Laboratorio Scuola

Dal 7 febbraio 2022 il nuovo programma tv Laboratorio Scuola, un viaggio nell’Italia dell’innovazione didattica, fatto di racconti dal basso, raccolti nelle scuole del Paese e supportati dal contributo di esperti. La serie, suddivisa in 20 puntate, è prodotta da Rai Scuola in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, e vede protagonisti i docenti, le studentesse, gli studenti e le scuole da Nord a Sud.

Le puntate, ognuna da 30 minuti, saranno trasmesse su Rai Scuola (canale 146), dal lunedì al venerdì, alle 11.00 e alle 15.00. Saranno poi tutte disponibili su RaiPlay per poter essere riviste e utilizzate in ambito scolastico.  

Dal debate, alla robotica, dai laboratori virtuali, alla flipped classroom, dai videogiochiusati per la didattica, ai nuovi software educativi: questi alcuni dei temi affrontati. Milano, Roma, Torino, Napoli, Ancona, passando per Anagni, Bassano del Grappa, Belluno, Bobbio, Busto Arsizio, Carpi, Caivano, Civitavecchia, Foligno, Gallarate, Gravina di Puglia, Modena, Parma, Potenza Sarzana e Varese: sono queste le città toccate dal ‘viaggio’ nelle scuole italiane e nell’innovazione didattica. Un percorso organico, pensato anche per accompagnare iniziative specifiche di formazione e aggiornamento del corpo docente e valorizzare le metodologie e le strategie più efficaci che possano essere utilizzate in un contesto di progressivo superamento dell’emergenza e nella scuola della ripartenza.   

Le puntate sono organizzate in dieci capitoli, ciascuno dei quali costituito da due videolezioni, una focalizzata sul tema principale e una di allargamento e adattamento del tema a diversi contesti e situazioni. Sul sito di Rai Scuola sono presenti, inoltre, le clip con le singole scuole e gli esperti che hanno contribuito alla realizzazione della trasmissione:   
https://www.raiscuola.rai.it/percorsi/laboratorioscuola.    

Laboratorio Scuola è una produzione che rientra nella collaborazione tra Ministero dell’Istruzione e RAI attraverso la quale son stati proposti nuovi programmi rivolti alle istituzioni scolastiche, alle studentesse, agli studenti, alle famiglie, ma anche, in senso più largo, alla cittadinanza, che non solo stanno portando i temi della conoscenza in tv, ma puntano a raccontare sempre di più e sempre meglio cosa sta accadendo nelle scuole, come sta evolvendo il mondo dell’istruzione e quali innovazioni stanno nascendo.

Iscrizioni A.S. 2022 – 23 – Analisi dei primi dati

Iscrizioni A.S. 2022 – 23 – Analisi dei primi dati
Studenti di domani, dati e prospettive per il nuovo anno che verrà

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Giunti al termine per le iscrizioni per il prossimo anno, dopo la proroga dal 28 gennaio al 4 febbraio, il ministero rende noti i primi dati.

Il primo dato che emerge è che la procedura online con lo SPID è stata ben accolta dalle famiglie, che in tal modo cominciano ad acquisire sempre più familiarità con il sistema di accesso  digitale ai servizi della pubblica amministrazione, proseguendo in un processo di dematerializzazione e semplificazione, sempre più necessario per il nostro paese.

I toni di questa campagna scolastica sono stati molto più distesi, rispetto agli anni precedenti, vuoi perché ogni scuola era impegnata negli adempimenti messi in atto dalle nuove regole di contrasto alla diffusione del virus COV SARS 2, vuoi anche per  una maggior consapevolezza delle famiglie, sono sempre meno sensibili alle campagne di marketing scolastico, e più attente alla rete che offre molte informazioni per poter scegliere autonomamente, in funzione dei talenti e delle aspettative dei propri figli.

