomma con il recente terremoto fisico, visibile, distruttivo del nostro Centroitalia, fa pendant un terremoto socioeconomico, senz’altro lento e pressoché silenzioso, nelle nostre regioni del Nord, ma che avrà conseguenze molto più importanti, sul terreno della geopolitica e della composizione socioeconomica dell’intero Paese

E, a fronte di tale complessità, la politica dov’è? Ah!!! I “bei tempi” dei grandi partiti storici… linee politiche e socioeconomiche che si confrontavano su terreni teorici e pratici veramente tra loro diversi! Congressi, sezioni di partito territoriali, quotidiani e riviste di partito. Non esiste più nulla o quasi! E la chiusura della sezione romana del PD di Via dei Giubbonari è significativa di questa lenta ma inarrestabile erosione della politica delle sezioni… e quelle di tutti i partiti! Ma esistono ancora i partiti? Ce n’è uno solo, di fatto… i Cinque Stelle non vogliono essere un partito e… dimenticavo Forza Italia… esiste ancora? Dimenticavo una Lega Nord, che ormai ha rotto gli argini padani per tentare di diventare una Lega nazionale. Campa cavallo, che l’erba cresce: dice un noto proverbio. Ma il partito attualmente operativo, Unico e Solo, è veramente erede di quel compromesso storico, come Moro e Berlinguer lo avevano immaginato? In un Paese come il nostro la parola compromesso non ha mai un significato positivo! Compromessi, quanti ne vogliamo, ma storici mai! Dopo l’infausta Bolognina di Occhetto nel lontano 1989 è nato un bambinello un po’deboluccio, che nel suo sviluppo/crescita ha mostrato segni più di handicap che di opportunità.

Insomma, per concludere, abbiamo conosciuto tempi in cui i “punti di vista”, le contrapposizioni, le polemiche et al non nascevano dal nulla di un noioso dibattito televisivo tipico nei nostri giorni, anche se in effetti Lilli Gruber si dà un gran da fare per offrirci tavole rotonde di un certa dignità. Per il resto televisivo dei nostri giorni ci sono somministrati litigi facili e scontati più che linee politiche che si confrontino! Oggi scendono in tv come su un ring giovanotti di bella presenza e deputatesse sempre belle, fresche di parrucchiere – pardon, acconciatore – e di estetista. Ce ne fosse una bruttina o così così! Forse solo ai nostri tempi, cara Barbara, c’erano donne senza trucco… e senza la ricerca di una costosa eleganza! Perché l’eleganza era altrove… Ricordo Tina Anselmi, ovvero “Gabriella”, staffetta nella lotta partigiana, ci ha lasciato da poco! Nilde Iotti, una delle ventuno Madri ci ha lasciato nel 1999. E ci hanno lasciato anche le altre venti, tra cui amo ricordare Rita Montagnana, Teresa Noce, Nadia Spano, MariaFederici.

Cara Barbara! Altri tempi! Altri politici! Altre politiche! E molti/e di loro avevano “fatto” il carcere o il confino o l’esilio. I nostri oggi – grazie a una democrazia consolidata – la Turchia di Erdogan è lontana! – non rischiano nulla! Pertanto, in larga misura, vendono parole su parole, come fossero caramelle! E aspirano a far carriera nella Camera o nel Senato per garantirsi laute pensioni e vitalizi. E di politica resta poco o nulla! Mia cara! Diciamocelo! Matteo non ha oppositori!!! Comunque, la sua Leopolda è poca cosa, anche se Matteo ce la mette tutta per… perché di fatto la situazione nostra, quella europea e quella mondiale è difficile da capire, per Matteo e anche per un D’Alema, sempre più spocchioso: il quale fa di tutto per trovare un meccanico che lo aiuti a rimettersi un po’ a posto dopo essere stato inevitabilmente rottamato. Mah! Tra le Giannini e le bellocce del governo attuale (non voglio offendere nessuna, anche perché, in effetti, ce la mettono tutta per fare le cose al meglio), non so quanto sia attenta e mirata da parte loro un’analisi profonda delle realtà attuale, italiana, europea e internazionale. Che il 4 dicembre vinca il SI’ o che vinca il NO, cui prodest? Il problema non è Matteo sì, Matteo no! I problemi sono altri, ma… non lasciamoci intrappolare tra le lacrimose lamentele di un Bersani e i nervosismi di un D’Alema! La rottamazione fa male, lo so! Ma un Matteo non si batte né recriminando né imprecando

Carissima! Un abbraccio grosso cosììì!!!

Divagazioni un po’ folli, ma non troppo!

Divagazioni un po’ folli, ma non troppo!

di Maurizio Tiriticco

 

Noi umani (tanto umani non davvero!) da dove veniamo? Da un pianeta lontano? Da una stella ancora più lontana? Oppure la nostra palla – pardon: pianeta, che fa il girotondo attorno a un’altra palla, detta Sole – che abbiamo chiamata Terra è stata creata da un dio che ha costruito dal nulla – così mi hanno insegnato da piccolo – questo mondo in cui ciascun vivente, però’ – è costretto a sopravvivere solo della morte altrui? E questo nostro breve passaggio su questa palla l’abbiamo chiamata vita!!! E lui lassù… che guarda e si diverte?! Ma è un dio buono o un dio cattivo? E ci dice pure che è colpa nostra! “Io vi ho detto di non mangiare la mela”!

Ma Adamo ed Eva nun se potevano magnà una pera? O un grappolo d’uva? Ma insomma, sembra che sia meglio un supermercato che un giardino dell’Eden! Solo mele? O magni ‘sta minestra, o te butti dalla finestra! Come diciamo a Roma. Ma i nostri progenitori, secondo il creatore tanto tanto tanto buono, che dovevano fare? Morire di fame? Certamente no! Altrimenti come si faceva ad inventare questa cosa che si chiama religione? Prega prega, prega, se vuoi ottenere qualcosa. Purtroppo Adamo ed Eva ancora non avevano imparato a pregare. Peggio per loro! Stavano lì in un bel giardino, tutti ignudi… “Adamo! Anvedi che ci hai?”. Le donne parlano sempre per prime. “E tu, Eva, invece non ce l’hai! Che ce voi fa’! Io so’ omo e tu sei donna!”. Comunque, solo mele! Anzi solo una mela, e per due persone… che dio tirchio… Comunque, guai a coglierla! Niente mela! E se provi a coglierla, ci sta pure un serpente pronto a schizzarti il veleno. Mah! E’ certo che un’origine di noi umani più complicata questo padreterno non se la poteva proprio inventare! Forse perché ci ha fatto con il fango! Mah! Fango nel Giardino dell’Eden? Ma non poteva crearci con qualcosa di più pulito? Petali di rosa! Ramoscelli di ulivo! Mah! Proprio tirchio ‘sto padreterno! O forse un po’ cattivello!

E voi lettori, non credete a queste cose? Vi sembrano cose da pazzi? Allora leggetevi ‘sto libro! Si chiama Bibbia, tutto ispirato da Dio, quello Vero, ovviamente! Nel frattempo però in altre parti del mondo ciascuno si costruiva il suo Dio unico e solo! E con tanto di maiuscola! Ma, se questo dio è così buono, come dicono le religioni tutte, perché permette che ciascuno di noi sopravviva solo mangiando un altro vivente? Mi fanno ridere i vegani! Niente ciccia, tutta erba! Ma credono che una bella insalatina non abbia sofferto, a modo suo, quando è stata tagliata e ben condita? Troppo facile credere in un “aldilà” salvifico! Ai cattolici buoni spetta un empireo con tutti i cori angelici! Sai che palle! E per l’eternità! Manco un disco di Renato Zero! Forse il Purgatorio è più vivacetto! C’è una fioraia che si chiama Matelda! E un bel ruscelletto, non inquinato, che si chiama Lete. E Dante ci insegna che, se non ti fai la doccia con l‘acqua del Lete, al Paradiso non ci vai! Sarà proprio lei, Matelda, a battezzare Dante: una bella lavata prima che incontri Beatrice, la donna amata. Quanta fatica! Infermo e purgatorio prima di accedere al paradiso dell’amore. E ci ha scritto pure un poema lungo così, l’ossessione dei nostri studenti. Menomale che qualcuno ha inventato il Purgatorio! Altrimenti o Paradiso o Inferno! O magni ‘sta minestra o ti butti dalla finestra!

Poi un papa si è inventato che un peccatore, se voleva andare in Paradiso, poteva acquistare l’indulgenza divina! Che pacchia per la chiesa di Roma! Ne nacque un vero e proprio supermercato! Venivano da tutta Europa a comprarsi l’indulgenza! “Chissà se ho i soldi sufficienti! Ho scannato mia moglie! E tu, questa indulgenza quanto l’hai pagata?”. “Io ho ammazzato mio padre per pigliarmi l’eredità! Così mi compro l’indulgenza! Sor papa! Quanto costa l’indulgenza per questo peccato?”. Che festa per il papa! Quel pecca fortiter, sed crede fortius di S. Agostino divenne un passpartout per tutti i peccatori! Prima peccavano, poi facevano la fila a Roma sul ponte Sant’Angelo… e gli abitanti di Borgo tutti felici! I peccatori portavano scudi, dovevano dormire, dovevano mangiare! Tutta Roma viveva sempre delle invenzioni dei suoi papi! Insomma, una gran festa. Che Chiesa! Che Papi! Ma forse, non va meglio per i mussulmani? Se mi faccio esplodere, mi attendono tante vergini vogliose di essere scopate.

