Per una scuola interculturale

Per una scuola interculturale
Quali sono le parole?

di Mariacristina Grazioli

Mediterraneo. La cronaca del momento traccia l’orizzonte di una migrazione di massa, una sorta di inondazione del cosiddetto mondo civile, e sotto l’urto di questa onda – giudicata dai più anomala l’Europa si sgretola in tante fazioni e in altrettante ragioni, dove l’idea dell’accoglienza del profugo che diventa migrante, non appare più scontata.

Cosa succede alla parole dell’Europa oggi? Quelle che vennero pronunciate da Schuman oltre mezzo secolo fa erano chiarissime – “L’Europa non potrà farsi una volta sola, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino una solidarietà di fatto…”. (1)

Mai come ora siamo stati così lontani dai quei traguardi valoriali: che scuola ci sta chiedendo l’Europa? Quali sono le parole irrinunciabili che come educatori dobbiamo ancora avere il coraggio e la forza di testimoniare?

Dalla frontiera all’identità

Dal Trattato di Parigi del 1951 al quello di Lisbona del 2008 sono state costruite parole nuove che hanno fatto cadere le frontiere, non solo in senso fisico, e l’Europa ha visto una embrionale nascita e una crescita costante, seppure spesso difficoltosa.

La frontiera come linea di confine di una civiltà, come rappresentazione della volontà di schierarsi in qualche modo da una delle due inevitabili parti, per definire – e talvolta difendere – la propria identità, è un concetto ed un oggetto che le nuovissime generazioni di cittadini europei non conoscono.

L’Identità non nasce come negazione di tutto ciò che è altro da sé: il processo di comparazione e di diversificazione si categorizza come un percorso sensibile, che condiziona la rappresentazione di ciascun individuo e nella riconferma del gruppo di riferimento. Ma occorre fare leva su una identità culturale che non mette in discussione il valore dell’essere umano come dato assoluto.

La storia delle migrazioni – ora dei gruppi, ora dei singoli – è fatta di nomi e di volti. Come dimenticare il percorso duro e determinato di Samia di “Non dirmi che hai paura?” (2).

Come pensare che il primo articolo della Dichiarazione dei diritti umani sia solo un inutile manifesto?

A livello mondiale è dal 1949 che l’Unesco lotta contro i pregiudizi e non è bastato un programma globale straordinario lungo settanta anni per scalfire l’ancestralità del pregiudizio che radica la diseguaglianza e spinge verso l’idea di una frontiera “giusta”, in nome di una supposta protezione.

La migrazione culturale: lo sconfinamento

I migranti vivono la spaesamento dello straniero, ma non possono rinunciare ad una condizione umana naturale, cioè la sopravvivenza.

Neppure l’uomo europeo – ricco e colto – può rinunciare all’arcaico manifestarsi della necessità migratoria: una migrazione geografica per vivere la realizzazione professionale o per ragioni di studio, ma anche una migrazione legata alla curiosità di possedere il mondo.

Nel progetto di vita – sia del migrante per necessità, che del migrante per volontà – la costruzione dell’identità personale passa attraverso l’identificazione tra il gruppo sociale di appartenenza e l’autodeterminazione. Dunque lo spaesamento geografico e il conseguente spaesamento emotivo sono costanti necessarie, passaggi ineludibili.

La ricollocazione culturale assume il valore di una costanza della società “fluida”e la mobilità migratoria è necessaria, come necessaria pare essere la mobilità del confine e l’abbattimento della frontiera.

Victor Hugo non aveva dubbi e procedeva diretto “oltre la frontiera”; contro la schiavitù del limite, della“fasciatura” e raccomandava: ”Cancellate la frontiera, levate il doganiere, togliete il soldato, in altre parole siate liberi. La pace seguirà.”.

La norma limita, la cultura sconfina. Il passaggio dallo spaesamento temporaneo al concetto dello sconfinamento culturale avviene solo con un “attraversamento linguistico”, con il dià-logos tra singoli, tra gruppi, tra organizzazioni, tra territori, tra Stati.

Ecco allora l’importanza di quelle parole che, con costanza impeccabile, delineano il percorso per costruire ponti e sviluppano approdi.

Le sfide dell’Europa: l’accoglienza

Se questo è l’orizzonte imprescindibile, non si può che raccogliere la sfida dello sconfinamento (3).

La paura del diverso e i conati di razzismo sono confini da ricollocare, ma non possono rimanere frontiere insormontabili.

Accogliere persone e accogliere processi migratori è un fatto che va diffuso capillarmente, una sorta di globalizzazione transazionale che coinvolga tutti e chiunque.