Molte scuole, poi, hanno beneficiato dei recenti rinnovamenti degli ambienti di apprendimento e dell’offerta formativa, dovute alle maggiori risorse investite e alla sostituzione di parte degli arredi, con i banchi singoli che hanno cambiato il volto delle aule.

In alcuni casi la scelta dei banchi innovativi è risultata vincente, in quanto restituiscono l’immagine di una scuola che sta cambiando, sempre più orientata verso l’abbandono della didattica trasmissiva per un approccio più partecipativo e laboratoriale.

Da un’analisi dei primi dati emerge un’inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti, con una lieve crescita degli istituti tecnici e professionali, scelti rispettivamente dal 30,7% e dal 12,7% dai neo iscritti al secondo ciclo, a discapito dei licei che continuano però ad essere la scelta preferita dagli studenti italiani con un 56,6% sul totale di coloro che hanno effettuato l’iscrizione.

Il segnale, anche se ancora molto debole in quanto il divario nelle percentuali rimane comunque alto e lo scostamento rispetto all’anno precedente è lieve, mostra però che le riforme messe in atto cominciano a dare i loro effetti.

In particolare, gli istituti professionali crescono di quasi un punto, dall’11,9% al 12,7%, dopotutto questi ultimi, con il D.lgs. 61/2017, sono stati completamente rinnovati, consentendo ora un’ampia personalizzazione dell’offerta formativa, sia nel biennio e soprattutto nel triennio, proiettandosi sempre più a diventare scuole territoriali dell’innovazione, aperte e concepite come laboratori di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica.

Da non sottovalutare poi la figura del tutor, che accompagna ogni singolo studente nella personalizzazione del proprio percorso di studi e diventa anche elemento fondamentale per la crescita e la motivazione personale di quest’ultimo.

Innovazione, quindi, l’elemento premiante, un’opportunità non colta da tutte le scuole che, alla chiusura delle iscrizioni, pagano un prezzo alto in termini di nuove classi che verranno autorizzate, tenendo conto del calo demografico in atto.

La lieve rimonta degli istituti tecnici si rileva soprattutto nelle aree del paese dove l’economia tiene conto del capitale sociale, elemento necessario per essere innovativi e competitivi oggi per molte piccole e medie imprese italiane. Con un lieve e positivo aumento, ora salgono al 30,7% delle scelte, rispetto al 30,3% di un anno fa. In particolare, il Settore Tecnologico  passa al 20,4% rispetto al 20,3% di un anno fa e il Settore Economico al 10,3% rispetto al 10,0% dell’anno precedente.

Nonostante la piccola variazione di rotta, i Licei continuano a essere scelti da oltre la metà delle studentesse e degli studenti, passando dal 57,8% dello scorso anno al 56,6%. Il Classico passa dal 6,5% dello scorso anno al 6,2%. I Licei scientifici erano al 26,9% e scendono al 26 %. In calo la scelta nell’ambito dei percorsi scientifici dell’indirizzo tradizionale, che passa dal 15,1% al 14,0%.

In discesa anche il Liceo Linguistico, che passa dal 8,4% al 7,4%.  Crescono invece il Liceo delle Scienze umane, dal 9,7% al 10,3%, e l’Artistico, dal 5,1% al 5,5%, mentre si mantengono stabili il Liceo Europeo e Internazionale (0,5%) e i Licei musicali e coreutici (0,7%).

Nelle scuole del primo ciclo, le piccole sezioni della scuola dell’infanzia sicuramente soffrono più di tutte del calo demografico in atto, mettendo a rischio molte realtà presenti nei territori dove a quest’ultimo si aggiunge lo spopolamento derivato dai flussi migratori.

Lo stesso problema emerge anche nella scuola primaria e secondaria di primo grado, nelle piccole comunità il limite dei 18 alunni per la costituzione di più di una pluriclasse, oggi, è difficile da raggiungere, venendosi di conseguenza a determinare, in questo modo, per il nuovo anno scolastico, classi che ospitano bambini di varia fascia di età, con bisogni educativi differenti e che rischiano di essere penalizzati nella loro crescita cognitiva e relazionale.