Ma diciamocelo… le religioni monoteiste sono state una grande fregatura! Hai voglio a litigà!!! Quante Crociate!!! Otto o nove, non ricordo, dal 1095 al 1274!!! Insomma, per 180 anni in Europa non si pensava ad altro! Altro che i campionati di calcio europei!!! E tutti facevano a gara per liberare il Luoghi Santi dal dominio turco… tutti mussulmani! Infedeli… per i cristiani… e, ovviamente, viceversa! Figlio mio, che farai da grande? Il crociato! Figlio mio, che farai da grande? L’anticrociato! Insomma, quello del crociato anti o pro era diventato un mestiere! Copio, come sempre, da google: “In effetti dietro il motivo religioso si nascondevano anche altri interessi: il desiderio di controllare il proficuo commercio con l’Oriente e la volontà della Chiesa di pacificare l’Europa, soggetta a continue lotte tra le case regnanti”. Che scoperta! Però era bello… e purtroppo lo è ancora, purtroppo per molti! A ciascuno il suo dio! Il vero Dio è quello mio! No! E’ quello mio! E giù botte, ma solo per la soldataglia! Infatti, per i personaggi che sono passati alla storia e attraverso tanti poemi, le botte erano duelli, di quelli importanti, all’ultimo sangue!!! Tancredi vs Argante, Tancredi vs Clorinda! Daje, daje! Gridava la folla che non c’era, ma che leggeva… che poemi! Che tortura per me, quando andavo a scuola. A me piacevano altri eroi e le loro donne! L’Uomo mascherato e Diana Palmesi (nomi italianizzati dal fascismo! Gli originali: Phantom e Diana Palmer), Gordon e Dale Arden! Erano fumetti? Ebbene sì! Tanto odiati dai genitori!

E le guerre di religione finalmente sono finite! Così leggevo sui libri di scuola! Finite? Manco pe gnente!!! E non sono pochi oggi i fanatici pronti a sbudellarti perché non credi al Vero Dio! Quello Suo! Che bello ammazzare un infedele e morire per il mio Dio!!! Lassù mi aspettano le uri di Maometto… In effetti, ci ho sempre pensato: dopo morto, sono meglio le uri danzanti o gli angeli cantanti?, Mah! O era meglio il paganesimo politesita! Almeno dei e dee vivevano dei nostri stessi sentimenti… e come parteggiavano per Ulisse o per Achille! Questo… figlio di Peleo e Teti, la più bella delle Nereid! Quell’altro… figlio di Laerte e Anticlea, pare comuni mortali… Per questo Ulisse ha dovuto affrontare mille peripezie per tornare a casa: non era un raccomandato, e poteva contare solo sull’aiuto di Atena – Minerva per i Romani – la dea dell’intelligenza… ma che ci fai con l’intelligenza se non ci hai la raccomandazione? Per Achille, invece un destino diverso! Un bel duello con Ettore e via! Achille l’eroe! Ulisse, invece, l’eterno emigrante… extracomunitario!

Bel mondo quello pagano! Bel mondo quello del politeismo! Un Giove sempre pronto a intervenire! Dall’alto dell’Olimpo osservava con tanto di binocolo… però, solo donne belle! E mortali soprattutto! La moglie Giunone, Era per i greci, in effetti era tutto spirito… e che ci fai con uno spirito? Per questo Giove, come si suol dire, scopava come un dio! Ora si cambiava in toro per farsi Europa, ora in cigno per farsi Leda, ora in pioggia per farsi Danae, lei tutta felice di farsi la prima doccia della storia, calda e profumata… addirittura d’oro, una doccia veramente… divina! E quando si trasformò in satiro per farsi Antiope, una a cui piacevano gli uomini cazzuti! Ma a Giove i piacevano pure i ragazzini! Ganimede non ci stava! E Giove si trasforma in aquila e se lo porta su all’Olimpo! Quante avventure gli dei pagani! Solo Giunone sembra essere stata irreprensibile! Sempre incazzata per i tradimenti del marito! O troppo astuta? Le fonti non dicono nulla. Comunque, se per i romani antichi era la dea protettrice dei matrimoni, forse era veramente una dea di tutto rispetto. Eh! Le femminucce sempre miglior dei maschietti birichini! Mbè! Se pensiamo alle divinità steatopigiche… mamma mia quanto so’ brutte! Una panza! Un culo! E poi c’era pure Atargatis, quella Venere siriaca con mille poppe! E quanti gemelli avrà dovuto allattare!?

Un bel mondo, insomma, quello dei pagani! Perché un solo dio? Al diavolo quel Mitra tauroctonos! Un solo dio? No! Meglio tanti dei… e ognuno faccia la sua scelta! Il paganesimo come il supermercato delle religioni! Bei tempi! Poi sono arrivate le tre religioni monoteistiche! Il mio dio è quello vero! No! E’ il mio! No! E’ il mio! E giù botte da orbi. E per essere ancora più nel vero, i cattolici si sono inventati l’inquisizione! Guai a te se… che bei roghi, che belle torture, che belle impiccagioni, che bei tagli di testa! Per non dire delle streghe! Era pericoloso nascere femmina! Più streghe che donne! Nel 1692, nel villaggio di Salem, colonia britannica del Nordamerica, ebbe inizio una serie di processi, tutti conclusi con condanne a morte di centinaia di streghe! Solo in America? No! In tutto il mondo! Ed anche nello Stato pontificio! Streghe, stregoni e mascalzoni di ogni tipo venivano ammazzati come scarafaggi! Mastro Titta per il papa Giovanni Maria Mastai Ferretti, alias Pio IX – siamo nel 1800 e fischia! Non nel medioevo! – ha fatto fuori più di cinquecento persone! E c’era anche da scegliere! Impiccagione, taglio di testa, squartamento, mazzolatura e squartamento! E tutto in piazza, per godimento del popolo! Menomale che poi sono arrivati i bersaglieri… ma Mastro Titta era già morto! Che orrore un solo dio. Quante guerre di religione abbiamo conosciuto? Cuius regio, eius religio… e intere popolazioni dovevano passare da una religione a un’altra a seconda dei capricci del principe. E allora? Che dio ci salvi dalle religioni!!! Ma che dico? Per la miseria! Invoco diooo!!! Ci sono caduto anch’io! Insomma, pare proprio che il sentir religioso faccia parte della nostra natura! Ed anche della miaaa!!! Mah!? Anch’io ci capisco poco! Chi mi illumina?

Il pensiero di una DS: come non condividerlo?

Il pensiero di una DS: come non condividerlo?

di Maurizio Tiriticco

 

Copio (com’è noto, io sono una gran copione) da FB il pensiero di una Dirigente Scolastica: “Ma a nessuno viene in mente che quest’anno i DS saranno valutati e che sarebbe controproducente ‘scegliere’ insegnanti meno validi di loro? A nessuno vengono in mente le mille difficoltà che incontrano nel cercare di condividere con il collegio le scelte di formazione e di didattica, visto che la valutazione si baserà sugli obiettivi da perseguire scritti nel RAV e nel PDM? A nessuno viene in mente che non hanno alcun interesse nel favorire tizio o caio, che guadagnano poco più di un docente e che lavorano dalle 8 alle 12 ore al giorno? Scusate sono una DS”.

Cara DS! Di che ti meravigli? Ormai, con una 107 (un solo articolo e 212 commi, una quaresima di adempimenti) che anno dopo anno procede come una schiacciasassi, che cosa potremmo aspettarci? E siamo solo all’inizio! E con questa mania della valutazione di sistema (preciso: non sono affatto contrario alla valutazione di un sistema: sarebbe assurdo se anche una modesta fabbrichetta non valutasse che cosa fa, quanto vende e quanto guadagna), si scaricano sulle istituzioni scolastiche autonome (autonome? Si fa per dire!) adempimenti che più impasticciati e faticosi non potrebbero essere. Adempimenti che poi ricadono soprattutto sul “povero” insegnante incaricato di redigere in via definitiva Rav, Pdm e quant’altro, per non dire dell’analisi degli esiti delle prove Invalsi, comparata con le valutazioni effettuate quotidianamente dagli insegnanti.

Sulla valutazione di processo, di prodotto, di sistema ci sono una vasta letteratura e una ricca strumentazione, più straniere, ovviamente – basta ricordare il Gantt e il Pert – ma che forse sono poco note ai nostri “riformatori centosettini” del Miur. Per non dire del metodo valutativo di cui alla RPWT (Ranked Positional Weight Technique), una procedura adottata nel mondo della produzione industriale. Guai, oggi, se un produttore, qualunque fosse la dimensione e il valore del prodotto, non considerasse – o meglio, non valutasse concretamente – l’impatto che il prodotto provoca e le sue ricadute. Sono, invece, operazioni note a un Marchionne – ad esempio – altrimenti il “nostro” non avrebbe potuto trasformare una Fiat nella Fca (Fiat Chrysler Automobiles). Quindi, nulla da obiettare al fatto che un’istituzione scolastica, in forza della sua autonomia (dato che i programmi scolastici dettati un tempo dal ministero ormai non esistono più), è tenuta a progettare, programmare (sono due operazioni diverse: con la prima si enfatizzano gli obiettivi di sistema; con la seconda si scandiscono le operazioni da effettuare step to step) e valutare sia i processi che i prodotti.