Nulla a che vedere con le prescrizioni etiche: qui si tratta di vivere lo stesso spazio vitale, ossia il mondo e le sue risorse. L’esistente è il tratto temporale da cui nessuno può prescindere: è una sussunzione categorica.

La migrazione spazio- temporale è questa, ossia quella che vediamo nelle strade e che cogliamo dagli articoli allarmati ed allarmistici della stampa. Sulle ragioni non intendo confrontarmi, mi assumo quindi l’arbitrio della sintesi, ossa la rilevanza dei dati di fatto, come elementi ineludibili a cui collegare i migliori pensieri della millenaria cultura dell’Uomo.

L’Unesco ha affidato all’istruzione il compito di eliminare i pregiudizi e gli stereotipi per non riprodurre le diseguaglianze razziali. “ La pari dignità e i diritti di tutti gli individui devono essere il punto di partenza per tutte le azioni, e la misura per il loro successo. Ciò richiede che il dialogo sia alla base del rispetto. E’ necessario comprendere che la ricchezza risiede nella diversità. Ciò significa che tutte le voci devono essere ascoltate e tutti gli individui inclusi” (4).

Dalla parole ai fatti: l’inclusione e l’intercultura

Lo sconfinamento culturale e l’accoglienza necessaria portano ai processi di inclusione collettiva. La migrazione è l’occasione per portare a sistema le azioni educative, sia quelle destinate alla nuove generazioni, sia quelle finalizzate a ri-alfabetizzare gli adulti, attraverso pratiche coordinate e sistemiche che tessono reti di condivisione reale.

Frontiera, confine, identità, migrazione culturale, globalizzazione transazionale, straniero, Europa, internazionalizzazione, accoglienza, inclusione: ecco le parole che occorre sapere usare nei contesti educativi formali ed informali. La sfida non è solo in capo alla scuola, ma a tutto il sistema di istruzione e formazione, fino a giungere alla cooperazione e al terzo settore.

Ed è una sfida che va vinta con fatti e pratiche incessanti.

La scuola italiana è inclusiva? Sì lo è. Qualche parola per sintetizzare un pensiero che potrebbe anche apparire arbitrario? Linee guida, protocolli di accoglienza, mediazioni, kit di primo intervento, progettualità diffusa di apertura all’Europa, alfabetizzazione in L2, arricchimenti linguistici, orientamento, scambi digitali, mobilità professionali, mobilità giovani generazioni, convegnistica promozionale e formazione culturale, ausilio ai gemellaggi di territorio…(5).

L’Osservatorio nazionale per l’integrazione e l’intercultura – Miur – istituito nel 2014 porta all’attenzione di tutti gli interlocutori che si occupano di educazione la dimensione urgente del lavorare con rinnovato impegno.

La riconfigurazione dell’identità personale nella prospettiva della cittadinanza attiva- che legga il mondo in prospettiva interculturale- è al centro del nuovo dibattito educativo.

Le alleanze con gli enti e le associazioni che lavorano attivamente in questi scenari è allora indispensabile “e mentre le classi diventano sempre più multietniche, la scuola è chiamata ad occuparsi di cultura del dialogo non solo in relazione al numero crescente di alunni immigrati, ma per giocare un ruolo davvero centrale nella partita dell’educazione interculturale” (6).

Cosa manca dunque? Manca il patto con la società di riferimento, poiché le pratiche inclusive degli ambienti educativi non possono sopravvivere se, fuori da questi contesti, si respira l’asfissia culturale.

O nasce veramente un accordo condiviso tra il microcosmo educativo e l’intera società di riferimento o i confini non si sposteranno mai e basterà il singolo problema di turno (che non va sottovalutato, ma anzi ricomposto) per creare nuove frontiere, del tutto invalicabili.

Misurare per capire

E’ possibile misurare i livelli di intercultura che un ambiente educativo è riuscito a raggiungere? Sembra di sì.


(1) R. Schuman – dal primo discorso politico sulla Comunità Europea

(2) Giuseppe Catozzella – NON DIRMI CHE HAI PAURA? – I narratori – Feltrinelli editore – 2014

(3) Mariacritina Grazioli – L’accoglienza necessaria – edscuola on line 2012

(4) Irina Bukova, direttrice generale dell’Unesco

(5) prassi educative tratte dalle Linee guida Miur per l’integrazione e l’accoglienza degli alunni stranieri

(6) Stefania Chinzari, Roberto Ruffino DOVE STA LA FRONTIERA. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Hoepli editore, 2014