La Didattica a Distanza: il ‘Virtuale’ al servizio dell’ ‘Umano’?

La Didattica a Distanza: il ‘Virtuale’ al servizio dell’ ‘Umano’?

di Carlo De Nitti [1]

Colui che impara deve soffrire … il dolore che non può essere  dimenticato cade goccia dopo goccia sul cuore
ESCHILO Dire: eccomi. Fare qualcosa per un altro. Donare.  Essere spirito umano significa questo.
EMMANUEL LEVINAS

1. PREMESSA

In un precedente intervento[2], si è cercato di individuare un lessico minimo della recente “forzata” pratica della didattica a distanza, in un momento, quale quello presente, in cui interi continenti sono confinati in casa, per evitare il contagio della pandemia che imperversa.

L’esergo tratto da Eschilo dice proprio come la genesi di apprendimenti / comportamenti unanimemente diffusi che siano virtuosi nasca nella sofferenza, anche sociale come è quella che l’umanità sta vivendo in questi mesi del 2020; quello tratto da Emmanuel Lévinas, a parere di chi scrive, indica invece l’unica possibile via d’uscita, una rinnovata etica della responsabilità che abbia come ideale regolativo la solidarietà umana3.

Il ‘distanziamento sociale’ che tutti vivono (o dovrebbero…)4 non poteva non coinvolgere anche tutte le scuole di ogni ordine e grado: la distanza ha mutato le forme in cui il processo di insegnamento / apprendimento viene realizzato per ottenere l’obiettivo da parte dei docenti per stimolare la partecipazione e l’impegno dei discenti (non va dimenticato che la parola didattica deriva dal verbo greco ‘didasco’ che significa ‘imparare’). Ogni tempo, ogni luogo ed ogni modalità sono declinabili nell’ottica del processo didattico: è una questione di intenzionalità umana.

2. IL ‘REALE’ ED IL ‘VIRTUALE’ COESISTONO

A chi – come chi scrive – per ruolo professionale, compete “attivare per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza, avuto riguardo

anche alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità”[3]  non può non imporsi, nella mente e nel cuore, la domanda che dà titolo a queste righe e costituisce il loro indiscutibile punto di abbrivo. Considerate le finalità che le istituzioni scolastiche si pongono tale domanda assurge quasi discrimine, a spartiacque, tra quello che è – o, meglio, può essere posto dall’opera professionale della comunità scolastica – al servizio dell’ ‘umano’ e che non lo è.

Il ‘virtuale’ non è entrato nelle scuole con la didattica a distanza: esso era già ben presente ad integrazione del ‘reale’, cui, sovente, nel linguaggio comune, è erroneamente contrapposto. Tutta la didattica in presenza fondata sulle Technology Information Communications (vulgo TIC), classi digitali, aule 3.0 et similia erano già ben presenti nella quotidiana pratica didattica delle scuole di ogni ordine e grado. La pandemia ha fatto sì che l’uso delle piattaforme digitali, novelle agorà virtuali, siano diventate lo spazio vissuto contestualmente tra docenti e discenti, che, in siffatto modo, possono surrogare quell’agorà reale che, da sempre, sono le aule scolastiche. Esse non sono, da molto, il tempio esclusivo in cui si celebra il processo di insegnamento / apprendimento: oggi esse sono coartatamente surrogate dalle cosiddette ‘piattaforme digitali’[4].

Mediante esse, oggi, in questo contesto, si realizzano tutte le relazioni umane reali che avvenivano – e nuovamente avverranno, quando sarà possibile in condizioni di sicurezza per tutt* – nelle aule delle scuole: l’incontro tra il sé e l’altro, il sé ed il diverso da sé. Docenti, studenti, colleghi, amici, gruppo dei pari, dirigente: tutti coloro che, in un certo contesto reale, vivono la loro esperienza lavorativa (anche lo studio è un lavoro, altrocchè). 