Le “dotte” citazioni sui processi valutativi di cui al precedente capoverso non dovrebbero meravigliare più di tanto. Si tratta di operazioni che in una qualsiasi organizzazione – anche nella bottega del salumiere, se esiste ancora – si effettuano con criteri più o meno scientifici, a seconda della natura e degli scopi prefissati. Ma la questione di fondo è un’altra, almeno a mio parere. Il RAV che le istituzioni scolastiche sono tenute a compilare, secondo la definizione data dal Servizio Nazionale di Valutazione, “inizia (sarebbe più corretto scrivere “ha inizio”: nda) con l’autovalutazione. Lo strumento che accompagna e documenta questo processo è il Rapporto di autovalutazione (RAV). Il rapporto è composto da più dimensioni ed è aperto alle integrazioni delle scuole per cogliere la specificità di ogni realtà senza riduzioni o semplificazioni eccessive. Il rapporto fornisce una rappresentazione della scuola attraverso un’analisi del suo funzionamento e costituisce inoltre la base per individuare le priorità di sviluppo verso cui orientare il piano di miglioramento. Tutti i RAV saranno pubblicati nell’apposita sezione del portale Scuola in Chiaro dedicata alla valutazione”.

Insomma, alle scuole, agli insegnanti e ai dirigenti vengono richieste fatiche non da poco rispetto ad un passato neanche troppo lontano. Ma queste fatiche aiutano la scuola a migliorare i suoi processi per rendere più efficaci i suoi prodotti? Se è vero che le ricerche internazionali sulle competenze linguistiche e matematiche – literacy e numeracy – della nostra popolazione sono sempre per noi penalizzanti, che cosa dobbiamo pensare? Si tratta di adulti – è vero – quindi di soggetti che hanno frequentato una scuola ancora non riformata da una 107 e dalle tante disposizioni applicative. Ma è anche vero che, se andiamo a leggere gli impegni che “Europa 2020” ci propone, a fronte degli esiti fino ad oggi raggiunti, non c’è da essere allegri.

Le Conclusioni del Consiglio del 12 maggio 2009 in materia di Education and Training per il 2020 sono le seguenti. Sono stati fissati cinque obiettivi relativi ai traguardi che l’UE ed ovviamente i singoli Paesi membri dovrebbero raggiungere entro il 2020:

► abbandoni – inferiori al 10%

► competenze di base – i 15enni insufficienti in literacy, matematica e scienze inferiori al 15%

► diplomati dell’istruzione superiore – almeno il 40% tra i 30 e i 34 anni di età

► istruzione della prima infanzia – almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’età dell’istruzione primaria debbono partecipare all’istruzione per l’infanzia

► apprendimento permanente – almeno il 15% degli adulti devono partecipare ad attività di apprendimento

Oggi, a quattro anni di distanza, sappiamo che noi in Italia siamo ancora lontani dal raggiungimento di tali obiettivi. Ma – potrebbero obiettare i nostri responsabili Miur – c’è una 107 in azione, per cui si può essere ottimisti. Se son rose fioriranno! Purché alla nostra dirigente non venga richiesto di scrivere – anzi di far scrivere ai suoi insegnanti – RAV, PDM e quant’altro!

Se i nostri insegnanti fossero impegnati più nelle aule con le loro classi di età, e meno distratti da impegni altri, noiosi, macchinosi e spesso inutili, sarebbe molto meglio. Anche perché i ragazzi di oggi non sono – come si suol dire – quelli di una volta! Sono costretti ad apprendere in strutture edilizie e in arredi che dai tempi di Casati e di Coppino hanno cambiato in poco o in nulla! Ah! Dimenticavo! Ci sono le Lim! Ma ci sono anche i cellulari che sotto i banchi non cessano mai di funzionare!

Cara dirigente! Se tu potessi lavorare meno ore al giorno e le potessi dedicare alle mille difficoltà che i tuoi insegnanti giorno dopo giorno debbono affrontare, sarebbe molto meglio! Anche e soprattutto perché la scuola non è un’azienda! O meglio, non dovrebbe esserlo!

L’autonomia non è nata per caso

L’autonomia non è nata per caso

di Maurizio Tiriticco

 

Eravamo alla fine del secolo corso quando, in seguito all’input avviato dal varo della Legge 241/1990, concernente “nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, seguirono il dpcm 7 giugno 1995, concernente lo “schema generale di riferimento della Carta dei servizi scolastici”, la Legge 59/1997 concernente “delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, il Dlgs 59/1998 concernente la “Disciplina della qualifica dirigenziale dei capi di istituto delle istituzioni scolastiche autonome”.

Si trattava di una serie di provvedimenti che di fatto e di diritto cambiavano lo status istituzionale, se si può dir così, del nostro sistema scolastico. In effetti si stava passando da un sistema scolastico che potremmo definire eterodiretto dal Ministero dell’Istruzione, ad un sistema “altro”, in cui le singole istituzioni scolastiche avrebbero goduto di campi di azione più avanzati rispetto a quelli della tradizione. In effetti poi, con il Dpr 275/1999 si varò quel “regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche”, che concludeva il percorso avviato nove anni prima con quella legge 241/1990 che aveva avviato un cambiamento profondo in tutto il corpus amministrativo del nostro Paese. In effetti nel giro di un decennio lo status giuridico/formale delle nostre istituzioni scolastiche e dei loro dirigenti cambiò, e non di poco. In un primo tempo il cambiamento in parte non fu compreso, tant’è vero che si aprì quella diatriba – ormai è un ricordo lontano – sui pericoli di andare verso una “scuola azienda” e verso un “dirigente manager”. In effetti si accesero polemiche scorrette e inutili che fortunatamente, nel giro di breve tempo, vennero a cadere.

Attivammo i primi corsi di “riconversione” di presidi e direttori didattici ed io vi partecipai con piena cognizione di causa, forte, anche, di una lunga esperienza con il Cnite (Centro nazionale di tecnologie educative, che tra l’altro attivò un articolato aggiornamento dei piccoli imprenditori del Lazio, con Mauro Laeng et al.) e di tante buone letture/studio sul management: autori tutti stranieri! Everard e Morris; Blake e Mouton; Argyris e Schon; Simon; Butera; Goleman; De Bono; et al. In particolare vanno considerati Hersey e Blanchard, che hanno studiato in quali modi si legano i rapporti tra gli atteggiamenti e i comportamenti del leader verso il “compito” e quelli verso la “persona”. E potevo anche vantare due… buone scritture (un volume sull’animazione per la Tecnodid; un volume sull’apprendimento organizzativo per Anicia). Quindi, mi detti un gran da fare nelle attività di “riconversione” di direttori e presidi in “dirigenti scolastici”. Incontravo spesso resistenze, stante ferma la convinzione dei dirigenti in pectore che nulla di nuovo dovevano imparare! Ovviamente, insistevo sul fatto che la scuola non è un’azienda, ma, come un’azienda, è una organizzazione strutturata, inserita in un dato sistema (Bertalanffy); e che il dirigente scolastico non è un manager, ma deve avere competenze relazionali e manageriali. In effetti, si tratta di competenze complesse, necessarie per il perseguimento e il raggiungimento degli “obiettivi” individuati e condivisi con gli insegnanti nonché con le famiglie degli alunni (si pensi al “Patto educativo di corresponsabilità”).

In tale contesto e nello scenario che si apriva, anche lo stesso Ministero dell’Istruzione avrebbe dovuto cambiare il suo assetto… E ciò avvenne con il varo del Dlgs 300/1999, concernente la “riforma dell’organizzazione del Governo”, quindi anche dell’amministrazione della Pubblica Istruzione. Ormai sono tutte “cose” note e stranote… anche se non credo che chi insegna e chi dirige oggi, soprattutto se giovane, ne abbia un’esatta conoscenza.

Viene, comunque, da chiederci se veramente il Ministero dell’Istruzione sia strutturalmente cambiato per quanto concerne i suoi rapporti con le istituzioni scolastiche autonome e se adempie in pieno ai compiti che gli sono affidati, tra cui: il varo delle norme generali sull’istruzione e la valutazione e l’incremento di quei livelli essenziali delle prestazioni, che – a norma del novellato Titolo V – sono di competenza statale. Com’è noto, sono di competenza ministeriale anche gli atti di indirizzo, la programmazione generale, il varo di Indicazioni nazionali e Linee guida, la valutazione dell’intero sistema scolastico, affidato all’Invalsi, nonché tutto ciò che dovrebbe promuovere e sostenere costantemente l’autonomia delle istituzioni scolastiche e la loro efficacia per quanto concerne il raggiungimento degli obbiettivi ad esse affidati. Tra i quali sono centrali e dirimenti gli obiettivi di “educazione, istruzione e formazione”, tre concetti molto diversi tra loro, nazionalmente proposti e che devono essere opportunamente curvati sul territorio, al fine di permettere a ciascun alunno di raggiungere quel suo personale “successo formativo”, di cui all’articolo 1, comma 2, del dpr 275/1999. Viene da chiederci: sono passati tanti anni e le nostre istituzioni scolastiche autonome riescono a centrare questo obiettivo?

Insomma le innovazioni di questi venticinque anni sono state profonde ed incisive. E dovrebbero veramente incidere anche sul concreto “comportamento dirigente”, ovviamente con la proposta e la sollecitazione di atteggiamenti e comportamenti efficaci. Si pensi anche a quel testo di Thomas Gordon, intitolato, appunto “Insegnanti efficaci”, edito da Giunti! E va sempre ricordato che non basta essere padroni di una “disciplina” perché la si possa insegnare come “materia”! Si tratta di due “cose” assolutamente diverse. Anche perché le difficoltà del dirigere e dell’insegnare oggi non sono affatto poche! E i richiami costanti alla lezione interattiva, alla peer education, alla didattica laboratoriale non so quanto stiano veramente rinnovando il nostro sistema di insegnamento/apprendimento.

Per non dire dal terremoto innescato dalla legge 107/2015! Ma qui si aprirebbe un altro discorso… ed io non voglio essere cattivo!