Il Movimento Piccole Scuole, sostenuto dall’INDIRE, da anni sta lavorando per trovare una soluzione al problema con l’utilizzo delle nuove tecnologie, al fine di condividere ed ottimizzare le risorse umane.

Ma alla luce di quanto già svolto, si rende ora sempre più necessaria una riforma con maggiori investimenti che tenga conto di queste realtà, in alcuni contesti unica opportunità formativa e ricreativa per molti bambini e ragazzi.

Alla Scuola primaria, la domanda di tempo pieno per un totale di 40 ore settimanali viene avanzata dal 47,2% delle famiglie mentre il 31,6% delle richieste sceglie il tempo scuola delle 27 ore settimanali.

Un tempo pieno che necessita di un’estensione oraria, anche utilizzando le risorse del FIS, che dovrebbe tenere conto, nell’assegnazione alle singole istituzioni scolastiche, della realtà produttiva delle aree e dei contesti di riferimento, in quanto gli orari di funzionamento non coincidono spesso con i turni lavorativi dei genitori, tenendo conto che il supporto dei nonni, con il tempo, verrà sempre meno.

Dai dati emerge che il tempo scuola fino a 30 ore settimanali, con l’attivazione delle tre ore di materie opzionali aggiuntive scelte dalle famiglie, non trova il gradimento delle famiglie, in quanto essendo attivate con le risorse umane in organico di autonomia, non ci sono le professionalità necessarie per migliorare l’offerta formativa.

Immaginate invece cosa potrebbero essere se per quelle ore si potessero reclutare esperti di coreutica, di teatro, di lingue, d’informatica, di Making, di Coding, di Robotica, di Tinkering, ecc., anche provenienti da altre istituzioni scolastiche di altri ordini di scuola, utilizzando le collaborazioni plurime o, se non disponibili, reclutati all’esterno.

Riforme, quindi, sempre più necessarie, a misura di bambino e delle famiglie, oggi sempre più in difficoltà, in quanto sempre più soli, tenendo conto della popolazione italiana che invecchia di anno in anno, sempre di più.

Si chiudono le iscrizioni quindi, un periodo di scelte per gli studenti e di rendiconto per molte istituzioni scolastiche, alcune premiate per il buon lavoro svolto e per le innovazioni didattiche e strutturali apportate, altre invece destinate sempre più verso un ridimensionamento determinato da scelte mancate e mai attuate.

Bonus psicologo e “psicologi di base”

Bonus psicologo e “psicologi di base”

di Gabriele Boselli

Per alcuni la vita -reale o percepita- può essere veramente difficile. Per altri sembrarlo solamente e tuttavia costituire un disagio che appaia utilmente ostensibile, in tempi di proliferazione dei bonus di ogni tipo, di clinicizzazione di ordinari stati di disagio e di semplici, comuni difficoltà nell’esistere. Queste ultime in ogni epoca compensate sinora dalla rete dei parenti, degli amici o degli insegnanti o di altre figure comunque solidali. Più spesso, difficoltà superate o almeno ovviate dalla capacità dell’individuo di trovare in se stesso la forza di individuare un sentiero per conoscere davvero il mondo ed esserne felice.

Da qualche decina d’anni gli ordinari stati di difficoltà dei ragazzi e degli adulti (non scrivo qui di quelli oggettivi come la povertà economica e quelli dovuti a vere e proprie lesioni del SNC) stanno diventando campo di raccolta di fruttuose prestazioni professionali degli psicologi; ad es. nelle scuole -ai fini di ampliare il mercato- si è avuto un aumento vertiginoso di diagnosi di handicap, autismo, ritardi di vario tipo, dislessie, BES etc. Adesso si enfatizzano i presunti stati di disagio di alunni e ….docenti  dovuti alla DAD.

