Gazzetta ufficiale – Serie Generale n. 141

Gazzetta Ufficiale

Sommario

LEGGI ED ALTRI ATTI NORMATIVI

 


DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 16 aprile 2013, n. 68


Regolamento recante modifiche all’articolo 330 del decreto del
Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, in materia di
commissioni mediche locali. (13G00111)

 

 

Pag. 1

 

 

DECRETI PRESIDENZIALI

 


DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 6 aprile 2013


Ulteriore proroga del termine stabilito dall’articolo 5, comma 5, del
decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107, come sostituito dalla legge di
conversione 2 agosto 2011, n. 130. (13A05156)

 

 

Pag. 4

 

 

 


DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 6 giugno 2013


Scioglimento del consiglio comunale di Calolziocorte. (13A05225)

 

 

Pag. 4

 

 

 


DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 6 giugno 2013


Scioglimento del consiglio provinciale di Lodi e nomina del
commissario straordinario. (13A05226)

 

 

Pag. 5

 

 

DECRETI, DELIBERE E ORDINANZE MINISTERIALI

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

 


DECRETO 14 maggio 2013


Obiettivi programmatici relativi al Patto di stabilita’ interno per
il triennio 2013-2015 delle province e dei comuni con popolazione
superiore a 1.000 abitanti, di cui all’articolo 31, comma 19, della
legge 12 novembre 2011, n. 183. (13A05159)

 

 

Pag. 6

 

 

 


DECRETO 11 giugno 2013


Riapertura delle operazioni di sottoscrizione dei buoni del Tesoro
poliennali 4,75%, con godimento 22 gennaio 2013 e scadenza 1°
settembre 2028, sesta e settima tranche. (13A05253)

 

 

Pag. 29

 

 

 


DECRETO 11 giugno 2013


Riapertura delle operazioni di sottoscrizione dei buoni del Tesoro
poliennali 2,25%, con godimento 15 aprile 2013 e scadenza 15 maggio
2016, quinta e sesta tranche. (13A05254)

 

 

Pag. 30

 

 

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI

 


DECRETO 27 marzo 2013


Modalita’ di comunicazione della chiamata di lavoro intermittente.
(13A05157)

 

 

Pag. 31

 

 

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

 


DECRETO 10 giugno 2013


Invito a presentare manifestazioni di interesse per la realizzazione
del Programma nazionale triennale della pesca marittima e
dell’acquacoltura 2013-2015. (13A05155)

 

 

Pag. 33

 

 

 


DECRETO 11 giugno 2013


Estensione della dichiarazione dell’esistenza del carattere di
eccezionalita’ degli eventi calamitosi verificatisi nella regione
Calabria. (13A05230)

 

 

Pag. 36

 

 

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

 


DECRETO 23 maggio 2013


Sostituzione del commissario governativo per la «Fenisor Porfido –
Societa’ cooperativa», in Orta di Atella. (13A05169)

 

 

Pag. 37

 

 

 


DECRETO 23 maggio 2013


Revoca del commissario liquidatore della «Societa’ cooperativa Edil
Popolare Tor Lupara di Mentana», in Mentana e nomina del commissario
liquidatore. (13A05170)

 

 

Pag. 37

 

 

 


DECRETO 23 maggio 2013


Sostituzione del commissario liquidatore della «La Presente Societa’
Cooperativa» in Santa Marina. (13A05199)

 

 

Pag. 38

 

 

 


DECRETO 28 maggio 2013


Revoca degli amministratori e dei sindaci della « Per case economiche
S. Croce», in Roma posta in gestione commissariale con nomina del
commissario governativo. (13A05171)

 

 

Pag. 38

 

 

 


DECRETO 28 maggio 2013


Liquidazione coatta amministrativa della «Taurasia – societa’
cooperativa», in Moncalieri e nomina del commissario liquidatore.
(13A05200)

 

 

Pag. 40

 

 

 


DECRETO 5 giugno 2013


Chiusura delle societa’ del gruppo Flotta Lauro: Eraclide – societa’
di navigazione S.p.a. ed Elios – societa’ di navigazione S.p.a. in
amministrazione straordinaria. (13A05158)

 

 

Pag. 41

 

 

DECRETI E DELIBERE DI ALTRE AUTORITA’

AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO

 


DETERMINA 27 maggio 2013


Inserimento del medicinale «teriparatide» (Paratormone – PTH)
nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio
sanitario nazionale, ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 648,
quale terapia sostitutiva ormonale per la cura dell’ipoparatiroidismo
cronico grave. (Determina n. 507). (13A05201)

 

 

Pag. 42

 

 

COMMISSIONE DI GARANZIA DELL’ATTUAZIONE DELLA LEGGE SULLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI

 


DELIBERA 20 maggio 2013


Regolamentazione provvisoria delle prestazioni indispensabili, delle
procedure di raffreddamento e di conciliazione e delle altre misure
di cui all’articolo 2, comma 2, della legge n. 146 del 1990, come
modificata dalla legge n. 83 del 2000, nel servizio di rimorchio
portuale. (Delibera n. 13/161). (13A05084)

 

 

Pag. 45

 

 

UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO

 


DECRETO RETTORALE 20 maggio 2013


Modifiche allo Statuto. (13A05231)

 

 

Pag. 53

 

 

ESTRATTI, SUNTI E COMUNICATI

AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO

 


COMUNICATO


Modificazione dell’autorizzazione all’immissione in commercio del
medicinale per uso umano «Actigrip Gola» (13A05227)

 

 

Pag. 54

 

 

 


COMUNICATO


Modificazione dell’autorizzazione all’immissione in commercio del
medicinale per uso umano «Sintamin» (13A05228)

 

 

Pag. 64

 

 

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

 


COMUNICATO


Cambi di riferimento rilevati a titolo indicativo, del giorno 7
giugno 2013 (13A05269)

 

 

Pag. 65

 

 

 


COMUNICATO


Cambi di riferimento rilevati a titolo indicativo, del giorno 10
giugno 2013 (13A05270)

 

 

Pag. 65

 

 

 


COMUNICATO


Cambi di riferimento rilevati a titolo indicativo, del giorno 11
giugno 2013 (13A05271)

 

 

Pag. 66

 

 

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI

 


COMUNICATO


Riconoscimento, alla sig.ra Bartkeviciute Lolita, di titolo di studio
estero abilitante all’esercizio in Italia della professione di
estetista. (13A05272)

 

 

Pag. 66

 

 

 


COMUNICATO


Riconoscimento, alla sig.ra Macarie Cristina Paula, di titolo di
studio estero abilitante all’esercizio in Italia della professione di
estetista. (13A05273)

 

 

Pag. 66

 

 

 


COMUNICATO


Riconoscimento, alla sig.ra Ramirez Ana Laura, di titolo di studio
estero abilitante all’esercizio in Italia della professione di
estetista. (13A05274)

 

 

Pag. 66

 

 

 


COMUNICATO


Riconoscimento, alla sig.ra Berki Bisinella Andrea, di titolo di
studio estero abilitante all’esercizio in Italia della professione di
estetista. (13A05275)

 

 

Pag. 66

 

 

 


COMUNICATO


Riconoscimento, alla sig.ra Lencina Moreno Maria Isabel, di titolo di
studio estero abilitante all’esercizio in Italia della professione di
estetista. (13A05276)

 

 

Pag. 66

 

 

 


COMUNICATO


Riconoscimento, alla sig.ra Buono Patrizia, di titolo di studio
estero abilitante all’esercizio in Italia della professione di
estetista. (13A05277)

 

 

Pag. 67

 

 

 


COMUNICATO


Riconoscimento, alla sig.ra Rosu Mariana, di titolo di studio estero
abilitante all’esercizio in Italia della professione di estetista.
(13A05278)

 

 

Pag. 67

 

 

 


COMUNICATO


Riconoscimento, alla sig.ra Matei Veronica, di titolo di studio
estero abilitante all’esercizio in Italia della professione di
estetista. (13A05279)

 

 

Pag. 67

 

 

 


COMUNICATO


Riconoscimento, alla sig.ra Depaoli Ilenia, di titolo di studio
estero abilitante all’esercizio in Italia della professione di
estetista. (13A05280)

 

 

Pag. 67

 

 

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

 


COMUNICATO


Domanda di modifica della denominazione registrata «Chaource»
(13A05229)

 

 

Pag. 67

 

 

SUPPLEMENTI ORDINARI

 


DECRETO 31 gennaio 2013


Adozione del Programma nazionale triennale della pesca e
dell’acquacoltura 2013-2015. (13A05119)

 

(Suppl. Ordinario n. 49)

Lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute

Lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute

di Margherita Marzario

 

Abstract: L’Autrice offre un breve commento della legge n. 189 del 2012 rimarcando i molteplici valori insiti nel bene comune “salute”

 

Quello che colpisce nella legge 8 novembre 2012 n. 189, legge di conversione con modificazioni, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, è la rubrica “recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”. Il concetto di sviluppo evoca la locuzione “pieno sviluppo della persona umana” dell’art. 3 comma 2 Costituzione e lo sviluppo del bambino, più volte richiamato nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989, e rimarca la concezione maturata da tempo secondo cui la salute non è un fine ma un mezzo. “Una buona salute è una risorsa significativa per lo sviluppo sociale, economico e personale ed è una dimensione importante della qualità della vita. Fattori politici, economici, sociali, culturali, ambientali, comportamentali e biologici possono favorire la salute, ma possono anche danneggiarla. L’azione della promozione della salute punta a rendere favorevoli queste condizioni tramite il sostegno alla causa della salute” (dalla Carta di Ottawa per la promozione della salute del 1986).

La legge di conversione, in linea anche con gli obiettivi fissati a livello europeo nel Documento di carattere politico-tecnico “Salute 21 – Salute per tutti nel 21° secolo” (marzo 1999), conferma tutti i principi elaborati in questi ultimi anni cui deve ispirarsi la sanità: organizzazione; territorializzazione (di cui è espressione il patto della salute); multiprofessionalità (e non iperspecializzazione); valutazione (di cui uno degli strumenti è l’audit); efficacia, sicurezza e ottimizzazione dei servizi sanitari; formazione e informazione. L’audit, che comincia col prefisso “au”, dal latino “auris”, orecchio, rileva la necessità di porgere l’orecchio alle vere esigenze dei cittadini. Solo così si ha una verifica dei servizi per renderli, poi, più congruenti.

Il riferimento continuo alle “cure primarie” non sottolinea solo la necessità di somministrare le cure di base, ma la necessità di somministrare cura che risponda alle esigenze primarie del paziente, tra cui ascolto e accoglienza.

Opinabile, invece, la scelta di sostituire in alcune disposizioni legislative l’espressione “giovani” con “minori”; sarebbe stato preferibile sostituire, perché più adeguata, con “persone minori di età”.

Encomiabile la disposizione: “Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca segnala agli istituti di istruzione primaria e secondaria la valenza educativa del tema del gioco responsabile affinché gli istituti, nell’ambito della propria autonomia, possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco e i potenziali rischi connessi all’abuso o all’errata percezione del medesimo”. Significativa la locuzione “senso autentico del gioco”: con un approccio ludico e ludiforme alla vita, la scuola riacquisterebbe il suo significato etimologico di “riposo da fatica corporea, il quale dà opportunità di ricreazione mentale” arginando problemi giovanili quali bullismo, dipendenze, disturbi del comportamento alimentare. La scuola quale fucina di cultura diviene fonte di crescita e benessere (ben-essere), di sviluppo culturale e spirituale, per cui bisognerebbe investire di più nelle scuole per investire di meno in ospedali, centri di recupero e comunità. Bisogna rivitalizzare la scuola come culla di una nuova cultura dei diritti, di nuova cultura della persona: è questa la principale forma di prevenzione. Funzione di prevenzione come nel disegno costituzionale in cui la disciplina della scuola (artt. 33-34 Cost.) segue all’articolo 32 relativo alla salute e precede la disciplina dell’ambiente lavorativo (artt. 35 e ss. Cost.). Nuova cultura dei diritti come nell’intento del Progetto UNICEF Italia e MIUR “Verso una scuola amica”.