 

Roma, 4 novembre 2016 – Ricordando il lontano 4 novembre 1918: “…I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza. Armando Diaz”

Del degrado e dell’ignoranza

Del degrado e dell’ignoranza

di Maurizio Tiriticco

O tempora o mores! La Scalinata di Piazza di Spagna! La nostra Roma offesa di giorno e di notte. Abbiamo a che fare con degli idioti che non capiscono nulla di ciò che è un monumento, un reperto, un pezzo di storia! Oggi l’idiozia sarebbe una virtù, sia per il suo etimo greco che per il suo significato. Meglio l’idiozia che l’inciviltà. Mi spiego! Come sappiamo,”Pietro Bernini alla piazza della Trinità de’ Monti, con bel capriccio, fece la fonte in forma di Barca, con Imprese del Papa”. Insomma, la Barcaccia e la Scalinata di Trinità dei Monti stanno lì da secoli! E nessun suddito romano ha mai pensato di usarla diversamente dall’attingere acqua o di spostarsi dalla Roma della piana del Tevere (quante inondazioni!) alla Roma dei Sette Colli. Per secoli questi monumenti sono rimasti indenni! In effetti, il popolino romano non era incolto e incivile, come si potrebbe credere. Le norme affisse su lastre di marmo e ancora presenti su alcuni palazzi della vecchia Roma prevedevano multe di parecchi scudi o nerbate per chi avesse gettato immondizia per strada. Ma nessun ammonimento per chi avesse imbrattato un monumento. In effetti i monumenti i sudditi del Papa li amavano e non si sarebbero mai sognati di sporcarli. Le gare erano tra quartiere e quartiere per chi avesse la chiesa più bella e le campane di mezzogiorno più festose! E mettici pure la “Corsa dei berberi” sul Corso, appunto!

Inoltre i turisti che giungevano a Roma erano nobili, artisti, letterati… quante lapidi! Qui ha dormito Tizio! Qui ha soggiornato Caio! Qui Sempronio ha scritto! Per secoli i nostri bei monumenti sono rimasti indenni, fatta eccezione del Colosseo, spogliato – com’è noto – più dai Barberini che dai barbari! Ma quella era roba pagana e ci avevano pure ammazzato migliaia di cristiani! E poi sta pure lontano dalla Roma papalina. Lo sapete di quel papa che, dovendosi recare dal Vaticano a San Giovanni, stanco di girare attorno al Colosseo, pensò di aprire un varco al centro?!?!?! Ma sarebbe costato una tombola, per cui… Insomma il popolino amava le sue cose pubbliche, e le amavano anche i turisti di allora, ricchi, pochi e colti.

MA OGGI??? Quod non fecerunt barbari (che poi tanto barbari non erano), fanno invece oggi migliaia di turisti, in larghissima maggioranza incolti e incivili, ignoranti come capre, direbbe Sgarbi! Hanno un po’ di soldi, hanno l’aereo facile ed eccoli qui curiosi più di inviare selfie a casa che non di godere delle nostre bellezze! Il consumo dell’arte per i più non è emotivo, culturale, spirituale, se vuoi, ma è fisico, corporeo. Su queste scale ci mangio i panini e poi butto la carta. Per terra? Certo! Mica me la posso portare appresso! E la fontana a che serve? A bere! Sennò, che ce l’hanno messa a fare? Forse è stato Berlusconi! E’ l’unico politico italiano di cui abbiano qualche contezza! E il bicchiere di carta dove lo getto? Nella fontana certo, sennò dove? Tanto poi l’acqua se lo porta via! E mi ci lavo pure i piedi! Sono tutti sudati e mi fanno un maleee!!! Questi sandali! Quanto ho camminato! Con tutti questi pacchi! Armani! Versace! Le Sorelle Spagnoli Che caldo nell’estate romana! Ma ritorniamoci stasera! Chissà che bella questa scala sotto la luna! Ci portiamo un panino e una birra, e poi ci facciamo pure un pisolino! Speriamo che ci sia la luna piena. Ma quant’è bella questa città! Peccato che domani dobbiamo ripartire! Solo tre giorni, tutto così in fretta! A San Pietro una fila… ci hanno perquisiti, e io con tutti questi pacchi.

A San Paolo non abbiamo fatto in tempo. Ma tanto, sarà la stessa cosa! Erano due fratelli, ammazzati tutti e due, crocifissi mi sembra… mah! Insomma Roma è proprio bella! Si dorme maluccio ma si mangia bene. Ci tornerò! Tu che ne dici. Sì, sì, perché ci è mancato il barcone sul Po! Torniamoci presto!!!

Questo è il livello culturale della massa degli stranieri che si riversa su Roma, di giorno e di notte in tutti i mesi dell’anno! E io che pensavo che gli italiani fossero tra i più ignoranti al mondo! Anche perché lo dicono le statistiche e molte ricerche internazionali. Sappiamo che il 70% degli italiani si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà. Un altro 20% possiede le competenze minime per orientarsi e risolvere, attraverso un uso corretto della lingua, situazioni complesse e problemi della vita quotidiana. Si tratta di una vera e propria emergenza sociale, perché è con lo strumento lingua che si costruiscono i campi di comunicazione tra le persone e tra le persone e le “cose”, costituite sia dai fatti della vita quotidiana interpersonale che dalle occupazioni lavorative che dai problemi sociali. Tullio De Mauro dice queste cose da anni, ma… cui prodest? La prima scolarizzazione potrebbe e dovrebbe fare molte cose, ma la nostra ministra del Miur sembra più interessata al funzionamento di un’assurda legge 107 che al funzionamento di un obbligo di istruzione decennale, di cui pochi hanno conoscenza, tuttora frantumato in tre segmenti, ciascuno dei quali, provenendo da tempi e storie diverse, fa parte a sé. A danno di una proficua e produttiva continuità!

Per concludere, lamentarsi dell’ignoranza e dell’inciviltà altrui non ci salva dall’ignoranza e dall’inciviltà nostra. In effetti sulle scalinate di Piazza di Spagna romani, italiani e stranieri sembra che facciano a gara per gettare rifiuti. E i fischi dei vigili? E chi li sente? Pistolettate, ci vorrebbero!

Maurizio pro Maurizio

Maurizio pro Maurizio

di Maurizio Tiriticco

Maurizio Muraglia in www.notiziedellascuola.it/formazione in data 31 ottobre scrive tra l’altro e correttamente che “attorno al tema delle competenze ormai ruotano tutti gli aspetti pedagogici e ordinamentali del sistema scuola” E aggiunge che “sul piano delle prassi didattiche si può constatare che le competenze costituiscono un orizzonte non privo di nodi critici”. E ciò vale sia per la conclusione della scuola media (cm 3/2015) che per la conclusione dell’obbligo di istruzione decennale, al termine del primo biennio dell’istruzione secondaria di secondo grado (vedi il dm 139/2007, concernente l’innalzamento dell’obbligo di istruzione, e il dm 9/2010, concernente l’adozione del modello di certificazione dei saperi e delle competenze acquisite dagli studenti al termine dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione).Il grande assente è il triennio conclusivo degli studi secondari. In effetti, di certificazione vera di competenze a tutt’oggi nulla si è fatto. Nel cosiddetto modello di certificazione, di cui al dm 26/2009 “concernente le certificazioni ed i relativi modelli da rilasciare in esito al superamento degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado”, tutto si dice, ma di competenze da certificare… neanche l’ombra!

Eppure i nuovi “esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore” – di maturità neanche l’ombra! – sono stati attivati proprio per superare il concetto stesso di maturità: in sintesi, la maturità dovrebbe definire ciò che un soggetto è… e qui entra in gioco la personalità! Ma non lo dico io, lo diceva la legge 119/1969, che all’articolo 5 recita: “L’esame di maturità ha come fine la valutazione globale della personalità del candidato”. Da quel mondo forse tipico del personalismo più becero siamo passati, invece, al mondo del “fare”. Di qui l’introduzione del concetto di competenza (in sintesi, ciò che una persona sa fare)! E si è trattato di una svolta non da poco! Ma è passata nella testa di tutti i nostri insegnanti? Mah! E nella testa degli attuali responsabili del Miur?

Sic stantibus rebus, è difficile dire se veramente il concetto stesso di maturità è stato definitivamente cancellato, tant’è vero che se ne parla sempre, anche da parte ministeriale! Mah!!! La svolta è di una grande importanza ed intende avvicinarci all’Europa! In effetti dovremmo dichiarare che i nostri studenti licenziati dall’istruzione secondaria di secondo grado hanno conseguito un titolo equivalente al quarto livello dell’EQF (European Qualifications Framework). Infatti, in sede di Accordo quadro Stato/Regioni del 20 dicembre 2012 proprio questo si afferma! Ma che cos’è l’EQF? Che cos’è l’Accordo quadro del dicembre 2012? I nostri insegnanti commissari agli esami di Stato – che continuano imperterriti a chiamare di maturità – conoscono questi documenti? Mah!!!

