Francesco Munzi, Anime nere

Francesco Munzi “Anime nere”

di Mario Coviello

 

anime_nere1Al Teatro Olimpico di Roma il 12 giugno è andata in scena la 59sima edizione dei David di Donatello. A trionfare è Anime nere di Francesco Munzi, storia cupa di camorra che conquista nove premi. Passato in concorso a Venezia 71, batte Nanni Moretti (Mia madre), Mario Martone (Il giovane favoloso) Saverio Costanzo (Hungry Hearts), Ermanno Olmi (Torneranno i prati). Dopo il successo internazionale della serie tv Gomorra, tratta dal romanzo di Saviano, che è stata venduta in 106 paesi, mi chiedo: fa bene all’Italia che sta uscendo faticosamente da una crisi così grave presentarsi al mondo con vicende di drangheta e camorra ? E perché il David che è il premio più ambito per i cineasti italiani riconosce questo cinema così ostico, difficile e lo preferisce a Moretti che racconta della morte della madre, a Martone che canta Leopardi, a Costanzo che parla di una madre difficile e urticante?

“Anime nere” è la storia di Luciano, Rocco e Luigi tre fratelli che sono tre aspetti di come la malavita organizzata, in questo caso quella calabrese, possa attecchire in maniera differente. Luciano, il maggiore, si illude di poter sfuggire al destino che macchia la famiglia dal giorno in cui il padre fu ucciso per una vendetta trasversale, e vive tra le sue capre, in Aspromonte. Proprio lui che è rimasto nella terra dove il crimine sembra non lasciare scampo, tenta l’esclusione dalle logiche del crimine stesso a cui il fratello minore, Luigi , aderisce con l’attività di narcotrafficante, mentre Rocco,apparentemente distaccato, a Milano è un’ imprenditore edile che ricicla il denaro sporco del fratello.

Questo il prologo. Si, perchè “Anime nere” può essere considerato una moderna tragedia sofoclea, in cui il libero arbitrio viene soffocato da un destino ineluttabile.

anime_nere2Eddy Skin del film ha scritto : “Io non sapevo come fosse Africo. Sapevo che esisteva un paese di nome Africo, sapevo che fosse in Calabria. Ma non ne conoscevo il cielo livido, le case con i mattoni a vista, le opere pubbliche fuori scale, le strade come mulattiere, non conoscevo le capre con le corna, la chiesa di cemento in mezzo al paese. Io non sapevo che dialetto si parlasse ad Africo, avrei immaginato un calabrese caricaturale con tutte le t aspirate, non ne conoscevo la parlata chiusa, tra le vocali del salentino e la sintesi espressiva del siciliano. Con Anime nere ho viaggiato in un luogo dove non avrei messo piede, e mai avrei immaginato….Anime nere mi ha portato ad Africo, mi ha fatto sentire il freddo della notte aspromontina, mi ha fatto attraversare strade che non avrei mai pensato di percorrere….
Anime nere non racconta solo una tragedia familiare, ma anche un modo di pensare, un dramma generazionale tra l’equilibrio raggiunto dai padri e il nichilismo del giovane cresciuto con quel disperato bisogno di identità che finirà di compromettere ogni difficile, faticoso, labile equilibrio. Nella scelta suicida di Leo ho riletto non solo l’incomprensibile scelta dei giovani jihadisti britannici che vanno a uccidere e morire in Iraq, ma anche le mille violenze urbane di giovani uomini e donne che vogliono tutto, e lo vogliono subito, e non capiscono perchè altri hanno ciò a cui loro devono rinunciare, e tutto distruggono per affermare il loro solo desiderio di esistere. Munzi non dà lezioni, pare quasi che finga di sospendere il giudizio, il suo punto di vista appare neutrale e rispettoso per un mondo atavico ma non primordiale, capace di attendere, e non a caso destinato alla dannazione quando l’urgenza di velocità del moderno contamina il più giovane e il più debole della famiglia. Un film, poi, ho l’abitudine di giudicarlo davvero il giorno dopo, quando vai a dormire e pensi al film, quando con gli amici che erano con te parli del film. E Anime nere dura molto di più delle due ore di proiezione. Perchè di Calabria, di Aspromonte, di Africo si parla, ma le Anime nere di Francesco Munzi sono universali.”