Apprezzabile anche la previsione, pur non priva di ipocrisia perché senza copertura finanziaria: “Presso l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a  seguito  della sua incorporazione, presso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, è istituito, senza nuovi o maggiori oneri a  carico  della finanza pubblica, un osservatorio di cui fanno parte, oltre  ad esperti individuati dai Ministeri della salute, dell’istruzione, dell’università e della ricerca, dello sviluppo   economico e dell’economia e delle finanze, anche esponenti delle associazioni rappresentative delle famiglie e dei giovani, nonché rappresentanti dei comuni, per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Ai componenti dell’osservatorio non è corrisposto alcun emolumento, compenso o rimborso di spese”.

Questa legge, oltre alla razionalizzazione dei servizi sanitari, mira anche a rivitalizzarne la costituzionalizzazione, in altre parole a ripristinare i valori costituzionali nella sanità pubblica ove, spesso, dovendo fare i conti con i tagli alle spese pubbliche e ad altri disservizi, spesso sono trascurati. Non solo l’art. 32 Costituzione, relativo alla salute, ma anche l’art. 2 perché un miglior funzionamento dei servizi sanitari contribuisce a garantire i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e adempie ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Si contribuisce alla promozione dell’uguaglianza e alla rimozione degli ostacoli, ai sensi dell’art. 3 Costituzione, e al progresso materiale o spirituale della società, ai sensi dell’art. 4 Costituzione. Con una nuova cultura sanitaria si promuove anche lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica (art. 9 comma 1 Cost.).

In tal modo si concretizzano tutti i significati di salute e sanità e dell’ecologia umana (lo studio delle relazioni fra gli esseri umani e il loro ambiente e la sostenibilità dello sviluppo): “Il mondo è tenuto in piedi da quella parte di umanità che lavora, ama, solidarizza con i piccoli ed i più deboli, rispetta l’ambiente. Gente che fa sempre la sua parte, che non grida e non dà sempre la colpa agli altri. Persone generose, umili, che vivono, lavorano e fanno del bene con discrezione, che amano la vita. Nonostante tutto. Persone che già oggi rendono migliore il mondo. E che non smettono di sognare un mondo migliore per tutti” (l’autore brasiliano Agostino Degas).

Le difficoltà della… difficile scommessa di Raffaele Laporta!

Le difficoltà della… difficile scommessa di Raffaele Laporta!
Attualità della proposta avanzata da Raffaele Laporta 42 anni fa!*

di Maurizio Tiriticco

“Esiste una diffusa pratica di ‘educatori’ che non hanno rispetto per la libertà dei loro educandi; anzi, si può affermare che una gran parte della riflessione sull’educazione abbia all’origine proprio constatazioni relative ai danni prodotti da un tale tipo di pratica”
Raffaele Laporta, “L’assoluto pedagogico”, p. 257

La temperie del dopoguerra e degli anni Cinquanta

Nell’immediato dopoguerra, in un Paese distrutto e con una grande ansia di tornare alla normalità e di ricostruire, si hanno più spinte per quanto riguarda la scuola e l’occupazione. Le più significative sono le seguenti:
– dopo il ventennio della dittatura fascista si avverte il problema di una scuola che deve istruire più che… “educare” agli ideali fascisti! Nel nuovo scenario democratico il Ministero dell’Educazione Nazionale, istituto nel 1929, torna ad essere il Ministero della Pubblica Istruzione, come era stato istituito fin dal 1861, con l’avvio dell’Unità nazionale;
– dai Paesi più avanzati del nostro si propongono i primi suggerimenti relativi a promuovere un’istruzione aperta a tutti e per più anni di età: sono i prodromi di quella che poi si chiamerà l’Educazione Permanente, “dalla culla alla tomba”
– ha inizio l’esperienza di Scuola-Città Pestalozzi di Firenze, fondata nel 1945, scuola statale sperimentale, primaria e secondaria di primo grado, di norma “di differenziazione didattica”, di fatto un crogiolo di sperimentazioni di avanguardia. La dirige Ernesto Codignola; il suo motto è “Festina lente”: procedere con fermezza ma con i tempi necessari;
– si avverte l’esigenza di riavviare una ricerca pedagogica interrotta con il fascismo e l’attualismo di Gentile; si ritorna per certi versi all’attivismo laico, per altri allo spiritualismo cattolico;
– nel 1945 si varano i primi programmi della scuola elementare. Si avverte l’influenza di Charleton Washburne e della “scuola di Winnetka”; i programmi sono chiaramente laici e, di fatto, sono in larga misura osteggiati dai cattolici.

La situazione culturale nel nostro Paese è estremamente arretrata. Sono ancora larghe le fasce degli analfabeti e la ricerca educativa di fatto non esiste. Con il fascismo e con il razzismo di Stato il fondamento dell’educazione era la mistica del fascismo! Con l’esaltazione patriottarda e dell’“imperialismo straccione”! E la galera e il confino per gli oppositori!

Il da fare è enorme e non solo per la scuola dei piccoli.

Nel 1947 un gruppo di studiosi fonda l’UNLA, Unione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo. Ne è presidente Francesco Saverio Nitti; altri nomi illustri sono: Arangio Ruiz, Salvatore Valitutti, Anna Lorenzetto, Saverio Avveduto.

E nel 1949 il largo pubblico conosce per la prima volta Dewey, ovviamente volutamente misconosciuto dal fascismo e dall’etica gentiliana. Enzo Enriquez Agnoletti e Paolo Paduano (con la sovrintendenza di Lamberto Borghi) traducono per La Nuova Italia di Firenze “Democrazia e Educazione”, che aveva visto la luce a New York nel lontano 1916.

Negli anni Cinquanta, dopo la Ricostruzione, esplode un vero e proprio boom economico. Nel 1955 la Fiat lancia la Seicento, l’automobile che sarà prodotta fino al 1969 e sarà acquistata da tutti gli Italiani. In quegli anni le lotte dei contadini e degli operai saranno molto forti e segnano una forte tensione finalizzata al definitivo riscatto sociale e culturale della popolazione.
Le classi meno abbienti chiedono cultura per i loro figli: il trinomio classico della seconda metà dell’Ottocento “leggere, scrivere e far di conto” è garanzia di un riscatto culturale, di un diploma e di un lavoro dignitoso e – per certi versi – “intellettuale”. Quel contadino del Sud, soprattutto, che ai tempi della prima scuola dell’obbligo (leggi Casati e poi Coppino: seconda metà dell’Ottocento) non voleva mandare i figli a scuola per non perdere le loro “braccia” nel lavoro dei campi, negli anni Cinquanta del Novecento, invece, esige la scuola per i suoi figli, e la sua grande ambizione è quella di “avere il figlio professore”.
Vengono “scoperti” gli appunti e gli scritti a cui Antonio Gramsci aveva atteso nella sua lunga prigionia. E i “Quaderni del carcere” cominciano a vedere la luce a partire dal 1948: peculiare fu l’edizione critica che ne fece Valentino Gerratana. I Quaderni, oltre alle riflessioni sulla nostra storia, civiltà e costumi, costituiscono anche un alto esempio di educazione laica.
È in tale temperie che nel 1955 sono varati i nuovi Programmi Ermini della scuola elementare: si ha una sorta di riscossa congiunta dello spiritualismo di Maritain e del pensiero pedagogico cattolico. La riflessione sui problemi dell’educazione ha il suo avvio. Nei nuovi programmi si sostiene la tesi del “fanciullo tutto intuizione, fantasia e sentimento”; e “la religione cattolica costituisce il coronamento e il fondamento della formazione scolastica”.
Raffaele Laporta, già attivo nell’attività educativa e nella ricerca pedagogica, nel 1957 è chiamato a dirigere la Scuola-Città Pestalozzi.

Il CONTESTO IN CUI NASCE LA DIFFICILE SCOMMESSA DI RAFFAELE LAPORTA

Gli anni Sessanta

Negli anni del boom socioeconomico e dell’impennata della domanda di istruzione si ha una forte iniziativa della politica nei confronti della scuola.
Con la legge 1859 del 1962 l’obbligo di istruzione, che fino a quell’anno riguardava la sola scuola elementare, viene innalzato di tre anni, fino ai 14 anni di età.
Nasce la cosiddetta “scuola media unificata”. In effetti, la vecchia scuola media triennale, istituita dal ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai (la riforma fascista avviata con la cosiddetta “Carta della Scuola” del 1939) viene unificata con le scuole di avviamento al lavoro, a suo tempo cancellato dalla riforma Bottai e “restaurato” nell’immediato dopoguerra per rispondere alle nuove necessità di quel lavoro manuale richiesto dalle attività della Ricostruzione.

Si comincia a discutere su quali siano le finalità della scuola in una società democratica e bisognosa di conoscenze e di cultura. In effetti nella nuova scuola media unificata si boccia, in quanto in essa non è stata attuata alcuna iniziativa finalizzata a un rinnovamento dei metodi di insegnamento e di studio. L’unica innovazione, per altro non significativa sotto il profilo metodologico, è quella dell’abolizione dello studio del latino, considerato una sorta di strumento di selezione culturale e sociale.
Si segnala il “maestro” Bruno Ciari, con un libro profondamente innovativo: “Le nuove tecniche didattiche”, del 1961.
E nel 1963 un giovane studioso, Tullio De Mauro, pubblica per Laterza la “Storia linguistica dell’Italia unita”.

Per la prima volta gli strumenti dell’analisi linguistica strutturale sono utilizzati per studiare l’evolversi della nostra lingua e della nostra cultura, considerate nel loro insieme e nel loro uso da parte delle diverse classi sociali. Un’opera che i cosiddetti benpensanti non capirono, ma che fu di estrema utilità nella ricerca, da parte di tanti insegnanti motivati, soprattutto nella scuola dell’obbligo, di come operare concretamente per “insegnare l’italiano” o meglio per fare apprendere la nostra lingua.

Negli stessi anni il Comune di Reggio Emilia organizza una rete di servizi educativi con cui si aprono i primi asili per bambini dai 3 ai 6 anni. Ne è animatore Loris Malaguzzi. Nasce così quella scuola per l’infanzia emiliana che tutto il mondo ci ha invidiato.

In quel periodo Raffaele Laporta riflette sulla natura di classe della scuola e avverte come questa debba costituire, invece, un appannaggio dell’intera comunità sociale. Nel 1963 pubblica, per La Nuova Italia, “La comunità scolastica”: una temperie di ricerca e di spunti fortemente innovativi, di riflessioni e di studi. Un crogiolo di idee che ha permesso alla nostra ricerca pedagogica e alla nostra attività educativa poderosi balzi in avanti!

La nuova scuola media parte con l’anno scolastico 1963/64, ma… fioccano le “bocciature”. La nuova scuola, nonostante le grandi attese, boccia invece di promuovere!
Perché?
Perché nessuna innovazione metodologica era stata apportata e fare accedere “nuove” leve di adolescenti provenienti da comparti sociali che da secoli non avevano “masticato” quella cultura borghese esclusiva e discriminante, significava soltanto umiliarli ed escluderli. Eppure esiste una cultura popolare degna di tutto rispetto, che ovviamente quella ufficiale aveva sempre misconosciuto.

