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Indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica

CAMERA DEI DEPUTATI
7a Commissione Cultura, scienza e istruzione

Indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica

Indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

Premessa
1. ANALISI DEL PROBLEMA
1.1. Dispersione scolastica: definizione e dimensioni del fenomeno.
1.2. I fattori decisivi del rischio dispersione.
1.3. Le risorse.

2. LIVELLI DI INTERVENTO
3. STRATEGIE DI AZIONE
3.1. Il nodo del primo biennio della scuola secondaria.
3.2. Un’autonomia compiuta.
3.3. L’Istruzione e Formazione Professionale.
3.4 Scuola aperta e partnership con il territorio.
3.5 Formazione dei docenti e qualità dei processi educativi.
3.6 Gli studenti di cittadinanza non italiana.
3.7 Nuovi ambienti di apprendimento.
3.8 Il riordino dei cicli.
3.9. L’anagrafe degli studenti.

4. CONCLUSIONI: UNA STRATEGIA NAZIONALE PER ACCELERARE LA LOTTA ALLA DISPERSIONE
4.1. Obiettivo 10 per cento.
4.2. Azioni prioritarie.
4.2.1. Anagrafe e monitoraggio.
4.2.2. Prevenzione nell’infanzia.
4.2.3. Interventi nella scuola secondaria e IEFP.
4.2.4. La seconda chance.
4.3. Due strumenti per la realizzazione delle azioni.
4.3.1. Una sperimentazione che possa ampliare l’autonomia delle scuole.
4.3.2. Una «unità di crisi».

Premessa

Nell’ambito delle politiche del Governo che pongono la scuola e la formazione al centro dello sviluppo del Paese, la prevenzione e il contrasto alla dispersione scolastica assumono oggi una rilevanza senza precedenti. Non c’è crescita o ripartenza se rimangono irrisolti nodi storici del nostro sistema di istruzione e di formazione, già oggetto, peraltro, nel 2000, di attenzione da parte della Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati. Eppure, la perdita di un’enorme massa di studenti che abbandona la scuola rimane un luogo comune accettato quasi con rassegnazione, dimenticando che in questa zona d’ombra si nascondono non solo i destini individuali di ragazzi e ragazze ma anche le prospettive di crescita del nostro Paese.
Rispetto al passato non è più tempo di descrizioni e diagnosi. Non c’è alcun bisogno di ripetere ritualmente la litania dell’abbandono scolastico o ricamare il tema con un restauro conservativo dei modi di vedere la questione, dominanti negli ultimi decenni. Ai livelli insostenibili di dispersione e alla perdita di attrazione della scuola occorre contrapporre un approccio strategico e operativo, orientato dal coraggio di una visione rivolta al futuro.
Accanto alle criticità accumulate negli anni dell’edilizia scolastica e alla quota di occupazione precaria nella scuola, la dispersione è uno degli ostacoli storici alla qualità del nostro sistema di istruzione e di formazione. Riconquistare i giovani alla scuola, e ridurre ritardi e uscite precoci, è una sfida decisiva per decisori, amministratori, insegnanti e famiglie, non solo per evitare la dissipazione delle risorse comunque investite ma, anche e soprattutto, per ridare all’educazione e alla formazione il ruolo di spinta per l’avvenire del Paese.
Per un’azione efficace non basta una generica intenzione di miglioramento, ma occorre mettere in campo tutte le energie in una strategia nazionale multi-livello che, attraverso la definizione di precise misure e traguardi da raggiungere, reinventi l’azione didattica, ridisegni gli ambienti di apprendimento, rimotivi gli studenti e riconosca il lavoro dei docenti.
Per migliorare la comprensione del fenomeno e, quindi, definire più efficaci strategie di intervento, la Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati ha ritenuto opportuno lo svolgimento di un’indagine conoscitiva sull’insieme dei processi che caratterizzano la dispersione scolastica (abbandoni, ritardi, ripetenze, evasione), e sulle strategie per contrastarla, concentrandosi, in particolare, sulla prevenzione del fenomeno e sugli aspetti relativi all’inclusione. Il contrasto alla dispersione, infatti, rappresenta uno dei 5 obiettivi proposti dalla Commissione europea nell’ambito della strategia Europa 2020: una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, richiedendo uno specifico impegno da parte del Parlamento e del Governo.
Gli indirizzi forniti dall’Amministrazione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per abbattere la dispersione scolastica (indicati nel corso dell’audizione di Marco Rossi Doria, sottosegretario all’Istruzione del Governo Letta il 22 gennaio 2014) consistono in tre linee di azione: costanza nel tempo delle azioni e coordinamento tra i promotori delle politiche, nonché valutazione dei risultati; approccio basato sulle competenze di base e personalizzazione degli apprendimenti; alleanze tra scuola, territorio, famiglia, agenzie educative.
Scopo dell’indagine conoscitiva è stato verificare se i processi avviati dalle istituzioni e le stesse azioni previste dal decreto-legge n. 104 del 2013, in particolare dall’articolo 7, che ha stanziato complessivi 15 milioni di euro per il biennio 2013-2014 (nonché dal decreto ministeriale di attuazione n. 87 del 2014), corrispondano ai suddetti indirizzi e indicatori di qualità, assumendo, in particolare, la prevenzione e il recupero della dispersione come obiettivo specifico, evitando di dirottare i finanziamenti per azioni mirate alla dispersione per azioni di carattere generale, di finanziamento alle attività ordinarie, nonché estemporanee.
L’indagine si è dunque svolta dal 23 aprile 2014 al 10 giugno 2014 con lo svolgimento di 6 sedute dedicate alle audizioni, durante le quali sono stati sentiti, oltre a soggetti istituzionali competenti in materia (rappresentanti del MIUR, dell’INVALSI e dell’ISFOL), dirigenti scolastici, insegnanti, docenti universitari, rappresentanti di associazioni, fondazioni e testate editoriali attivi nello studio e nel contrasto alla dispersione scolastica e esperti del settore provenienti da diverse esperienze. I rappresentanti di molti Uffici scolastici regionali, su richiesta della Commissione, hanno inoltre trasmesso loro memorie ove, oltre all’effettuazione di analisi concernenti il fenomeno a livello di singola regione, sono state descritte le azioni svolte dai singoli U.S.R. per il contrasto alla dispersione scolastica.
Ciascun soggetto audito – cui va il ringraziamento sentito dei componenti della VII Commissione – ha portato la propria esperienza, spesso integrata dal deposito di documentazione appositamente predisposta: gli esiti di questa indagine e la sintesi delle diverse le indicazioni emerse nel corso delle varie audizioni vengono di seguito riportate.

  1. ANALISI DEL PROBLEMA

1.1. Dispersione scolastica: definizione e dimensioni del fenomeno.

Le diagnosi sulla dispersione scolastica permettono oggi una visione approfondita dei processi, delle dimensioni tradizionali e nuove del fenomeno e delle politiche d’intervento.
Gli indicatori tradizionali (bocciature, ripetenze, abbandoni…) che per anni sono stati oggetto di studio, rimangono importanti, anche se registrano solo una parte del fenomeno, visto il contenimento delle bocciature nel primo ciclo e la grande inflazione nel secondo.
Per anni abbiamo misurato il totale dei dispersi facendo una semplice sottrazione, cioè prendendo il totale della popolazione in età dai 14 ai 17 anni, sottraendo quelli iscritti a scuola, quelli assunti in apprendistato, quelli iscritti alla Istruzione e formazione professionale (IeFP) e, dopo questa sottrazione, quello che rimaneva era probabilmente la quota dei dispersi. Parliamo di un numero assoluto mai variato negli anni. Sempre con questo metodo di stima, quindi con tutte le cautele del caso, circa 110-115.000 ragazzi compresi fra i 14 ed i 17 anni, ogni anno, si trovano fuori dai percorsi formativi e scolastici. Essi sono concentrati al sud per il 42 per cento circa; la quota più grande è attribuibile alla regione Campania, che da sola rappresenta il 20 per cento del fenomeno. Anche la Lombardia ha una quota molto grande, ma semplicemente perché in quel territorio c’è più popolazione in età. In ogni caso, generalmente è un fenomeno caratteristico delle isole e del sud Italia ma si presenta «a macchia di leopardo» in tutto il paese.
Più recentemente, si è puntata l’attenzione sulla differenza tra il numero di iscritti al I anno di scuola superiore e i diplomati al V anno cogliendo indicatori dell’inefficienza del sistema scolastico. Tale differenza, ad oggi del 29,7 per cento con variazioni tra le diverse tipologie di istituto, misura la quota di studenti che, per ragioni varie, denunciano limiti nei processi di orientamento e di scelta del percorso e del perdurare di un modello di espulsione non più compatibile con l’obiettivo di assicurare un percorso completo a ogni studente e a ogni studentessa.
In questa ottica l’indicatore, correntemente utilizzato a livello comunitario, degli Early school leavers – ESL (giovani dai 18 ai 24 anni che non dispongono di titolo di studio o qualifica superiore a quello ottenuto a conclusione del primo ciclo di istruzione e non attualmente in formazione) misura l’inefficienza del sistema formativo. Le indicazioni europee si riferiscono a coloro che non hanno conseguito un titolo di studio superiore alla scuola secondaria di primo grado e che, inoltre, nelle quattro settimane precedenti l’intervista, non abbiano svolto attività di istruzione e di formazione.
La diminuzione al di sotto del 10 per cento della quota degli ESL è il traguardo indicato per il 2020 dall’Unione. Per l’Italia il raggiungimento di tale traguardo è a portata di mano per le regioni del Nord; richiede, invece, una robusta azione mirata per le altre regioni. Il conseguimento di un diploma o di una qualifica, considerati come condizioni per l’ingresso nel mercato del lavoro, sono obiettivi standard nelle politiche dell’istruzione e della formazione, da perseguire specificamente e da monitorare sistematicamente.
Un ulteriore criterio di definizione del fenomeno della dispersione è stato elaborato ed utilizzato in alcune esperienze concrete. In particolare, l’Osservatorio regionale sulla dispersione scolastica, nato in Sicilia nel 1989, utilizza un criterio che affronta il problema conteggiando tutti gli aspetti diversi della dispersione scolastica. Per ognuna delle circa ottocento scuole siciliane vengono raccolti – anno per anno – i dati relativi all’evasione dall’obbligo scolastico, agli abbandoni in corso d’anno e all’istruzione parentale.
Le definizioni di dispersione e di abbandono sono basate sul conseguimento – o meno – di un certo titolo di studio. La disponibilità di informazioni sulle performance degli studenti obbliga tuttavia ad andare oltre il mero dato del conseguimento di un diploma per includere anche una valutazione circa l’acquisizione di competenze adeguate; anzi, i dati OCSE Pisa mostrano che i livelli di competenze variano sensibilmente tra gli studenti della stessa età. Sulla base dei test di apprendimento, sappiamo che, spesso, allo stesso titolo di studio possono corrispondere livelli di competenze molto diversi. Pertanto, si dovrebbe mirare a una definizione basata non tanto sul conseguimento – o meno – della qualifica o del diploma, bensì sul grado di competenze raggiunte a una determinata età.
In questo senso, ci fa da battistrada l’impostazione dell’indagine OCSE-PISA, che dà livelli insufficienti del 30 per cento nelle regioni meridionali, toccando punte del 38 per cento nelle isole. L’obiettivo della Strategia Europa 2020, che pone al 10 per cento – come tetto massimo – il numero di giovani collocabili tra i predetti early school leavers (attualmente l’Italia sta – nel 2013 – al 17 per cento), seppure il dato sia in miglioramento, è un’impresa decisamente impegnativa, soprattutto per alcune aree del Paese. Oggi, nelle quattro regioni convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), abbiamo infatti un tasso del 21 per cento.
In ogni caso, per una comprensione allargata dei processi di dispersione è indispensabile fare riferimento ai NEET (Not in Education, Employment or Training), la percentuale di giovani tra i 15 e i 29 non occupati e non iscritti a un percorso di formazione precisa. Da questo punto di vista l’Italia è in una situazione molto difficile: secondo Eurostat ha una percentuale di NEET di oltre il 25. Naturalmente nella valutazione di questo dato entrano in gioco altre variabili, che riguardano l’andamento dell’occupazione, le opportunità di lavoro, le opportunità professionali.
Come ulteriore aspetto bisogna valutare l’assenteismo degli studenti, un fenomeno ben più vasto di quello che normalmente si percepisce.
In questa prospettiva non si può dimenticare l’achievement gap, cioè quel divario che separa, spesso e in profondità, i risultati scolastici e le attese relative alle competenze profonde ormai richieste nel XXI secolo.
Allo stesso tempo la necessità di formare gli innovatori di domani denuncia una criticità prospettica che può rallentare i sistemi di istruzione e di formazione. Il divario che preoccupa va oltre i risultati di scuola, riguarda le condizioni di capitale, umano, sociale e professionale, per garantire al nostro Paese un ritorno alla crescita.