Per una piccola parte l’aumento dei casi è reale e derivante dalle trasformazioni dell’economia e dai processi migratori. Importante per l’incremento del disagio vero è anche il miglioramento delle neonatologie:  vi si salvano molti piccoli che in altri tempi sarebbero vissuti solo pochi giorni e che oggi trascinano per molti anni esistenze di sofferenza per loro e i genitori. Ma un eccellente raccolto di manna per psicologi, invadendo il campo dei pedagogisti (è la pedagogia la scienza dell’educazione), si sta preparando con i presunti effetti secondari della pandemia: molti ragazzi l’avrebbero o la starebbero affrontando con stati di disagio di riffa o di raffa documentalmente classificabili e, qui la pur relativa novità, economicamente redditizi per qualcuno.

Di qui la proposta bi-partisan dell’istituzione dello psicologo di base o di un bonus che, dopo quelli per oggetti materiali e perciò verificabili come la TV o il superbonus per la casa (oggetto peraltro anch’essi di truffe allo Stato), sostengano quell’oggetto misterioso e inverificabile che è la salute, o almeno il ben-essere,  dell’anima e la quantità/qualità degli apprendimenti; questi ultimi gravemente compromessi secondo gli psicologi  da lunghi periodi di allontanamento dalle lezioni in presenza.  Per quest’ultima casistica ho scritto altre volte di quanto mi fu proficuo sotto il piano culturale e del ben-essere, oltre mezzo secolo fa,  quell’anno di intermezzo (“perso” secondo la vulgata corrente) tra gli studi presso l’istituto magistrale e quelli presso l’università. Ebbi allora per maestri i grandi libri che trovavo nella Biblioteca dei Filopatridi e per compagni gli amici del mio paese, Savignano sul Rubicone: in quel periodo si formò il mio universo intellettuale e i nuclei d’ idee sia scientifiche che etico-politiche su cui avrei poi insistito per tutta la vita. Periodo di formazione dell’autocoscienza, condizione per una coscienza e di una conoscenza personali del mondo (1)-

 Oggi avrei rischiato  un bonus-psicologo e il conseguente irretimento in strutture di dipendenza.

Durante il mio insegnamento da insegnante elementare e universitario, nonché da ispettore, ho sempre sostenuto il valore dell’autonomia intellettuale e della capacità di elaborare pensiero anche a prescindere dall’ambiente in cui ci si trova ad accadere. Il sapere, come il piacere di vivere, abita in interiore homine, anche se ha poi bisogno di trascendere per esprimersi nell’interazione famigliare, amicale e professionale.   Senza condizionanti e non necessarie stampelle.

L’educazione (indicazione della via per conoscere il mondo e trovarvisi bene) spetta a genitori e insegnanti cui l’aiuto principale, quando servisse per una migliore individuazione dei percorsi , può semmai essere offerto da pedagogisti. Gli psicologi vengano impegnati non nell’istituzione scolastica ma nelle AUSL e solo laddove vi siano patologie vere e proprie, per fortuna assai rare, lontanissime dalle percentuali interessatamente rilevate dai professionisti delle malattie dell’anima.

(1) E’ il momento in cui “l’io diviene capace di dire autenticamente (senza alcun plagio) io a se stesso” senza chiudersi ad alcun campo dell’esperire ma esprimendovisi originalmente. Kant, Scritti sul criticismo, Laterza. Cit. ripresa da M.Heidegger Hegel, Mimesis, 2020, p.56

Priorità

Priorità

di Dino Castiglioni

La recente decisione del Governo di favorire al massimo  la didattica in presenza ha portato nuovamente all’attenzione dell’opinione pubblica alcuni aspetti problematici della gestione delle scuole, facendo emergere legittime preoccupazioni  da parte di chi è chiamato a gestire quotidianamente e in prima linea la delicata situazione pandemica. Per il Governo  “non ha senso chiudere la scuola prima di aver chiuso tutto il resto, oggi non c’è motivo per farlo, bisogna respingere un ricorso generalizzato della didattica a distanza”.