È opportuno ricordare che proprio nel 1962 Carlo Salinari pubblica la “Storia popolare della letteratura italiana”: una ricerca attenta sul valore “colto” di tanta produzione “popolare” che una tradizione cosiddetta colta non ha mai voluto considerare! Di fronte alla bocciature della scuola media, i “reazionari” esultano. In effetti sono stati sempre contrari a una scuola aperta a tutti! E sostenevano che, se mandiamo a scuola tutti, creeremo soltanto una generazione di ignoranti, perché la scuola e lo studio non sono per tutti.

Possiamo ricordare che anche Pio IX aveva reagito pesantemente contro la scuola obbligatoria, avviata dalla Legge Casati del 1861, allora di soli due anni. E aveva scritto così al Re d’Italia:
“Maestà, non ho dato corso alla prima lettera qui unita, e che ho diretto a Vostra Maestà, perché il Sig. Ministro del Portogallo mi assicurò di aver scritto in proposito, ma non vedendo riscontro, invio a V.M. la stessa lettera. Vi unisco poi la presente per pregarLa a fare tutto quello che può affine di allontanare un altro flagello, e cioè una legge progettata, per quanto si dice relativa alla Istruzione Obbligatoria. Questa legge parmi ordinata ad abbattere totalmente le scuole cattoliche, soprattutto i seminari. Oh quanto è fiera la guerra che si fa alla religione di Gesù Cristo! Spero dunque che la V. M. farà si che, in questa parte almeno, la Chiesa sia risparmiata. Faccia quello che può, Maestà, e vedrà che Iddio avrà pietà di Lei. Lo abbraccio nel Signore” [Pio IX, Lettera a Vittorio Emanuele II, 3 gennaio 1870].

Occorre, invece ricordare e con forza che con la legge 1859/62 si attuavano i principi fondanti della nuova Carta costituzionale, varata alla fine del 1947, di cui agli articoli 2 e 3, che è opportuno ricordare:
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Va ribadito che la nostra Costituzione repubblicana è quella di un Paese moderno, avanzato, colto soprattutto, e che non ha nulla a che vedere con lo Statuto albertino del 1848, che è ancora tipico di un Paese, anzi di un Regno, non di cittadini, ma di sudditi e di “regnicoli”, abitanti di un regno, profondamente diviso in classi sociali.

È in questo clima di profonda disillusione che interviene la ricerca pedagogica – dopo la sottovalutazione di cui aveva sofferto nel periodo fascista, contrassegnato dalla cultura e dall’idealismo gentiliani – a dare i primi suggerimenti per sostenere lo sforzo che si fa nelle scuole per “non bocciare”.

La pedagogia stessa comincia a riflettere su se stessa, sulla sua natura e sui suoi fini. In primo luogo si vuole riscattare dalla filosofia, nella cui area era stata confinata dalla cultura gentiliana, e si vuole porre come una nuova scienza a tutto tondo. Questo è anche il pensiero di Laporta! E di altri ricercatori di avanguardia! Si introduce il concetto di Scienza o di Scienze dell’educazione e Aldo Visalberghi ne individua oltre venti: tutte le psicologie, la sociologia, l’antropologia, la docimologia… ecc.

Sono anche gli anni in cui nasce la contestazione studentesca contro la “scuola dei padroni” e l’autoritarismo dei baroni. Contro una scuola che impone invece di proporre, che tende a estendere la cultura dominante invece di sollecitare la ricerca di una cultura nuova. Le lotte studentesche vanno da Berkley a Pechino, da Parigi a Roma. E interessano i giovani di tutto il mondo avanzato. È quel movimento che, com’è noto, culmina con le vicende del biennio 68/69!

Si avverte sempre più largamente la necessità che la società intervenga a sostenere la scuola nei suoi sforzi. Si comincia a parlare di scuola aperta al sociale (si va verso i decreti delegati del ’74), alla comunità, al territorio. Si accusa la scuola di non essere in grado di promuovere cultura, ma di essere capace solo di bocciare.

È in questa temperie di forti polemiche che esce la “Lettera a una Professoressa” di Don MIlani, del 1967. La scuola dell’obbligo è sotto attacco! Obbliga i bambini ad andare a scuola, ma poi non fa nulla per promuoverli. Ne offende cultura e intelligenza! Non li comprende. È ancora una scuola fatta solo per i figli dei borghesi e non per i figli degli operai e dei contadini. E li discrimina non appena aprono bocca.
Dice Don Lorenzo: “Bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo. Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio: Non si dice lalla, si dice aradio. Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola. ‘Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua’. L’ha detto la Costituzione”.

La fiera invettiva di Don Milani e dei suoi ragazzi viene sostenuta da ricerche sociologiche di tutto rispetto e puntualmente fondate nelle analisi che vengono condotte. Marzio Barbagli e Marcello Dei pubblicano “Le Vestali della classe media”, Il Mulino, 1969. Le vestali sono le professoresse, e i professori, della classe media piccolo-borghese, preoccupati più a difendere e a promuovere la loro cultura di classe che a intercettare le culture nuove di cui sono portatori i nuovi alunni obbligati.

Il clima lungo tutti gli anni Sessanta è molto teso: la cultura dominante è quella borghese. Così affermano il movimento studentesco e un congruo drappello del movimento insegnanti. La domanda di fondo è: che fare? Abbattere una certa cultura? Ma in nome di che? Avviare una nuova cultura, ma come e in quale direzione? E la scuola? Va cambiata? È possibile cambiarla? Va distrutta? Oppure occorre che dell’istruzione si faccia carico la società nel suo insieme, la comunità, o meglio l’insieme delle comunità delle città e delle campagne?
E poi c’è il problema del Sud del Paese, con la sua secolare arretratezza.

Nel 1965, con la legge 717, nasce la Cassa del Mezzogiorno e, con essa, nascono in tutte le Regioni del Sud, in Calabria soprattutto, i Centri di servizi culturali. Nel Meridione si segnala il Movimento di Collaborazione Civica, di cui Raffaele Laporta è uno dei responsabili. Il Movimento è diretto da Ebe Flamini; ne fanno parte lo scrittore Augusto Frassineti, l’educatore Cecrope Barilli, già attivo nei Cemea, Centri d’Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva.
In quegli anni, tra le citate azioni in favore del Meridione, nasce anche l’Università della Calabria (1972), con sede ad Arcavacata di Rende, Cosenza. Ne è convinto animatore Raffaele Laporta.
Nella temperie di pubblicazioni sull’istruzione e sulla scuola va ricordata la pubblicazione nel 1968 de “La pedagogia degli oppressi” di Paulo Freire, pedagogista brasiliano: viene proposta la cosiddetta teologia della liberazione, ovvero l’educazione come strumento di liberazione.

È importante ricordare come in quegli anni si fronteggiassero due tesi diametralmente opposte, anche se le sfumature, ovviamente, non mancavano. Da un lato vi era il movimento studentesco che sosteneva che quella scuola, quella università fossero irriformabili e dovessero essere distrutte in quanto portatrici per natura e vocazione della cultura dominante, per se stessa di classe e repressiva. Dall’altra altri movimenti sostenevano, invece, che la cultura e l’istruzione potessero diventare strumenti di liberazione e di emancipazione sociale.

Ma se questa tesi era da sostenere, a quali condizioni la scuola poteva diventare strumento di liberazione?
Solo se l’istruzione e la cultura fossero proposte non da istituzioni a ciò dedicate, ma dall’intera comunità sociale del territorio. E si tratta della tesi a cui Laporta prima si avvicina e che poi sostiene con convinzione profonda. Pur sapendo però che non sarà affatto cosa facile restituire la scuola alle comunità. In effetti si tratterà… di una scommessa… molto molto difficile!

Gli Anni Settanta

Gli Anni Settanta non sono affatto da meno per quanto riguarda la discussione sulla scuola e sul suo valore o disvalore sociale e culturale.

Nel 1970 viene pubblicato in Italia il saggio di Louis Althusser, “Ideologia e apparati ideologici di Stato”: l’autore sostiene che la scuola non libera affatto i suoi alunni, ma li omologa ai valori della cultura dominante. La scuola ha di per sé una natura solamente classista! È un perfetto strumento di conservazione sociale.

Da altre parti, però, si sostiene che i nuovi nati non possono non essere “educati”. Ma si tratta di un compito che la società nel suo insieme, nelle sue diverse istituzioni e strutture, deve assumere. In effetti, non è la scuola, ma la società stessa che può e deve essere educante!
Un primo passo è quello di creare una scuola a tempo pieno. E questa nasce nel nostro Paese con la legge 820 del 1971. Ma sarà sufficiente una scuola a tempo pieno? Non sarà necessario attivare anche una scuola a spazio aperto? Una scuola aperta sul sociale e sulle sue problematiche?

Si avverte largamente la necessità di dar vita a una scuola “aperta” anche e soprattutto sotto il profilo ideologico e culturale. E che, ovviamente, non perda le sua caratteristiche fondanti di prima istituzione inculturante e acculturante. E una scuola essenzialmente lontana da qualsiasi manipolazione ideologica, palese o nascosta.
Di qui le posizioni fortemente critiche nei confronti dell’insegnamento obbligatorio della religione cattolica, anche in considerazione del fatto che i Patti Lateranensi sono entrati di diritto – anche se dopo accesissime discussioni all’interno dell’Assemblea Costituente – nella nostra Carta Costituzionale. Due concetti forti costituiscono motivi di interessanti e vivaci dibattiti: la Laicità e la Pubblicità della scuola.

In questo clima convulso, ma ricco di stimolanti dibattiti, Raffaele Laporta pubblica “Educazione sociale”, nel 1970. Sono i prodromi di un successivo volume, quello che farà storia, “La difficile scommessa”.

In tale scenario così ricco di idee, non possiamo non ricordare le posizioni dei cosiddetti “descolarizzatori”, Paul Goodman, Everett Reimer e Ivan Illich, che con “Descolarizzare la società”, del 1972, vanno oltre una scuola aperta. Sostengono che la scuola come istituzione non solo non ha più senso, ma non può neanche rispondere ai nuovi bisogni di conoscenza, di educazione, di cultura. Essi affermano con estrema chiarezza: chiudiamo le scuole e affidiamo i processi di insegnamento e apprendimento al sociale e alle sue istituzioni.

E motivo discriminante per la selezione sociale che da sempre divide uomini e gruppi è la lingua, lo strumento di discriminazione più potente. E allora come insegnare la lingua? Con la grammatica di sempre?

Una risposta coraggiosa viene data. A questo proposito non possiamo dimenticare l’interessante e dirompente contributo per l’insegnamento linguistico nella scuola per l’infanzia e per quella elementare che viene offerto dalla “Grammatica della fantasia, introduzione all’arte di inventare storie”, di Gianni Rodari, edito per Einaudi nel 1973. La lingua si apprende parlando! E, quando si è piccoli, l’invenzione è sovrana, e costruire storie è il modo migliore per costruire linguaggio. Questo l’insegnamento di Rodari, arricchito da pagine suggestive, tutte tese a suggerire le infinite tecniche dell’invenzione. Quindi, prima e dopo la grammatica delle regole, c’è la grammatica della fantasia! Una grammatica costruita più che appresa!