Per comodità di chi legge riporto quanto afferma il documento europeo a proposito del livello quarto dell’EQF: “CONOSCENZA pratica e teorica in ampi contesti in un ambito di lavoro o di studio Una gamma di ABILITA’ cognitive e pratiche necessarie a risolvere problemi specifici in un campo di lavoro o di studio SAPERSI GESTIRE autonomamente, nel quadro di istruzioni in un contesto di lavoro o di studio, di solito prevedibili, ma soggetti a cambiamenti. Sorvegliare il lavoro di routine di altri, assumendo una certa responsabilità per la valutazione e il miglioramento di attività lavorative o di studio”. Si tratta della terna CONOSCENZE, ABILITA’ e COMPETENZE che i nostri studenti dovrebbero avere acquisto al termine di quell’esame conclusivo del secondo ciclo di istruzione che i più – ed anche gli insegnanti, purtroppo – insistono a chiamare di maturità. E non è un caso – e lo dico da ispettore che in campo di esami di Stato esperienza ne ha fatta – che tra un esame di maturità del 1997 – precedente regime, governato dalla legge 119/69 – e un esame di Stato conclusivo “dei corsi di istruzione secondaria superiore”, di cui alla legge di riforma 425/1997, le differenze sono state più formali (ad es. dal voto al punteggio, con il conseguente “dramma” delle griglie… “quella cha ha fatta il prof X è migliore di quella del prof. Z!”) che sostanziali. Per non dire dell’ignoranza dei funzionari del Miur che in ogni OM relativa agli esami di Stato conclusivi del secondo ciclo, insistono DA SEMPRE nel pensare e nello scrivere, purtroppo, che, “a ciascuna delle prove scritte giudicata sufficiente non può essere attribuito un punteggio inferiore a 10”. E non sanno che punteggi e voti non possono essere confusi: infatti, sono attribuiti secondo logiche diverse e con fini diversi. Mah! Così va il mondo! Anzi, il Miur!

E qui vengo al clou di ciò che voglio dire e del perché ho chiamato in causa l’altro Maurizio. Il quale afferma correttamente: “il nodo dei nodi: è la ‘cultura della valutazione formativa’, che sarebbe sottesa ai modelli di certificazione e che richiederebbe ‘processi di lunga durata’, da gestire, si aggiunge qui, attraverso una formazione iniziale ed una formazione in servizio coerenti con gli obiettivi del sistema. Non si tratta, infatti, di applicare dispositivi elaborati altrove. Si tratta di comprendere in profondità il paradigma da cui si parte, ovvero quello della tradizione trasmissiva dell’insegnamento che nel nostro Paese sa resistere pervicacemente soprattutto nell’insegnamento secondario. Occorre comprendere le ragioni di questa resistenza per valutare l’efficacia dei percorsi formativi che si propongono alle comunità professionali. Trasmettere conoscenze o promuovere competenze? La trasmissione è funzionale alla selezione e all’omologazione. La sua ancella fedele è la valutazione quantitativa, sia che si tratti di voto numerico che di scala alfabetica (A, B, C, D…) o aggettivale (ottimo, distinto, ecc.). L’insegnamento per competenze confligge con l’idea di trasmissione del sapere e pertanto anche con forme di valutazione quantitativa e statica, ivi compresi i test standardizzati nazionali. Soltanto lo sviluppo di una valutazione formativa di carattere qualitativo e descrittivo, capace di integrare traguardi (di sviluppo, naturalmente, nel primo ciclo) e processi, può sensatamente candidarsi a costituire l’asse portante della formazione sulle competenze”.

Io vorrei semplicemente aggiungere tre parole: misurare, valutare, certificare. Le prime due vengono da lontano. La terza è relativamente recente. La misurazione è una rilevazione oggettiva di un oggetto: questa camicia è di questo colore, di questo tipo di stoffa, di questa misura e costa tot. Antonio e la moglie ne prendono atto! Antonio la vuole comprare, ma la moglie lo dissuade! Ma potrebbe essere il contrario! E non dico le mille ragioni che ciascuno dei due potrebbe accampare per motivare la scelta. Al di là dell’esempio, si misura e si valuta mille volte al giorno! Basti pensare a quando andiamo al supermercato… questo prodotto costa poco (misurazione) ed è buono (valutazione), quindi lo compro! Ma un altro acquirente dice: “Lo credo che costa poco! E’ una schifezza!”. A scuola la professoressa rileva i numerosi errori di Francesca nel compito di latino. Attenzione! Se Francesca è solita “prendere” sempre otto, l’insegnante dirà: “Francesca! Ma che mi hai combinato? Quel giorno stavi male? Ti eri innamorata?”. Se, invece, Francesca prende sempre quattro ed all’ultimo compito otto, la professoressa dirà: “Francescaaa!!! Da chi hai copiatooo???”. Insomma, la misurazione è, semplificando, un’operazione oggettiva, la “conta degli errori”; la valutazione è il giudizio che si dà considerando altre variabili che vanno al di là della conta. Alla fine dell’anno, quando “si porta” – si dice così – un cinque a sei, perché Giuseppe ha una buona media in tutte le materie, il cinque è l’esito di una misurazione, il sei di una valutazione.

La certificazione è un terzo gradino rispetto alle nostre abitudini scolastiche. Implica l’acquisizione di una o più competenze, che riguardano un saper fare maturo e consapevole. In conclusione, possiamo dare le seguenti definizioni:

Conoscenze – insieme organizzato di DATI e INFORMAZIONI relative a oggetti, eventi, tecniche, regole, principi, teorie, che il soggetto ap-prende, com-prende, archivia e utilizza in situazioni operative quotidiane procedurali e problematiche

(Capacità pro) Abilità – atti concreti singoli che il soggetto compie utilizzando date conoscenze e dati strumenti; di fatto un’abilità è un segmento di competenza (un neonato che ha la mano è “capace” (potenza) di suonare il pianoforte, ma non ha ancora l’abilità

Competenza – la definizione europea – “la capacità dimostrata da un soggetto di utilizzare le conoscenze, le abilità e le attitudini (atteggiamenti): 1 – personali, (il Sé), 2 – sociali (il Sé e gli Altri) 3 – metodologiche (il Sé e le Cose) in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale. Nel Quadro Europeo delle Qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia”.

Caro Maurizio! Ora sono stanco! Sono vecchietto e malandato! Ti ringrazio per avermi offerto l’occasione di riflettere e di scrivere un’ulteriore insieme di idiozie! Buon lavoro!

Guscio vuoto e pass di cartapesta

“Guscio vuoto e pass di cartapesta”
Perché la scuola funziona solo per chi non ne ha bisogno

di Maurizio Tiriticco

contessiRoberto Contessi insegna al liceo classico Giulio Cesare di Roma, istituto in cui mi sono maturato nel lontano 1943 e di cui ovviamente ho un ottimo ricordo! E sono uno dei decani! Erano i tempi in cui, quando suonava la sirena dell’allarme aereo, noi studenti, guidati dai professori, scendevamo ordinatamente le scale per recarci nel “rifugio antiaereo”, ovvero negli scantinati dell’edificio. In effetti, la guerra, la fame, i cappotti rovesciati per rinnovarli – la miseria era forte – non distoglievano né studenti né insegnanti dall’apprendere e dall’insegnare. L’abitudine alla disciplina era un fatto normale: il credere, l’obbedire e il combattere – tra le tante parole d’ordine lanciate dal Regime – avevano forse sortito i loro effetti! Io ho avuto la fortuna di frequentare l’antico ginnasio quinquennale, prima che la Carta della Scuola, ovvero la “riforma Bottai” (dal nome del Ministro dell’Educazione Nazionale) del 1939 rinnovasse tutti i percorsi postelementari e istituisse la scuola media e l’avviamento al lavoro, ambedue triennali. Com’è noto, questi ultimi due percorsi furono unificati con la Legge 1859 del 31 dicembre 1962, con cui si dette vita alla Scuola Media Unica. In tale susseguirsi di riforme, non è un caso che ancora oggi si persiste nel “parlare” di un quarto e di un quinto ginnasio nonostante le Linee guida per i licei – pubblicate nel 2010 – parlino di un percorso liceale quinquennale.

Ebbi in sorte di insegnare – come vincitore di concorso – nei primi tre anni della scuola media, dal 62/63 al 64/65. E con una grande convinzione, perché ero stato partecipe dei dibattiti e delle lotte di allora finalizzate ad aprire a tutti una scuola media triennale postelementare; e va ricordato che le resistenze di fronte a questa apertura culturale non erano affatto trascurabili. Erano ancora anni in cui la percezione che la scuola e la cultura non fossero “cose” di tutti e per tutti era ancora largamente diffusa. Come andarono le cose nei primi anni della scuola media unica obbligatoria è noto! Le bocciature fioccavano. Indubbiamente, la tesi che non tutti possono e debbono andare a scuola – fatta eccezione dell’obbligo dell’istruzione elementare – era dura da battere. Una grossa mano ci venne dalla Lettera a una professoressa”, che Don Milani e i suoi alunni pubblicarono nel ’67. E non furono poche le “professoresse” – ma anche i professori, ovviamente – che si sentirono tirati in ballo da quel pamphlet.

Ma poi le cose migliorarono profondamente! E non apparve più né una sciocchezza né una sfida quell’articolo 34 della nostra Costituzione che così, tra l’altro, recita: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta furono gli anni del boom economico: se non ricordo male, ci eravamo collocati tra le prime quattro o cinque potenze industriali. E contestualmente, il fatto che tutti i nostri cittadini, piccoli e grandi (basti ricordare le 150 ore degli anni Settanta!) potessero godere pienamente del diritto allo studio o recuperare anni scolastici perduti, fu largamente condiviso e accettato. La scuola intesa, quindi, come promozione linguistica e culturale, come ascensore sociale! E così fu in quegli anni, ma… di anno in anno questa funzione si è venuta attenuando, a volte anche logorando. In effetti, se un’operazione culturale diventa un’abitudine, se la corsa allo studio diventa solo la caccia a un diploma, comunque conseguito (i diplomifici esistono. Il Miur lo sa, ma… io stesso, da dirigente tecnico, condussi alcune ispezioni in alcuni di questi istituti, feci le argomentate e propositive relazioni di rito, ma… poi nulla di fatto!), la scuola e la sua funzione primaria va erodendosi e comincia a decadere.