Le iniziative dopo lo straordinario successo del blocco scrutini

Concluso (tranne l’Alto Adige) lo sciopero degli scrutini con un risultato straordinario: oltre centocinquantamila classi bloccate e nel 40% delle scuole “scrutini zero”
Ma il governo non prende atto della coralità della protesta, tenta di tappare i buchi con pezze impresentabili e non si rassegna a ritirare il distruttivo Ddl della “cattiva scuola”
Il 17 giugno, in occasione del voto in Commissione, proteste in tutta Italia: a Roma manifestazione al Pantheon (ore 17). E se il Ddl arriverà in Aula per il voto finale (forse tra il 23 e il 25) promuoveremo una mobilitazione nazionale unitaria con iniziative in ogni città
Si è concluso (con l’eccezione dell’Alto Adige) il blocco degli scrutini, diffuso tra il 3 giugno (scrutini anticipati) e il 14 a seconda delle regioni, con un successo straordinario che ha superato le più ottimistiche previsioni, nostre e degli altri organizzatori. Oltre centocinquantamila classi sono state bloccate, con punte plebiscitarie soprattutto alle superiori: e nel 40% degli istituti lo sciopero è stato totale, “a zero scrutini”. Ricordiamo a stampa e TV che il paragone tra il numero di scioperanti del 5 maggio e quello attuale non ha alcun senso, visto che per bloccare uno scrutinio è sufficiente lo sciopero di un solo docente e che in moltissime circostanze, per non sprecare soldi, un singolo insegnante ha bloccato anche cinque o sei scrutini, venendo rimborsato con le Casse di resistenza finanziate da tutti i docenti che sostenevano la lotta. Certamente è stata di grande importanza per tali strepitosi risultati la convocazione unitaria, e senza precedenti (solo i COBAS in passato avevano convocato scioperi degli scrutini, a partire da quello oceanico che segnò la nostra nascita e affermazione nazionale), da parte di tutte le organizzazioni, ma non va dimenticato che il 62% della categoria non è legato ad alcun sindacato: e dunque il successo è in primo luogo dovuto alla totale ostilità che il ddl “cattiva scuola” e la distruttiva proposta di consegnare gli istituti a presidi padroni hanno ricevuto in tutto il popolo della scuola, a partire da docenti ed Ata.
Constatazione che a noi sembra lampante, ma che non fa recedere il governo dal tentativo di trovare mediazioni truffaldine all’interno del PD – malgrado gli schiaffoni elettorali e la batosta della “incostituzionalità” del Ddl votato in Commissione- con emendamenti che costituirebbero una pezza peggiore del buco. Come ad esempio quello che obbligherebbe i presidi a cambiare sede ogni tre anni (o al massimo ogni sei), e che è un’ammissione eclatante del fatto che i presidi, una volta resi padroni stabili della scuola, diverrebbero corruttibili e controllabili solo con il trasferimento coatto. Ma piuttosto che introdurre il veleno e poi cercare l’antidoto, è il caso di eliminare il veleno! Insomma, il PD e il governo devono ritirare il Ddl: i superpoteri vanno cancellati, in quanto distruttivi della collegialità e dell’autonomia del lavoro docente, e del buon funzionamento della scuola; mentre va emanato un decreto che riguardi solo l’assunzione stabile dei precari.
Affinché questo avvenga, la mobilitazione non può conoscere pause. La Commissione cultura dovrebbe votare gli emendamenti mercoledì 17. Perciò, in tale giornata, si svolgeranno iniziative unitarie di protesta in tutta Italia. In particolare a Roma, con inizio alle 17, si terrà al Pantheon una manifestazione promossa dalle scuole, con la partecipazione dei COBAS, degli altri sindacati che hanno indetto lo sciopero degli scrutini, di tante RSU, comitati e strutture studentesche e di genitori, con la presenza di numerosi senatori/trici che si oppongono al nefasto Ddl e ad una scuola dominata da presidi padroni. Ci auguriamo che il ddl venga bocciato nuovamente in Commissione: ma se dovesse arrivare in Aula per il voto finale – sembrerebbe tra il 23 e il 25 giugno – promuoveremmo giornate di mobilitazione nazionale con manifestazioni cittadine per la bocciatura del disegno di legge.