Chiudiamo queste note con due opere, assolutamente agli antipodi, ma che ci danno il senso di quel vivace dibattito che caratterizza tutto il decennio del 1970. Da un lato la ricerca di due sociologi francesi, Pierre Bourdieu e Jean Claude Passeron, “La Riproduzione del sistema scolastico ovvero della conservazione dell’ordine culturale”, del 1972.
Gli autori non nutrono alcuna speranza: la scuola ha un solo fine, quello di riprodurre ideologie, valori e credenze della società che la esprime e che l’ha istituzionalizzata. La scuola è solo uno strumento di conservazione e di riproduzione sociale. Dall’altro lato, invece, Edgar Faure pubblica nel 1972, per conto dell’Unesco, un rapporto all’insegna del più fiducioso ottimismo, più noto come Rapporto Faure, intitolato “Apprendere ad essere”. La visione ottimistica e forse un po’ ingenua di un Paulo Freire trova corpo in un documento di politica dell’educazione che lancia una sfida ai governi di tutti i Paesi del mondo.
Nel Rapporto la visione catastrofistica delle finalità della scuola e dell’istruzione vengono a cadere in ordine a un approccio diverso che viene condotto non tanto sulla scuola, ma sui fini generali dell’educazione. I rischi che si corrono non sono nella scuola in sé, ma nel fatto che l’evoluzione delle tecnologie – che in quegli anni stavano compiendo il loro primo balzo – se condotta senza la considerazione e lo sviluppo di un solido retroterra culturale e civile, rischierebbe di mettere in ombra quello sviluppo civile che è il cardine della nostra civiltà. Pertanto, l’educazione deve assumere il suo ruolo per consentire a ciascun cittadino di affrontare e risolvere i problemi personali e del suo gruppo e di assumere quelle decisioni che siano garanti di uno sviluppo che sia nel contempo scientifico, tecnico e civile.
Il Rapporto ebbe un lusinghiero successo, in quanto permise di ricollocare in un’ottica corretta e produttiva il problema dell’educazione e della scuola al termine del Secondo Millennio.

L’azione e il pensiero di Raffaele Laporta: Scuola sì! Scuola no! Scuola come!

Una scuola che provenga dal sociale e appartenga al sociale, ma… come? Si tratta in verità di una scommessa, anzi di una “Difficile Scommessa”! È il saggio più significativo di quegli anni nel nostro panorama pedagogico. Esce nel 1971 per La Nuova Italia ed è dedicato alla memoria di Bruno Ciari, scomparso l’anno precedente.

Laporta scrive nel pieno della contestazione studentesca. Ne coglie il significato profondo e lo comprende, ma… ritiene che rifiutare la “scuola dei padroni” e l’“università dei baroni” – per noi suoi allievi lui era il “barone rosso” – non significa e non deve significare un rifiuto tout court dell’istruzione e dell’educazione.
La questione è un’altra!
La scuola, o meglio l’istruzione e i suoi processi vanno sottratti all’istituzione, qualunque essa sia – nel caso italiano, a un ministero – e consegnati alla società nel suo insieme. Ma come? È qui il nodo della scommessa: è la società stessa e nel suo tessuto di istituzioni e organizzazioni che può insegnare ed educare, ma vanno ricercate insieme – dal basso e dall’alto – le nuove fonti e le nuove responsabilità che siano in grado di orientare e governare i processi formativi.
In effetti i descolarizzatori sono più incisivi nella loro proposta. Ma Laporta non è un descolarizzatore, anzi è uno scolarizzatore a tutto campo, ma… quale proposta concreta si può avanzare in merito? Laporta non lo dice, riconosce però che è una sfida, una scommessa, e di un’estrema difficoltà. È qui la grandezza e il limite del pensiero laportiano agli inizi degli anni Settanta.
Ma il suo pensiero non è isolato! In effetti interpreta una esigenza che in quegli anni prende sempre più corpo, giorno dopo giorno, in vasti settori della popolazione, soprattutto di quella parte che è rimasta esclusa dai processi di educazione, istruzione e formazione. Basta fare un rapido calcolo: la scuola media obbligatoria è partita dall’anno scolastico 1963/64 e i primi esami terminali si sono effettuati nella tornata del 1967. E le bocciature erano fioccate numerose. E non a caso è dello stesso ’67 la “Lettera a una professoressa” di Don Milani. Un gran numero di quattordicenni dal ’67 in poi erano stati esclusi da quell’istruzione obbligatoria che invece la stessa Carta costituzionale auspicava. E non fu un caso che proprio agli inizi degli anni Settanta maturò nella classe operaia e nella sua parte più avanzata l’esigenza che la “scuola” venisse “riaperta” per tutti coloro che ne erano stati esclusi.

Ma procediamo con ordine seguendo lo sviluppo del pensiero di Laporta.

Egli avverte la problematicità della situazione. Va considerato che la società è quella che è, che lo stesso “autoritarismo della scuola corrisponde all’autoritarismo della società” (p. 4). “Il problema del controllo dei rapporti interpersonali è sempre in ogni caso un problema di educazione… I rapporti interpersonali consistono nella maggior parte dei casi in ciò che un individuo fa all’altro ancor prima che in ciò che pensa e gli dice” (p. 5). “L’educazione è dunque assicurare che nel rapporto interpersonale ogni persona venga protetta. Il rapporto educativo è al centro dell’educazione quando questa diviene intenzionale. In essa chi insegna ha poteri che chi deve imparare non ha ancora, ma vuole e deve conseguire. Il rapporto educativo è un tipico rapporto fra disuguali che devono divenire uguali: dunque deve essere una pratica costante della uguaglianza. Insegnare intellettualmente l’uguaglianza attraverso messaggi verbali è inutile! Occorre farla vivere” (p. 7).

Ma non basta! L’educazione ha un grande nemico! “L’educazione ha avversaria implacabile l’ideologia… L’educazione non può fare a meno di sentirsi e di farsi scienza! L’educazione come scienza!… La politica è l’esito, non il presupposto di una scienza dell’educazione” (p. 36). Ne consegue questo indiscutibile assunto: “La libertà di insegnamento come strumento professionale e politico” (p. 49).

È l’intuizione laportiana che si collega alla domanda che sta emergendo da una gran parte del mondo di chi lavora e che avverte di non avere gli strumenti di lettura e di interpretazione di una società che per certi versi utilizza e sfrutta la sua parte più debole: la classe operaia.
Ne consegue che solo il conseguimento e il superamento della Scuola dell’obbligo costituiscono la base di una educazione ulteriore, quella che gli studiosi cominciano a chiamare educazione permanente, educazione per tutta la vita, “dalla culla alla tomba”.

E Laporta fa i suoi appunti anche agli insegnanti, o meglio a quegli insegnanti della tradizione, che sono funzionali a un certo tipo di scuola e a un certo tipo di società. “L’insegnante pretende dall’allievo comportamenti verbali e in qualche caso intellettuali imitativi dei propri, ripetitivi, conformi. I comportamenti emotivi, morali, sociali, estetico-critici e creativi, economici, gli sfuggono quasi sempre totalmente” (p. 217). “L’obbligare l’allievo a prestazioni intellettuali e soprattutto verbali ripetitive, l’impedirgli di acquisire condotte impegnative dell’intera personalità sono forme di violenza indipendenti da ogni altra violenza” (p. 218).

Sono gli anni in cui l’eco e i richiami di Mc Luhan sono molto forti (ricordiamo la sua famosa espressione: “il mezzo è il messaggio”): la pervasività dei mezzi di comunicazione di massa.
Sono anche gli anni in cui una certa cultura “di classe” rischia di produrre un uomo non libero, etero diretto.
In questa direzione si muove “L’uomo a una dimensione”, il famoso e prezioso volumetto di Herbert Marcuse che Einaudi aveva pubblicato nel 1964. Pertanto “le comunicazioni di massa costituiscono oggi uno dei problemi più complessi dal punto di vista educativo” (p. 214). E Laporta sottolinea anche una certa ambivalenza delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, che da un lato possono sollecitare educazione, dall’altro, però, assuefazione e violenza: “La violenza in educazione come condizionamento economico e intellettuale” (p. 234).

Il mondo del lavoro reclama cultura e non solo salari più alti, perché la conoscenza è strumento non solo di promozione professionale, ma anche di riscatto sociale. Ma sarebbe rischioso coniugare direttamente la cultura con la lotta sociale. Perché a volte la vera cultura poco o nulla ha a che fare con le lotte operaie e contadine.
E Laporta fa proprio un pensiero di Adler che “sostiene che in una società classista l’educazione neutra non esiste” (p. 284). Egli è per “una società che non contiene la scuola come una sua parte, ma la esercita direttamente, a tutto raggio pedagogico, su se stessa e per se stessa, come educazione permanente” (p. 331). E, in polemica con “L’Erba Voglio”, di Elvio Fachinelli, edito da Einaudi nel 1970, un autore fortemente schierato contro l’“autoritarismo” degli insegnanti, Laporta spezza una lancia a loro favore purché sia chiaro l’alto livello di professionalità che debbono raggiungere: “Se ci vogliono dieci anni per un aspirante medico per capire come funziona un corpo fisico, quanti ce ne vorrebbero per capire come funziona un essere umano intero?” (p. 333).

E giungiamo alla stagione delle 150 ore!
Nel 1973 viene sottoscritto il nuovo contratto di lavoro dei metalmeccanici. Il valore della scuola e dello studio era già stato riaffermato da Luciano Lama, grande segretario della Cgil dal 1970 al 1986. Con quel contratto per la prima volta nella storia sindacale viene introdotto per i lavoratori dipendenti un nuovo diritto a permessi che prevedono la sospensione dell’orario di lavoro fino a un massimo annuale di 150 ore per poter accedere a corsi di studio.
Il recupero degli anni perduti nella scuola “che boccia” viene così avviato in una nuova scuola, fatta su misura per chi dalla scuola è stato escluso e che ha bisogno di studiare con modi e criteri assolutamente nuovi e diversi da quelli noti nelle scuole di sempre.
L’insegnamento di Laporta si mostra come risorsa ineludibile per da vita a corsi di questo tipo. Concetti e strumenti della “programmazione educativa e didattica” e della “valutazione formativa” – per accennare ai fattori clou dell’innovazione – entrano a pieno titolo nei corsi serali delle 150 ore e provocano serie e produttive ricadute sui corsi mattutini della scuola di sempre. Strategie e strumenti nuovi per sollecitare e promuovere apprendimenti significativi sono largamente “inventati” e adottati nei corsi delle 150 ore che in quegli anni fecero storia.

La scommessa di insegnare e apprendere in una scuola diversa e nuova sembra non essere più tanto difficile.
I suggerimenti di Laporta e l’impegno anche dei suoi “alunni”, o meglio dei numerosi allievi della sua cattedra romana, hanno partita vinta!
La scuola del mattino comprende che ha molto da imparare dalla scuola della sera. E non è un caso che nel ’73 si giunge a quella legge delega n. 477, da cui discendono l’anno successivo quei famosi “decreti delegati” con cui si dà l’avvio al processo di democratizzazione della scuola.
Nascono quegli organi collegiali partecipati che ancora oggi sono vigenti nelle nostre istituzioni scolastiche autonome.
Si afferma quel principio che è l’intera comunità territoriale, con le sue istituzioni rappresentate nelle singole scuole, che deve concorrere a quelle complesse attività di educare, istruire e formare.

La lezione laportiana ha toccato il suo acme. Il resto è storia nota. La democratizzazione della scuola ha conosciuto fasi alterne, ora di grandi entusiasmi e attese, ora di profonde disillusioni. Ma qui si aprirebbe un altro discorso, che andrebbe oltre le intuizioni e le intenzioni di Laporta e della sua Difficile scommessa!