E qui interviene la “Scuola di classe” di Roberto Contessi. Nell’estratto del volume leggiamo tra l’altro: “Il modello di scuola degli anni Cinquanta non permetteva ai ragazzi più deboli di completare un ciclo formativo, dunque il messaggio, per alcuni aspetti, era più netto, perché la scuola rappresentava veramente un ascensore verso il mondo del lavoro per chi riusciva a concludere quel ciclo. Oggi è il contrario: invece di un ascensore, la scuola è un nastro trasportatore e i molti deboli percorrono il tunnel della formazione scolastica come palline da flipper. Conseguono ogni anno una sufficienza stentata, oppure studiano a tempo perso e svogliatamente qualche materia da recuperare o, peggio, risultano avere voti gonfiati, senza nessuno che valuti con chiarezza, rigore e metodo cosa sanno fare. Il sistema scolastico così li inganna, confermando semplicemente le loro carenze, e questo accade perché non può decretare il proprio fallimento, non può ammettere di promuovere solo capacità e talenti di natura, né riconoscere di non avere una strategia forte e consolidata nei confronti dei meno dotati”.

La denuncia è pesante e conferma ciò che, da altre sedi di osservazione, ci dicono una serie di ricerche e lo stesso Tullio De Mauro, anche sulla scorta di autorevoli ricerche internazioni sulla competenza alfabetica degli Italiani, la cosiddetta literacy. Ebbene, la nostra popolazione si colloca tra gli ultimi posti, e non solo europeo, ma anche a livello mondiale. A provocare tale fenomeno non concorre soltanto la mancata scolarità, ma anche la progressiva perdita di ciò che a scuola si è appreso. Ma ciò che è più grave è che alla incompetenza alfabetica corrisponde anche una “incompetenza civica”, se possiamo chiamarla così. Comunque, va anche detto che l’incompetenza civica, o meglio la mancata osservanza delle leggi, alligna spesso anche tra tante persone anche acculturate, negli strati cosiddetti “bene” della popolazione.

E qui entra in ballo la politica, in generale, e la politica scolastica, in particolare. Alludo al fatto che, a fronte di mille denunce mosse da uomini e donne della scuola da anni e della denuncia mirata e documentata di Roberto Contessi, l’attuale governo ha creduto di dare una risposta con quella legge 107 del 2015 in cui si dice di tutto e di più – un articolo 1 di 202 commi – ma non si innesta sul disagio reale che da anni persiste nelle nostre scuole. Non possiamo dire neanche che si tratti di “ritocchi di facciata”, perché sembra una legge fatta per una scuola altra, che non è la nostra. Ed una scuola le cui difficoltà si andranno aggravando.

Ma non voglio essere pessimista, perché abbiamo professori come Roberto Contessi e dirigenti scolastici come Micaela Ricciardi, per cui… la nostra scuola può avere un avvenire diverso. Il glorioso Giulio Cesare non è tra i gusci vuoti e i pass che rilascia non sono di cartapesta! Comunque ce ne sono altri di istituti “gloriosi”, che qui non cito, ma che spesso ricorrono nei miei scritti.

Conversando…

Conversando con due amici di Facebook!

di Maurizio Tiriticco

 

L’amico Filippo, a proposito dell’alternanza scuola/lavoro, che io preferisco chiamare “continuità”, ha scritto su FB: “Mandare i ragazzi delle superiori a “fare esperienza” al Mc Donald’s? E questa sarebbe un’esperienza formativa? Impiegare il proprio tempo a confezionare hamburger? Invece di rafforzare l’istruzione dei nostri ragazzi, invece che affinare la qualità dei laboratori di formazione dentro e fuori la scuola, invece di garantire a tutti gli studenti l’autonomia di linguaggio, di conoscenze e di pensiero, li mandiamo a friggere gratis le patatine? Per impicciarli con dei distratti avventori e con l’apoteosi del nulla alimentare? Non c’è dunque fine al ridicolo? Ci vada il ministro a prendere le ordinazioni, e porti con sé quei presidi e quegli insegnanti eccitati a raccogliere l’acqua del mare col setaccio”. Ed io così rispondo.

Caro Filippo! Non sarei così pessimista riguardo al nostro futuro! Ricordo che Aldo Visalbeghi in un suo libro – non chiedermi il titolo, perché dovrei ricercarlo – sosteneva proprio questo: se tutti studiassero e si laureassero, avremmo un esercito di dottori e nessuno accetterebbe più un lavoro “manuale”. Ma ciò farebbe proprio orrore??? Infatti, aggiungeva che, una volta che tutti avessero studiato, i lavori manuali sarebbero stati distribuiti equamente tra tutti per alcuni periodi dell’anno. Ovviamente un’utopia, un po’ come il comunismo (“a ciascuno secondo i suoi bisogni”), ma con il suo fondamento teorico!

Ricordo che, da piccolo, quando passeggiavo con la mamma e passavamo dinanzi a un palazzo in costruzione, lei “piccolo borghese” – senza alcuna offesa (già più di mezza Italia allora era tale… ed ora sembra che nessuno abbia più un’identità di “classe sociale”, e forse è anche un bene) – indicandomi gli operai al lavoro, mi diceva: “Vedi, Maurizio, se non studi, andrai a fare il muratore”. La paura fece novanta ed io ho studiato, anche se di mala voglia. Ora, però, è tutto cambiato. Il contadino e l’operaio di un tempo non esistono più: le tecnologie hanno permesso una progressiva liberazione dal lavoro soltanto manuale, estremamente faticoso. Io, come ispettore e formatore, ho lavorato anni sia nelle formazione professionale regionale che nell’istruzione professionale statale: percorsi di tutto rispetto. Quando con il Direttore Generale Giuseppe Martinez alla Formazione Professionale statale nel primo biennio, con il “Progetto 92”, implementammo le ore delle discipline letterarie, alunni e genitori ci contestarono: “Mi fijo deve annà a lavorà! Perché je fate perde tempo co’ materie che nun je serveno a gnente?” Ma noi resistemmo e avevamo ragione! I cuochi o i camerieri formati dalla FP vanno sulla navi e guadagnano un pacco di soldi! E parlano un buon italiano e un ottimo inglese.

A questo proposito, Agata osserva che “vogliono preparare i nostri ragazzi alla realtà: il pasto è servito! Con il tovagliolo al braccio e il sorriso stanco stampato in faccia… ecc”, risponderei che non è affatto così! In effetti, il sorriso stanco è anche del chirurgo che ha affrontato un’operazione o di un giudice dopo ore di camera di consiglio o anche di un prof dopo cinque ore di lezione! E si tratta di una stanchezza più che giustificata. Cari amici! Il problema é un altro ed è nella sfida che abbiamo lanciato al Paese, alla scuola, o meglio a tutte le “istituzioni scolastiche autonome” e a noi stessi, quando abbiamo scritto nel lontano 1999 sul dpr 275, art. 1, c. 2: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di EDUCAZIONE, FORMAZIONE e ISTRUZIONE mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il SUCCESSO FORMATIVO, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.

Ed il successo formativo è una sfida che abbiamo lanciato non solo alla scuola, ma all’intero Paese e a tutti i suoi cittadini! Quale rabbia, quale sconforto lamenti, Agata!?!?!? E perché? Mah!!! Rimbocchiamoci le maniche e facciamo il nostro lavoro di insegnanti con tanto di dottrina – che parola grossa – e di responsabilità professionale. E, soprattutto, cerchiamo di dare fiducia a tanti ragazzi che il mondo di oggi rende sempre più insicuri e sfiduciati! Schiacciati sull’eterno presente dei cellulari e dei selfie. Ma la sfiducia e la rassegnazione non può e non deve essere nostra! Perché noi siamo insegnanti. E dobbiamo confrontarci con l’insicurezza e la sfiducia dei nostri alunni. A noi è concesso soltanto di arrabbiarci quando leggi inique ci cadono addosso. Ma, siccome siamo in democrazia, l’importante è organizzarsi per contestarle! E lo facciamo! E Facebook è una palestra in cui ci si può confrontare ed allenare per rendere più incisive le nostre battaglie!

Ed infine, ricordo a Filippo che io confeziono spesso hamburger, perché li preferisco alle classiche fettine, sempre dure da masticare! Almeno per me, povero vecchietto! Però anche tu… chissà quante volte hai confezionato hamburger!

Albo signanda lapillo

Albo signanda lapillo

di Maurizio Tiriticco

Gli Antichi Romani erano soliti contrassegnare con una pietra bianca un avvenimento positivo e con una pietra nera un avvenimento negativo, infausto. Ma vengo al dunque. Com’è noto, tra la Giannini e Renzi non corre buon sangue e sembra che il Presidente del Consiglio dei Ministri non veda l’ora per… per cui, basterebbe solo un piccolo “errore” della nostra ministra, bollato con la pietra nera, e la Giannini salterebbe. Ebbene, voglio dare una mano a Renzi e così sollecitare sorrisi di gioia – non parlo di risa, perché non si sa chi le succederebbe – di insegnanti e studenti! E veniamo al piccolo errore che la Giannini ha già commesso, che poi piccolo non è affatto! Però, occorre riandare lontano nel tempo!