1.2. I fattori decisivi del rischio dispersione.
I soggetti che sono più a rischio di abbandono scolastico sono, tipicamente, soggetti maschi, spesso di origine straniera, con un background familiare fragile e, soprattutto, con una storia e un percorso educativo molto frastagliato, che parte dalle scuole medie. Questi sono i ragazzi che hanno la più alta probabilità di non arrivare al completamento della scuola secondaria, ovvero al raggiungimento di un diploma. Lo zoccolo duro della dispersione, quello dovuto ad abbandoni ed evasioni, è di tipo socio-economico, ma, utilizzando i valori che ci forniscono Eurostat o l’Istat, regione per regione, scopriamo che tra dispersione e grado di povertà c’è una correlazione moderata: la povertà influisce sulla dispersione scolastica, ma non è il fattore determinante. Ciò che influisce di più sono le scarse competenze: correlando le competenze che scaturiscono dai test INVALSI e la dispersione, scopriamo che la correlazione è molto forte. Questo significa che, in linea con l’approccio analitico, ciò che occorre combattere è la dispersione dovuta ai fallimenti pregressi nella scuola e alle bocciature.
Dal punto di vista della distribuzione geografica, è importante sottolineare come la media del 17,6 per cento di early school leavers attuale presenti differenze assai significative tra le diverse Regioni. Alcune Regioni registrano percentuali vicino a quella media europea, che è del 12,8 per cento (Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Abruzzo); mentre il Molise presenta un valore del 9,9 per cento. Altre, come la Toscana sono in linea con la media nazionale (17,6 per cento), altre ancora come la Valle D’Aosta, hanno un tasso del 21,5 per cento di giovani tra i 18 e i 24 anni che non riescono a conseguire un diploma o una qualifica di scuola secondaria superiore. La situazione nel Mezzogiorno appare generalmente peggiore rispetto al resto d’Italia, registrandosi un tasso del 25,8 per cento in Sardegna, del 25 per cento in Sicilia, del 21,8 per cento in Campania e del 19,8 per cento in Puglia (dati del MIUR aggiornati al giugno 2013), pur dovendosi ricordare che, in quest’ultima regione, il tasso di early school leavers, nel 2006, era di ben il 27 per cento. È anche vero che la Calabria, con il 17,2 per cento è in linea con la media nazionale, mentre la Basilicata, con il 13,8 per cento, è ben sotto la media nazionale. Le differenze «a macchia di leopardo», inoltre, valgono anche all’interno delle singole Regioni.
Accanto alla collocazione territoriale, un importante fattore di rischio è rappresentato dalla tipologia di scuola. La dispersione è maggiore negli istituti tecnici e negli istituti professionali. Secondo lo studio di Tuttoscuola, la dispersione scolastica negli istituti statali, misurata come differenza tra il numero degli iscritti all’ultimo anno nel 2013-2014 rispetto agli iscritti al primo anno cinque anni prima, cioè nel 2009-2010, è inferiore alle 170.000 unità di studenti dispersi, pari al 27,9 per cento. L’anno scolastico 2012-2013, sempre secondo la comparazione quinquennale, erano stati 10.000 in più, pari al 29,7 per cento. Secondo il medesimo studio la dispersione è risultata concentrata negli istituti professionali, dove raggiunge il 38 per cento, ma, dieci anni, fa arrivava al 50 per cento. Negli istituti tecnici la percentuale di dispersi arriva al 28 per cento Lo sviluppo del sistema di istruzione e formazione è fortemente intrecciato con il tema della dispersione. Nel momento in cui l’offerta formativa non incontra i bisogni di formazione o diverge rispetto ad essi, si crea tale fenomeno. Nella realtà italiana, soprattutto nel settore dell’istruzione tecnica e professionale, vi è una strutturazione dell’offerta formativa che continua a non incrociare i bisogni e, al contrario, la divergenza aumenta.
Gli abbandoni della scuola avvengono prevalentemente nel primo biennio della superiore in genere a seguito di una bocciatura. Questo dato è omogeneo su tutto il territorio nazionale; ciò porta a concentrare l’attenzione sull’orientamento degli studenti che, se mal gestito, porta a scelte a volte irreversibili. Vari esperti osservano che le bocciature all’inizio del corso di studi superiore si rivela spesso decisiva per la scelta di abbandonare la classe. Altrettanto importante è portare l’attenzione sul fenomeno delle assenze saltuarie frequenti, elemento predittivo dell’insuccesso seguente, soprattutto nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale.
Il mancato potenziamento delle misure sul diritto allo studio ha un effetto diretto e indiretto sull’abbandono scolastico, specie nelle aree più deprivate; va poi ricordato, tra le ricadute il gravissimo fenomeno dell’analfabetismo di ritorno tra gli adulti.
Accanto a questi fattori di ordine generale, ve ne sono poi alcuni che riguardano alcune specifiche categorie di ragazzi. Qualche anno fa, una ricerca in termini sia previsionali sia longitudinali, pubblicata sul sito lavoce.info, spiegava che l’esperienza di coorti di ragazzi osservati nel loro percorso scolastico longitudinale, a partire dall’asilo nido e dalla scuola dell’infanzia, era ben differente rispetto all’esperienza di ragazzi che non avevano avuto la possibilità di partecipare a un percorso di apprendimento in età prescolare e dai 3 ai 6 anni. Si tratta di un fattore previsivo dei probabili abbandoni, in età da scuola media e nel corso del primo biennio della scuola superiore.
Per affrontare seriamente il tema della dispersione scolastica, non si può non tener conto del dello svantaggio educativo, cioè le difficoltà e il disagio di cui sono carichi questi ragazzi e ragazze (che ovviamente non hanno una certificazione di disabilità, una patologia certificata). Si tratta di alunni e studenti indicati nella terza fattispecie dei BES (Bisogni educativi speciali), che presentano non una certificazione di disturbo di apprendimento o una patologia, ma difficoltà di apprendimento o inserimento. Attribuire la responsabilità del disagio solo all’ambiente o alla famiglia porterebbe fuori strada. È la scuola stessa che può diventare una causa di disagio o – viceversa – una risposta. La sfida educativa per «stare bene a scuola» si gioca nella competenza relazionale degli insegnanti, la capacità di «leggere» e comprendere le singole situazioni, e la necessità di un rapporto strutturato con le agenzie educative. Il rapporto con le famiglie diventa centrale, mentre a volte vengono percepite come «cause» delle difficoltà o elementi di «disturbo» nello svolgimento del lavoro didattico. Lo svantaggio rappresenta un fenomeno multidimensionale e come tale va compreso. La famiglia fa parte del quadro, e deve essere coinvolta attivamente nelle strategie educative della scuola, senza concorrenza o conflitto.
Uno specifico punto di sofferenza riguarda i bambini e ragazzi Rom e Sinti. Il quadro del rapporto tra bambini Rom e scuola, con particolare attenzione ai nodi critici e alle possibili strategie di intervento, si basa su due livelli: quello organizzativo e quello della professionalità dei docenti. In Italia, il 19,2 per cento dei minori Rom è analfabeta. Oltre agli sgomberi dei loro insediamenti che fanno cambiare scuola più volte ai ragazzi Rom, c’è uno svantaggio sociale di base dove i genitori spesso sono analfabeti: c’è una difficoltà, da parte dei genitori, ad affrontare l’iscrizione stessa alle scuole, in assenza di un mediatore che aiuti in questo senso Quasi nessuno dei ragazzi delle baraccopoli frequenta la scuola superiore. In Europa, lo fa il 10 per cento dei ragazzi, mentre in Italia la percentuale è molto più bassa. Pochi di loro terminano la terza media: l’esito drammatico è che non possono accedere ai livelli di istruzione successiva, cioè ai corsi professionalizzanti, alle scuole bottega, perché non ne hanno diritto, pur avendo età da istruzione obbligatoria, non avendo ancora la licenza media. Siamo di fronte a una dispersione molto alta nel passaggio dalla scuola media al biennio delle scuole secondarie superiori e ad un ritardo italiano che va colmato con strategie spcifiche.
Oltre ai fattori socio-economici facilitanti la dispersione, ne esistono varie prodotte dal sistema d’istruzione stesso. In particolare, il focus va posto nella scuola secondaria di secondo grado, particolarmente nel primo biennio, che è d’istruzione obbligatoria, in quanto l’istruzione scolastica obbligatoria è stata innalzata a 16 anni. Occorre in particolare concentrarsi sulla questione della qualità dell’orientamento e il tema della precocità della scelta, cui si aggiunge quello della sua reversibilità: la scelta può anche essere non precoce ma, nel momento in cui per la rigidità del sistema quella scelta risulta irreversibile, è molto facile che, laddove si riveli sbagliata, generi l’abbandono scolastico. Risulta quindi necessario l’orientamento nella scuola secondaria di primo grado e il rafforzamento del collegamento tra scuola e mondo del lavoro. Desta poi preoccupazione il dato di abbandono dei ragazzi al primo anno di istruzione secondaria di secondo grado, omogeneo su tutto il territorio nazionale. Tale fenomeno fa emergere l’esigenza di interventi che riguardino l’orientamento degli studenti, che, probabilmente, nella scelta del ciclo secondario, o per mancanza di conoscenza o per influenze diverse, scelgono un corso di studi sbagliato.
L’abbandono scolastico più che la dispersione, che esplode durante i primi due anni della scuola superiore, ha inoltre le sue profonde radici nelle assenze saltuarie che caratterizzano la frequenza scolastica degli alunni del primo ciclo di istruzione, soprattutto in quelle scuole situate nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale. Molti studenti che abbandonano la scuola mostrano segnali di pericolo per mesi, se non per anni, a scuola e al di fuori della scuola. Tali ragazzi si trovano ad affrontare sin da piccoli sfide personali, sociali ed emotive che devono essere colte dalla scuola.
Altro tema fondamentale è quello degli studenti di cittadinanza non italiana, nella scuola secondaria superiore circa il 7 per cento, ossia circa 175.000 studenti. È un tema che funziona come cartina di tornasole per tutte le situazioni di svantaggio sociale, con la differenza che sugli alunni stranieri abbiamo una ricchezza notevole di dati, perché il fenomeno è molto studiato. Sulle infinite varianti dello svantaggio sociale è più complicato avere dati controllabili, ma per approssimazione possiamo dire che alcuni aspetti, caratteristici della popolazione giovanile straniera in età scolare, sono estendibili, per analogia, anche ad altri tipi di svantaggio sociale. I bisogni della popolazione di cittadinanza non italiana in età scolare sono diversi. Per i neo-arrivati è necessario continuare a sostenere misure di insegnamento dell’Italiano L2. Gli stranieri di seconda generazione invece presentano problemi legati all’Italiano-per-lo-studio. L’80 per cento di questi ragazzi frequenta gli istituti tecnici e gli istituti professionali e ciò indica che per loro si va creando una sorta di segregazione formativa nell’istruzione tecnica e professionale.
I fenomeni di dispersione scolastica non riguardano però unicamente i ragazzi che presentano un livello di competenze insufficiente. Vi è anche un fenomeno opposto, forse meno visibile, ma anch’esso importante, quello degli iperdotati. Alcuni degli studenti che abbandonano la scuola, in realtà, andavano benissimo a scuola. Molti di loro, probabilmente, hanno avuto una buona carriera alla scuola elementare, o nei primi anni della scuola media, quindi teoricamente non c’era nessun segnale che potesse far pensare a un possibile fallimento, a un abbandono scolastico. Questi studenti presentano alcune caratteristiche, per quanto riguarda i fattori di rischio, comuni alla popolazione generale, cioè il problema socioeconomico, il basso livello culturale della famiglia, il sesso (l’abbandono è più alto tra i maschi). Nella scuola superiore si trovano senza strategie di studio o sfide cognitive adeguate alle loro capacità e aspettative.
Esistono poi i low achievers, che hanno un basso rendimento scolastico: questo è dovuto alla presenza di quella che viene definita la twice exceptional, che potrebbe essere un DSA (disturbo specifico di apprendimento), come la dislessia, la discalculia e così via: in questa popolazione particolare tali disturbi, molto spesso, sono riconosciuti tardivamente. L’intelligenza, aiutandoli a compensare, li nasconde. La presenza di ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività) e una serie di altre situazioni in comorbilità portano ad avere, invece, proprio un abbassamento del rendimento e dell’autostima.

1.3. Le risorse.
Il nodo delle risorse finanziarie è naturalmente una questione di carattere politico, che coinvolge la scelta su quante risorse il Paese vuole dedicare alla scuola. Ma pur non essendo una questione di natura tecnica, presenta un aspetto tecnico relativo ai criteri ed alla modalità di utilizzo. Il precedente Governo ha stanziato 15 milioni di euro – all’articolo 7, comma 3, del decreto-legge cosiddetto «istruzione», n. 104 del 2013, di cui 3,6 milioni di euro per l’anno 2013 e 11,4 milioni di euro per l’anno 2014 – per la lotta alla dispersione scolastica: cifra certamente insufficiente. Queste risorse sono state stanziate operativamente attraverso il decreto ministeriale n. 87 del 7 febbraio 2014. Questi finanziamenti, unitamente anche ad altri, come quelli legati all’articolo 9 del contratto collettivo nazionale di lavoro (Area a rischio e a forte processo immigratorio), non sono riusciti a costruire un sistema consolidato nel tempo di lotta alle assenze saltuarie e al conseguente abbandono scolastico.
Anche per i Piani operativi nazionali (PON), soprattutto per quanto riguarda le regioni dell’Obiettivo Convergenza (Sicilia, Puglia, Calabria e Campania), non si può parlare di successo, perché, misurando lo scarto fra il punto di partenza e il punto di arrivo, ci si accorge che i livelli raggiunti – in termini di incremento di successo formativo – non sono molto rilevanti. Sappiamo che sono state impiegate risorse molto ingenti ma i risultati in termini di contrasto sono stati differenti. Regioni che hanno ricevuto anche molti fondi, ad esempio, non hanno visto migliorare in modo corrispondente le loro percentuali. Si ribadisce quindi la necessità di rendicontare gli esiti dei finanziamenti e dei progetti relativi. Soprattutto, i PON hanno creato progetti a termine anche validi, ma che purtroppo restano estemporanei non avendo modificato la routine scolastica.
Con riferimento alle risorse impiegate, comprese quelle dei PON si rileva che molti progetti non hanno prodotto routine. La questione della dispersione, come altre, si risolve nel momento in cui è la scuola «normale» ad agire in un certo modo. Quindici milioni di euro stanziati per il 2013-2014 possono anche essere risorse interessanti, nel momento in cui riguardano un biennio: succede però che si alimentano dei progetti, probabilmente anche ben fatti, alcune pratiche, effettivamente, producono qualche risultato nel biennio in cui il progetto è in corso, ma tutto questo non è in grado di modificare la routine scolastica. Quello che manca davvero è la capacità di avere uno standard in grado di affrontare il problema. Bisogna piuttosto pensare a progetti integrati, organici, di sistema, capaci di incidere sulla qualità dell’organizzazione della didattica e, quindi, di elevarne la qualità: progetti che diventino dunque stabili e non estemporanei.
Con riferimento alle risorse finanziarie, occorre considerare come sino ad oggi gli interventi siano stati finanziati prevalentemente attraverso risorse comunitarie, in particolare del Fondo sociale, del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo di coesione. Naturalmente occorre che le esperienze valide riescano a passare a sistema. È pur vero, però, che in questi anni il MIUR non ha avuto molte risorse di bilancio per poter realizzare questa operazione. Ad esempio nella formazione degli insegnanti, si è intervenuti sulle competenze di base degli stessi con cinque progetti nazionali molto consistenti, anche da un punto di vista della partecipazione degli insegnanti, ma non c’erano risorse sufficienti in bilancio. Ma, evidentemente, per passare a sistema occorre trovare fonti finanziarie ordinarie e stabili.
In merito al nodo risorse occorre però fare uno sforzo per comprendere come la lotta alla dispersione scolastica da un lato comporti adeguati investimenti ma dall’altro possa determinare significativi risparmi, o quantomeno riduzione nello spreco di risorse pubbliche. Circa 472.000 alunni che, ogni anno, vanno incontro all’insuccesso scolastico, perché abbandonano gli studi, vengono bocciati oppure si ritirano senza più dare notizie di sé. Sappiamo benissimo che gli organici della scuola vengono conteggiati anche in base agli studenti ripetenti. Se un ragazzo viene bocciato, la scuola ritiene che rifrequenterà le lezioni. Basta moltiplicare – è un calcolo che serve solo per avere un ordine di grandezza del fenomeno – gli 8.646 dollari che l’OCSE stima siano il costo annuale di uno studente per la scuola media e gli 8.607 dollari per la scuola secondaria superiore e arriviamo a qualcosa come 3,5 miliardi di euro che, ogni anno, siamo costretti a spendere in più per sostenere l’insuccesso scolastico.
Anche la questione degli asili nido rimanda al nodo delle risorse disponibili e, quindi, delle possibilità operative degli enti locali e di altri soggetti. La dispersione si contrasta a partire dai primissimi anni di età, essendo ormai acquisito che coloro che non hanno frequentato la scuola dell’infanzia hanno maggior probabilità di non continuare proficuamente gli studi superiori. La possibilità di frequentare la scuola già dai 3 ai 6 anni diminuisce le percentuali di probabilità dell’abbandono (www.lavoce.info). In realtà abbiamo oggi ancora 40.000 bambini che non frequentano, specie nelle regioni del sud a più alto rischio di dispersione.
È essenziale far frequentare la scuola dell’infanzia a soggetti particolarmente a rischio come i bambini rom. Bisogna che le scuole comincino a segnalare ai servizi sociali o al tribunale dei minori i casi di evasione scolastica, considerato che le frequenti assenze spesso sono tollerate dalle scuole. La scuola è un diritto e mandare i bambini a scuola è un dovere che bisogna far rispettare. Va data quindi, in questo senso, un’attenzione particolare alle famiglie dei minori rom, spesso costretti a frequenti sgomberi che impediscono di frequentare la scuola, per attivare misure di diritto allo studio e attività di integrazione.