Piero Bernocchi  portavoce nazionale COBAS

Scuola, esami di maturità: bandito l’uso di smartphone. Chi fa il furbo rischia di ripetere l’anno

da Rai News

Scuola, esami di maturità: bandito l’uso di smartphone. Chi fa il furbo rischia di ripetere l’anno
Come ogni anno torna il divieto di usare smartphone e altri dispositivi durante le prove scritte. Previste anche disposizioni per le scuole, per evitare che gli studenti possano collegarsi a internet. Intervista ad Antonietta D’Amato, dirigente del Ministero dell’Istruzione
Libri da una parte, appunti dall’altra. Ultimi giorni di ripasso per i quasi 500mila studenti alle prese con gli esami di maturità. Manca ormai davvero poco al via: si parte il 17 giugno, con la prova di italiano. Il giorno seguente sarà la volta della seconda prova scritta, quella legata all’indirizzo di studi. Il 22 giugno, poi, gli studenti torneranno tra i banchi per la terza prova, il cosiddetto “quizzone”. Vietato, come ogni anno, l’uso di strumenti tecnologici. “I candidati durante le prove scritte non possono utilizzare cellulari, smartphone, pc, tablet e tutti quei dispositivi che permettono di scaricare, visualizzare e tramettere file e immagini” spiega Antonietta D’Amato, dirigente del Ministero dell’Istruzione. “E’ vietato inoltre l’uso di apparecchiature a luce ultravioletta o infrarossa (che consentono di visualizzare la scrittura di speciali penne a inchiostro invisibile, ndr)”.
Chi è tenuto a vigilare?
“La Commissione d’esame, alla quale spetta il compito di garantire il corretto svolgimento delle prove”.
Cosa succede a chi viene sopreso a usare dispositivi vietati?
“E’ prevista l’esclusione dall’esame”.
Quindi si rischia di ripetere l’anno?
“Esattamente. Il consiglio che mi sento di dare agli studenti, quindi, è di evitare questi sotterfugi che possono essere veramente penalizzanti”.
Ci sono anche delle diposizioni rivolte alle scuole per evitare che gli studenti possano accedere a internet durante le prove?
“Il giorno delle prove scritte possono collegarsi al web solo i computer del Dirigente scolastico o di chi ne fa le veci, del direttore dei Servizi Generali Amministrativi e del Referente del plico telematico. Ma solo fino all’estrazione e alla stampa delle tracce. Dopodiché il collegamento alla rete internet deve essere disattivato. Inoltre, durante le prove, vanno rese inaccessibili tutte le aule e i laboratori informatici”.
L’apertura delle buste contenenti le tracce è ormai andata in pensione da qualche anno, lasciando il posto al “plico telematico”. Come funziona?
“Si tratta della trasmissione telematica delle prove alle singole scuole, introdotta nell’anno scolastico 2011/2012. Ogni istituto è tenuto a individuare un referente che, una settimana prima delle prove, scarica il plico telematico. Le tracce però sono criptate. Solo la mattina delle prove, il Ministero comunica il codice per decriptare i file ed estrarre i contenuti”.