Parliamo di un esame che tutti si ostinano a chiamare ancora di maturità, quando invece non lo è più, o meglio non dovrebbe più esserlo!!! Infatti, è dal 1996 – sono passati quasi venti anni… venti!!! – che con la legge 425 del 1997 abbiamo abrogato la legge precedente (L. 119/1969) che regolava l’esame – quello sì – di maturità. Tant’è che la legge di riforma non parla affatto di maturità; infatti in epigrafe così recita: “Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore”. La maturità, quindi, non esiste più! Ma l’innovazione più importante e innovatrice della riforma la riscontriamo soprattutto nell’articolo sei, in cui leggiamo: CERTIFICAZIONI – Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle COMPETENZE, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Oggi, con un linguaggio più “maturo” e più diretto, parleremmo di CERTIFICAZIONE delle COMPETENZE. Ma queste vengono certificate? No! Oggi, giostriamo con i punteggi come ieri giostravamo con i voti! Ma la modifica sostanziale dell’esame non viene detta… perché, di fatto, non c’è. E – lo ripeto – sono passati quasi vent’anni!

Il testo della legge è noto. Ma è opportuno sottolineare che un fattore fondamentale del riordino – oltre alla tipologia delle prove – consisteva – e dovrebbe consistere – nella sostituzione dei tradizionali voti decimali con i punteggi. Il che avrebbe dovuto rivoluzionare i criteri valutativi di sempre, ma… quando si legge sulla OM relativa agli esami di ogni anno (si veda l’articolo 20 dell’ultima OM del 19 aprile 2019) che la Commissione “dispone di 15 punti massimi per la valutazione di ciascuna prova scritta per un totale di 45 punti; a ciascuna delle prove scritte giudicata sufficiente non può essere attribuito un punteggio inferiore a 10”, emerge un dubbio grosso così! Non si può pensare in voti e tradurli in punteggi! Sono il diavolo e l’acqua santa! Il fatto è che un conto è valutare con i voti tradizionali, altro conto è misurare adottando punteggi. Si tratta di mondi diversi, di operazioni diverse che impongono approcci valutativi diversi! E non si possono assolutamente né comparare né confondere! Quali contributo viene dal Miur per gli insegnanti in materia di valutazione, se lo stesso Miur cade in errori così grossolani?

E ancora! All’articolo 6 della legge di riforma leggiamo: “A conclusione dell’esame di Stato è assegnato a ciascun candidato un voto finale complessivo in centesimi, che è il risultato della somma dei punti attribuiti dalla commissione d’esame alle prove scritte e al colloquio e dei punti per il credito scolastico acquisito da ciascun candidato”. La parola voto in tutta la legge viene citata una sola volta e riguarda solo l’attribuzione, da parte della commissione, del voto finale, che conclude la valutazione – o meglio la misurazione – in punteggi delle prove scritte e del colloquio. Va ribadito che – per norma – si tratta di un colloquio che è altra cosa rispetto ai consueti esami orali relativi a ciascuna delle singole discipline di studio. In effetti, si tratta di un colloquio che deve essere multidisciplinare, come si recita in tutte le ordinanze che di anno in anno disciplinano modi e tempi dell’esame. E’ bene ricordare che anche l’ultima OM del 19 aprile 2016, prot. N. 252, tra l’altro così recita: Il colloquio “si svolge su temi di interesse multidisciplinare”. Ma i nostri commissari, nonostante sia trascorso quasi un ventennio dalla riforma dell’esame, continuano a insistere sugli esami per disciplina, se non per materia (che è cosa ancora molto più scolastica) anche se alcune rarae aves probabilmente esistono. Il che accade perché predisporre, condurre, gestire un colloquio è molto difficile per moltissimi dei nostri insegnanti che, in effetti, sono scarsamente soliti colloquiare, ma soliti, invece a interrogare! Basterebbe una leggina di una riga: “Nella scuola italiana le interrogazioni sono abrogate!” Che festa per gli studenti! Che dramma per i nostri insegnanti, soliti alla tripletta di sempre: spiegazione, compito, interrogazione.

Potrei andare avanti per ore – o per caratteri – ma è venuto il momento in cui casca l’asino, o meglio potrebbe cadere la nostra ineffabile e sempre sorridente ministra! Che asina non è affatto! La ministra è di buona volontà e vorrebbe metter mano all’esame cosiddetto di maturità e da tempo, ma poi è sempre stoppata dal suo Presidente del Consiglio dei Ministri che non sembra avere fretta, anche se – con il suo linguaggio un po’ aziendalistico – riconosce che per questo tipo di esame sarebbe opportuno andare a qualche significativo ritocco, onde evitare – penso – una definitiva rottamazione.

Quest’estate – non ricordo esattamente quando – il Ministro Gianni nel corso di una videochat in diretta con la TV di Skuola.net, aveva parlato della necessità di metter mano all’esame di Stato: “La maturità in Italia valorizza ancora le conoscenze. E’ indubbio che, però, abbia bisogno di un tagliando. Lo stiamo facendo; l’anno prossimo ci saranno delle sorprese. Per dare agli studenti un esame più aggiornato, che apra verso il futuro sia esso all’università o nel mondo del lavoro”. In effetti, nella legge 107/15 si evince la necessità di un adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, nonché degli esami di Stato. Ma ciò che più spaventa è che un ministro Miur parli ancora di maturità, ribadendo un concetto che nella testa di tanti, purtroppo, esiste ancora e che è duro a morire. Il che, dopotutto, non deve stupire più di tanto! Infatti, abbiamo cassato un esame centrato sulla MATURITA’ di un candidato, ma ancora non abbiamo individuato, descritto e definito quali sono le COMPETENZE finali che bisogna certificare. Ma allora che esame è? Mah!!!

Mi viene in mente un vecchio detto: tra zuppa e pan bagnato non corre alcuna differenza!

I miei “28 ottobre” di tanti anni fa

I miei “28 ottobre” di tanti anni fa

di Maurizio Tiriticco

Il 28 ottobre del 1922 è una data che dovevamo ricordare e festeggiare ai “bei tempi del Duce”: così ancora pensano e dicono molti nostalgici. Ed io quanti 28 ottobre ho dovuto festeggiare? Dalla prima elementare a Torino presso una scuola di monache (1933/34) no! Le monache non fanno politica (o meglio, ne fanno un’altra). Ma poi, dal ’38/39 al ’42/43 sì e con grande entusiasmo: erano anche i miei primi cinque anni del ginnasio! E da Balilla escursionista – in forza della leva fascista, rito che si osservava ogni anno il 21 aprile, ricorrenza della nascita di Roma, caput mundi – ero diventato Balilla moschettiere, la perla del regime, perché erano le giovani generazioni che avrebbero fatto grande l’Italia! Avevamo un moschetto, una giberna e i guanti alla D’Artagnan! Che gioia!!!

Ed io ero così sicuro che avremmo vinto la guerra, perché Noi Italiani e Loro, i Tedeschi eravamo due popoli poveri ma forti, mentre invece tutti gli altri, i francesi, gli inglesi e – non ti dicooo – gli americani, scioperi, gangster, governatori corrotti e quant’altro! Tutti erano destinati al declino. E la certezza era ferreaaa!!! Invece, un bel giorno, anzi una bella sera – era il 25 luglio del 1943 – lo speaker del giornale radio delle 20 annunciò stentoreo: “Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato, di Sua Eccellenza il Cavaliere Benito Mussolini e ha nominato Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato, il Cavaliere, Maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio”. In effetti il Duce non aveva rassegnato proprio niente! Recatosi il 25 luglio a Villa Ada, residenza estiva del Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia – e poi basta!!! – per comunicare che la sera precedente in una riunione infuocata del Gran Consiglio del Fascismo era stato approvato un odg presentato dal gerarca Dino Grandi, favorevole ad un’operazione che ci sganciasse da una guerra che già si considerava perduta, venne impacchettato e spedito non si sa dove! Lo si seppe solo molto tempo dopo!

E noi, poveri Balilla moschettieri, restammo in un solo attimo senza il nostro nume tutelare. Quale tristezza e quanti pianti… Noi che eravamo convinti di vincere – una delle canzoni di guerra diceva così: Vincere vincere vincere e vinceremo in terra in cielo e in mare. E’ la parola d’ordine d’una Suprema Volontà – e che sera dopo sera ascoltavamo la radio con il bollettino della… tanto attesa vittoria! Noi fanatizzati dal Regime fascista! Sui nostri medaglioni, attorno alla testa del Duce, sempre con tanto di elmetto, figuravano queste scritte: “Credere, obbedire, combattere”, oppure “Se avanzo seguitemi. Se indietreggio uccidetemi. Se mi uccidono vendicatemi”. E ricordo benissimo la canzone del balilla che si rivolge al padre in guerra: “Caro papà, ti scrivo e la mia mano quasi mi trema, lo comprendi tu. Son tanti giorni che mi sei lontano e dove vivi non lo dici più. Le lacrime che bagnano il mio viso son lacrime d’orgoglio, credi a me. Ti vedo che dischiudi un bel sorriso mentre mi stringi forte in braccio a te. Anch’io combatto, anch’io fò la mia guerra. Con fede, con onore e disciplina. Desidero che frutti la mia terra. E curo l’orticello ogni mattina, l’orticello di guerra. E prego Iddio che vegli su di te, babbuccio mio”.

Questo era il clima! Queste le nostre credenze e certezze! Allora? Contiamoli i miei festeggiamenti della Marcia su Roma! Sono stati solo 7. E invece avrebbero dovuto essere molti di più! Anche perché avremmo dovuto esportare la nostra civiltà romana, latina e fascista in tutto il mondo. Altro che Impero romano! Il suo momento più alto sotto l’Imperatore Traiano era solo un anticipo! Che avrebbe visto il suo compimento con il nuovo Imperatore di Casa Savoia, Vittorio Emanuele III°, che i malevoli, invece, si ostinavano a chiamare Pippetto… per la sua bassezza! Che tristezza! In poche ore cadde il fascismo e il popolo tutto ne gioì! Ritratti e statue del Duce furono distrutti! Eppure era quello stesso popolo che il 10 giugno del 1940 – tre anni prima!!! – sotto il balcone di Piazza Venezia si spellava le mani per applaudirlo!