Se durante la prima diffusione del virus la scelta  era stata quella di “chiudere tutto” al massimo livello possibile, attualmente si vuole intervenire con soluzioni rispondenti all’obiettivo di garantire appieno  il principio di equità ed eguaglianza verso le studentesse e gli studenti del nostro Paese. Credo che nella scuola non vi sia una sorta di “partigianeria”, pro o contro la didattica a distanza ma  la lettura di alcuni dati  ci permetterebbe forse di inquadrare meglio il problema, cercando conseguentemente soluzioni condivise e soprattutto finalizzate ad evitare in prospettiva forme di disagio o espulsione sociale.

I risultati delle  prove Invalsi relative all’anno 2021 fanno emergere, fatta eccezione per la scuola primaria,  un calo generalizzato delle performances in Italiano, Matematica, Inglese, con accentuazioni maggiori che provengono da contesti socio-culturali meno favorevoli e collocati in specifiche aree geografiche (in particolare Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna). Tali risultati hanno come immediata conseguenza un incremento  della dispersione scolastica implicita, che dal  7% risulta attestarsi intorno al 9,5%. (si tratta di quella parte di studenti che ha  conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado, ma con competenze di base attese al massimo al termine del primo biennio della scuola secondaria di secondo grado, quando non addirittura alla fine del primo ciclo d’istruzione). Nel dettaglio emerge che diverse Regioni hanno raggiunto valori ben più alti (Calabria 22,4%, Campania 20,1%, Sicilia 16,5%, Puglia 16,2%, Sardegna 15,2%, Basilicata 10,8%, Abruzzo 10,2%), fenomeno che desta particolare preoccupazione poiché nelle stesse regioni anche il numero di dispersi espliciti (coloro che hanno abbandonato la scuola prima del diploma) è considerevolmente più alto della media nazionale che si attesta intorno al 23%, risultando incrementata di un punto percentuale rispetto all’anno precedente.Si tratta di valori che vanno ben al di là degli obiettivi stabiliti da Europa 2020 e soprattutto in aumento rispetto alle percentuali cui il nostro Paese risultava attestato (13,5%).

La pandemia ha amplificato  le già presenti differenze economico-sociali, manifestatesi attraverso difficoltà comunicativo-relazionali, disturbi di attenzione, calo motivazionale. La carenza tecnologica ha poi incrementato il senso di distanziamento, contribuendo ad un allontanamento dalla partecipazione e dalle attività proposte. Non si tratta di problemi di esclusiva attinenza al mondo della scuola, ma di criticità che investono tutto il sistema Paese e la sua prospettiva in termini di tenuta sociale. La scuola non ha bisogno unicamente di risorse economiche, ha bisogno di una rete e di un collante sociale che coinvolga ogni singolo territorio.