La riflessione sulla scuola e sulle sue finalità imbocca ormai nuove strade, quella soprattutto della società educante, che va oltre i nostri confini nazionali, che vede altri pensatori, altre organizzazioni, a livello europeo e internazionale. Ed è proprio al Congresso internazionale di Napoli, del 1974, “Verso un nuovo alfabeto: la società educante”, che Laporta presenta la sua relazione, ricca di nuove suggestioni e di nuove prospettive.

Ma qui sui aprirebbe un’altra storia! Oltre la scommessa, che ancora oggi non è stata vinta! Nonostante Laporta, il suo insegnamento, la sua scuola!

Altre pubblicazioni significative di Raffaele Laporta:
• “La via filosofica alla pedagogia”, 1975
• “L’autoeducazione delle comunità”, 1979
• “Educazione e scienza empirica”, 1980
• “L’assoluto pedagogico”, 2000

Organizzazioni e ambiti di ricerca, oltre le facoltà accademiche, in cui Raffaele Laporta è stato attivo:
• La Fnism, la Federazione nazionale italiana degli insegnanti medi
• I Cemea, i Centri di esercitazione ai metodi dell’educazione attiva, con Cecrope Barilli
• Il Movimento di Cooperazione Educativa, nato nel 1951 sulla scia del pensiero pedagogico e sociale di Célestin ed Elise Freinet. Ne hanno fatto parte ricercatori illustri, tra cui Giuseppe Tamagnini, Ernesto Codignola, detto Pippo, Bruno Ciari, Mario Lodi
• Il Movimento di Collaborazione Civica con Ebe Flamini, Augusto Frassineti
• L’Adespi, l’Associazione per la difesa della scuola pubblica
• L’iniziativa per una ricerca antropopedagogica – un coraggioso neologismo – con il contributo di Vittorio Lanternari
• L’autoeducazione delle comunità – gli influssi di “La pedagogia degli oppressi” del brasiliano Paulo Freire
• Le riviste: “Scuola e Città”, “ Riforma della Scuola”, Orientamenti pedagogici”
• Il mosaico laportiano: i grandi valori; la storia e la politica; la sociologia e l’antropologia; l’epistemologia; le pratiche concrete (l’attivismo); la responsabilità della comunità

E per finire sul ruolo che Laporta ha avuto nella nostra storia educativa, si riportano queste riflessioni di Franco Cambi, redatte poco tempo prima della scomparsa del Maestro.
La riconferma del suo ruolo “l’ho ricevuta assai di recente (settembre 2000) durante un colloquio avuto con Laporta a Firenze, dove – tra altre cose – abbiamo parlato anche delle sue ricerche in corso, tra le quali mi ha indicato un nodo problematico della formazione (e dell’esistenza) posto al punto di incrocio tra coscienza, tempo e noia e rivolto a cogliere la specificità della ‘coscienza umana’ posta – col linguaggio – come il luogo del salto dal mondo animale a quello propriamente umano. La coscienza umana è coscienza, in particolare, del tempo (presente più passato più futuro), ha una struttura che fa interagire memoria e intenzionalità, che si incardina sulla continuità dell’esperienza temporale e sulla sua trascendenza rispetto al ‘tempo vissuto’. La noia, poi, leopardianamente, si pone proprio come l’atto di riflessione/interpretazione del senso/valore di questa temporalità, come ‘dispositivo’ metariflessivo e che, pertanto, si pone come apice della coscienza temporale”.
Da “Studi sulla formazione”, anno III, 2000, n. 2.

* La relazione di Maurizio Tiriticco in occasione del Convegno, del 17 maggio scorso, per l’intitolazione dell’Istituto Comprensivo Alto Orvietano di Fabro a Raffaele Laporta.
da education 2.0

Ricorso 24 punti SSIS: nuovo successo a Rimini e Pescara

Ricorso 24 punti SSIS: nuovo successo ANIEF a Rimini e Pescara

 

A distanza di pochi giorni i Tribunali di Rimini e Pescara danno piena ragione all’ANIEF sul riconoscimento del diritto a spostare il bonus dei 24 punti SSIS da una graduatoria all’altra. Gli avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli, che con professionalità e sempre costante impegno coordinano i nostri legali sul territorio, dimostrano ancora una volta che il MIUR non può imporre la classe di concorso in cui far valere il bonus SSIS.

 

L’Avv. Tiziana Sponga, legale di fiducia dell’ANIEF sul territorio, ci trasmette sentenza di pieno accoglimento in cui il Giudice del Lavoro di Rimini disapplica il Decreto di aggiornamento delle graduatorie e accerta il diritto della nostra iscritta alla scelta della classe concorsuale di abilitazione nella quale conferire il bonus aggiuntivo SSIS, ordinando al MIUR di riconoscere immediatamente alla ricorrente lo spostamento del punteggio nella graduatoria d’interesse.

 

Anche presso il Tribunale di Pescara l’Avv. Manuela Pirolozzi, a conferma dell’ottimo lavoro svolto per la tutela degli iscritti ANIEF, ottiene identico successo in favore di una nostra iscritta e la dimostrazione che la condotta del MIUR, che continua a negare il diritto allo spostamento dei 24 punti SSIS, è in palese contrasto con la normativa primaria e regolamentare di riferimento.

 

Successo pieno per le tesi patrocinate dall’ANIEF, dunque, e completa soddisfazione per il diritto finalmente riconosciuto in favore delle nostre iscritte. Negare il diritto allo spostamento del bonus SSIS è costato al MIUR – che continua a soccombere quando in tribunale si scontra con i legali ANIEF – ben 4.300 Euro di spese di giudizio.

Esami di Stato 2013

Esami di Stato 2013

L’esodo annunciato dalle commissioni d’esame

 

Cominceranno domani le prove d’esame dell’esame di stato dell’anno scolastico 2013/13. Le difficoltà organizzative sono quelle ampiamente annunciate e che si registrano ormai da tempo: se l’informatizzazione dei vari passaggi preliminari è ormai compiuta (candidature degli esaminandi e dei commissari, trasmissione dei plichi con le tracce, pubblicazione della composizione delle commissioni), i disagi e le consuete difficoltà si replicheranno identiche a quelle degli ultimi anni.

Nelle 360 commissioni in cui si svolgeranno le prove dell’esame di stato le defezioni dei docenti (soprattutto dei docenti interni) fioccano a dismisura proprio in queste ultime ore. Nelle stanze dell’Ufficio Scolastico Provinciale, gli addetti (sempre più  sottorganico) sono costretti a inseguire le rinunce che, fino all’ultimo secondo, verranno trasmesse per fax e email dai commissari d’esame. Al momento se ne contano un centinaio, ma il numero è senz’altro destinato a salire per via dei forfait che verranno comunicati ancora fino all’inizio delle prove scritte.

 

E se quest’anno si aggiungono le sovrapposizioni di impegni dei docenti precari (quelli con contratto fino al 30 giugno hanno l’obbligo di candidarsi a far parte delle commissioni), impegnati nelle prove orali del concorso a cattedra a provocare una parte delle rinunce, è anche vero che le motivazioni che spingono tanti docenti a sottrarsi ad un incarico oneroso, gravato da pesanti responsabilità e che protrae l’impegno fino a oltre metà luglio sono di ordine soprattutto economico. Le tabelle in base a cui viene parametrato il compenso di presidenti, commissari interni ed esterni (grosso modo € 1200, € 900, € 400) risalgono al lontano 2007 e non vengono aggiornate da ormai 6 anni. Sei anni in cui le retribuzioni del personale della scuola sono rimaste stazionarie col blocco dei contratti e degli scatti d’anzianità (poi parzialmente recuperati), erose dal cresciuto carico fiscale.

 

Proprio per questo motivo sono spesso i docenti di ruolo con maggiore anzianità (e retribuzioni più alte) ad avere meno interesse allo svolgimento delle funzioni di commissario, mentre i docenti precari, sia per recuperare risorse, sia per accumulare altro punteggio di servizio (valido per il miglioramento della propria posizione nel maccanismo infernale delle graduatorie ad esaurimento) sono messi in condizione di presentare domande di messa a disposizione per coprire le assenze improvvise dei commissari. Assenze che l’Ufficio Scolastico Provinciale di Bari sta tentando di tamponare in queste ore, per l’appunto, utilizzando sia il personale candidato con le domande di messa a disposizione, sia con circolari di fuoco che ribadiscono gli obblighi dei docenti interni, tenuti a rimanere a disposizione della scuola fino al 30 giugno proprio per le sostituzioni dei commissari, pena la valutazione dei comportamenti sotto il profilo disciplinare.

 

Pur comprendendo lo stato caotico di tutta la procedura e il generoso sforzo dell’Ufficio per lo svolgimento degli esami, la FLC di Bari ritiene che il problema principale, che mina la partecipazione agli esami di stato (ma così è stato anche per le commissioni del concorso a cattedra), sia ravvisabile nella degradazione della professionalità docente, sminuita da compensi incongrui e da carichi di responsabilità sempre maggiori. Invertire la rotta delle politiche dell’istruzione pubblica e in quelle contrattuali è necessario anche per garantire il rispetto della correttezza e della serenità di tutte le procedure di valutazione e di esame finale, compreso il fondamentale esame di stato.

 

 

Ezio Falco – segreteria FLC CGIL Bari

Occorre un curricolo verticale…

Occorre un curricolo verticale
per consentire ai giovani di conseguire le competenze di cittadinanza *

 di Maurizio Tiriticco

Com’è noto, l’obbligo di istruzione decennale è stato istituito nel nostro Paese solo alla fine del 2006, in seguito a una scelta del governo di centro-sinistra, con la legge finanziaria relativa al 2007. Il decreto applicativo è del medesimo anno (dm 139/07) e il modello di certificazione, estremamente necessario per dare gambe e corpo all’innovazione, è stato varato ben tre anni dopo (dm 9/10), con il governo di centro-destra. Va, comunque, ricordato che, in effetti, l’obbligo non termina a 16 anni in quanto, a norma di quanto sancito dall’articolo 2, comma 2 della legge 53/03 (alias “riforma Moratti”, governo di centro-destra), “è assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al compimento di una qualifica entro il 18° anno di età”. Come spesso avviene nel nostro Paese, l’eccesso della norma non corrisponde poi alla normalità dei fatti, per cui possiamo dire che, per quanto riguarda l’adempimento dell’obbligo di istruzione, la prevista certificazione delle competenze in moltissimi casi è solo un’operazione formale e, per quanto riguarda il diritto/dovere all’istruzione, è noto che sono migliaia i giovani che non posseggono alcun titolo di studio oltre il diploma di licenza media che, com’è noto, dopo l’innalzamento dell’obbligo, di fatto non ha più alcun valore formale.

Va anche detto che il Parlamento europeo e il Consiglio hanno provveduto, con una Raccomandazione del 23 aprile 2008, a definire un Quadro Europeo delle Qualifiche – EQF, European Qualifications Framework – scandite in otto livelli, e ciascun Paese membro avrebbe dovuto dichiarare a quali livelli corrispondessero i propri titoli di studio. Il che avrebbe reso più facile la circolazione dei titoli, e ovviamente degli studenti e dei lavoratori, all’interno dell’UE. Il nostro Governo ha assunto le sue decisioni in merito all’EQF con notevole ritardo, con un provvedimento del 20 dicembre 2012. Si veda al proposito l’“Accordo sulla referenziazione del sistema italiano delle qualificazioni al Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF), di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008”. Da tale accordo risulta che il titolo della nostra scuola media corrisponde al primo livello europeo e la certificazione dell’obbligo decennale al secondo.

Va anche considerato che ormai in ambito europeo la conclusione di ogni ciclo di studio è scandita in conoscenze, abilità e competenze.