E. von Arnim, Un’estate da sola

Una donna sola

di Antonio Stanca

von_arnimNella serie “Le Piccole Varianti” della casa editrice Bollati Boringhieri di Torino è comparsa a Gennaio del 2015 una ristampa del romanzo Un’estate da sola di Elizabeth von Arnim, pseudonimo di Mary Annette Beauchamp, scrittrice inglese nata in Australia nel 1866 e morta in America nel 1941. La traduzione dell’opera è di Daniela Guglielmino. La von Arnim la scrisse nel 1899, un anno dopo aver scritto Il giardino di Elizabeth che rappresenta il suo esordio letterario. Allora si trovava a Nassenheide in Pomerania (attuale Polonia), dove si era trasferita col marito, il conte tedesco August von Arnim, alcuni anni dopo il matrimonio. A Nassenheide il conte possedeva un’immensa tenuta con castello e qui Elizabeth avrebbe cominciato a scrivere, avrebbe avuto i suoi cinque figli, avrebbe assistito alla loro istruzione avvenuta in casa ad opera di precettori ma non avrebbe goduto di un buon rapporto col marito poiché di carattere collerico e col tempo esposto a problemi con la giustizia. Visse, tuttavia, diciotto anni in Pomerania e nel 1910, rimasta vedova, tornò a Londra dove divenne l’amante dello scrittore George Wells. Nel 1916 si risposerà con un conte inglese e nello stesso anno morirà la figlia Felicitas che si era recata in Germania per studiare musica. Neanche il secondo matrimonio andrà bene per la von Arnim che finirà col separarsi e legarsi ad un uomo molto più giovane di lei. Visse tra Inghilterra, Svizzera, Francia e nel 1939, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, si trasferì definitivamente in America dove morì nel 1941 a Charleston, nella Carolina del Sud.

Bella, colta, raffinata nei gusti, nelle esigenze ma anche irrequieta, sempre insoddisfatta si mostrò, sempre alla ricerca di quanto potesse colmare i bisogni del suo spirito libero, contrario ai vincoli che provenivano dal passato, alle convenzioni diffuse, ai pregiudizi di una società ancora e soltanto maschilista. Rifiutava tutto ciò che limitava la vita della donna, i suoi pensieri, le sue azioni. Tanto dovette lottare in famiglia e fuori la von Arnim per poter scrivere, pubblicare giacché inconcepibili erano allora, in particolare nei suoi ambienti, tali attività per una donna. Nuova fu per quei tempi e per quegli ambienti, ed anche per questo soffrì i rapporti con entrambi i mariti nonostante fosse diventata nota già dopo la pubblicazione del primo romanzo. Con questo aveva avuto un enorme successo e col secondo, Un’estate da sola, sarebbero continuati il successo e il tema trattato, quello dei diritti della donna, del suo bisogno di non essere ridotta ai soli doveri della casa, della famiglia. Ricorrenti saranno nelle altre opere certi personaggi femminili ed in ognuno la scrittrice trasferirà, con ognuno rappresenterà il suo anelito ad una vita diversa da quella che le si chiedeva, ad una condizione che le permettesse di partecipare a quanto succedeva al suo esterno, di comunicare le sue volontà, di farle valere. Soffrirà la von Arnim ma non rinuncerà a dire di quanto le urgeva, dei bisogni del suo spirito e la scrittura le sembrerà il modo migliore per farlo. Una scrittura soltanto sua che non rientrava in nessuna corrente, non aveva nessun precedente poiché soltanto di lei era quel che esprimeva. Saranno tante le situazioni che la scrittrice costruirà nei suoi romanzi, tante le vicende che immaginerà, tanti i modi con i quali crederà di liberare la donna dalla millenaria sudditanza all’uomo. L’amore rientrerà tra questi, sarà tra i più importanti perché inteso in senso molto ampio, come piacere, godimento, cioè, degli aspetti migliori della vita fossero di persone o di cose, di luoghi o di tempi, di luci o di colori, d’immagini o di suoni, di piante o di acque, di terra o di cielo. Con la bellezza della natura la von Arnim vorrà entrare in contatto, comunicare, come la natura vorrà essere libera, con quella della natura identificherà la propria libertà nelle opere Il giardino di Elizabeth e Un’estate da sola. In quest’ultima dirà della sua intenzione di trascorrere “un’estate da sola”, di voler godere completamente, totalmente del suo tempo nei giardini, nei prati, nelle aiuole, nei boschi che circondavano la sua grande casa in Pomerania, tra i fiori, le acque tutt’intorno. Sarà tanto il piacere che le deriverà da quei contatti, si sentirà tanto libera da volersi annullare tra quei luoghi, da voler vivere la loro stessa vita. Ampi spazi dell’opera, molte pagine sono dedicate alle sue ripetute passeggiate, alle sue lunghe permanenze tra il verde dei campi, il canto degli uccelli, il fondo delle valli sotto l’azzurro del cielo, di fronte alla luce dell’alba, al colore del tramonto. Sola, libera si descriverà nei luoghi intorno alla casa, tra tanta natura anche lei si sentirà sua parte e ne scriverà con un linguaggio così appropriato, così modulato da ottenere effetti musicali, da mostrare i suoi come dei rapimenti. Guastata vedrà, però, una simile condizione di pace, di estasi quando si sentirà chiamata per altri compiti dall’uomo che sta con lei, quando dovrà prestare attenzione alla servitù perché la tenuta non scadesse nel disordine, quando dovrà cercare di contenere i pericoli di malattia, di morte sempre presenti nel villaggio intorno al castello a causa delle gravi condizioni di arretratezza, ignoranza, superstizione, false credenze nelle quali si trovavano i suoi abitanti. Godere una completa estate da sola non le sarà, quindi, possibile a causa di quanto le sta succedendo intorno e quell’aspirazione diventerà uno dei termini del confronto tra sé e il mondo, la vita, la storia. Sola si scoprirà di fronte ad essi ma anche se non penserà di superarli non rinuncerà a lottare e la sua lotta per la libertà delle donne dalle loro eterne regole diventerà, nelle opere seguenti, quella tra il nuovo e l’antico, il bene e il male, l’amore e l’odio, la pace e la guerra, la vita e la morte. Estenderà il suo ambito, trascenderà la situazione particolare, assumerà significati ampi, otterrà esteso riconoscimento, diventerà motivo di letteratura, di arte.