E applaudivano scandendo e ritmando Duce Duce Duce, una sorta di divinità che in quel pomeriggio del 10 giugno ’40 – replico -così si esprimeva:

“Combattenti di terra, di mare e dell’aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania. Ascoltate! (Acclamazioni) Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. (Acclamazioni vivissime) L’ora delle decisioni irrevocabili. (Un urlo di acclamazione) La dichiarazione di guerra è già stata consegnata (Acclamazioni, grida altissime di: «Guerra! Guerra!») agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. (Acclamazioni) Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati. La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. (Applausi) Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano. Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l’eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno accettate. Bastava non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dell’anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia. Ormai tutto ciò appartiene al passato. Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l’onore, gli interessi, l’avvenire ferreamente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia. Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l’accesso all’Oceano. Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione. È la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l’oro della terra. È la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto. È la lotta tra due secoli e due idee”.

E via di seguito!!! Mah! Che dire? E’ l’altra faccia della medaglia o, se si vuole – ricordando le divise dei balilla – del medaglione!!! In effetti, il popolo becero e bolso sempre tale è! Le bandiere si seguono finché garriscono al vento, ma se cadono a terra, vanno calpestate e bruciate. Solo i bambini e gli adolescenti sono quelli che – a mio vedere – pagano di più. Quanti amici dopo l’8 settembre salirono sulla montagna, disposti anche a morire sotto l’ombra di un bel fior. E quanti amici andarono al Nord – la Repubblica di Salò – per arruolarsi con i Battaglioni Emme e con il “nuovo esercito” comandato dal maresciallo Graziani.

28 ottobre 1922! Una data da ricordare! Ma soprattutto avvenimenti da studiare! Se è vero che storia è Magistra vitae! Mah! Mi sembra che oggi, con le TIC che giorno dopo giorno fanno passi da gigante e rendono i nostri rapporti interpersonali sempre più ricchi ed intensi, il rischio è quello di vivere schiacciati sul presente! Il passato non esiste ed il futuro è un minuto dopo l’altro! Eppure un grande nostro poeta molti anni fa ci ha ammonito: “O Italiani, io vi esorto alle storie”.

La scuola inventata

La scuola inventata

di Maurizio Tiriticco

 

Chebellochebellochebello! La nostra ministra Giannini è in difficoltà, dopo le critiche di Renzi! Mah! Troppo facile per il Presidente del Consiglio lanciare la caccia all’untore per tutti i pasticci che la 107 ha creato e continua a creare! Ma chi ha scritto la Buonascuola? Non si sa! Chi ha scritto la 107? Idem. Ricordo i bei tempi andati con i ministri DC (sempre democristiani!!! La scuola doveva rigare dritto, con tanti insegnanti comunisti o giù di lì), in effetti molto più “liberali” ed aperti della ministra del Governo Renzi. La velocità non era di casa è vero (in confronto con la rapidità con cui si scrive e si vara una 107 con ben 202 articoli). Ma non era di casa perché nessun ministro e nessun governo avrebbe pensato di sollecitare il varo di leggi profondamente innovative (quali la 107 è) senza “chiedere” e “ascoltare” i pareri altrui, in genere gli uffici scuola dei partiti, i sindacati scuola, il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e gli stessi ispettori (e ne sono testimone diretto!). E ciò valeva anche e soprattutto per le sperimentazioni cosiddette assistite, progettate e realizzate sempre in ordine ai rapporti continui e dialettici con le scuole che ne erano coinvolte. Molti dei vecchi come me ricorderanno, tra le tante iniziative, il Piano nazionale per l’informatica, le sperimentazioni assistite, il Progetto 92, il Progetto Qualità, varato dal ministro pro tempore Tullio De Mauro.

La scuola non è un panno da mettere in lavatrice! La scuola è un insieme di migliaia di persone, alunni, famiglie, insegnanti, dirigenti, dsga et al. E’ un corpo complesso, ricco, certamente, di risorse e di possibilità, con cui un ministro deve “fare i conti”, se si può dir così, prima di assumere una qualsiasi iniziativa. E una 107, se è vero che interessa migliaia e migliaia di persone, non poteva essere scritta, varata e imposta come una tredicesima tavola della Legge divina! Con la scuola – un “corpaccio” complesso – non si può scherzare! E i problemi della nostra scuola sono tanti e di diversa natura: in primo luogo i curricoli, che riguardano gli alunni con i loro bisogni e le loro attese. Basti un solo esempio: è corretto che un percorso obbligatorio decennale sia ancora frantumato in tre segmenti, che spesso tra loro si ignorano nonostante la buona volontà delle Linee guida per il primo ciclo? Ma il primo ciclo termina con la terza media ed un esame che nessuno sa perché ancora debba essere effettuato! O meglio, lo sappiamo! La Costituzione recita all’articolo 33 che alla fine di ogni ciclo di istruzione ci sia un esame di Stato. Ma allora, non sarebbe più opportuno legiferare che il primo ciclo è decennale e termina con il primo biennio dell’istruzione di secondo grado? Una leggina di un solo articolo! Che permetterebbe veramente agli insegnanti tutti dei primi tre cicli – se si può dir così – primaria, media e primo biennio, di progettare/programmare le loro attività con un respiro ampio e certamente produttivo.

Altro che il polpettone di una 107! Che ha complicato la vita e il lavoro di insegnanti e dirigenti con tutta una serie di adempimenti, tra RAV, PDM, bonus, comitati di valutazione, dieci insegnanti dieci scelti dal Ds come collaboratori, insegnanti a chiamata (che pacchia per l’amico dell’amico dell’amico) e/o non so che altro: comunque, tante altre diavolerie che tolgono solo tempi ed energie a quello che una scuola deve semplicemente fare: insegnare ad apprendere. Fortunati i miei anni di insegnante! Il mio lavoro al 99% era in aula con gli alunni! Ora un insegnante, sempre più demotivato e stremato nonché mal pagato, dedica ai suoi alunni la parte residua del suo tempo dopo i numerosi adempimenti formali, poco più poco meno, a cui deve attendere. Per non dire del DS che, come un incallito imprenditore, deve “assumere” un insegnante previa analisi di una documentazione ad hoc e successivo colloquio. E il concorso vinto? E se un DS nomina sulla base di “cose altre”, di cui un Paese in cui “cosa nostra” costituisce una sorta di silenzioso effettivo governo? Cui prodest? Si aboliscano i concorsi e si abbia il coraggio di scrivere una legge 108 di un solo articolo: “La scuola italiana non è più pubblica, ma privata”. Senza troppi ghirigori truffa-popolo! La scuola come corrida! Dove il povero toro finisce di essere tartassato dai picadores e ammazzato dall’estoque de descabellar di cui dispone il torero, perché la testa gli viene tagliata in un sol colpo! La 107 come una sorta di tauromachia nella/della scuola!

Insomma, la scuola una volta era semplicemente una scuola, pesante e noiosa per migliaia di alunni, anche se schola in latino significa otium, passatempo, e studium passione! Ma è l’organizzazione militaresca della scuola (scuole e caserme hanno la stessa struttura fisica: l’obbligo di leva e l’obbligo di istruzione sono state la grande “invenzione” postunitaria perché, una volta fatta l’Italia, bisognava fare gli Italiani) che l’ha resa insopportabile per gli alunni nonché per molti insegnanti, purtroppo! Fortunatamente le eccezioni ci sono, ma sono ancora poche, e la legge 107 certamente non le facilita.

In un mio recente pezzo scrivevo che, perché un’eccezione nasca, occorrono da parte degli insegnanti e dei dirigenti scolastici intelligenza, iniziativa, coraggio. “E queste sono le caratteristiche di un Salvatore Giuliano, dirigente scolastico dell’Istituto Superiore Majorana, di Brindisi. Ma io non voglio dire nulla. Vi affido solo il link per ricercarlo! http://www.majoranabrindisi.it/ Buona lettura! Comunque, Salvatore non è solo! Vi sono altri istituti in Italia che producono innovazioni, pur all’interno di una legislazione che è quella che è. Ricordo il Pacioli di Crema, il Fermi di Mantova, il Volta di Perugia, il Savoia Benincasa di Ancona, il Marco Polo di Bari. Ed altri che non conosco! In questi istituti dirigenti e docenti hanno sconvolto la didattica tradizionale! E vi sono insegnanti che… non insegnano, ma…! E si tratta di realtà attuate anche a norma vigente! Quindi – 107 sì o no – certe iniziative è possibile avviarle e portarle a compimento”.

E allora, se qualcuno – e non sappiamo chi – ha inventato la Buona scuola che non c’è, tanti dirigenti e insegnanti possono inventare e costruire tante scuole Buone che invece ci sono, alla faccia dei laccioli della 107. E se poi la Giannini cadrà, sarà una gran festa! Della quale bisogna approfittare e subito. Prima che un’altra Giannini si insedi a Viale Trastevere! Così alla scuola inventata della 107 potremmo opporre la scuola reale del giorno dopo giorno, faticosa come non mai, ma con delle prospettive che si potrebbero aprire: Insomma, come dicevano i latini – ma come sono bravo a copiare – “hic Rhodus, hic salta – appena il primo salto, a Roma, lo ha compiuto la Giannini!