Per quanto riguarda la conclusione del primo ciclo italiano, gli esiti di apprendimento indicati dall’Unione europea sono i seguenti: conoscenze generali di base; abilità di base necessarie per svolgere mansioni o compiti semplici; competenze, lavorare o studiare sotto supervisione diretta in un contesto strutturato. Ovviamente l’attività lavorativa non interessa il nostro quattordicenne, in quanto la norma prescrive che l’accesso al mondo del lavoro è possibile solo dopo aver assolto l’obbligo di istruzione, dopo i 16 anni di età, o dopo i 15, se si accede all’apprendistato di primo livello.

Per quanto riguarda il conseguimento dell’obbligo di istruzione decennale, gli esiti di apprendimento indicati dall’Unione europea sono i seguenti: conoscenze pratiche di base in un ambito di lavoro e di studio; abilità cognitive e pratiche di base necessarie per utilizzare le informazioni rilevanti al fine di svolgere compiti e risolvere problemi di routine, utilizzando regole e strumenti semplici; competenze, lavorare o studiare sotto supervisione diretta con una certa autonomia.

Da quanto detto, emerge che nella nostra scuola la progettazione di un curricolo verticale decennale che proceda dal primo ciclo (se non dalla stessa scuola per l’infanzia) alla conclusione del biennio obbligatorio non è sempre agevole, almeno per due motivi: a) la cesura tra il primo e il secondo ciclo è sottolineata da un esame di Stato di dubbia legittimità; non ha senso un esame che non conclude un percorso di studi effettivo e che resta in vita solo perché l’articolo 33 della Costituzione prevede che al termine di ciascun ciclo di studi vi sia un esame di Stato; occorre anche considerare che l’effettivo primo ciclo oggi è decennale; b) una certificazione dell’obbligo decennale è in larga misura vanificata, almeno per due motivi: 1) il biennio non è mai percepito come “unitario” e conclusivo di un percorso, come prevede il dm 139/07, ma come “propedeutico” a un successivo e specifico triennio; 2) le competenze di cittadinanza funzionali all’apprendimento permanente, di cui al citato EQF, sono di fatto ignorate dal dm 139/07, istitutivo dell’obbligo di istruzione decennale (figurano in parentesi come un ingombrante accessorio!!!), per cedere il posto a quattro assi culturali pluridisciplinari, pur necessari, ovviamente.

Da quanto detto, ci si attende che in un prossimo futuro venga adottato un provvedimento che si muova in verticale e in orizzontale, se si può dire così: a) in verticale, perché si decida che un percorso obbligatorio decennale non può non avere una sua continuità didattica, pur nel pieno rispetto dei diversi livelli di maturazione che vanno dall’infanzia alla preadolescenza e all’adolescenza (ma queste sono questioni pedagogico-didattiche, non ordinamentali!); b) in orizzontale perché nell’ultimo biennio obbligatorio “l’equivalenza formativa di tutti i percorsi” – come si legge all’articolo 2 del dm 139/07 – sia effettivamente garantita.

A queste condizioni, un effettivo curricolo verticale, continuo e progressivo sarebbe quindi possibile, anche perché permetterebbe ai nostri giovani “obbligati” di conseguire competenze di cittadinanza finalizzate anche e soprattutto a un apprendimento permanente da condurre in un concorso civile e culturale con i giovani europei. Il che permetterebbe al nostro Sistema di istruzione di compiere quel necessario salto di qualità che è nell’auspicio di tutti.

 

* pubblicato su ItaliaOggi il 18 giugno 2013

Concorso “Dammi Spazio, Giovani, Presente e Volontariato”

Ministero dell’Istruzione, dell’ Università e della Ricerca
Dipartimento per l’Istruzione
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione

Concorso “Dammi Spazio, Giovani, Presente e Volontariato” – nota informativa

In merito al bando di concorso “Dammi Spazio, Giovani, Presente e Volontariato”- edizione 2012, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca rende noto che, a seguito di un’adesione da parte delle istituzioni scolastiche non corrispondente alle aspettative, è stato sospesa la valutazione degli elaborati pervenuti.
Con la riapertura dell’anno scolastico 2013 – 2014, il Ministero, in collaborazione con CSVnet, il Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato, provvederà a pubblicare un nuovo bando con l’obiettivo di valorizzare l’impegno civile dei giovani e diffondere i valori del volontariato, della cittadinanza attiva e della solidarietà.
Gli istituti scolastici che hanno inviato i loro elaborati per l’ edizione precedente, possono mettersi in contatto con la Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione la Partecipazione e la Comunicazione al seguente indirizzo di posta elettronica: dgstudente.direttoregenerale@istruzione.it.

Guglielmo Epifani ha dato tutte le deleghe ma non quelle relative all’Istruzione

da ItaliaOggi

Forse per non disturbare il neo ministro pd, Maria Chiara carrozza

Guglielmo Epifani ha dato tutte le deleghe ma non quelle relative all’Istruzione

di Goffredo Pistelli  

Il traghettatore Guglielmo Epifani si preoccupa di non disturbare il manovratore. Anzi la manovratrice, Maria Chiara Carrozza, ministra piddina dell’Istruzione. Non si spiega altrimenti la singolare omissione, nell’attribuzione dei compiti della segretaria, ormai due settimane fa, della delega «scuola e università». E dire che, oltre ad applicare nella scelta il democristianissimo Manuale Cencelli, con i bersaniani alla organizzazione, alla difesa, ai giovani e alla sanità, i renziani agli enti locali e alla cultura, i lettiani alla ricerca ecc., Epifani era stato largo: 15 membri contro i 12 nominati da Bersani nel 2009. Dall’ambiente alle donne, dalla lotta alle mafie alle infrastrutture, in Largo Nazareno, sede nazionale del partito, e nuovo ufficio dell’ex-segretario Cgil, tutto trova delega e responsabilità, tranne appunto che l’istruzione.

Al punto che più d’uno pensa appunto si siano voluti evitare imbarazzi all’inquilina di Viale Trastevere, ossia l’ex-rettora dell’università S.Anna di Pisa, Carrozza. Che si volesse insomma allontanare a priori ogni rischio di fuoco amico, magari alla prima decisione presa nel cammino ministeriale. Fatto che però che darebbe del Pd un’immagine ancora più drammaticamente frammentata di quella attuale. La vicenda ha però fatto saltare la mosca al naso del responsabile scuola del Pd milanese, Emanuele Contu, riformista e renziano. Nel suo blog Il Ripostiglio, Contu, classe 1975, insegnante di Lettere alle medie, s’è lasciato andare ieri a un vivace sfogo che ha poi tuittato. «È l’ennesimo sintomo del fatto che il mondo politico, anche quello cui faccio riferimento, non considera l’istruzione come un tema fondamentale», ha scritto, «eppure dovrebbe essere ovvio: non si rimette in piedi un paese come l’Italia, senza rimettere in moto l’istruzione, senza investirvi risorse che prima di essere economiche sono soprattutto di attenzione e intelligenza. La scuola», ha concluso, «non può continuare a essere il tema degli addetti ai lavori, la riserva indiana dei soliti fessi che se la cantano e se la suonano tra di loro, nella deprimente certezza che tanto non cambieremo nulla mai».

Beghe interne? Punzecchiature renziane al segretario-traghettatore? Niente di tutto questo. Contu è uno che sulla scuola non rinuncia a criticare anche il sindaco di Firenze, se del caso. È accaduto il 9 giugno scorso, quando Renzi è intervenuto alla Repubblica delle Idee. Nell’intervista, il Rottamatore aveva infatti attaccato la riforma scolastica di Luigi Berlinguer e al docente milanese non era piaciuto: «Nuovamente Matteo Renzi dice male della riforma», aveva tuittato, «cioè dell’autonomia scolastica. Peccato, dovrebbe studiare di più l’argomento». Prova provata che il giovane professor Contu ragiona per amore di scuola e di partito: e di questi tempi, nel Pd, dovrebbe essere un prospettiva da non disprezzare.

Maturità 2013, toto-tema su Internet: Ungaretti favorito, femminicidio no

da Il Fatto Quotidiano

Maturità 2013, toto-tema su Internet: Ungaretti favorito, femminicidio no

Per l’analisi del testo spuntano online anche Quasimodo e Saba. Possibili tracce su condizione femminile e crisi. Poi ci sono gli anniversari, tra cui il disastro del Vajont, l’assassinio di JFK e la strage di Nassiryia, che potrebbero riguardare l’articolo di giornale o il saggio breve

di Luigi Franco

Meno uno alla maturità. Mercoledì mattina in ogni scuola verrà finalmente aperto il plico che dall’anno scorso è ‘telematico’, con le tracce da scaricare grazie a preziosissime password. Potere di Internet. Che poi, se si vanno a vedere le ultime dal tototema, potrebbe proprio essere uno degli argomenti più papabili per la prima prova: i quasi 500mila candidati magari dovranno ragionare sui cambiamenti che la Rete ha portato nella vita di tutti noi negli ultimi trent’anni. Ricorrenze da controllare, per cercare di azzeccare la scelta del ministero. E poi quello che è stato proposto l’anno scorso.

Nel 2012 l’analisi del testo è stata su un passaggio tratto da Auto da fè di Eugenio Montale. Un brano di prosa di uno che è stato soprattutto poeta. Indovinare sembra più difficile del solito, ma è meglio puntare su una poesia. Favoritissimo rimane Giuseppe Ungaretti, uscito nel 2006 e 2011. Poi Salvatore Quasimodo, proposto nel 2002. O, perché no, Umberto Saba: lui manca dal 2000. Ma non si può mai essere certi di nulla: meglio quindi non tralasciare dall’ultimo ripasso nemmeno Luigi Pirandello e Italo Svevo. Fa niente se un anno fa Luciano Favini, a capo della struttura tecnica per gli esami di Stato del ministero dell’Istruzione, dava l’alternanza tra prosa e poesia come una regola quasi certa. E poi? Meglio un autore del Novecento, confidava in un’intervista alla Stampa: “Deve essere noto, altrimenti tutti protestano perché potrebbero non averlo studiato. Ma il brano non deve essere troppo conosciuto, altrimenti la prova degli studenti si riduce a una ripetizione di quanto studiato”. E, aggiungeva, niente argomenti delicati. Ecco allora che nel borsino pre-maturità scendono le quotazioni di un argomento come il femminicidio, assai presente sulle pagine dei giornali in questo periodo.

Se non il femminicidio, gli esperti del Miur potrebbero però proporre una traccia sulla condizione femminile, magari per il saggio breve o articolo di giornale di tipo socio-politico, per il tema di attualità oppure, chissà, con qualche riferimento al Novecento, per il tema storico. Altre possibilità? La crisi la fa da padrona da tempo. L’anno scorso una traccia metteva al centro i giovani e i loro problemi di occupazione. Quest’anno si potrebbe invece parlare di crisi e sviluppo sostenibile, visto che, come ricorda il sito Skuola.netil 2013 è l’anno europeo contro lo spreco alimentare. Da prendere in considerazione anche l’Europa e il lungo cammino di integrazione che sembra non arrivare mai a buon fine. Internet, i nuovi modi di comunicare e i rapporti interpersonali nell’era digitale sono temi di un certo fascino: farsene un’idea potrebbe tornare utile.