Se è vero che non ha senso chiudere le scuole al mattino, quando i ragazzi al pomeriggio cercano naturalmente occasioni di aggregazione, è altrettano vero che si tratta di capire  come creare le necessarie condizioni di sicurezza e soprattutto il tipo di interventi da realizzare per superare le criticita più sopra sommariamente accennate, garantendo  la massima presenza e partecipazione e recuperando quegli aspetti basilari connessi al “fare scuola”; apprendimento ma anche socializzazione, partecipazione, maturazione, vita sociale e comunitaria, oltre che ricostruzione del  tessuto dialettico tra docente e discente,  tipico della formazione e della crescita tra persone. Lo scorso anno si voleva limitare la didattica a distanza in quanto  considerato uno strumento che avrebbe evidenziato ancora di più le differenze e soprattutto colpito le fasce più fragili, come in effetti è stato; oggi la preoccupazione è di non riuscire a governare contemporaneamente didattica a distanza e in presenza.  L’esperienza acquisita ci ha fatto comprendere che la scuola va certamente protetta da un punto di vista sanitario ma soprattutto deve poter continuare ad assolvere  alla sua funzione strategica. Il “sottotitolo” della scuola è che essa è  “palestra di educazione”, luogo di eccellenza di crescita comunitaria, di confronto democratico, di partecipazione, di integrazione, di superamento delle difficoltà. Ma la scuola non è un posto generico, in cui  trasferire tutte le attese e aspettative. È luogo fisico, costituito da persone che quotidinianamente la  rendono viva. E’ necessario  che quanti vi operano, studenti, dirigenti scolastici, docenti, personale ATA, possano agire in completa sicurezza, a tutela di se stessi  e di quanti con la scuola entrano in contatto. È una questione di rispetto, di attenzione, di cura dell’altro, di attuazione del principio costituzionale di eliminazione di qualsiasi ostacolo che possa frapporsi alla piena realizzazione della persona. E’ fondamentale mantenere vivo il rapporto educativo-fiduciario docente-discente, anche se temporaneamente questo dovesse esprimersi con la didattica distante. Distante ma non lontana, non assente, non indifferente, non asettica. Un tipo di didattica che garantisca la continuità educativa in una situazione particolare, mantenendo un legame di continuità con il gruppo classe. Un po’ come già avviene con la scuola in ospedale, dove allo studente in struttura sanitaria si garantisce attraverso l’uso della tecnologia il contatto con la classe, permettendogli di sentirsi pienamente e continuativamente parte della comunità. Un modo per salvaguardare in un certo modo la “fisicità” dei rapporti e soprattutto affermare la presenza della scuola. Forse potrebbe essere ripresa in considerazione l’ipotesi di permettere alle scuole che ne avessero necessità e nel pieno rispetto delle singole esigenze e scelte organizzative,  di utilizzare la parte di giorni intercorrenti tra il termine delle lezioni e quello delle attività didattiche, salvaguardando gli adempimenti relativi al termine dell’anno scolastico, per lo svolgimento o il recupero di attività sospese o  non pienamente realizzate.  Non  un mero adempimento formale, (il rispetto dei  giorni di lezione), ma la volontà  di tutelare in una forma adattata alla situazione, un principio di salvaguardia di formazione e soprattutto di protezione delle generazioni più giovani che non possono essere abbandonate  in alcun modo, con il rischio di esplosione di tutta una serie di problematiche che già si stanno manifestando. Per evitare che la scuola si trovi ancora una volta investita pesantemente da una serie di attese e aspettative alle quali da sola non potrebbe far fronte, è  necessario che il sistema Paese nel suo complesso garantisca le necessarie risorse per permetterle di funzionare in sicurezza. I dirigenti scolastici e il personale tutto sono riusciti ad arginare e contenere le criticità ma questo non significa che potranno continuare a farlo se non a discapito dei livelli di qualità dell’istruzione e della formazione. L’elevato numero di docenti assenti a vario titolo e la cronica difficoltà della loro sostituzione si riverbera inevitabilmente sui risultati degli apprendimenti. Fare scuola non è “fare vigilanza” durante le ore di lezione, è costruire un rapporto formativo che si sviluppa e realizza in misura armonica nel medio-lungo periodo; affinchè questo si possa manifestare pienamente è necessario dare continuità e organicità ai processi; una scuola che per varie ragioni diventa “stop and go” rischia di  vedere vanificati i propri obiettivi, con la conseguenza di incrementare quei fenomeni che la stessa è chiamata a contrastare.

Ecco perchè prima di stabilire se sia meglio garantire la scuola in presenza o meno, è fondamentale fornirle  gli strumenti idonei al raggiungimento delle proprie finalità, riducendo il più possibile quella parte di adempimenti burocratici che rischiano di  creare un corto circuito normativo di cui  non c’è  necessità.