In 570mila agli esami di terza media

da Avvenire 

In 570mila agli esami di terza media

ono oltre mezzo milione (569.339) i ragazzi che stanno affrontando in questi giorni gli esami di Terza media che si svolgono secondo un calendario stabilito autonomamente dalle singole scuole. I candidati devono sostenere prove scritte di Italiano, Matematica, Lingue straniere predisposte dalle proprie commissioni d’esame. Venerdì 19 giugno, alle 8.30, è, invece, in programma la prova Invalsi, identica su tutto il territorio nazionale. Subito dopo gli scritti, è previsto l’orale, a carattere multidisciplinare.

Come funziona la prova Invalsi
Ha il fine di verificare i livelli generali e specifici di apprendimento raggiunti dagli studenti in Italiano e Matematica durante il primo ciclo d’istruzione. Per rispondere ai quesiti gli alunni hanno a disposizione 75 minuti per ciascuna delle due materie. Dopo la sessione del 19 giugno, sono previste una prima e una seconda sessione suppletiva il 24 giugno e il 2 settembre (sempre con inizio alle ore 8.30).

Subito dopo lo svolgimento della prova, le sottocommissioni procedono alla correzione servendosi di una griglia apposita predisposta dall’Invalsi e resa pubblica sui siti degli Uffici scolastici regionali, degli Uffici territoriali e sul sito dell’Invalsi stessa, dalle 12.00 del 19 giugno. Il voto massimo che ciascun candidato potrà ottenere è di 10/decimi. Le scuole dovranno assicurare un accurato controllo, nominando per la vigilanza due coppie di docenti che insegnino una materia diversa da quella d’Esame. Nessun altro, oltre ai professori nominati come vigilanti e al presidente, potrà essere presente nelle aule durante le prove.

Nella stessa fascia oraria non sarà consentito l’accesso alle scuole da parte di estranei. Dove possibile, i banchi dovranno essere collocati in linea e non si dovrà consentire che due alunni possano sedersi allo stesso banco. I candidati, inoltre, non potranno utilizzare apparecchiature telefoniche o telematiche di alcun tipo. Le prove, comunque, sono strutturate in cinque versioni differenti, con le domande uguali per tutti gli studenti ma inserite in ordine diverso. Sul sito www.invalsi.it sono disponibili i test degli scorsi anni per gli studenti che volessero esercitarsi.