  1. LIVELLI DI INTERVENTO

Un’efficace azione di contrasto alla dispersione scolastica richiede una pluralità di azioni collocate su piano diversi e coordinate in una visione di insieme. Nel corso delle audizioni sono state prospettate diverse azioni che potrebbero, se utilmente inserite in una strategia organica, far fare un salto di qualità al nostro sistema scolastico,
Il Thematic Workgroup on early school leaving della Commissione Europea, nel Rapporto finale Reducing early school leaving: key messages and policy support del novembre 2013 sugli abbandoni precoci nella scuola, ha indicato che le azioni contro la dispersione scolastica vanno collocate a tre livelli e cioè azioni di prevenzione, azioni dirette e misure di recupero.
Sulla base di tale documento, è possibile individuare le seguenti cinque priorità che dovrebbero caratterizzare una efficace strategia di lotta alla dispersione scolastica in Italia:
1) l’incremento dell’accesso agli asili nido e alla scuola dell’infanzia, soprattutto nelle regioni del Sud d’Italia e nelle Isole;
2) la qualificazione di percorsi di istruzione e formazione professionale, con l’applicazione rigorosa in ogni regione italiana dell’ordinamento relativo all’ampliamento dell’offerta formativa;
3) la creazione di idonei ambienti di apprendimento, (non solo una questione di allestimenti) con la realizzazione di un piano di formazione dei docenti in servizio e di sperimentazione di princìpi educativi e pratiche didattiche centrati sui fattori d’influenza dell’apprendimento;
4) l’organizzazione e la strutturazione di un sistema di monitoraggio, con un’anagrafe nazionale dello studente basata sui dati delle rilevazioni del Sistema nazionale di valutazione (che si avvale dell’attività dell’INVALSI), per valutare un rischio basso, medio o alto di abbandono precoce degli studi;
5) interventi in molteplici dimensioni nei confronti delle famiglie degli studenti a rischio, potenziandone i compiti e le capacità educative.

Per quanto riguarda i livelli di intervento di carattere generale, vengono individuati a) la prevenzione, b) intervento e c) compensazione.
In ambito europeo, per misure di prevenzione, si intendono azioni o misure o interventi che anticipano l’insorgenza conclamata di segni di abbandono precoce dei percorsi scolastici o formativi. Le misure investono molto sugli ambienti di apprendimento, i curricoli, la formazione dei docenti e i sistemi di connessione anticipata del mondo scolastico con il mondo del lavoro e della produzione: ciò in modo tale che il contatto con il mondo produttivo possa essere, esso stesso, un’opportunità di apprendimento e un modo per organizzare la propria carriera scolastica o le proprie scelte future.
Per quanto riguarda le misure di intervento, queste sono definite come misure a contrasto, non appena i primi segni dell’abbandono scolastico si manifestano. Queste misure sono indirizzate agli studenti, agli insegnanti e ai genitori. Anche in questo caso, l’attenzione è posta sui percorsi e sui curricoli.
L’ultimo livello di questo quadro generale di contrasto degli abbandoni precoci e della dispersione scolastica viene definito di compensazione. L’Unione europea, in questo caso, fa riferimento ai percorsi cosiddetti «formativi di seconda occasione», rivolti sostanzialmente ai ragazzi che hanno perso ogni connessione con la scuola e la formazione professionale, ma possono essere recuperati a seguito di un ripensamento o del sostegno di servizi territoriali, il cui scopo principale sia quello di reintegrare i giovani nei contesti scolastici e formativi.

  1. STRATEGIE DI AZIONE

Le strategie di azione qui di seguito enucleate sulla base delle audizioni non sono presentate in ordine di priorità, bensì compongono un quadro di azioni parallele, da sviluppare in modo convergente.

3.1. Il nodo del primo biennio della scuola secondaria.
Un punto importante per contrastare la dispersione riguarda il potenziamento dell’orientamento nel primo biennio della scuola secondaria. Da tempo la scuola media non è più la fine del percorso dell’obbligo. Abbiamo quindi bisogno di sviluppare l’orientamento di tipo formativo non solo nella scuola media ma soprattutto nel primo biennio della scuola secondaria di secondo grado: ciò sarebbe fondamentale e permetterebbe allo studente i passaggi da un indirizzo all’altro. Il sistema della scuola secondaria di secondo grado è organizzato a canne d’organo –licei, istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale – sistemi che non dialogano tra loro e non sono integrati. Al contrario, gli ultimi provvedimenti normativi approvati hanno irrigidito i modelli e non permettono i passaggi da un indirizzo all’altro. Questo rappresenta una fonte di dispersione.
Importante è anche una decisa azione di contenimento delle bocciature, che sono l’anticamera dell’abbandono scolastico, contrasto da attuare – in particolare – nei primi due anni della scuola secondaria superiore, dove le bocciature sono stimate in circa 185.000, attraverso piani di studio più flessibili e personalizzati.
Si potrebbe considerare la possibilità di passare nel primo biennio delle superiori a una valutazione biennale anziché annuale, ai fini dell’ammissione alla classe successiva. Si potrebbe riprendere questa norma per il biennio iniziale della scuola secondaria superiore, prevedendo la bocciatura nel primo anno di corso solo come evento eccezionale, puntando a garantire una soglia di equivalenza, di abilità e conoscenza a tutti gli studenti, dei licei, dei tecnici, dei professionali, della formazione professionale.

3.2. Un’autonomia compiuta.
Nell’ottica dell’organizzazione della scuola come comunità di apprendimento per superare l’insuccesso scolastico, occorre pensare come coinvolgere nel processo di apprendimento tutti gli agenti che influenzano l’educazione. È importante coniugare strettamente la questione della dispersione scolastica con l’autonomia scolastica compiuta, come era stata inizialmente introdotta e solo teorizzata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, che consentirebbe di disegnare un progetto di scuola adatta al territorio. Pur rispettando i termini generali di un sistema di istruzione nazionale, dovrebbe e potrebbe essere capace di far diventare la scuola come il luogo che sa interpretare le domande delle famiglie di quel territorio, che sa disegnare davvero percorsi personalizzati, può prendersi cura di ciascuno, progettare, utilizzando risorse umane ed economiche per mettere in campo azioni di sistema che innestino processi culturali ed educativi.
L’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, concernente le norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, nel momento in cui in Italia si parlava dell’autonomia, sembrava dovesse diventare un punto di riferimento per lo sviluppo di tutto il sistema formativo italiano. All’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica citato si fa riferimento alla possibilità per le scuole di associarsi in reti o consorzi, utile per affrontare il tema della ricerca educativa e della rappresentanza delle istituzioni scolastiche, nonché dell’approfondimento di tutte le questioni relative al rapporto tra scuola e territorio.
Evidentemente, nella tradizione scolastica italiana, all’autonomia hanno creduto in molti, ma rispetto allo sviluppo della stessa hanno operato solo pochissime persone. Al contrario, le scelte sono state prevalentemente orientate ad attenuare tutte le possibilità offerte dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999. La rappresentanza delle scuole viene percepita in modo non corretto. Le scuole sono rappresentate dall’amministrazione, dall’Ufficio scolastico regionale, ma questo tipo di rappresentanza amministrativa è effettivamente distante dall’idea della scuola autonoma e, quindi, dalla possibilità per le scuole di affrontare in modo complesso e diretto le problematiche. In questa prospettiva è interessante l’esperienza del Consorzio istituti professionali associati toscani (CIPAT) in cui sono presenti i presidi e gli insegnanti che lavorano nelle azioni di ricerca e nei progetti europei.

3.3. L’Istruzione e Formazione Professionale.
Un efficace strumento antidispersione in questi anni è rappresentato dallo sviluppo dei percorsi triennali di Istruzione e Formazione Professionale, percorsi triennali che portano a 22 qualifiche, diplomi quadriennali, anno integrativo per l’esame di Stato e alta formazione tecnico-professionale. Si possono seguire percorsi triennali di questo tipo sia presso le agenzie formative accreditate sia presso gli istituti professionali di Stato in regime di sussidiarietà integrativa o complementare a seconda dei casi. Il sistema di istruzione e formazione professionale in Italia è finanziato dal Ministero del lavoro con 189 milioni di euro l’anno. Questo significa che, siccome l’ultimo monitoraggio indica 300.000 giovani sui percorsi, parliamo di 630 euro all’anno per corso utente, effettivamente molto scarsi. Se il costo medio di un giovane a scuola è circa 7.000 euro l’anno, 630 euro l’anno di investimento da parte del Paese su un percorso professionalizzante antidispersione sono decisamente insufficienti.
Lo sviluppo del sistema di Istruzione e Formazione Professionale è fortemente intrecciato con il tema della dispersione. È evidente che, nel momento in cui l’offerta formativa non incontra i bisogni di formazione o diverge rispetto ad essi, si crea questo fenomeno. Nella realtà italiana, soprattutto nel settore dell’Istruzione tecnica e professionale, vi è una strutturazione dell’offerta formativa che continua a non incrociare i bisogni e, al contrario, la divergenza aumenta.
Risulta imprescindibile l’obiettivo di valorizzare questo sistema, ed in particolare l’apprendistato (anche dagli ultimi due anni delle superiori), le esperienze di scuola-lavoro, gli stage in azienda, i tirocini formativi, ormai parte integrante del sistema di istruzione che costituiscono uno degli strumenti più efficaci nella lotta alla dispersione. Dare pieno diritto alla formazione professionale e all’apprendistato, stabilizzandola e rendendola di uguale qualità nelle diverse Regioni, rappresenta la base di partenza per una strategia articolata.
Un altro tema da affrontare riguarda la professionalità del corpo docente, che deve essere sviluppata in modo specifico per quanto riguarda gli Istituti professionali. Infatti, la personalizzazione degli insegnamenti, che rappresenta in teoria una risposta molto efficace al problema della dispersione, è in concreto assai complessa da realizzare. La strategia migliore per avvicinarsi all’obiettivo è rappresentata dall’articolazione dei profili all’interno della scuola. Il tutor, il mentore, l’insegnante che progetta, l’integrazione della scuola con il territorio rappresentano strumenti per fornire risposte alla personalizzazione.

3.4. Scuola aperta e partnership con il territorio.
Si potrebbero prevenire i rischi di bocciatura anche attraverso corsi di recupero obbligatori pomeridiani ed estivi, che consentano agli studenti un più adeguato recupero delle lacune accumulate e che, al contempo, rendano più facile incontrare e accogliere il disagio che questi ragazzi si trovano spesso a vivere. Sarebbe da seguire l’approccio metodologico, utilizzato con successo nelle esperienze di integrazione, di un’esplicita personalizzazione degli obiettivi formativi, valorizzando le attitudini e le potenzialità individuali e registrando a verbale, senza negarle e occultarle, le limitate performance raggiunte dallo studente in una o più discipline.
Una più ampia apertura delle scuole potrebbe essere sia orizzontale, nel periodo di giugno-luglio, sia verticale, cioè allungando gli orari di funzionamento degli istituti nei giorni di lezione. Ciò non significa però perpetuare la distinzione tra saperi e discipline «ufficiali» di tipo teorici e le attività «pratiche» – in un certo senso «extra-scolastiche – in subordine. Le attività non possono essere messe in gerarchia, ma tutte devono concorrere alla qualità del modello pedagogico-didattico.
La scuola, allungando i suoi tempi, deve rendere ordinario ciò che ora è frutto di esperienze casuali, soprattutto nelle zone ad elevata esclusione sociale. Sul punto, peraltro, vi sono diversità di opinioni fra gli esperti: secondo alcuni, infatti, non è detto che migliori la situazione allungare la giornata scolastica, aumentare le ore di lezione – soprattutto nel caso di insegnanti che contribuiscono ad alimentare il disagio – perché il tempo scolastico è una variabile che influisce nella misura in cui si traduce, poi, in un tempo di apprendimento, di concentrazione e di studio. Occorre però considerare che almeno nelle zone a rischio di emarginazione socio-economica un prolungato orario scolastico permetterebbe ai giovani socialmente svantaggiati di poter far riferimento nella scuola come centro di formazione e aggregazione sociale.
In questo senso non si può immaginare che il contrasto alla dispersione possa essere realizzato unicamente all’interno del sistema scolastico. Bisogna avvalersi di contributi diversi. Non si pensi, infatti, che i recuperi possano essere realizzati soltanto dai docenti di scuola. Se si vuole davvero fronteggiare la dispersione, sia in fase preventiva, sia nel recupero, occorre che vi sia un’alleanza fra la scuola e tutti i soggetti di un sistema formativo veramente integrato. Si tratta dell’associazionismo, del volontariato, delle cooperative e dei soggetti portatori delle altre risorse professionali necessarie, come gli educatori professionali o gli psicologi.
L’educazione alla cittadinanza va potenziata in tutti gli aspetti: formazione alla responsabilità, alla partecipazione, ai diritti/doveri, al volontariato; ciò può essere promosso non solo con un insegnamento dei saperi teorici, ma attraverso una cittadinanza vissuta e aperta, in collaborazione con ciò che è fuori della scuola.
È necessaria la trasformazione della scuola in un centro di riferimento culturale e sociale del territorio: la scuola deve diventare ancor più, nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale, una potente macchina di attacco alla disgregazione sociale e anche alla conseguente diffusione della criminalità organizzata. Lo Stato anche e soprattutto attraverso la scuola, può e deve interamente e profondamente riappropriarsi dei territori occupati da qualcun altro. È altresì necessaria la costituzione, presso tutti gli Uffici scolastici regionali, di un gruppo di lavoro, così come è stato fatto in Campania, per la prevenzione e il contrasto all’abbandono scolastico e al disagio giovanile, con il compito, tra gli altri, di ricercare sistemi di allerta che permettano di individuare precocemente gli studenti a rischio di abbandono scolastico. È fondamentale, inoltre, assicurare la stabilità del corpo docente. Il continuo cambio dei docenti è spesso vissuto dagli alunni come un’altra occasione di abbandono. Il rapporto costruito tra docente e bambino, fondamentale nel processo di crescita e di apprendimento, quel legame empatico che si instaura tra gli alunni e gli insegnanti, diventa un patrimonio che viene disperso, a tutto svantaggio del bambino.
Un’esperienza interessante è rappresentata dalle «scuole di seconda occasione»: una rete di sei esperienze che si articolano in molte città italiane. Uno dei limiti fondamentali di queste esperienze è il fatto che sono esperienze che vanno riprodotte di anno in anno, poiché vengono garantite dall’accesso ai fondi europei, quindi bisogna fare nuovi progetti. Un altro tema è quello della seconda opportunità. Oggi, quasi il 20 per cento degli stranieri iscritti ai CTP ha un’età inferiore ai diciannove anni. Questo ci dice chiaramente che l’istruzione pensata per gli adulti ha, in realtà, una domanda forte di seconda opportunità, cioè di ragazzi che sono stati espulsi dal sistema scolastico normale e che tentano di riprendere gli studi.