3. BREVE EXCURSUS

In questo tempo ‘sospeso’ in cui tutto il mondo vive, la didattica a distanza, quindi, il ‘virtuale’ sta obtorto collo surrogando la didattica ‘in presenza’, il ‘reale’, ma contestualmente ne fa vivere a tutti – discenti e docenti – la mancanza, la nostalgia, il ‘dolore del ritorno’: un vero e proprio memento critico. Scaturisce imperiosa, quindi, la domanda iniziale: il ‘virtuale’ è al servizio dell’ ‘umano’? Quali condizioni devono essere presenti affinchè ciò avvenga. La questione ha il suo antecedente ideale nelle domande: qual è il fine della scienza e della tecnologia? La scienza ha un’intenzionalità umana?

Tali questioni pongono una questione che precede il mondo di internet: non è questa la sede per una puntuale ricostruzione storiografica di un problema filosofico, però può essere un ottimo punto di partenza per rispondere alla domanda iniziale un brevissimo riferimento, concettuale se non testuale, agli esiti ultimi della fenomenologia husserliana consegnati al volume postumo La crisi delle scienze europee (1954).

Le scienze (e la tecnologia) devono avere – e non possono non avere – un télos umano, una finalità del proprio essere che necessariamente travalica la loro ‘sintassi’ specifica, come vorrebbero i positivisti di ogni tempo. Oggi, il progresso tecnologico ci mette in condizione di essere tutti connessi ad un’unica rete a livello planetario: almeno possiede ha i mezzi, ma questo è un altro discorso, collaterale ma collegato (come torna nel prefisso cum– di entrambi gli aggettivi).

Il ‘virtuale’ – in quanto prodotto di tecnologia e, quindi, dell’ingegno e del lavoro umani – non può essere avulso dalle finalità della scienza nel mondo della vita dell’uomo. Come ciò debba avvenire non attiene alla sintassi della tecnologia ma alla weltanschauung prevalente tra gli uomini, ovvero, in una parola, alla politica, nel senso etimologico della parola.

Solo la polis può fare in modo che tutti i suoi abitanti diventino cittadini attivi e responsabili[5] e lo siano pleno iure con diritti e doveri, non solo formali ma anche materiali, uguali per tutti, come statuisce l’art. 3 c. 2 della Costituzione della Repubblica Italiana.

Attraverso il ‘virtuale’, l’azione didattica dei docenti deve, se non annullare, certamente ridurre considerevolmente (i.e. il più possibile) le distanze tra ogni discente ed il gruppo, e tra ognun* di loro ed il/i docent*, potendosi prevedere momenti di didattica personalizzata per tutti gli (a vantaggio degli) studenti “speciali”.

4. IL ‘VIRTUALE’ NELLA RELAZIONE EDUCATIVA

Cosa, quindi, dispone il virtuale al servizio dell’umano nella fattispecie dell’utilizzo scolastico del medesimo? 

L’intenzionalità educativa de* docenti, il loro essere professionisti a pieno titolo della formazione e dell’istruzione, il loro istruire educando / educare istruendo, in una parola la loro humanitas, che non può non avere come finalità educativa la formazione di cittadini di oggi e di domani.

Soltanto una professionalità docente competente, come peraltro definita in tutta la normativa legislativa e pattizia, può essere in grado di declinare il ‘virtuale’ al servizio dell’ ‘umano’, superando i tecnicismi rischiosamente presenti, allorquando l’attività didattica non avviene de visu

Nel virtuale, occorre che vengano ri-create, da parte dei professionisti della scuola, le condizioni affinchè si possa realizzare quell’empatia necessaria in ogni rapporto, umano prima ancora che scolastico, di insegnamento / apprendimento, come ci insegna una infinita tradizione di studi pedagogici che pongono al centro della didattica i/le discenti, a cominciare dai grandi classici dell’attivismo pedagogico tra Ottocento e Novecento, ad esempio, Maria Montessori, Célestin Freinet etc.

L’empatia non può essere creata, naturalmente, sulla trasmissione esclusiva (e magari un po’ pedante) dei contenuti di tutte le discipline, comprese quelle a forte valenza sperimentale (chimica, fisica, i laboratori delle suddette discipline, di enogastronomia, di meccanica, di elettrotecnica, etc.): essa si deve fondare, da un lato, sulla ri-creazione di una relazione euristica che metta al centro la partecipazione, l’impegno e, dall’altro, sulle modalità di insegnare e di apprendere, sostenute dalla tecnologia informatica) in modo tutt’affatto diverse da quelle usualmente utilizzate nella didattica in presenza.