Alunni con disturbi dell’apprendimento
Le Commissioni d’Esame adotteranno particolari accorgimenti nei confronti degli alunni con disturbi specifici di apprendimento e degli alunni con bisogni educativi speciali. In particolare, ciascuna Commissione, per Lo svolgimento delle prove scritte e orali, prenderà in considerazione le modalità e le forme di valutazione individuate nell’ambito dei percorsi didattici personalizzati. A tal fine potrà essere previsto l’utilizzo di dispositivi per l’ascolto in formato mp3 dei testi della prova, oppure l’utilizzo di apparecchiature e strumenti informatici, oltre a tempi più lunghi per lo svolgimento delle prove scritte.

Gli esiti degli anni precedenti
Lo scorso anno scolastico, 2013-2014, i dati sull’ammissione agli esami di terza media hanno confermato un trend in crescita. A giugno 2014 è stato ammesso a sostenere le prove il 97,2% degli alunni scrutinati, con un incremento di 0,2 punti percentuali rispetto all’anno precedente (nel 2011-2012 la percentuale di ammessi era stata del 96,3%). Per quanto riguarda la valutazione finale, la percentuale di ragazzi che hanno superato l’esame lo scorso anno è stata del 99,7%, stabile rispetto agli anni scolastici precedenti.

Basta bugie: i docenti vogliono essere valutati, ma da chi?

da Left

Basta bugie: i docenti vogliono essere valutati, ma da chi?

 

di Giuseppe Benedetti

 

Un’insidiosa bugia mascherata da mezza verità sta avvelenando il dibattito pubblico sul ddl sulla scuola. La bugia: i docenti italiani non vogliono farsi valutare. La verità: i docenti italiani non vogliono farsi valutare in base alle vaghe e capricciose indicazioni di una classe dirigente incurante della qualità della scuola pubblica.

Ogni riforma che pretenda di definirsi “buona” dovrebbe essere sperimentata innanzitutto da chi la propugna. Ma chi sarebbe mai disposto a farsi valutare da chi non ha nessuna qualifica o preparazione specifiche per svolgere quella funzione? I primi ad essere liberati dal provarle sono gli ideatori e gli esecutori. Poi il privilegio tocca al corteo di commentatori celebranti

Ora questa “buona” riforma viene proposta da un governo che non ha legittimazione elettorale e potrebbe essere licenziata da un Parlamento di cooptati dalle burocrazie dei partiti, in base a una legge elettorale dichiarata incostituzionale. Però, non si sa come, i membri di questo governo si sentono particolarmente ferrati sui temi del merito e della valutazione. Esemplare la giravolta del ministro Giannini, ora fervida sostenitrice dell’adozione di un criterio quantitativo nella rilevazione delle prove scolastiche, come quello delle prove Invalsi, ma da docente e presidente della Società Italiana di Glottologia contraria all’uso della metodologia bibliometrica (cioè di un criterio puramente quantitativo) nella valutazione dei risultati della ricerca scientifica.

Quanto agli eroici opinionisti che portano in trionfo il ddl sopra le sabbie mobili del sindacato, certe lodi sperticate sarebbero più credibili se fossero precedute dalla notizia delle valutazioni a cui sono periodicamente sottoposti e del numero degli esami e dei concorsi che hanno superato per salire sulla tribuna dalla quale sdottoreggiano su scuola e merito. Perché non s’impegnano con analogo zelo contro l’egualitarismo rimunerativo, per esempio, dei medici o dei giudici? Conoscono il funzionamento della macchina ministeriale, capace di schiacciare competenze, esperienze, titoli e diritti?