3.5. Formazione dei docenti e qualità dei processi educativi.
Una delle chiavi della strategia deve essere la formazione degli insegnanti, in direzione di un rinnovamento della didattica auspicato da tutti a parole ma in realtà raramente realizzato. Se si vuole investire urgentemente risorse sui cosiddetti processi educativi un elemento determinante, per farlo, è avere chiari i dieci fattori di influenza che producono alti livelli di apprendimento. A tale proposito elementi interessanti possono essere rintracciati in una ricerca evidence-based, centrata sui dati meta-analitici – pubblicati tra il 2009 e il 2012 – di circa ottocento studi sperimentali curati da un professore australiano dell’Università di Melbourne, John Hattie. Secondo tale ricerca, i dieci fattori sono i seguenti: aspettative degli studenti; credibilità del docente agli occhi degli alunni; fornire ai docenti un supporto e una valutazione formativa; valutazione degli studenti basata sul feedback educativo; insegnamento reciproco tra pari; programmi per lo sviluppo di abilità cognitive; programmi di arricchimento lessicale; competenza di lettura-comprensione; relazione tra insegnante e studente; organizzatori grafici della conoscenza. Si noti che al secondo e terzo posto vi sono fattori legati alla credibilità e all’aggiornamento continuo del docente.
Sul versante della professionalità docente, dunque, vi sono ampi spazi di intervento. La qualità della didattica dipende per molti aspetti dal contesto professionale più ricco e opportunità di formazione per gli insegnanti in servizio, soprattutto in alcuni campi specifici necessari alla lotta alla dispersione: innovazione didattica, competenze psicopedagogiche e relazionali, tecniche di lavoro di gruppo, competenze di educazione alla cittadinanza, insegnamento Italiano L2, cura dei disturbi di apprendimento.
A livello di formazione iniziale, occorrerebbe instaurare una più stretta collaborazione con i Corsi di laurea in Scienze della formazione e con la formazione universitaria dei docenti delle scuole superiori. Il nodo centrale è rappresentato dalla qualità del Tirocinio, con il ruolo centrale del supervisore come insegnante esperto che aiuta gli studenti a fare sintesi tra esperienza e saperi disciplinari, riflessione e esplicitazione della didattica, studi e deontologia professionale. Nel momento del reclutamento, bisognerebbe infatti valutare anche le competenze relazionali degli insegnanti, i fattori di personalità, la capacità di lavorare in gruppo e in rete e la conoscenza delle questioni etiche e normative.
Si deve puntare sulla formazione dei docenti, ma occorre anche che un certo numero di docenti sia sistematicamente dedicato. Per ottenere ciò bisogna che una quota di docenti sia rimotivata e, sicuramente, ri-professionalizzata in tale direzione. Serve un organico funzionale di istituto che non ha niente a che vedere con l’organico «piatto» che abbiamo oggi. Dobbiamo avere risorse in più, ma anche capire dove recuperare risorse professionali.

3.6. Gli studenti di cittadinanza non italiana.
Gli alunni e studenti di cittadinanza non italiana costituiscono una fascia a rischio di dispersione. La questione va però affrontata distinguendo tra chi arriva in Italia dal paese d’origine senza adeguate conoscenze e gli studenti (ormai quasi la metà del totale) considerati «di seconda generazione perché nati o cresciuti qui. Le strategie devono essere quindi molto diverse. Anzitutto i corsi intensivi di Italiano L2 sia in alcuni periodi sia per tutto l’anno, i laboratori pomeridiani a fianco della classe (e non separati), i corsi per disciplina devono essere strutturati nel sistema scolastico anziché estemporanei, impiegando risorse professionali con un alto livello di specializzazione.
Inoltre, con riferimento alla questione dei ritardi, la normativa dello Stato (articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999) stabilisce che lo straniero che si iscrive in una scuola debba essere inserito nella classe della sua età, salvo deroghe. In questo caso si inseriscono i ragazzi di origine immigrata in classi inferiori. Queste deroghe – pur decise dal collegio dei docenti e dal consiglio d’istituto allo scopo di facilitare l’apprendimento della lingua – raramente sono utili al successo scolastico, come è dimostrato da dati empirici. Ci sono anzi indici di correlazione fra ritardi e ripetenza. Sulle deroghe esiste, quindi, un problema. Anche se non si può imporre per legge la rinuncia, prevista dalla legislazione, occorre ripensare lo strumento della deroga creando altri tipo di sostegno e facilitazione all’apprendimento dei neo-arrivati o di chi non conosce la lingua italiana.
In generale, un approccio interculturale a livello delle discipline e delle relazioni, che rispetti ma non amplifichi la diversità, diviene indispensabile per gestire la complessità delle culture e delle lingue presenti in classe.

3.7. Nuovi ambienti di apprendimento.
È necessario un approccio globale al curricolo. Non si può progettare solo la formazione, ma un intero ambiente di apprendimento per creare una scuola nuova, più aperta e coinvolgente, cooperativa e «senza zaino». L’innovazione didattica è al centro della lotta alla dispersione.
Occorre a questo proposito considerare sia l’hardware sia il software. Da un lato si parla dell’ architettura scolastica, con tutte le problematiche legate all’edilizia carente, la distribuzione degli spazi, l’organizzazione degli arredi sino all’interno dell’aula, le dotazioni digitali. Si vuole però sottolineare soprattutto la dimensione corporea e tattile, sensoriale. Se i bambini e i ragazzi sin dall’infanzia non si abituano alla dimensione manuale, corporea, saranno adulti nel mondo del lavoro incapaci di avere una visione a 360 gradi.
Le aule devono diventare ambienti strutturati come aree organizzate di lavoro, con attrezzature tecnologiche adeguate, attraverso investimenti nella didattica 2.0 e nella banda larga per compensare il digital divide tra le diverse aree del paese.
Per i ragazzi (in particolare quelli a rischio) la scuola può e deve preparare percorsi personalizzati e individualizzati, costruendo ambienti di apprendimento attivi, adatti e stimolanti, trasformando l’aula in laboratorio. Oggi, invece, la struttura tradizionale dell’insegnamento contraddice tutto ciò che la ricerca scientifica ormai da più di un secolo ha scoperto sulle modalità cognitive con cui si impara: rende passivi bambini e ragazzi curiosi, ignora l’importanza della corporeità nell’apprendimento, stimola la competitività e non il lavoro di gruppo, ricorre quasi esclusivamente a modalità frontali di insegnamento, separa le materie di studio anziché lavorare per centri di interesse, crea un fossato tra lo studio scolastico e il sapere digitale, sottovaluta la pluralità delle intelligenze trascurando la creatività, impone tempi rigidi quando si dovrebbe lasciare spazio allo spirito di ricerca e adattarvi luoghi e orari della scuola. Lo dimostra il disagio anche degli studenti dotati che non trovano interesse nella scuola.

3.8. Il riordino dei cicli.
Nella lotta alla dispersione si possono prendere in considerazione anche le diverse ipotesi di riordino dei cicli (compreso il progetto di un anno in meno del sistema formativo). Per trovare risposte obiettive a tali ipotesi di intervento (da attuare nel primo o secondo ciclo) è utile tra l’altro riferirsi alle attuali sperimentazioni della scuola secondaria di secondo grado in quattro anni.

3.9. L’anagrafe degli studenti.
Naturalmente, per implementare un’efficace strategia di contrasto alla dispersione scolastica è essenziale poter disporre dei dati e delle misurazioni che consentano di dare il giusto peso ai problemi e di orientare per programmare iniziative mirate alla loro soluzione. Pensare di dover raccogliere i dati, scuola per scuola, potrebbe sembrare un intervento complicato, ma in realtà si tratta di dati già in possesso delle banche dati del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR). Eccezion fatta per l’evasione, il MIUR conosce il dato degli abbandoni, delle interruzioni non comunicate e delle bocciature e sarebbe in grado di censire il fenomeno in maniera analitica scuola per scuola e – forse – plesso per plesso. Interfacciando questi dati con quelli provenienti dalla banca dati INVALSI, le scuole potrebbero conoscere le competenze dei ragazzi che entrano nelle stesse, per intervenire con azioni – quasi individuali – volte a evitare le bocciature.
Oggi noi non abbiamo ancora un’Anagrafe degli studenti che ci consenta di dire per quella classe di età dove siano gli studenti. Abbiamo tutti dei pezzi della realtà, ma non dialogano tra di loro. L’Anagrafe degli studenti riguarda solo quelli del sistema dell’istruzione: non c’è un collegamento con le Anagrafi regionali della formazione ed è quindi necessaria un’integrazione dei dati tra l’Anagrafe nazionale degli studenti del Ministero dell’istruzione e le altre anagrafi, come i dati degli uffici scolastici regionali. L’altro tema, legato alle anagrafi, è che – da qualche anno – non si registra più o non si verifica più quando le iscrizioni avvengono. Prima dell’inizio dell’anno scolastico, tutte le anagrafi dei municipi non inviano più – come invece avveniva in passato – alle scuole il registro dei residenti per verificare se siano stati iscritti, o meno, a scuola. È stato segnalato nel corso dell’indagine conoscitiva che per i bambini stranieri questo rappresenta un problema molto serio.
Con riferimento all’integrazione delle varie banche dati, occorre puntare ad un’informazione dettagliata, mirata e quasi microscopica sui casi singoli (scuola per scuola e plesso per plesso) e sulle caratteristiche della dispersione scolastica, degli abbandoni precoci, delle ripetenze, dei ritardi – soprattutto per quanto riguarda i ritardi degli studenti stranieri che non sono ammessi nella classe della propria coorte di età. Sono tutti dati ovviamente essenziali, a patto però che siano rispettate due condizioni. La prima condizione è che la direzione sia biunivoca. Il fatto di implementare una banca dati, straordinariamente efficiente nella capacità di distillare i dati anche nelle loro caratteristiche microscopiche, senza però un ritorno di questi dati alle scuole stesse, che ne sono i principali fornitori, è un’operazione che rischia di essere un eccellente patrimonio di dati utili per gli uffici studi e le analisi, ma non per gli interventi. È quindi essenziale pensare a come garantire, nel meccanismo di fornitura delle informazioni, l’andare e il ritornare dei dati. I dati entrano grezzi e devono uscire, invece, con un commento, cioè con una qualità di lettura che consenta alle singole scuole, ai territori, agli uffici scolastici regionali, alle regioni, ai comuni – non cito più le province per ovvi motivi – di orientare le proprie politiche di aggressione nei confronti del fenomeno. In secondo luogo, in una logica sussidiaria, i Comuni dovranno fare quello che lo Stato non è in grado di fare, perché lo Stato accentra i dati e può analizzarli e fornirli. Il Comune, in sinergia con gli uffici e i centri per l’impiego, dovrà creare piuttosto un’anagrafe dei dispersi. A livello di territorio, abbiamo bisogno di una capacità di lettura del fenomeno che intercetti i casi singoli e sia in grado di recuperare storie e vicende, in modo che il territorio sia messo in condizione, sia nelle cause della dispersione sia negli effetti, di recuperare le persone attraverso strategie «multi-attoriali», che coinvolgano non soltanto il pubblico, ma anche il privato sociale, l’associazionismo e il volontariato specializzato nella cosiddetta «seconda opportunità».

4. CONCLUSIONI: UNA STRATEGIA NAZIONALE PER ACCELERARE LA LOTTA ALLA DISPERSIONE

4.1. Obiettivo 10 per cento.
L’obiettivo ultimo di una strategia nazionale che acceleri il contrasto alla dispersione scolastica è portare la quota percentuale degli early school leavers al 10 per cento dal 17,6 per cento attuale.
Tale obiettivo è stato enunciato come condizione anche nel parere che la VII Commissione della Camera ha espresso il 2 luglio 2013, al termine dell’esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2013 e relativi allegati (COM(2012)629 final), del Programma di diciotto mesi del Consiglio dell’Unione europea per il periodo 1o gennaio 2013-30 giugno 2014 (17426/12) e della relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, relativa all’anno 2013 (Doc. LXXXVII-bis, n. 1). Esso appare ambizioso, ma raggiungibile (attualmente è a portata di mano solo per alcune regioni) se si comincia immediatamente ad operare sui ragazzi che oggi hanno 12-14 anni.
Infatti, in base ai dati PISA del 2012, il sistema dell’istruzione italiana si è rimesso in moto per la prima volta dopo un decennio di stallo. Anche nella lotta alla dispersione si registrano notevoli progressi poiché nel 2000 superava il 25 per cento ed oggi la quota media si attesta al 17,6 per cento. Nelle 4 regioni convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) il dato si pone intorno al 21 per cento. Con gradualità questa percentuale potrebbe continuare a diminuire, ma troppo lentamente. La sfida è oggi l’accelerazione dei processi, da cui dipende la possibilità per l’Italia di ricominciare a crescere, fornire una qualificazione adeguata ai giovani e contrastare la disoccupazione.
È superfluo ribadire che i costi dell’ignoranza sono pesanti per un sistema formativo che assorbe il 20 per cento della spesa pubblica. Si calcola che abbattere la dispersione potrebbe far «risparmiare» alla collettività fino al 6 per cento del PIL. Tuttavia, la lotta agli abbandoni e la scelta di far concludere al maggior numero possibile di ragazzi la carriera scolastica e formativa non possono avere soltanto un scopo funzionale. La cultura e l’apprendimento sono beni in sé che permettono di sviluppare il capitale umano di ciascuno. Apertura alla cultura e passione per la conoscenza sono il bene più prezioso che la scuola può lasciare in eredità alle nuove generazioni. Dal mancato apprendimento nasce una minore capacità di comprendere la complessità del mondo attuale e quindi un deficit di cittadinanza, una contrazione della possibilità di costruire il futuro.
Le policy options per il contrasto alla dispersione sono oggetto di una vasta letteratura e oggetto di molteplici documenti strategici. Per il contesto del nostro Paese alcuni criteri di azione vanno considerati prioritariamente, in modo mirato rispetto alle diverse dimensioni del fenomeno. In ogni caso, appare necessario che le strategie e le azioni concrete considerino adeguatamente i differenti contesti territoriali ai quali si applicherà e che, semmai, punti, prendere in prestito e disseminare nelle diverse aree del Paese tutte le esperienze e le buone pratiche maturate nel territorio nazionale.
Si potrebbe elencare a lungo lo spreco di intelligenza, interesse e talento compiuto dalla scuola italiana, mentre molti altri paesi europei stanno modificando e innovando i loro metodi di insegnamento/apprendimento. Lo confermano anche le esperienze del mondo non profit che recuperano ragazzi a rischio o che hanno lasciato la scuola con la rimotivazione, la responsabilizzazione, le competenze relazionali. La centralità dell’istituzione scolastica non deve far dimenticare, infatti, che il contrasto alla dispersione richiede un lavoro di partenariato e coordinamento tra scuola e territorio, Enti locali, associazionismo. Senza una forte sinergia la scuola si troverebbe sola e impari al compito.
Il contrasto alla dispersione scolastica parte dalla coscienza di dover rendere nuovamente protagonisti gli studenti e non solo i bisogni degli adulti, della società e degli insegnanti. Lo sviluppo di un paese dipende infatti dalla capacità di coinvolgere le nuove generazioni. Il rapporto scuola/lavoro assume, in questo senso, un’importanza determinante per la sua valenza di apprendimento attivo, legato alla realtà, motivante e di tipo pratico. Troppo a lungo in Italia si è avvalorata la gerarchia tra i saperi di tipo teorico e quelli di tipo pratico dimenticando che essi costituiscono le due facce speculari dell’apprendimento, che deve essere sempre di tipo laboratoriale anziché trasmissivo.
Vanno in questa direzione le misure prese dai recenti governi, in particolare lo stanziamento di 15 milioni di euro – disposto per la lotta alla dispersione scolastica dall’articolo 7, comma 3, del decreto-legge cosiddetto «istruzione», n. 104 del 2013, di cui 3,6 milioni di euro per l’anno 2013 e 11,4 milioni di euro per l’anno 2014. Va segnalato inoltre il programma europeo Garanzia per i giovani, di cui alla raccomandazione 2013/C120/01 del Consiglio, del 22 aprile 2013, richiamato dall’articolo 8 del medesimo decreto-legge n. 104 del 2013: questo articolo, al comma 2, ha autorizzato la spesa di euro 1,6 milioni per l’anno 2013 e di euro 5 milioni a decorrere dall’anno 2014, quale contributo per le spese di organizzazione, programmazione e realizzazione delle attività di orientamento per gli studenti iscritti alle scuole secondarie, al fine di facilitare una scelta consapevole del percorso di studio e di favorire la conoscenza delle opportunità e degli sbocchi occupazionali.
Nel presente documento conclusivo vengono quindi proposte le seguenti azioni prioritarie di carattere generale.