AA.VV., Una scuola su misura

Maria Buccolo, Federica Pilotti e Alessia Travaglini, “Una scuola su misura. Costruire azioni di didattica inclusiva”, FrancoAngeli, Milano, 2022, pp. 178.

di Valerio Ferro Allodola

Nonostante si parli spesso di inclusione, numerose sono ancore le sfide alle quali la scuola deve ancora rispondere. “Cosa significa progettare nella scuola dell’inclusione? È possibile coniugare le esigenze formative di discenti che presentano interessi, caratteristiche e stili cognitivi molto diversi tra di loro? Come promuovere il benessere emotivo degli allievi?”. Sono queste le questioni poste dalle autrici nel corso della loro riflessione. Questioni che, per la loro complessità, sono tuttora al centro di numerosi studi e ricerche. Da un lato, infatti, emerge con una evidenza sempre maggiore che la costruzione di una scuola inclusiva non riguardi solamente l’insegnante specializzato al sostegno; dall’altro è innegabile, come evidenziano gli attuali dati di ricerca, che il cambiamento non dipenda solamente dalla quantità delle risorse impiegate (considerate in termini di numero di docenti, disponibilità di dispositivi adeguati,  presenza di laboratori, ecc.). Questi elementi, infatti, seppur indispensabili per l’implementazione di metodologie e pratiche didattiche adeguate, devono essere affiancati da una riflessione accurata di tipo teorico, che tenga sempre in mente il perché, il come, il quando si opera. Il tutto senza mai perdere di vista il contesto educativo nel quale si costruisce un intervento educativo,  laddove con il termine contesto si fa riferimento a una dimensione ampia e variegata nella quale interagiscono in modo dinamico vissuti, emozioni, pensieri, dei discenti tanto quanto dei docenti.

L’intento delle autrici, allora, è quello di muoversi all’interno di un panorama così complesso, con l’obiettivo di delineare alcune piste, dal punto di vista teorico e pratico, che possano sostenere i docenti nei processi di insegnamento-apprendimento. Tre sono, in particolare, le parole chiave che animano il loro percorso: l’inclusione, considerata come un processo rivolto alla trasformazione di un contesto educativo affinché questo possa rispondere alle esigenze formative di tutti gli allievi, la relazione educativa, intesa come “luogo” nel quale far convergere in modo sinergico processi affettivi e cognitivi e, infine, le tecnologie, ritenute come elementi da valorizzare per la loro potenzialità nell’alimentare negli allievi la creatività e il pensiero divergente. L’intento dichiarato dalle stesse autrici in più parti del volume  non è quello di offrire ricette preconfezionate, quanto piuttosto quello di formare professionisti che coltivino l’attitudine alla ricerca, che progettino e sperimentino, coinvolgendo i propri colleghi secondo la prospettiva della comunità di pratica e della contitolarità, interventi inclusivi secondo una prospettiva multi e intradisciplinare, in grado di valorizzare le differenze individuali di ciascun allievo, abbattendo le barriere che, a volte anche inconsapevolmente, ne ostacolano la piena partecipazione.

Non a caso le autrici si richiamano direttamente a Claparède, pedagogista svizzero che vedeva nella realizzazione di una “scuola su misura” una risposta concreta e tangibile per costruire e realizzare processi individualizzati e personalizzati, che rispondano ai principi dell’equità e delle pari opportunità.

Particolarmente interessanti sono le risorse online a disposizione del lettore, che racchiudono alcune unità di apprendimento elaborate da docenti e allievi tirocinanti di diverso ordine e grado che hanno dialogato con le autrici nell’ambito di corsi di formazione presso l’Università La Sapienza (Corso di laurea in Scienze della formazione primaria) e l’Università Roma Tre (Corso di specializzazione alle attività di sostegno IV e V Ciclo), nonché materiali e schede da utilizzare per la verifica e la valutazione degli allievi e dei processi di insegnamento-apprendimento.