Chi è stato precario sa quanto possa essere inaffidabile e perverso il congegno delle graduatorie, a causa di eccezioni, deroghe, riserve e ricorsi. Prendiamo il caso dei vincitori del Tfa, che in 10mila hanno superato una durissima selezione (gli aspiranti erano 138mila). Prima è stata assicurata loro la cattedra, visto che il fabbisogno stimato era il doppio del numero dei vincitori. Poi, la perfetta macchina meritocratica dello Stato ha consentito a 70mila docenti, tra quelli già bocciati nella precedente selezione, di superare un percorso abilitativo speciale che ha stravolto la graduatoria di merito precedente.

Come ci si può fidare di una classe dirigente che un giorno fissa un criterio di valutazione e un altro giorno se lo rimangia? Ci siamo dimenticati che Berlinguer, primo ad avventurarsi nel terreno sconosciuto della meritocrazia, aveva escluso dalla partecipazione al concorso per la progressione di carriera i docenti che non avevano maturato almeno dieci anni di ruolo, mentre oggi i suoi eredi calpestano il valore dell’esperienza maturata sul campo?

Sciopero scrutini, ecco perché si dice tutto e il contrario di tutto

da La Tecnica della Scuola

Sciopero scrutini, ecco perché si dice tutto e il contrario di tutto

I sindacati parlano di larghissima adesione, eppure ci sono istituti dove tutto è filato liscio. Come è possibile? È presto detto: per bloccare lo scrutinio di una classe basta che partecipi un docente sugli otto, dieci o dodici appartenenti al consiglio di classe. Quindi anche con meno del 10% di adesioni si può ottenere il massimo risultato. Vi forniamo i dati di alcune scuole che stanno vivendo questa realtà a “macchia di leopardo”.

Sulle adesioni agli scioperi degli scrutini si sta dicendo tutto e il contrario di tutto. Nel week end di metà giugno, che prima di tutti La Tecnica della Scuola aveva indicato come a rischio di lavoro per tanti docenti e dirigenti della scuola superiore, ci sono comunque non pochi istituti dove le valutazioni di fine anno si sono svolte regolarmente. Altre, invece, dove a slittare sono stati pochissimi scrutini. Altre ancora, dove l’adesione è stata pressoché totale (escluse le classi terminali, come previsto dalla normativa vigente). Stiamo vivendo una realtà a “macchia di leopardo”, come si dice in queste occasioni.

Talmente frastagliata, da far uscire tutti vincitori. I sindacati, che cantano vittoria e parlano di “larghissima adesione”. Ma anche l’amministrazione e il Governo, che in attesa dei dati ufficiali sulle adesioni, già si sfregano per il numero effettivo di docenti che hanno aderito al boicottaggio: sino ad oggi meno di 20mila docenti in tutta Italia, secondo i dati in nostro possesso, a fronte di oltre 700mila che ne avrebbero avuto facoltà.

Come è possibile che si parli, allora, di sciopero riuscito? Il motivo è semplice: per bloccare lo scrutinio di una classe basta che partecipi un docente sugli otto, dieci o dodici appartenenti al consiglio di classe. Quindi con meno del 10 per cento di adesioni, si può ottenere il massimo risultato. Anche se non mancano le realtà scolastiche dove tutto è filato liscio.

Come gli istituti dell’alto vicentino diretti dal Gianni Zen, dove i 103 scrutini riguardanti altrettanti classi (79 del Liceo Brocchi di Bassano del Grappa e 24 del liceo De Fabris di Nove) si sono svolti tutti regolarmente: “segno della serietà e della professionalità, ma anche della serenità di un ambiente di lavoro che mette al centro il bene dei ragazzi e delle famiglie”, spiega con soddisfazione il dirigente scolastico.

Ma anche al Carlo Urbani di Roma, sezioni arti grafiche, tutte le valutazioni di fine anno sono state eseguite come da programma. E pure all’Istituto comprensivo Mommsen, sempre della capitale, ci risulta che delle tante classi di scuola d’infanzia, primaria e media inferiore solo una o due avranno bisogno di una “coda”.