4.2. Azioni prioritarie.

4.2.1. Anagrafe e monitoraggio.
Il primo passo urgente consiste nella realizzazione e nel completamento di Anagrafi integrate che permettano di acquisire dati certi. Si è cercato di affrontare il problema grazie alle disposizioni contenute all’articolo 13 del citato decreto-legge n. 104 del 2013, il quale prevede, in particolare, che al fine di realizzare la piena e immediata operatività e l’integrazione delle anagrafi di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 76 del 2005, entro l’anno scolastico 2013/2014 le anagrafi regionali degli studenti e l’anagrafe nazionale degli studenti siano integrate nel sistema nazionale delle anagrafi degli studenti del sistema educativo di istruzione e di formazione. Un aspetto che evidenzia l’importanza di avere a disposizione dati utili sui ragazzi che frequentano le nostre scuole è dimostrata dalla previsione del comma 2-ter del suddetto articolo 13, introdotto nel corso della conversione del decreto-legge n. 104, il quale prevede che, al fine di consentire il costante miglioramento dell’integrazione scolastica degli alunni disabili mediante l’assegnazione del personale docente di sostegno, le istituzioni scolastiche trasmettono per via telematica alla banca dati dell’Anagrafe nazionale degli studenti le diagnosi funzionali di cui al comma 5 dell’articolo 12 della legge n. 104 del 1992, prive di elementi identificativi degli alunni.
Un monitoraggio regolare del fenomeno andrebbe effettuato sulla base dei seguenti indicatori:
A. Early school leavers 18-24 che non hanno diploma o qualifica superiore e non sono in formazione;
B. Percentuale tra quelli che iniziano e che finiscono fatte salve le scelte diverse dal punto di vista formativo (come indicatore della capacità di continuità di percorso della scuola). A tali dati devono far riferimento le scuole nei loro piani di miglioramento.
C. Numero di studenti che acquisiscono una qualifica o un diploma nella formazione professionale anche nell’ottica di disporre di una visione integrata del sistema complessivo di diplomi e qualifiche (qualifiche triennali, diplomi quadriennali, diploma di esame di stato,…) da far entrare come informazione statistica corrente negli annuari ISTAT.
D. Preparazione studenti su dati OCSE Pisa e Invalsi.

Ogni USR deve effettuare una precisa diagnosi del fenomeno a livello regionale sulla base di tali indicatori, definire gli specifici obiettivi e fare un piano di azione nel quadro di cooperazione inter-istituzionale. Il Miur può incrociare questi dati con quelli Invalsi per effettuare censimento analitico scuola per scuola del fenomeno, condizione sine qua non di una lotta rigorosa.

4.2.2. Prevenzione nell’infanzia.
Una strategia preventiva riferita alla fase dell’infanzia, dovrebbe basarsi sui seguenti punti.
1. Incrementare l’accesso agli asili nido specie nelle Regioni meridionali. Come dimostrato da numerosi studi del settore, un fattore che fa la differenza è l’arricchimento educativo precoce a partire già dall’asilo nido e dalla scuola dell’infanzia.
2. Valorizzare e rafforzare in funzione preventiva la scuola dell’infanzia all’interno del sistema integrato di istruzione, incrementando la scuola statale dell’infanzia e facilitando l’accesso delle scuole dell’infanzia paritarie al finanziamento europeo.
3. Implementare il sistema di allarme precoce sulle assenze frequenti, ai sensi della raccomandazione del Consiglio del 28 giugno 2011 sulle politiche di riduzione dell’abbandono scolastico (2011/C 191/01) e della Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2012 dell’Italia, formulando un parere del Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2015.
4. Incrementare l’individuazione precoce dei problemi e difficoltà di apprendimento a livello della scuola dell’infanzia e primaria.

4.2.3. Interventi nella scuola secondaria e IEFP.
Per quanto riguarda gli interventi relativi alla scuola secondaria ed alla formazione professionale, la strategia dovrebbe includere i seguenti interventi.
1. Prevedere un riordino dei cicli e la revisione della loro scansione in funzione della diffusione di un nuovo modello pedagogico-didattico mirato al contrasto alla dispersione (personalizzazione, tutoring, didattica attiva). La riallocazione delle risorse risparmiate abbreviando e ridisegnando il percorso (nella secondaria inferiore o superiore) permetterebbe di qualificare il sistema e giungere ad un organico funzionale. In questa direzione va vista l’eventualità di un riordino dei cicli o la sperimentazione di riforma del ciclo della secondaria di 4 anni, non solo per adeguarsi all’Europa ma soprattutto per ricavare risorse da destinare alla lotta all’insuccesso e alla dispersione scolastica. Ciò permetterebbe di creare figure di tutor e docenti dedicati.
2. Le bocciature sono l’anticamera della dispersione, specie nel I anno di scuola media e nei primi due anni della scuola superiore dove sono stimate in circa 185.000. Il 70 per cento dei bocciati lascia la scuola. Intervenire sulle bocciature prevedendo ad esempio una valutazione biennale (lasciando la bocciatura al I anno come evento eccezionale) nel quadro di un complessivo rinnovamento della didattica. Rendere più flessibile e orientativo il primo biennio superiore.
3. Migliorare l’orientamento alla scelta del percorso scolastico dopo il primo ciclo. È indispensabile un’azione nazionale dedicata, soprattutto attraverso l’utilizzo di figure di specialisti nel campo e tutor.
4. Realizzare il miglioramento delle competenze linguistiche degli alunni di cittadinanza non italiana anzi tutto all’interno dell’orario nonché con corsi intensivi estivi, ad esempio prima dell’inizio dell’anno scolastico. Nella scuola secondaria di secondo grado gli alunni di cittadinanza non italiana sono il 6,6 per cento degli iscritti e di questi circa 175 mila studenti stranieri che frequentano tale ciclo scolastico, quelli «a rischio di abbandono» sono pari al 2,42 per cento degli iscritti, contro l’1,16 per cento degli alunni italiani.
5. I corsi triennali di IeFP che portano ad una qualifica (attualmente le qualifiche sono 22) si sono rivelati un efficace investimento contro NEET (dati Isfol) Oggi, il Ministero del lavoro li finanzia con 189 milioni l’anno. Per 300.000 giovani, sono 630 euro l’anno a studente, una cifra largamente inadeguata, specie se si pensa che il costo di uno studente è circa di 7000 euro). L’allocazione delle risorse deve quindi privilegiare questo segmento di formazione per rinforzarlo, stabilizzarlo e riordinarlo, coinvolgendo la Conferenza Stato-Regioni, e omogeneizzando gli interventi tra Regioni che oggi spendono in modo diverso.
Allo stesso tempo, va valorizzata l’Istruzione Tecnica, e l’utilizzo di una didattica di tipo laboratoriale e tutte le forme di alternanza scuola-lavoro, attraverso un corretto rapporto scuole-imprese.
6. Realizzazione di un Piano di formazione straordinaria dei docenti in servizio su temi chiave come l’innovazione didattica, i problemi di motivazione degli studenti, la personalizzazione dell’insegnamento, la gestione delle classi eterogenee. La modalità didattica standard della scuola deve passare da trasmissione di conoscenze a attivazione di competenze. Per fare questo occorre una formazione specifica degli insegnanti in servizio, svolta anche a livello regionale in modalità di laboratori e gruppi auto generativi di competenze, in collaborazione con l’Università.
7. Creare ambienti di apprendimento adeguati, classi destrutturate, trasformate in laboratorio e digitalizzate. L’architettura scolastica va interamente ripensata nell’organizzazione degli arredi, anche tecnologici, per creare una scuola accogliente dove la dimensione corporea e sensoriale sia messa in primo piano.

4.2.4. La seconda chance.
Monitorare il programma di didattica integrativa previsto dal DM 87 del 7.2.14 in attuazione dell’art. 7 del DL 104 convertito con modifiche nella Legge 128/2013. Il decreto prevede misure di apertura delle scuole e progettualità nel campo della prevenzione della dispersione stanziando un totale di 15 milioni di cui 11,4 nel 2014: una cifra largamente insufficiente.
Altrettanto necessario è la valutazione dei fondi utilizzati per i PON (programmi operativi nazionali) nelle Regioni convergenza a seguito dei quali non appaiono rilevanti i risultati nel ridurre la dispersione, e i finanziamenti legati all’articolo9 del CCNL (Aree a rischio e a forte processo migratorio) passando dalla logica dell’estemporaneità a quella di lungo periodo.
Per le attività di recupero e di «seconda occasione» occorre valorizzare le risorse esterne alla scuola, le esperienze delle associazioni, cooperative e terzo settore e le professionalità di tipo pedagogico (educatori professionali) e psicosociali. Il partenariato con l’associazionismo non può limitarsi a un mero prolungamento del tempo-scuola ma deve promuovere un’integrazione di queste risorse nel sistema scolastico.

4.3. Due strumenti per la realizzazione delle azioni.
Molti insuccessi registrati in passato nonostante le diagnosi puntuali e tempestive vanno ricondotti alla carenza di strumenti di implementazione delle decisioni e degli orientamenti. Per le azioni di rilievo prioritario indicate alla luce degli indicatori e dei criteri di azione occorre una strategia efficace di implementazione che per il periodo 2014-2020 dovrebbe avere due capisaldi: il potenziamento della capacità di iniziativa delle singole scuole, da un lato, e la regia di una unità di crisi capace di creare le necessarie condizioni favorevoli dall’altro.
Per realizzare in modo efficace tali indirizzi strategici occorre dotarsi di due strumenti fondamentali:

4.3.1. Una sperimentazione che possa ampliare l’autonomia delle scuole.
Le esperienze positive e le ipotesi di lavoro nella lotta alla dispersione potrebbero essere verificate con una sperimentazione a livello nazionale (con adesione volontaria degli istituti). La sperimentazione deve permettere di ampliare l’autonomia degli istituti all’insegna della flessibilità.

4.3.2. Una «unità di crisi».
Dato il carattere di una emergenza nazionale è indispensabile un forte pilotaggio a livello nazionale, in grado di creare le indispensabili sinergie tra i soggetti in campo e di mantenere nell’arco dei cinque anni la rotta intrapresa. A questo scopo si raccomanda la costituzione di una Unità di crisi presso la Presidenza del Consiglio che coordini gli interventi in corso 2014-20 e coinvolga tutti gli attori (Miur, Ministeri interessati, Conferenza Stato Regioni, Invalsi, USR etc.) su obiettivi precisi e mirati e promuova la messa in rete delle scuole e degli USR nel conseguimento di tali obiettivi.

 

Aspettando la “Buona Scuola”