Non è irrilevante anche una riflessione didattica sugli esami conclusivi del I e del II ciclo di istruzione, che, verosimilmente, esula dalle tematiche di queste pagine, se non per quanto attiene alla gestione telematica dei medesimi da ricondurre sempre nell’ottica del ‘virtuale’ al servizio dell’ ‘umano’[6].

5.  E DOMANI …?

In questa riprogettazione è in gioco il futuro della scuola e dei giovani: non è immaginabile che entro poco tempo si possa riprendere l’attività didattica in una sorta di heri dicebamus. In questo senso, il ‘virtuale’ deve essere indirizzato intenzionalmente al servizio dell’ ‘umano’, perché più si allunga il tempo dell’emergenza, maggiore è la necessità di pensare una didattica a distanza davvero empaticamente coinvolgente e cognitivamente efficace per ciascun* discente nelle condizioni, anche tecnologiche, che le scuole saranno riuscite ad approntare – con l’indispensabile supporto economico del Ministero dell’Istruzione, delle Regioni e degli Enti Locali.

Non è irrilevante un’altra variabile ‘indipendente’, cui, ad oggi, non è immediato considerare. A settembre, all’inizio del nuovo anno scolastico, le classi saranno popolate da alunni/studenti che non conosciamo affatto di persona: le classi prime in ogni ordine e grado di scuola e ciò renderà ancora più difficile conoscere i/le nuov* discenti e farsi ri-conoscere da loro come docenti: specialmente ma non in modo esclusivo nelle scuole in cui convergono discenti “speciali” di ogni tipologia, talvolta poco inclini al rapporto oro-auricolare, seppure arricchito dal video. Se si vogliono “rimuovere gli ostacoli …”, come ci impone il testo costituzionale, oltre che l’etica, professionale e non, che, a chi scrive, piace sempre definire con l’aristotelico “mestiere di uomo”.

Ecco perché non va dimenticato, da parte di chi deve governare il sistema scuola italiano, che l’inizio dell’a.s. 2020/21 è – parrà strano leggerlo – “domani” …


[1] CARLO DE NITTI (Bari 1960) opera nella scuola pugliese da quasi trentacinque anni; dal 2007 è dirigente scolastico nel capoluogo di regione, da cinque anni scolastici dirige la sede di attuale assegnazione, l’I.I.S.S. “Elena di Savoia – Piero Calamandrei” di Bari.

[2] <Distanti ma uniti>: la didattica al tempo del COVID-19. Lessico minimo, “Educazione & Scuola”, XXV, marzo 2020, 1111 3 Appare opportuno, in questo contesto, citare il volume di FRANCESCO BELLINO, Etica della solidarietà e società complessa, Bari 1987, Levante editori e, quale personalissimo corollario, CARLO DE NITTI, Bioetica ed etica della responsabilità, in AA.VV. Trattato di bioetica, a cura di FRANCESCO BELLINO, Bari 1992, Levante editori, pp. 337 – 355. 4 Il condizionale riviene da determinate scene sovente passano in televisione di troppe persone in giro senza alcun motivo che sia previsto nella normativa che viene via via emanata dal governo in carica.

[3] Si veda la Nota M.I. prot. n° 388 del 17 marzo 2020.

[4] Le piattaforme digitali per uso didattico, che sono presenti in gran copia nel mondo virtuale, hanno il pregio dell’apparente gratuità per gli utenti tutti, istituti scolastici compresi.

[5] Si può vedere, a tal riguardo, un sempre attuale volume di ATTILIO DANESE, Cittadini responsabili. Questioni di etica politica, Roma 1992, Dehoniane e, sia consentito, una discussione del medesimo testo in CARLO DE NITTI, Responsabilità e solidarietà. Il dibattito sull’etica della cittadinanza, “Prospettiva persona”, V (1995), 16, pp. 50 – 54.

[6] Anche in quella situazione occorrerà pensare ai discenti le cui dotazioni informatiche risultino essere impari al fine da conseguire, sempre nell’ottica della rimozione degli ostacoli di cui La Costituzione della Repubblica.