Certo, poi ci sono situazioni opposte. Come quella dell’Istituto Comprensivo S. Domenico Savio di Giba (Carbonia-Iglesias), dove un docente ci riferisce che è stato attuato il 100 per cento di blocco, in pratica su tutte le classi non terminali. Stesso copione al De Mattias-Confalonieri di Roma, sezioni Ipsia grafica e commerciale, dove il boicottaggio ha riguardato l’intero ciclo di studi, tranne le quinte classi in procinto di iniziare gli Esami di Stato.

Cosa significa tutto questo? Che, forse, lo sciopero degli scrutini non è proprio lo strumento migliore per quantificare le proteste contro il disegno di legge di riforma. Il mondo della scuola ha già ampiamente fornito risposte in merito: quella del 5 maggio, con adesioni mai riscontrate nel settore, valgono più di ogni commento. E poi tutte le manifestazioni a seguire. E quelle ancora che verranno.

Ridurre tutta la questione sugli esiti di uno sciopero particolare, che prevede l’anomalia del recupero, in certi casi anche domenicale, appare a dir poco fuorviante. Insomma, per parlare di vittoria o di sconfitta, non sembra proprio questa la “partita” giusta.

Onestà intellettuale e numerica sullo sciopero degli scrutini

da La Tecnica della Scuola

Onestà intellettuale e numerica sullo sciopero degli scrutini

Anna Maria Bellesia

Lo sciopero breve degli scrutini per le classi non terminali è iniziato l’8 giugno in Emilia Romagna e Molise, e finirà il 18 giugno in Alto Adige, a seconda dei calendari regionali. Quindi bisognerà attendere dopo questa data per disporre di dati certi e complessivi.

Secondo i sindacati l’adesione al blocco degli scrutini, nelle regioni dove si è svolto, va da un minimo del 70% a punte del 90%.

Ci aspettiamo però che la comunicazione politica da parte del Governo tenderà a minimizzare, offrendo all’opinione pubblica dati calcolati come fa comodo.

Una comunicazione corretta dovrebbe dirci semplicemente questo: quanti scrutini di classi non terminali sono stati bloccati rispetto a quelli programmati nei giorni in cui è stato indetto lo sciopero. Solo questo dato misura l’entità della protesta.

Invece, dare il numero dei docenti che hanno aderito allo sciopero non dice nulla, perché bastava un solo docente per classe per differire lo scrutinio. Ma questo l’opinione pubblica non lo sa, e offrire letture opportunistiche sarebbe un giochetto da ragazzi.

Dal Ministero, inteso come istituzione, ci aspettiamo dati che ci informino su come sono andate realmente le cose.

Dal Governo guidato da Matteo Renzi ci aspettiamo invece le solite fanfaluche a cui ci ha abituato, del tipo “abbiamo vinto” col 45% in Emilia Romagna, quanto è andato a votare un misero 39%, con un imbarazzate 36% di voti validi e due milioni di elettori che hanno scelto di non votare! Oppure “abbiamo vinto 10 a 2” alle regionali, quando nell’ultima tornata il PD ha perso due milioni di elettori nelle 7 regioni chiamate alle urne!

Empiricamente, l’impressione è che moltissimi docenti, certamente oltre il 50%, hanno aderito allo sciopero pur sapendo di tirarsi la zappa sui piedi di una seconda convocazione in giornate addirittura concomitanti agli esami, con aggravio molto pesante del carico lavorativo.

Dare a Renzi un messaggio chiaro era l’obiettivo. Una riforma della scuola deve avere prima di tutto il carattere della serietà di impianto (e la Buona Scuola è nata male), deve perseguire l’interesse degli studenti (e già qui si aprono le prime falle), deve avere il consenso, e non l’opposizione, di quel milione di docenti che sono le gambe su cui la scuola si regge e cammina.

Dare a Renzi&company una lezioncina di onestà intellettuale era il secondo obiettivo. Altro che lavagnetta e gessetto come alternativa propagandistica alle solite slides.

I docenti italiani, in grande maggioranza, questa riforma proprio non la accettano e lo stanno facendo capire con grande dignità. Quella dignità che vorremmo vedere, almeno in tardivo sussulto, nei nostri “rappresentanti”, pur eletti col vulnus del porcellum.