ASPETTANDO LA “BUONA SCUOLA”: L’ORGANICO FUNZIONALE. RIFLESSIONI E PROPOSTE

di Pasquale D’Avolio

L’eliminazione delle supplenze annuali e del precariato nella Scuola costituisce uno dei punti qualificanti del Documento sulla “Buona scuola” e a tale questione è dedicata tutta la prima parte del Documento ministeriale (i primi 3 punti).
La strada per arrivarci è indubbiamente quella dell’organico funzionale, vale a dire l’assegnazione alle scuole o reti di scuole di un organico che vada oltre la corrispondenza tra docenti e cattedre di insegnamento. Non si tratta solo di immettere nei ruoli tutti gli aspiranti delle GAE e una quota di vincitori di concorso (150.000 a settembre 2015), ma di garantire che non ci siano più, o siano ridotte al minimo, assunzioni temporanee da parte delle scuole all’inizio dell’anno o nei periodi di assenza del titolare, sulla base di graduatorie di Istituto, con una procedura defatigante per i Presidi e con l’alternarsi magari di più docenti nel corso dell’anno. E’ come l’uovo di Colombo, si direbbe, e la proposta di un “organico funzionale” rientra infatti tra le rivendicazioni delle OOSS da molti anni
Lodevole intento, ma tra il dire e il fare …….
Forse non tutti ricordano quanto prevedeva il ddl del febbraio 2012 (Governo Monti) che tante speranze aveva suscitato
Richiamo le tre grosse novità del Decreto: l’organico dell’autonomia (o funzionale), le reti territoriali con l’organico di rete, e, last but not least, la stabilità triennale degli organici: una vera rivoluzione!
Cosa ne è stato del ddl del 2012 e perché non è stato applicato? Un primo motivo sta nella premessa ai punti surriportati che aveva come presupposto che il tutto doveva rientrare “ nei limiti previsti dall’articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni e integrazioni”. In sostanza il primo scoglio sono le risorse occorrenti, risorse che il Documento sulla Buona scuola individua in questo modo: i 150.000 da assumere stabilmente in effetti sono già oggi in servizio e non ci sarebbe un aggravio nel bilancio del MIUR (almeno nei primi anni); inoltre bisognerebbe conteggiare le minori spese per le supplenze temporanee che corrispondono annualmente a 300/350 milioni di Euro l’anno (Documento pag. 35) .
Dando per risolto il problema finanziario (ma sarà così?), il vero problema si presenta successivamente nella gestione di questo organico potenziato e qui le osservazioni di Mario Pirani (“Repubblica” 15 settembre 2014) sono certamente pertinenti. Provo ad elencarle così come lui le presenta, cercando di prevedere le possibili soluzioni.
a) Parto dalla sua obiezione di fondo: un impegno alla cieca delle risorse (docenti) “per un generico e difficilmente attuabile, ampliamento dell’offerta formativa ripropone il tema di una scuola fatta più per gli insegnanti che per gli studenti”
Certamente l’enfasi posta sulla assunzione di 150.000 docenti, che diventa l’obiettivo di fondo del Documento, rischia di mettere in secondo piano quello che il Documento stesso sottolinea, forse non in maniera adeguata, e cioè che con l’organico funzionale si intende raggiungere un risultato importante dal lato della “buona scuola”, vale a dire la continuità didattica.
Le supplenze da eliminare, su questo siamo tutti d’accordo, sono quelle che durano anni, che portano l’insegnante a migrare tra una scuola e l’altra senza riuscire davvero a lasciare un vero imprinting, come si richiede a un docente vero! Il Documento giustamente insiste sul valore della “continuità didattica”, che viene a mancare quando più di 1/4 dei docenti soggiornano nel limbo delle graduatorie, provvisorie o permanenti. E così ci sono scuole dove, come è successo a chi scrive, ogni anno vedono rinnovato l’intero Collegio Docenti. Nel libro “La fabbrica degli ignoranti” del 2008, Giovanni Floris (quello già di Ballarò) citò la Scuola Media di Paularo (UD), di cui sono stato Dirigente per qualche anno, come detentrice del record mondiale del turn-over dei docenti: il 100%, a parte la docente di religione.
Superamento del precariato e della discontinuità didattica sono obiettivi essenziali e collegati tra di loro; se avessi steso il documento, avrei insistito più sul secondo aspetto rispetto al primo, fugando ogni accusa di battage elettorale. Ma tant’è! L’importante è sottolineare come il precariato nuoccia, oltre che ai docenti, soprattutto ai discenti. Su questo forse anche Pirani converrebbe!
b) Altra obiezione di Pirani altrettanto condivisibile: nel documento governativo, egli dice, “si parla molto del sullodato ampliamento, ma senza tenere il minimo conto dell’assenza delle strutture indispensabili anche per il funzionamento normale”.
Non occorre citare esempi di mal funzionamento della macchina amministrativa centrale e periferica del MIUR: le nomine in ritardo sull’inizio dell’anno scolastico, i contenziosi infiniti con ricorsi al TAR che si concludono di solito con la condanna del Ministero, i concorsi infiniti ecc. Verrebbe da dire, parafrasando D’Alema: a noi basta una “scuola normale”; ma se non si riforma l’apparato, se non si semplificano davvero le procedure, se non si riforma dal profondo la macchina amministrativa (almeno 3 riforme del MIUR negli ultimi dieci anni con esiti deludenti) non se ne esce.
c) Da qui discendono una serie di interrogativi sempre di Pirani:
“Nelle 5 o 6 ore aggiuntive al mattino, cosa dovranno fare gli insegnanti aggiuntivi? Quali materie approfondire? Si dovranno aprire le scuole il pomeriggio? Ma i nostri innovatori sono a conoscenza che nelle scuole secondarie superiori non ci sono mense? E che gli orari delle scuole sono concordate con i servizi di trasporto?” Quanto alla possibilità dei docenti neo assunti di insegnare materie “affini” a quelle in cui sono abilitati, Pirani lo considera una delle debolezze della scuola italiana per non parlare del fatto messo in luce da qualcuno recentemente: una buona parte degli iscritti nelle GAE (si parla del 20-30%) non insegna da anni e chissà se è interessata o comunque “qualificata” a insegnare. Occorrerebbe un filtro, ma la cosa è molto improbabile.
Domande legittime e sensate, alle quali se ne potrebbero aggiungere altre: come e dove verranno assegnati i nuovi docenti dal punto di vista geografico e come imporre la mobilità?
Le risposte a tali domande non le si può trovare certamente nella legge, ma è necessario cominciare a dipanare alcune questioni.
1) La assegnazione dei contingenti “aggiuntivi” alle singole Regioni ha bisogno di criteri che potranno essere indicati dalla Conferenza Stato-Regioni e sappiamo quanto l’operazione è complicata. La maggioranza di personale precario è concentrata al Nord, mentre gli organici sono pressoché “saturi” nelle Regioni meridionali. Stesso discorso per il “tempo pieno” che sarebbe necessario espandere al Sud, ma qui ci sono ostacoli di natura logistica,visti i modesti investimenti dei Comuni nel Sud nelle mense e nei trasporti. Per non parlare delle scuole di montagna, notoriamente sprovviste di personale a t. i. (vedi sopra). Si riuscirà a coprire quelle sedi disagiate dove non c’è grande richiesta da parte dei docenti? E come? Inoltre, si terrà conto dei tassi di dispersione, visto che un possibile utilizzo del personale assunto dovrà occuparsi proprio di combattere la dispersione? Aggiungerei, ma qui il problema è molto complicato, che anche i tassi di assenteismo nelle varie realtà scolastiche sono diversi e quindi il problema della copertura delle assenze temporanee non si presenta allo stesso modo. Sono alcune delle questioni che ci si troverà ad affrontare in tempi molto ristretti: tra gennaio e aprile, quando vengono assegnati gli organici si riuscirà a dipanare tutte queste difficoltà? Conoscendo i lavori della suddetta Conferenza e la inevitabile querelle tra le Regioni, ho molti dubbi e probabilmente occorrerà procrastinare tutte le operazioni conseguenti con rischi per l’inizio effettivo del prossimo anno scolastico.
2) L’assegnazione degli organici alle singole scuole o alle reti all’interno delle Regioni è un compito che spetta agli USR e anche qui sappiamo che i tempi sono estremamente problematici con defatiganti riunioni con le OOS, le Province (che ancora esistono) i Comuni e le Scuole. La prima domanda è: la scuola avrà l’organico funzionale e poi deciderà cosa fare oppure il procedimento dovrà essere al contrario? Prima si verificano i bisogni delle scuole e poi la richiesta di insegnanti? E come arrivare eventualmente alla definizione dei “bisogni”? Occorreranno dei criteri per evitare l’”assalto alla diligenza” come l’esperienza pregressa ci insegna. Non è un problema da poco e bisognerà che sia chiarito prima della assegnazione degli organici alle Scuole .
3) l’utilizzo razionale e efficace delle risorse aggiuntive assegnate dall’USR alle singole scuola è un compito che spetterà a queste ultime, singole o in rete. Qui si richiede una governance forte all’interno delle singole scuole, ma io ritengo soprattutto a livello locale, come dirò dopo. Occorre una dirigenza scolastica di alto livello per le scuole autonome che sappia indicare delle soluzioni razionali e corrispondenti ai bisogni della comunità scolastica, e non solo, e che sappia coinvolgere nelle scelte tutti i soggetti interessati, superando particolarismi e resistenze anche di ordine sindacali, che non mancheranno.
Esistono poi questioni che attengono alla specificità delle scuole, che come sappiamo non sono tutte uguali. Una prima distinzione la si dovrà fare a) tra Scuole primarie e secondarie, una seconda ritengo essere importante ed è quella b) tra piccole e grandi scuole. Mi riferisco in questo caso al “dimensionamento” e alla differenza tra scuole di “città” con grandi numeri, sia di alunni che di docenti, e scuole montane o di periferia con un organico limitato (in montagna le Scuole possono avere fino a 400 alunni e sappiamo che ce ne sono ancora di più piccole!)

a) nelle scuole primarie l’utilizzo del personale per i diversi compiti, in particolare per le supplenze, presenta meno problemi. L’organico funzionale in effetti non è una novità per le scuole primarie e fino a pochi anni fa con una dotazione organica aggiuntiva adeguata si riusciva a coprire in parte alle esigenze “funzionali” delle scuole. Il taglio attuato dal 2008 ha reso aleatoria tale possibilità. Con l’organico funzionale “potenziato” tutti i docenti dovrebbero essere in grado di sostituire temporaneamente i colleghi assenti, salvo per gli insegnamenti specifici (musica, arte, educazione fisica) o dedicarsi ad attività di recupero-sostegno agli alunni o alle compresenze o al tempo pieno. Quanto agli insegnamenti specialistici il problema è più di ordine didattico, problema a cui nel Documento si presta scarsa attenzione. Dopo aver giustamente combattuto il “maestro unico” non si arriverà a una pletora di insegnanti sulla stessa classe? Oltre alle compresenze, da ripristinare indubbiamente, la previsione di insegnanti specialisti per “occupare” tutti i precari porterebbe ad avere 7/8 docenti nel Consiglio di classe (i 3 del “modulo”, il docente di religione cattolica, di arte, di musica, di educazione fisica più l’eventuale insegnate di sostegno). Occorrerà pensare ad altre soluzioni.
Per le scuole secondarie l’utilizzo dei docenti per le supplenze non può avvenire a caso, ma dovrà tener conto delle varie professionalità e competenze disciplinari o di altro tipo. Occorrerà che gli organici funzionali tengano conto delle varie tipologie di cattedre per evitare che le supplenze temporanee (che possono durare settimane o mesi) rimangano quelle supplenze “tappabuchi” di cui ci si è giustamente lamentati. In sostanza
b) Diverso è il discorso tra “piccole” e gradi scuole per quanto si diceva prima. Pensiamo ai plessi sottodimensionati o alle scuole secondarie con con pochi corsi. L’operazione diventa difficile, Ma allora l’organico funzionale richiede una revisione dei criteri del dimensionamento superando definitivamente le piccole scuole con meno di 1000 alunni o almeno 10 corsi! E’ una operazione non facile e non veloce. A meno che non si intenda procedere verso l’obbligatorietà delle reti.
Sulle reti il discorso sarebbe lungo, e chi scrive lo ha già tratto in precedenti interventi. Le reti sono un “valore aggiunto” che potrebbero trovare una strada facilitata proprio dall’organico di rete. Ma come si costruisce un “organico di rete”? Forse pochi ricordano i Distretti scolastici istituti con il DPR 416/74, art. 12, e ormai scomparsi. Molti dei compiti loro attribuiti si riferivano proprio a quelli che vengono indicati nel Documento “La buona scuola”. Cito solo uno che ci riguarda nello specifico: “Il CSD formula proposte …. al Ministero della Pubblica Istruzione e al Provveditore agli studi per la migliore utilizzazione del personale della scuola” In sostanza occorrerà pensare a organismi nuovi, che il sottoscritto individua da tempo nei Centri servizi scolastici provinciali o meglio sub-provinciali per garantire una adeguata assegnazione di docenti alle reti di scuole.

Conclusioni
In conclusione le difficoltà sulla strada della “buona scuola” sono tante. Aggiungerei quelle citate dal collega Stefanel (…….) L’idea dell’organico funzionale d’istituto deve però essere integrata con una rivisitazione del tempo scuola (io sono un fautore del monte ore annuale), delle possibilità opzionali da fornire agli studenti (quindi meno tempo obbligatorio e più scelte), delle competenze reali dei nuovi assunti (che sono legati a classi di concorso fuori da ogni realtà). Questioni che vanno affrontate non semplicemente attraverso consultazioni on-line, ma con il coinvolgimento delle OOSS e delle associazioni professionali, che possono dare un contributo importante.
Last but not least la questione tempi non è secondaria. Personalmente la vedo molto dura realizzare tutte le operazioni in tempo utile perché il tutto si concluda entro settembre 2015; dura ma non impossibile se il Ministero si dota di una vera e propria task-force in grado di dipanare tutti i problemi di cui ho parlato sopra. E’ un augurio che mi sento di rivolgere ai 150.000 precari e soprattutto ai milioni di studenti, ai quali ogni riforma dovrebbe rivolgersi.

Cosa ti rende felice?

COSA TI RENDE FELICE?

di Giancarlo Onger

 

È la prima domanda di un questionario rivolto a persone con disabilità nel contesto di un progetto europeo, a cui sono molto contento di partecipare perché una volta tanto si fanno domande anche alle persone che non dovrebbero avere motivi per essere felici.

Anche il titolo è azzeccato: WISPEL Wisdom of Special PeopleSapienza/Saggezza di persone speciali. Un progetto che esce dallo stereotipo: persona con disabilità uguale a persona con infelicità. Fa pure rima. Il che non guasta.

Questa è l’ultima, per ora, delle mie peregrinazioni nei Paesi europei alla scoperta di cosa si combina oltre le Alpi. Ho cominciato, nel lontano 1991, a familiarizzare con la definizione special needs che da noi, nella versione BES (Bisogni Educativi Speciali), è prepotentemente entrata nel lessico scolastico negli ultimi tre anni. Per cui è normale che , dopo l’affermazione del sostantivo DSA, si sia affermato anche il sostantivo BES.

I due, peraltro, sono in buona compagnia perché si ritrovano con altri: ADHD, FIL, ecc. Per strada abbiamo perso le parole bambino/a, ragazzo/a, alunno/a, studente/ssa. Infatti, nelle classi non ci sono Giovanni, Maria, Enrico, Giovanna, ma: un BES, un DSA, un…

Non importa se le disposizioni ministeriali hanno chiarito che le persone che rientrano nei BES sono: gli alunni con disabilità, gli alunni con disturbi specifici di apprendimento, gli alunni con disagio socio-culturale.

Evidentemente è più spiccia la reductio della persona ad una sigla.

Sono talmente condizionato da questa deriva che in una recente tappa del progetto di cui sopra, in Portogallo, mentre si andava a pranzo in una località marina, il teleobiettivo della mia macchina fotografica ha intercettato un’ insegna con scritta bianca su sfondo verde: BES! Neanche il tempo di darmi una risposta ai molti interrogativi che l’acronimo si è svelato: Banco Espirito Santo.

Per un attimo avevo temuto che in Portogallo ci fosse un allarme BES molto più alto che da noi, tanto da indurre il Ministerio da Educação ad aprire centri con insegne ambulatoriali. E invece si trattava di una banca.

Rientrato l’allarme ho cominciato a riflettere, proiettandomi inevitabilmente nel nostro contesto. Vuoi vedere, mi sono detto, che per far tornare in primo piano la persona, senza etichette e aggettivi vari, nella nostra scuola abbiamo bisogno di un miracolo dello Espirito Santo?

Ma poi, riflettendo con calma davanti alle onde del mare arrabbiato, mi sono convinto che in campo abbiamo già molte risorse. Bisogna averne contezza e operare in tal senso.

Per prima cosa non possiamo continuare ad avere parametri quantitativi per valutare se una persona ha una disabilità, un disturbo o una difficoltà. Se il punto di riferimento rimane il QI, con la mitica soglia F70, mi/vi chiedo a cosa è servita la teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner, che ha dimostrato priva di fondamento l’idea di intelligenza come fattore unitario e misurabile; a cosa serve l’ICF se continuiamo a pensare che la condizione di una persona è una questione sua e non dei contesti in cui vive; dov’è finito il bambino montessoriano protagonista della propria crescita con il prezioso supporto dei centri di interesse.