Altri suggerimenti arrivano dal sito Studenti.it, che si rifà agli anniversari: sono passati 50 anni dal disastrodel Vajont, 50 dall’omicidio di John Fitzgerald Kennedy e dieci dalla strage di Nassiryia. Moriva invece 500 anni fa papa Giulio II, il ‘papa gurriero’: chissà non sia uno spunto per affrontare il nuovo approccio di Bergoglio, dopo gli scandali che hanno colpito il Vaticano. Per il saggio breve di ambito letterario Skuola.net suggerisce alcune tematiche mai affrontate: l’esperienza della guerra, il rapporto uomo-natura, la noia e il viaggio, tanto per fare qualche esempio. Con un occhio ai consigli dei prof. E un occhio pure all’alimentazione: perché la lotta allo stress passa anche da quello che si mette in tavola. “Comunque vada bisogna dare il meglio di se stessi. E più si è tranquilli, meglio si fa la prova”. Parola del ministro Maria Chiara Carrozza.

twitter: @gigi_gno

Carrozza, arrivano i primi tagli

da ItaliaOggi

Carrozza, arrivano i primi tagli

Il ministro finanzia le assunzioni nelle università con i soldi degli appalti per le pulizie. ti alle scuole 25 milioni nel 2014 e 50 dal 2015

Alessandra Ricciardi

Il primo atto finanziario del ministro dell’istruzione, università e ricerca, Maria Chiara Carrozza, è arrivato. Per coprire le maggiori assunzioni nel settore universitario (1500 docenti e altrettanti ricercatori), le scuole perderanno 25 milioni di euro nel 2014 che diventano 49,8 milioni a partire dal 2015.

L’operazione è contenuta all’articolo 54 della bozza di decreto legge, il cosiddetto decreto del fare, approvato sabato scorso dal consiglio dei ministri. Tra le varie misure si prevede un innalzamento della copertura del turn over per le università. Che è controbilanciato dalla riduzione dei fondi per gli appalti delle pulizie, che le scuole dovranno rinnovare a un prezzo più basso, fino a realizzare almeno le economie individuate dal decreto. Nel caso di maggiori risparmi, questi resteranno alle scuole. Ma fino a 25 milioni per il prossimo anno e quasi 50 dal successivo, non c’è niente da fare, si reinveste sull’università. Un’uscita, quella del ministro che aveva chiesto maggiori finanziamenti per la scuola («altrimenti mi dimetto»), che ha lasciato sconcertati i sindacati. Le scuole, precisa il comma 5 dell’articolo 54, a decorrere dal prossimo anno scolastico «acquistano, ai sensi dell’articolo 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, i servizi esternalizzati per le funzioni corrispondenti a quelle assicurate dai collaboratori scolastici loro occorrenti nel limite di spesa che si sosterrebbe per coprire i posti di collaboratore scolastico accantonati ai sensi dell’articolo 4 del decreto del presidente della repubblica 22 giugno 2009». Si tratta di quasi 11 mila posti che non sono coperti con assunzioni a tempo indeterminato perché i relativi servizi offerti sono stati affidati all’esterno. Ora il governo prevede che il costo non possa sforare quello che lo stato avrebbe sostenuto per assumere in proprio gli Ata per gli stessi servizi. Un’operazione che dunque punta a una razionalizzazione della spesa, i cui proventi però non sono destinati a rifinanziare il sistema. «Mi pare un’operazione finanziaria incerta, ma, ammesso che riesca, è improprio che i fondi siano destinati altrove», attacca Massimo Di Menna, numero uno della Uil scuola, «e di certo non è questo il primo atto di investimento che ci aspettavamo dal nuovo ministro». Le maggiori assunzioni nelle università sono uno dei cavalli di battaglia della Flc-Cgil, che però giudica «inaccettabile» la copertura finanziaria trovata dal governo. Spiega il segretario Mimmo Pantaleo: «Così si penalizzano i lavoratori delle ditte di pulizie, che non potranno essere tutti confermati, e gli Ata già in servizio, che dovranno lavorare di più a parità di stipendio». Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda, evidenzia come «dopo tanti annunci, si continua con la politica dei tagli». Il testo «deve essere modificato», chiede lo Snals-Confsal di Marco Paolo Nigi. «Si mette in piedi una guerra tra bisognosi», commenta il segretario della Cisl scuola, Francesco Scrima, «se ci sono risparmi fattibili nella scuola devono essere reinvestiti nel sistema di istruzione, non si può continuare a togliere a chi ha già perso tanto». Il decreto prevede anche una borsa di mobilità (si veda ItaliaOggi di sabato) che consentirà a giovani diplomati con risultati eccellenti (voto minimo 95 su 100) di scegliere una regione differente da quella di residenza per l’università. Inoltre, gli istituti che necessitano di interventi di ristrutturazione potranno contare nel prossimo triennio su 100 milioni.

I precari intascano per l’ultima volta le ferie non godute

da ItaliaOggi

I precari intascano per l’ultima volta le ferie non godute

LA DECURTAZIONE DELL’Indennità Scatterà SOLO DAL PROSSIMO ANNO

Antimo Di Geronimo

Il divieto di monetizzazione delle ferie sarà applicato alla scuola solo dal 1° settembre 2013. E dunque, almeno per quest’anno, i docenti precari non subiranno alcuna decurtazione della relativa indennità. É quanto si evince da una nota emanata dalla direzione generale delle politiche finanziarie e del bilancio del ministero dell’istruzione il 12 giugno scorso. Il provvedimento è stato diffuso a margine di una riunione con i sindacati Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams e reca le disposizioni per liquidare l’indennità sostitutiva per ferie non godute.

L’amministrazione centrale ha comunicato l’avvenuta assegnazione alle istituzioni scolastiche delle risorse finanziarie per il pagamento delle supplenze brevi, comprese quelle necessarie per il pagamento delle ferie, nella misura definita dal contratto di lavoro. E cioè i 30/360 per i giorni di servizio previsti dal contratto.

Per quanto riguarda, invece, la liquidazione ed il pagamento del compenso sostitutivo per le ferie non fruite dal personale docente e non docente, titolare di contratti di lavoro a tempo determinato sino al termine delle attività didattiche, il dicastero di viale Trastevere ha ricordato che sarà effettuata dalle ragionerie territoriali dello stato, alle quali i dirigenti scolastici dovranno trasmettere gli atti necessari. E quindi, almeno per quest’anno, i diretti interessati fruiranno pienamente dell’indennità (circa 1500 euro)senza subire alcuna decurtazione. La decisione giunge al termine di un lungo braccio di ferro tra sindacati e amministrazione sulla corretta interpretazione da dare alle nuove disposizioni sul divieto di monetizzazione delle ferie. L’amministrazione, infatti, fino a qualche giorno fa, era incline a non dare alcun rilievo al termine perentorio contenuto nel comma 56 dell’articolo 1 della legge 228/2012. Termine che fissa al 1° settembre 2013 la disapplicazione delle clausole contrattuali che stabiliscono il diritto alla monetizzazione delle ferie non godute. I sindacati, invece, forti della chiarezza inequivocabile della disposizione contenuta nel comma 56, hanno rivendicato all’unisono il diritto alla piena monetizzazione, minacciando azioni legali e mobilitazione della categoria. E alla fine il ministero non ha potuto fare altro che prendere atto della situazione emanando un provvedimento con il quale ha ordinato ai dirigenti scolastici di dare piena osservanza a quello che dice la legge.

La questione era nata dopo che il governo Monti, con l’articolo 5 del decreto legge 95/2012, aveva disposto il divieto di monetizzazione delle ferie non godute per tutti i dipendenti pubblici.

Tale preclusione, però, aveva destato perplessità tra gli addetti ai lavori. E ciò aveva indotto il governo ad intervenire con un ulteriore provvedimento legislativo «per evitare la probabile soccombenza dell’Amministrazione nelle inevitabili controversie».

Di qui l’inserimento di un ulteriore comma all’art. 5 del decreto legge 95/2012, introdotto con i commi 55 e 56 dell’articolo 1 della legge 228/2012, con il quale sono state aggiunte due nuove disposizioni speciali per la scuola. La prima prevede che il divieto di monetizzazione non si applica ai supplenti «limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie». E la seconda prevede che l’applicazione delle nuove disposizioni debba avvenire solo a far data dal 1° settembre 2013.

In buona sostanza, dunque, il legislatore ha preso atto che i supplenti non hanno il tempo materiale di fruire delle ferie durante lo svolgimento dell’incarico. Ciò perché il contratto ne prevede la fruizione solo durante il periodo di sospensione delle attività didattiche (dal 1 luglio al 31 agosto). E quindi è stato ampliato il periodo di fruizione, comprendendo anche i periodi di sospensione delle lezioni (vacanze di Natale, Pasqua, e ponti vari). Ma siccome anche così non possono fruire di tutte le ferie maturate (si pensi ai titolari di incarichi fino al 30 giugno) è stata prevista la monetizzazione della differenza tra le ferie maturate e i giorni effettivamente fruiti. Questa disposizione, però, contrasta con quello che c’è scritto nel contratto di lavoro, che non prevede questa limitazione. E quindi il legislatore ha introdotto una disciplina transitoria fissando un termine, fino al compimento del quale continuerà ad applicarsi la disciplina più favorevole prevista dal contratto. Questo termine è il 31 agosto 2013 e si ricava dal fatto che il termine a partire dal quale bisognerà applicare le nuove disposizioni è stato fissato al 1° settembre 2013. Fino ad allora tutto resterà come prima. E quindi, anche quest’anno, i precari si vedranno corrispondere l’indennità senza alcuna decurtazione. Giova ricordare, peraltro, che sebbene questa indennità abbia una funzione risarcitoria, di fatto, essa viene utilizzata, insieme all’indennità di disoccupazione, come un vero e proprio ammortizzatore sociale per fare fronte ai bisogni alimentari nei mesi estivi non coperti da retribuzione.

Assunzioni e inidonei fermi al palo

da ItaliaOggi

Assunzioni e inidonei fermi al palo

Per gli Ata arrivano dal ministero risposte ancora evasive

Franco Bastianini

Ancora in alto mare la soluzione delle tre principali questioni che interessano il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario: le immissioni in ruolo per l’anno scolastico in corso per tutti i profili e su tutti i posti vacanti e disponibili, come previsto dal piano triennale di assunzioni di cui al decreto interministeriale del 3 agosto 2011; il pagamento delle posizioni economiche già assegnate e l’atto di indirizzo per il compenso ai Dsga, i direttori amministrativi, affidatari di scuole sottodimensionate.

Al termine dell’ennesimo incontro svoltosi l’11 giugno con la direzione del personale del Miur, le organizzazioni sindacali del comparto scuola hanno infatti manifestato preoccupazione e insoddisfazione per la mancanza di risposte certe sui problemi da tempo sottoposti all’attenzione ministeriale.

Pur prendendo atto della volontà politica del ministero di voler risolvere le problematiche attraverso una interlocuzione continua con il ministero dell’economia e delle finanze, i rappresentanti sindacali di Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda hanno anticipato la mobilitazione del personale, qualora dovessero verificarsi ulteriori rinvii e ritardi.Quella della mancata immissione in ruolo degli oltre cinquemila collaboratori scolastici e degli assistenti amministrativi e tecnici sui posti liberi e vacanti dopo l’accantonamento sull’organico di diritto delle unità da assegnare ai docenti inidonei rimane comunque la questione più delicata da risolvere a causa delle notevole resistenze da parte del ministero dell’economia e delle finanze. Sulle problematiche connessa al passaggio tra il personale Ata dei docenti dichiarati permanentemente inidonei per motivi di salute all’esercizio delle funzioni, ma idonei ad altri compiti, il ministero ha comunicato alle organizzazioni sindacali una forte determinazione del Parlamento a cancellare la norma sul transito forzoso di questo personale nei profili Ata, come previsto dall’art.14, commi 13, 14 e 15 del decreto legge 6 luglio2012, n.95, riconoscendo nel contempo che per l’operazione saranno necessari tempi più lunghi dovuti all’iter legislativo cui potrebbe andare incontro un apposito disegno di legge presentato al Senato il 26 marzo 2013.