Contemporaneamente suggerirei all’INVALSI di preparare un questionario sulla felicità da somministrare a tutti i nostri alunni/studenti. Come incipit partirei proprio dalla domanda: cos’è che ti rende felice? E subito dopo lo estenderei agli adulti che lavorano con e per loro. Forse scopriremmo che non abbiamo bisogno di un miracolo, ma di una scuola felice.

L. Wadia, Amiche per la pelle

Per stare insieme…

di Antonio Stanca

wadiaE’ comparso nel 2007 pubblicato dalla casa editrice E/O di Roma che nel 2009 lo propose nella prima edizione Tascabili e nel 2011 in questa ristampa ancora Tascabili, pp,137, € 9,50. E’ il romanzo Amiche per la pelle compreso tra quelli scritti in italiano dall’indiana Laila Wadia che ha sempre scritto in inglese.

Wadia è nata a Bombay nel 1966, ha quarantotto anni, vive in Italia, a Trieste, dal 1986, da quando aveva venti anni, e presso l’Università di Trieste lavora come Collaboratore Esperto Linguistico. E’ giornalista, traduttrice, interprete ma l’attività che maggiormente la impegna è quella della scrittura narrativa. Romanzi e racconti ha scritto finora e molti riconoscimenti ha ottenuto, in molte antologie o riviste, anche on-line, sono presenti suoi racconti. Temi ricorrenti nella narrativa della Wadia sono quelli della migrazione, della condizione degli immigrati in Italia ed in particolare delle donne immigrate. Di immigrati scrive, dei disagi, dei problemi loro, delle loro famiglie, dei loro figli, per gli immigrati del Nord Est d’Italia e per la loro integrazione s’impegna in maniera concreta, prende iniziative, fa dei programmi. Nella sua scrittura, però, non giunge mai a dire di situazioni estreme, di problemi insolubili poiché rimane in superficie, si muove con leggerezza tra quanto rappresentato, tende a cogliere gli aspetti curiosi, comici di una circostanza, a fare ironia. Tanto sicura è diventata la Wadia nello scrivere da riuscire ad ottenere effetti così apprezzabili, da venare le sue narrazioni di umorismo, di comicità, da procedere con semplicità, con naturalezza pur tra vicende complicate.

Anche in Amiche per la pelle si assiste a questa maniera, anche qui si narra con ironia, ora manifesta ora celata, di donne immigrate, un’indiana, un’albanese, una bosniaca ed una cinese, che vivono, tra gli ultimi anni del ‘900 e i primi del 2000, a Trieste nello stesso condominio situato nel centro storico della città in via Ungaretti al numero 25, e come la strada pur esso ormai in condizioni di degrado. L’indiana, Shanti Kumar, è la voce narrante e dietro di essa si può intravedere la figura dell’autrice. Ognuna delle quattro donne ha il suo appartamento dove vive col marito, qualcuna anche con i figli. Provengono da luoghi diversi, lontani, sono fuggite da situazioni difficili, pericolose e trovatesi a Trieste sono diventate amiche perché hanno avuto gli stessi problemi, quelli di un lavoro per il marito e per loro, delle spese per la casa e per la famiglia, delle ristrettezze economiche che a volte diventavano preoccupanti. Ma è successo pure che a differenza degli uomini esse si siano incontrate più spesso, abbiano avuto rapporti, scambi più frequenti, si siano confidate più cose, abbiano parlato di più tra loro e con le persone del vicinato e dei negozi frequentati. Questo ha rafforzato la loro amicizia e le sta inserendo nell’ambiente, le sta integrando con esso, sta facendo loro desiderare di apprendere la lingua italiana, di rivolgersi ad un’insegnante, Laura, per avere lezioni di lingua. Diverranno “amiche per la pelle”, saranno loro, i loro pensieri, le loro azioni, gli elementi più importanti del romanzo, intorno a loro questo si muoverà in ogni sua parte.

Oltre che di lingua italiana Laura parlerà alle quattro amiche anche di emancipazione femminile, di diritti delle donne, di quanto nelle società occidentali le donne siano progredite e di come dovrebbero fare anche loro. Sono discorsi che non vengono accettati molto dai mariti perché legati ancora all’antica concezione della donna che attende alla casa, ai figli ed è sottomessa all’uomo.

L’unico inquilino italiano del palazzo è il signor Rosso che vive solo, si dedica a studi di letteratura e non sopporta gli stranieri.

Così, tra mariti impegnati in duri lavori e mogli divise tra ore di lavoro, di lezione ed altre dedicate alla casa, ai figli, vivono a Trieste in via Ungaretti, numero 25, quattro famiglie d’immigrati fin quando dai proprietari del condominio non vengono avvisate che devono lasciare le case perché lo stabile deve essere ristrutturato. Si crea uno stato di allarme che dura un certo tempo durante il quale si pensa alle soluzioni più diverse del problema. Chi vorrebbe trovare altro alloggio nella stessa città, chi rientrare in patria, chi avviare un’azione legale contro i proprietari. Molto contrastata e molto difficile diventa la situazione ma infine e con sorpresa generale si risolve nel migliore dei modi poiché tramite l’intercessione dell’immigrata cinese il suo datore di lavoro acquista l’immobile e fa rimanere ognuno nella sua casa e con la stessa spesa di affitto a condizione che nelle cantine siano temporaneamente ospitati alcuni cinesi clandestini. Altra ed ultima sorpresa è quella del signor Rosso che muore lasciando ad ognuna delle quattro famiglie una cospicua eredità in denaro.

Da un pericolo che diventava sempre più incombente si sono salvati tutti. Tutti potranno rimanere ai loro posti, vivere nella loro strada. Le quattro amiche non si separeranno ma continueranno nei loro impegni e nelle loro intenzioni d’integrarsi con l’ambiente, di far crescere i propri figli insieme ai ragazzi del posto, di vederli con gli altri, come gli altri.

D’integrazione parla, per l’integrazione si adopera, d’integrazione scrive la Wadia senza lasciare mai, nella sua scrittura, che un problema diventi insolubile, senza mai rinunciare a far sorridere pur in circostanze difficili.

La ‘buona scuola’ e le radici antiche dell’Ulivo

La ‘buona scuola’ e le radici antiche dell’Ulivo

di Giovanni Fioravanti

 

La scuola è la base di ogni ricchezza era il titolo della tesi n.66 del programma con cui si presentava sulla scena politica del Paese l’Ulivo, nell’ormai lontano 1995. Un programma che rivendicava le radici antiche che ogni futuro deve avere per essere degno di questo nome.

Da allora ad oggi quelle radici si sono perse per strada.

Là si sosteneva che il differenziale fra noi e gli altri Paesi è cresciuto anche perché non abbiamo saputo pensare al nostro sistema scolastico in termini moderni, un sistema scolastico che accusa una crisi profonda nei suoi moduli organizzativi e nelle sue strutture organizzative.

Per questo, si affermava, la scuola è una grande questione nazionale che deve essere affrontata con grandissima lungimiranza e fortissimo impegno, perché un Paese, una Nazione, una comunità vivono del futuro che sanno prepararsi.

Avremmo preferito che il filo della narrazione della ‘buona scuola’ riprendesse di qui, da quel discorso interrotto da un paio di decenni di autentica restaurazione scolastica.

Non certo per spirito di parte, ma semplicemente perché ci sembrava, da uomini di scuola, che il racconto di allora avesse colto la questione centrale del nostro sistema formativo: la sua struttura e la sua organizzazione ormai segnate dal tempo e dalla inadeguatezza ad affrontare le nuove sfide.

Invece ‘la buona scuola’ promette una trama di curiosità per il mondo, di creatività, di pensiero critico, di industrioso fare con le proprie mani, ma poi lascia inalterati gli scenari in cui sviluppare questa vicenda, che restano gli stessi di sempre, come ai tempi dell’Ulivo, come prima e dopo la restaurazione.

Nei dodici capitoli del racconto ci sono cenerentole che sposano il principe, i precari che entrano di ruolo, gli oggetti magici, degno ingrediente di ogni favola, come le nuove alfabetizzazioni, c’è pure la scuola di vetro e la morale finale, la scuola per tutti e tutti per la scuola, come i tre moschettieri.

E i bambini? I bambini che si perdono nel bosco? A loro non restano che le briciole? Le briciole da seminare lungo il percorso per assicurarsi un improbabile ritorno a casa.

Pare una favola per grandi, di quelli protagonisti dei racconti di Roald Dahl, che non s’accorgono e non si curano della grandezza dei piccoli, costretti a lottare contro le pratiche e le liturgie degli adulti.

Com’è distante questa ‘buona scuola’ da quella “fiducia nei giovani come frutto di una fiducia collettiva nella formazione, che è diritto di cittadinanza e garanzia di equità e democrazia”. Così scriveva nel suo racconto, una volta, l’Ulivo.

Eppure il modello di scuola che offriamo ai nostri giovani resta il nodo centrale, il cuore del cambiamento.

Invece nella buona scuola gioca su tutto un peso sproporzionato la questione docente, per di più senza che sia riequilibrata da un’idea veramente nuova di scuola, del suo modo d’essere, della sua organizzazione, delle sue strutture, dei modi di studiare e di apprendere.

Allora questi insegnanti per quale idea di scuola sono chiamati a lavorare? La scuola di vetro?

Ma la scuola di vetro promessa resta identica a se stessa. Le stesse vecchie aule progettate per insegnanti che stanno davanti ad una classe di studenti in file ordinate, in ascolto, a prendere appunti o a svolgere i compiti loro assegnati. Sì, si possono vedere cablaggi per computer e lavagne interattive alla testa dell’aula, ma a parte questo, poco è cambiato.

Si continua a celebrare l’istruzione impartita in un edificio specifico, dove i fanciulli sono separati dagli adulti, che non siano i loro insegnanti. Si continua a perpetuare la società dei fanciulli separata, con i propri rituali e le proprie usanze.

Nelle classi agli studenti è insegnato secondo metodi standardizzati in accordo con gli obiettivi del curricolo. Il libro di testo resta la maggior fonte di istruzione, specificatamente scritto per l’uso scolastico che riflette le richieste del curricolo standard.

Separati i fanciulli dalla comunità e sistemati in un ambiente controllato che consente di plasmare intere generazioni per ciò che la società ritiene necessario per sé e per loro.

Queste comunità separate di fanciulli sono le incubatrici di un futuro che non è quello sognato da ogni singola ragazza e ogni singolo ragazzo, ma di un futuro che altri hanno pensato per loro.

È il modello di scolarizzazione occidentale, così universalmente accettato che è difficile immaginare modelli alternativi.

Ma ormai in giro per il mondo altri argomenti stanno prendendo il centro della scena.

Non è più il dibattito sugli standard e sulle strutture, ma piuttosto una discussione su come i giovani imparano meglio nel 21° secolo, su come possiamo rendere le scuole i catalizzatori del loro impegno per il sapere e la cultura, anziché i non luoghi dell’abbandono, della dispersione, del giudizio, della riuscita o del fallimento. Su come i giovani possono scegliere di imparare, su quanto la motivazione e l’amore per l’apprendimento significano nel contesto della scuola, su come dare più enfasi al coinvolgimento degli studenti nella scelta e nelle modalità dei loro percorsi formativi. Ripensare radicalmente la struttura tradizionale delle classi, dei voti, degli orari, delle interrogazioni e degli esami.

Ma il racconto della buona scuola manca di tutto questo, perché non ci sono gli studenti che avrebbero dovuto essere i veri protagonisti di questa storia e, se i protagonisti non ci sono, non potremo mai sapere se il bene finirà per trionfare.

Altre cose mancano, che prometteva l’Ulivo e per noi essenziali per aviare un percorso di radicale cambiamento, il portare a termine il passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni, in particolare in materia di organici e di personale, con una scelta di forte decentramento e il discorso sul significato oggi dell’educazione permanente, della life wide learning, indispensabile in quanto investe il ripensamento del modo d’essere dell’intero nostro sistema formativo.

Sono due ingredienti fondamentali. Volutamente mancanti? Una distrazione? Poca dimestichezza con le questioni della scuola? Certamente sono spie del corto respiro della proposta del governo, di una vecchia idea centralistica dell’amministrazione della scuola che resiste e non promette nulla di buono, che nasconde una certa pavidità di fronte al cambiamento vero.

A noi piacciono le favole che fanno sognare, che ci fanno pensare a un mondo da desiderare, che ci sollecitano ad immedesimarci con l’eroe, che ci fanno amare l’avventura, forse perché ad essere uomini di scuola abbiamo imparato l’incanto dai bambini.

Non ci piacciono le storie riciclate. La buona scuola come minimo è in ritardo sui tempi, perché dietro le parole racconta una storia già vecchia, neppure più intrigante come poteva essere vent’anni fa quella narrata dall’Ulivo con le sue radici antiche.

 

Anche la Confindustria è stata ammaliata dalla sirena scuola

Anche la Confindustria è stata ammaliata dalla sirena scuola  
di Enrico Maranzana
Nella premessa al documento di CONFINDUSTRIA sulla scuola [7 ott 14] è scritto: “Un sistema dominato dal caso che ti entusiasma una volta con un educatore straordinario, ti punisce un’altra con un insegnante del tutto inadeguato”.
Asserzione rinforzata da: “Occorre ridare forma a questa strana chimera istituzionale”.
Stupefacente il fatto che la confederazione degli industriali, dopo aver enunciato il problema, formuli proposte indipendenti dai fondamenti delle scienze dell’amministrazione e dalla prassi progettuale.
Si è dimenticata che la progettazione si fonda sulla specificazione del risultato atteso e raffini per formulare strategie?
Perché la noncuranza per i momenti qualificanti la razionale gestione del servizio scolastico:
1) elencazione delle competenze generali che facilitano l’ingresso dei giovani nel sociale [formazione];
2) identificazione delle capacità ad esse sottese [educazione];
3) ideazione delle modalità di convergenza degli insegnamenti verso i traguardi comuni [istruzione] prescritti dall’art 2 della legge 53/2003?
Come mai non ha rilevato che nel documento governativo “La buona scuola” la volontà del legislatore è elusa, nonostante il suo rigore scientifico? [Tematica sviluppata in rete contrapponendo  “buona” a “efficace”].
Come ha potuto non accorgersi della banalizzazione del “principio di distinzione” tra potere di indirizzo e potere di gestione, enunciato a pag. 71, appiattito sull’insegnamento?
Perché non ha sottolineato che si persevera nell’errore del 1974?
I decreti delegati sono stati sterilizzati per il sistematico e generalizzato rifiuto di ristrutturare il servizio scolastico in conformità agli avanzamenti delle scienze dell’organizzazione.
Preoccupante ma significativa appare anche la mancata rilevazione di un’insidia  latente, seme di un insanabile conflitto tra organismi scolatici: il collegio dei docenti sarà titolare “esclusivo della programmazione didattica”, tipico e protetto ambito della professionalità del singolo docente.

Scuola: S.O.S. Andrologo

Scuola: S.O.S. Andrologo

di Adriana Rumbolo

Quante volte riferendoci alla vita di un soggetto , siamo più inclini a cominciare dall’età adulta.