E per i futuri prof, orali rinviati

da ItaliaOggi

E per i futuri prof, orali rinviati

É Estate, irreperibili Gli esperti necessari a ultimare le prove

Mario D’Adamo

Nelle regioni Piemonte e Toscana danno forfait le commissioni giudicatrici di alcuni concorsi a posti di insegnante e i rispettivi uffici scolastici regionali, nell’impossibilità di garantire i tempi inizialmente previsti, rinviano le prove orali a dopo l’estate, compromettendo l’immissione in ruolo dei vincitori fin dal prossimo primo settembre. Sul finire dell’era Profumo e sull’onda di un parossismo tecnologico – informativo in grado di superare ogni finitezza, un comunicato del 3 marzo scorso del ministero dell’istruzione, rispondendo alle perplessità avanzate anche da ItaliaOggi sulla possibilità di finirle per tempo, aveva assicurato che tutte le operazioni concorsuali da poco avviate sarebbero state contenute in una durata massima complessiva di tre mesi. I tre mesi passano e il 12 giugno scorso sul sito dell’ufficio scolastico regionale compare uno sconfortato avviso urgente, con il quale Giuliana Pupazzoni, direttore generale, annuncia il rinvio a dopo il periodo estivo delle prove orali dei concorsi di scuola dell’infanzia e primaria. I candidati, che hanno superato con esito positivo gli scritti e che si stavano preparando a sostenere le prove orali, si devono mettere in stand-by e attendere che sia loro inviata la mail di convocazione per l’orale almeno venti giorni prima della data in cui devono sostenerlo (art. 11, sesto comma, del bando, con involontaria ironia richiamato nell’avviso). Le cause dichiarate del rinvio sono da individuare nelle difficoltà riscontrate dall’ufficio scolastico regionale «nel reperire i componenti da aggregare alle commissioni giudicatrici che, nelle prove orali, devono procedere all’accertamento delle conoscenze informatiche e delle lingue straniere». Mancano gli esperti, insomma, che per quattro soldi non rinunciano al riposo estivo. E se in Piemonte sono solo due i concorsi sospesi, anche se contano il maggior numero di concorrenti (più di quattrocento ciascuno), lo stesso 12 giugno si apprende da un avviso, senza firma, che in Toscana sono solo due i concorsi che proseguono, quello di laboratorio tecnologico per l’edilizia, classe C430 (29 candidati ammessi all’orale), e quello di francese, classi A245/246 (42 candidati).Tutti gli altri sono sospesi «causa il protrarsi dei lavori di correzione degli scritti», a sua volta “dovuto a numerose dimissioni dall’incarico di commissario, alla quantità ed alla eterogeneità dei membri delle commissioni”. Sembra di capire, dato l’elevato numero di commissari dimessi, che sia diventato difficile trovarne altri e che quelli rimasti, provenienti dai più diversi settori della scuola, dell’amministrazione e dell’università, difficilmente riescono a coordinare i rispettivi impegni, i cui tempi sono di fatto inconciliabili tra loro per l’eterogeneità delle rispettive provenienze.

Quando un esame di Stato uguale per tutti gli studenti?

da La Stampa

Quando un esame di Stato uguale per tutti gli studenti?

Questo dibattito – solo in apparenza di lana caprina – sul voto di maturità e sui test di ammissione all’università ha, invece, messo in luce la contraddizione

ANDREA GAVOSTO*
Vale la pena ritornare sulla decisione del ministro Carrozza, che con un decreto ha pochi giorni fa modificato i test di ingresso ai corsi di laurea a numero chiuso o programmato: medicina, professioni sanitarie, veterinaria, architettura. La vicenda, infatti, al di là degli aspetti tecnici e delle conseguenze immediate per gli studenti, ha messo in luce un importante nodo critico che riguarda il futuro dell’istruzione secondaria e universitaria in Italia.
Due i punti controversi su cui è intervenuto il nuovo ministro: la data dei test, che da luglio slitta nuovamente a settembre, almeno per il prossimo anno accademico; il calcolo del cosiddetto bonus maturità, che nelle intenzioni del suo predecessore, Francesco Profumo, attribuiva fino a 10 punti sulla base del voto di maturità, ricalcolato però in relazione alla distribuzione dei voti nella medesima scuola nell’anno scolastico precedente.
Perché questo accorgimento? Non è un’inutile complicazione? No: sappiamo, infatti, da tempo che i voti dell’esame di Stato non sono confrontabili fra territori diversi e scuole diverse (o anche all’interno della stessa scuola), dipendendo da quanto la commissione è di manica larga o stretta. Nelle regioni meridionali la percentuale di 100 o 100 e lode è significativamente più elevata che al Nord, senza che questo corrisponda necessariamente a maggiori conoscenze e competenze. Per porre rimedio alle evidenti iniquità che si sarebbero determinate negli esiti dei test di ammissione universitaria, Profumo aveva deciso che il voto finale dell’esame non fosse preso al suo valore facciale, bensì rapportato agli esiti nella stessa scuola un anno prima. Così, se una scuola tradizionalmente registrava voti bassi, per la particolare severità delle commissioni o per una qualità media non elevata degli studenti, non era necessario arrivare al 100 per ottenere il bonus massimo, ma poteva essere sufficiente un 90.
Questo meccanismo, che tecnicamente si chiama «normalizzazione» del voto, ha sollevato moltissime critiche, a mio parere largamente ingiustificate. Vero è, però, che il meccanismo non era stato ben spiegato dal ministero, generando sconcerto e sospetti fra gli studenti, già preoccupati dalla prospettiva di fare il test due settimane dopo la fine della maturità.
Con lo slittamento a settembre dei test, ora sarà invece possibile – e questo è certamente un miglioramento – confrontare il voto di maturità individuale non con quelli della scuola nell’anno precedente, ma con quelli assegnati nello stesso anno dalla stessa commissione d’esame. La normalizzazione permetterà quindi di alzare i voti degli studenti finiti con esaminatori particolarmente «tosti» e, per converso, abbassare quelli che hanno avuto la fortuna di finire con commissioni di manica larga. Così si conserva lo spirito originario dell’intervento di Profumo, anche se neanche la correzione statistica permette di eliminare del tutto le differenze legate ai diversi criteri di giudizio di ciascuna commissione.
E veniamo alla questione realmente importante. Questo dibattito – solo in apparenza di lana caprina – sul voto di maturità e sui test di ammissione all’università ha, invece, messo in luce la contraddizione fra l’attuale esame di maturità (modificato sì nel corso dei decenni, ma in fondo improntato a vecchie concezioni) e la necessità delle università di poter confrontare le capacità di studenti che provengono da scuole e regioni diverse: un’irrinunciabile esigenza di equità nel caso di corsi ad accesso limitato. Man mano che altri corsi di laurea (ad esempio, quelli economici) richiederanno forme di selezione in ingresso – non necessariamente una scelta lungimirante in un Paese dove solo il 55% dei diplomati si iscrive all’università, ma resa necessaria dalla riduzione delle risorse – la contraddizione si farà più acuta.
In astratto, è difficile dire se sia preferibile un test di ingresso all’università o un esame di maturità comunque profondamente da riformare. Che fra le due prove vi sia, però, una certa ridondanza a me pare evidente. Poiché un esame finale alle superiori deve comunque esserci (non tutti i diplomati, infatti, si iscrivono all’università) e poiché fra due anni dovremo rivederne gli attuali meccanismi, a suo tempo introdotti sperimentalmente dal ministro Gelmini, non è forse giunto il momento di riflettere seriamente su come rendere i risultati dell’esame di Stato finalmente confrontabili su scala nazionale? Solo così elimineremo lo scarto fra l’epopea emotiva che la vecchia maturità ancora rappresenta e la sua – sempre più scarsa utilità come strumento di valutazione delle competenze dei diplomati.
*Direttore della Fondazione Giovanni Agnelli

Si tagliano gli appalti di pulizia nelle scuole per le università

da Tecnica della Scuola

Si tagliano gli appalti di pulizia nelle scuole per le università
di P.A.
La ministra dell’istruzione Carrozza, per coprire le assunzioni nelle università, taglierebbe 25 milioni di euro nel 2014 e 49,8 milioni a partire dal 2015, dai fondi destinati alle pulizie degli istituti scolastici e ai servizi ausiliari esternalizzati: rischiano 21mila lavoratori. I sindacati: “Incontro urgente”
La nuova ministra dell’istruzione, Maria Chiara Carrrozza, ha proposto di ridurre e tagliare i fondi destinati alle pulizie degli istituti scolastici e ai servizi ausiliari esternalizzati, non tenendo conto che in questi ultimi 5 anni i 21mila lavoratori Ex LSU e dei c.d. “Appalti Storici” hanno già pagato pesantemente tale dazio. E’ quanto si apprende da una nota. Per garantire le assunzioni all’università e agli enti di ricerca, elevando dal 20 a 50% il turn-over, ovvero il limite di spesa consentito a rispetto alle cessazioni dell’anno precedente in modo da assumere 1500 ordinari e 1500 nuovi ricercatori” di tipo B, per una spesa prevista di 25 milioni nel 2014 e 49,8 nel 2015, si andrebbe a ridurre i fondi per gli appalti delle pulizie e che comunque le scuole dovranno rinnovare a un costo inferire anche per realizzare le economie previste dal decreto e fare in modo che i maggiori risparmi rimangano alle scuole: sbrigatevela da voi, insomma, sembra dire la ministra. In ogni caso 25 milioni per il prossimo anno e quasi 50 dal successivo devono andare alle università, smentendo per certi versi le dichiarazione fatte dalla ministra che aveva chiesto maggiori finanziamenti per la scuola minacciando perfino le dimissioni. Il comma 5 dell’articolo 54, dice infatti che a decorrere dal prossimo anno scolastico le scuole “acquistano, ai sensi dell’articolo 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, i servizi esternalizzati per le funzioni corrispondenti a quelle assicurate dai collaboratori scolastici loro occorrenti nel limite di spesa che si sosterrebbe per coprire i posti di collaboratore scolastico accantonati ai sensi dell’articolo 4 del decreto del presidente della repubblica 22 giugno 2009” Quasi 11 mila posti subiscono quindi un impoverimento o una riduzione. Fra l’altro nell’audizione al Parlamento del 6 giugno scorso, dove sono state presentate dalla ministra le linee guida programmatiche per la gestione del proprio dicastero, è stato dichiarato che sul piano di sostegno finanziario per la realizzazione dell’autonomia scolastica sarà innalzato il budget per il funzionamento ordinario delle scuole, aumentando la quota procapite per alunno, utilizzando, però “le economie derivanti dai nuovi appalti per i servizi di pulizia nelle scuole”. E infatti i sindacati dicono che “le risorse per l’acquisto dei servizi di pulizia rientrano nel fondo per il funzionamento ordinario delle scuole e di conseguenza se si vuole aumentare la quota procapite per alunno vuol dire che anche per i servizi di pulizia va speso di più e non meno.” Pensare di scaricare ancora i risparmi dell’amministrazione scolastica su questi lavoratori rigettandoli nella precarietà, rimettendoli in capo alla spesa sociale generale, a fronte di scuole più sporche e meno sicure non è una soluzione per dare risposta ai bisogni della Scuola stessa e nemmeno per migliorare le economie ministeriali. Per questi motivi Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltrasporti Uil hanno inviato una richiesta di incontro urgente al ministro dell’Istruzione e procederanno ad assumere tutte le iniziative politiche utili per tutelare i lavoratori coinvolti.