Si, poi, via via che si prosegue,  si può accennare: sembra che abbia avuto un’infanzia difficile, sembrerebbe ci sia stato un lutto in famiglia,è cresciuto/a senza padre o senza madre,forse una famiglia poco presente, gravi problemi economici… però il periodo che va dalla nascita al momento in cui definiamo un soggetto , adulto, tendiamo ad ignorarlo soprattutto per quello che attiene alla sfera emotiva-sessuale-affettiva.

In un passato anche recente varie erano le interpretazioni e le censure di quegli anni:religiose, trasgressive, sociologiche, moraliste psicologiche intuizioni a volte geniali ,a volte insignificanti, mode passeggere.

Poi la tecnologia più avanzata ha permesso di scansionare il cervello e lo studio , la conoscenza e il funzionamento delle sue cellule,i neuroni, prenderà il nome di neuroscienze.

Finalmente è possibile vedere , dimostrare scientificamente come funziona il cervello durante i nostri comportamenti,le nostre reazioni, patologie cerebrali, prendere coscienza di quanto sentiamo e dargli un nome.

Soprattutto non dobbiamo più tacere del percorso affettivo-emotivo-sessuale e della sua importanza fin dalla nascita   che è alla base della vita.

Noi possiamo inventare macchine tecnologiche fantastiche, costruire un ponte dalle arcate infinite ,fare un sottomarino , ma il nucleo profondo che   che è coinvolto e che coinvolge è sempre lì nelle emozioni , nell’affettività , nella sessualità che se non usufruiscono di sano equilibrio e benessere   influiranno negativamente nel comportamento e in molte opere dell’essere umano.

Di tanto in tanto qualche episodio di cronaca nera ce lo ricorda.

Non ho mai pensato che potessimo risolvere tutto e ogni volta che ci addentriamo in un percorso di conoscenza ci imbattiamo in misteri indecifrabili ,ma rimane sempre una parola per un cauto ottimismo:prevenzione.

Quando un soggetto prevalentemente maschile usa la violenza sessuale spesso nasconde la natura vera dell’atto dicendo :ci ha provocato ,dovevamo dargli una punizione per fargli comprendere che la sua condotta come omosessualità , transessualità era moralmente sbagliata o come nell’ultimocaso di cronaca la punizione voleva correggere la dieta alimentare del violentato.

Diciamolo con chiarezza :chi violenta sessualmente denuncia un suo ditsurbo emotivo –affettivo-sessuale .

Il fatto che sia sposato e abbia figli non lo mette al di sopra di ogni disordine emotivo-sessuale-affettivo.

Gli studenti che ho incontrato a scuola dopo che ne avevo conquistato la fiducia mi riferivano che erano pieni di dubbi di ansie e quello che sapevano sulla sessualità lo apprendevano dalla confidenza di un amico o da giornaletti porno o da films porno.

E io pensavo sempre: perché,no! un andrologo nelle scuole?

A novembre si rinnovano i consigli di istituto

A novembre si rinnovano i consigli di istituto

di Cinzia Olivieri

 

Premessa – Indizione

Il procedimento elettorale è disciplinato in particolare dalle norme contenute nel D.lgs 297/94 e nell’OM 215/91 come modificata ed integrata dall’OM 267/95, dall’O.M. 293/96 dall’OM 277/98.

Ogni anno il Ministero emette annualmente la circolare con la quale detta disposizioni delegando agli UU.SS.RR. di fissare la data per il rinnovo dei consigli di istituto del territorio di propria competenza.

 

Il rinnovo del consiglio è triennale. Dunque si effettueranno solo le elezioni di quelli giunti a scadenza o le suppletive in caso di impossibilità di surroga per esaurimento delle liste.

Per gli studenti l’elezione è annuale ed avviene ad ottobre con la procedura semplificata prevista per le elezioni dei rappresentanti di classe salvo che nel caso del rinnovo triennale.

I genitori di alunni, anche se maggiorenni, iscritti presso l’istituto dovranno eleggere otto rappresentanti nel consiglio di istituto delle scuole di grado inferiore e quattro rappresentanti in quello delle scuole secondarie di secondo grado con popolazione scolastica superiore a 500 alunni.

Gli studenti iscritti nella scuola secondaria di secondo grado eleggono quattro rappresentanti; otto ne scelgono i docenti in servizio, anche non di ruolo incaricati annuali e con supplenza annuale; due il personale ATA in servizio sia di ruolo sia non di ruolo supplente annuale, sempre nelle scuole con popolazione scolastica superiore a 500 alunni.

 

Preliminari – Incompatibilità – Scadenze

All’iscrizione i Dirigenti Scolastici promuovono la compilazione di una scheda per la formazione degli elenchi degli elettori che deve contenere: le generalità complete (cognome, nome, luogo e data di nascita) dell’alunno e dei genitori o di chi ne fa legalmente le veci

L’elettorato attivo e passivo (cioè il diritto di votare e di essere eletti) spetta ad entrambi i genitori ed alle persone fisiche che ne hanno la tutela. Sono escluse le persone giuridiche, in quanto il voto è personale.

 

Gli elettori che fanno parte di più componenti (es. docente-genitore) esercitano l’elettorato attivo e passivo per entrambe, ma se sono eletti per più componenti, devono optare per una delle rappresentanze e sono sostituiti con la procedura di surroga prevista dall’art. 35 del D.L.vo 297/94. Tuttavia il candidato eletto in più consigli di istituto può continuare a far parte di entrambi i consigli. Non può invece esercitare l’elettorato attivo e passivo “il docente con incarico di presidenza”.

 

L’iter elettorale segue delle precise scadenze. In particolare di quelle di immediato interesse per l’elettorato il Dirigente deve curare sia data informazione:

Entro 45 giorni prima delle votazioni è nominata la Commissione Elettorale

Entro 35 giorni prima i Dirigenti comunicano alla commissione elettorale i nominativi degli elettori

Entro 25 giorni prima debbono essere depositati gli elenchi

Entro 5 giorni dall’affissione all’albo dell’avviso di avvenuto deposito degli elenchi è ammesso ricorso alla commissione che decide entro i successivi 5 giorni

Dalle ore 9 del 20° giorno e non oltre le ore 12 del 15° giorno antecedente le votazioni debbono essere presentate le liste dei candidati

Subito dopo le ore 12,00 dello stesso giorno di scadenza la commissione elettorale cura l’affissione all’albo delle liste dei candidati

Dal 18° al 2° giorno antecedente le votazioni possono tenersi le riunioni per la presentazione dei candidati e dei programmi, sono messi a disposizione spazi per l’affissione dei programmi e ne è consentita la distribuzione nei locali della scuola.

Entro il 10° giorno antecedente alle votazioni sono presentate dagli interessati al Dirigente le richieste per le riunioni

Entro 35 giorni prima il Dirigente comunica le sedi dei seggi elettorali alla commissione elettorale

Entro 5 giorni prima i seggi sono nominati e insediati

 

La commissione elettorale

La commissione elettorale è nominata dal Dirigente ed è composta di cinque membri : 2 docenti, 1 A.T.A., 2 genitori, designati dal consiglio di istituto o dallo stesso dirigente ove questo non vi provveda

È presieduta da uno dei suoi membri, eletto a maggioranza dai suoi componenti e che designa un

Segretario. Delibera a maggioranza con la presenza di almeno la metà più uno dei propri componenti ed in caso di parità prevale il voto del presidente

Dura in carica due anni ed i suoi membri sono designabili per il biennio successivo

I suoi poteri sono prorogati fino alla costituzione e all’insediamento della nuova commissione

Possono costituirsi commissioni elettorali anche con un numero di membri inferiore a quello previsto purché sia assicurata la rappresentanza a tutte le categorie. Tuttavia sono validamente costituite anche se non sono rappresentate tutte le componenti

I suoi membri non possono essere inclusi in liste di candidati.

I Dirigenti comunicano gli elenchi degli elettori, che ne devono recare cognome, nome, luogo e data di nascita, alla commissione elettorale che li forma ed aggiorna in ordine alfabetico distinti per le varie componenti e per ogni seggio elettorale e quindi li deposita presso la segreteria a disposizione di chiunque li richieda.

È ammesso ricorso in carta semplice alla commissione avverso l’erronea compilazione degli elenchi entro 5 giorni dalla comunicazione del deposito che avviene, lo stesso giorno, mediante avviso affisso all’albo e che è deciso entro i successivi 5 giorni

Gli elenchi definitivi sono rimessi ai seggi elettorali, al loro insediamento. Anche di tale invio deve essere data informazione mediante avviso all’albo.

 

Le liste e la presentazione dei programmi

Le liste dei candidati – elencati con l’indicazione del cognome, nome, luogo e data di nascita, eventuale sede di servizio e contrassegnati da numeri arabici progressivi – sono distinte per ciascuna delle componenti e debbono essere corredate dalle dichiarazioni di accettazione dei candidati, e di non appartenenza ad altre liste della stessa componente. Infatti nessun candidato può essere incluso in più liste di una stessa rappresentanza dello stesso consiglio, ne può presentarne alcuna

Ciascuna lista può essere presentata alla commissione elettorale:

  • da almeno due elettori della componente ove questi non siano superiori a 20;
  • da almeno 1/10 degli elettori della componente, ove questi non siano superiori a 200, ma superiori a 20 (la frazione superiore si computa per unità intera);
  • da almeno venti elettori della componente, se questi siano superiori a 200

La norma prevede che le firme di candidati e presentatori siano autenticate – sia mediante i certificati di autenticazione in carta libera, allegati alle liste, sia mediante autenticazione apposta direttamente sulle liste, indicante gli estremi del documento – dal Dirigente, dal docente collaboratore a ciò delegato nonché anche dal sindaco (o suo delegato), dal segretario comunale, da notaio o cancelliere, previa esibizione di documento di riconoscimento o anche senza qualora l’identità sia nota all’organo che procede all’autenticazione.

Tuttavia deve ritenersi applicabile anche in tal caso il D.P.R.445/2000 che ritiene sufficiente a certe condizioni la semplice allegazione di fotocopia di un documento d’identità in luogo dell’autentica.

Ciascuna lista deve essere contraddistinta da un numero romano riflettente l’ordine di presentazione e da un motto indicato dai presentatori in calce alla lista. Essa può comprendere un numero di candidati fino al doppio del numero dei rappresentanti da eleggere per ciascuna categoria (pertanto massimo 16 ovvero 8 genitori; massimo 8 studenti; massimo 16 docenti; massimo 4 ATA)

Se una lista è completa chi voglia ancora candidarsi può costituirne un’altra.

I membri delle commissioni elettorali possono sottoscrivere le liste dei candidati, ma non essere candidati

Non è consentita la rinuncia alla candidatura successivamente alla presentazione della relativa lista, salva la facoltà di rinunciare alla nomina

È possibile anche non presentare alcuna lista dal momento che gli organi collegiali sono validamente costituiti “anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza

La commissione elettorale verifica che:

  1. le liste siano state sottoscritte dal prescritto numero di elettori appartenenti alla categoria e siano autenticate le firme dei presentatori;
  2. le liste siano accompagnate dalle dichiarazioni di accettazione dei candidati appartenenti alla categoria e che le loro firme siano autenticate,

Provvede quindi a cancellare i nomi dei candidati inclusi in più liste, per i quali manchi uno di detti requisiti e a ridurre le liste che contengano un numero di candidati superiore al massimo consentito cancellando gli ultimi nominativi.

Inoltre non tiene conto delle firme dei presentatori che abbiano sottoscritto altre liste. Pertanto, qualora, dopo questa operazione, i presentatori risultino inferiori a quelli richiesti o sia riscontrata altra irregolarità, la commissione ne dà comunicazione mediante affissione all’albo, con invito a regolarizzare la lista, entro tre giorni dall’affissione e non oltre il terzo giorno successivo al termine di presentazione delle liste.

Le decisioni sono rese pubbliche entro 5 giorni successivi alla scadenza del termine ultimo per la presentazione delle liste, con affissione all’albo e possono essere impugnate entro i successivi due giorni dalla data di affissione all’albo, con ricorso all’U.S.R. I ricorsi sono decisi entro due giorni

Le liste definitive dei candidati sono affisse all’albo ed inviate ai seggi elettorali.

L’illustrazione dei programmi, nei termini indicati in precedenza, può essere effettuata dai presentatori di lista, dai candidati, dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni dei genitori e professionali riconosciute dal Ministero per le rispettive categorie attraverso riunioni che si tengono durante l’orario di lezione per gli studenti fuori per i genitori. È consentita la distribuzione, nei locali della scuola, di scritti relativi ai programmi.

Il Dirigente Scolastico stabilisce il diario delle riunioni, tenuto conto dell’ordine di richiesta e, per quanto possibile, della data indicata. Del diario è data comunicazione ai rappresentanti delle liste.

 

Si arriva alle elezioni- Preliminari

Le schede elettorali debbono essere costituite da fogli di eguale grandezza

I Dirigenti Scolastici forniscono ai seggi i fogli necessari all’atto dell’insediamento stampando e distribuendo i fac-simili di scheda

Il presidente del seggio appone, mediante appositi timbri, la dicitura: “Elezioni del consiglio di circolo o istituto” e cura che i fogli siano ripartiti in tanti gruppi quante sono le categorie di elettori, apponendo, sempre su ambedue le facce dei fogli, di ogni gruppo, la dicitura indicante le categorie, esempio: “Genitori”, “Alunni”, “Docenti”, “Personale A.T.A.”

Tutte le schede debbono, infine, recare l’indicazione del seggio e del numero romano di ciascuna lista elettorale ed essere vidimate con la firma di uno scrutatore. Se la vidimazione avviene anticipatamente le schede vidimate debbono essere custodite in plichi sigillati

Nelle schede elettorali, di colore bianco, accanto al motto di ciascuna lista, debbono essere prestampati i nominativi dei candidati. Non è indicato secondo quale ordine che è rimesso alle scuole (di prassi alfabetico).

Per ogni sede, plesso, succursale deve costituirsi almeno un seggio, a prescindere dal numero degli alunni e ove vi siano più di trecento alunni si costituisce normalmente un seggio ogni trecento alunni. Tuttavia essere costituiti anche per un numero di alunni superiore a trecento qualora sia richiesto da esigenze organizzative, purché sia assicurata massima facilità di espressione del voto.

Ogni seggio è composto da un presidente e da due scrutatori, di cui uno funge da segretario, scelti tra gli elettori delle categorie da rappresentare, ma si possono costituire seggi elettorali anche con un numero di membri inferiore, cercando di assicurare la rappresentanza delle varie categorie interessate ma anche laddove non sia inclusa sono comunque validamente costituiti.

Non possono far parte dei seggi coloro che siano inclusi in liste di candidati. I componenti dei seggi elettorali sono nominati dal Dirigente Scolastico su designazione della commissione elettorale.

 

Le elezioni

Si svolgono, di regola, la domenica dalle 8 alle 12 e ed il lunedì dalle 8 alle 13,30.

Gli elettori votano previa esibizione di documento di riconoscimento o in mancanza a mezzo riconoscimento dai componenti del seggio, ovvero da un altro elettore dello stesso seggio in possesso di documento o conosciuto da un componente del seggio. Prima di ricevere la scheda devono firmare accanto al loro nome sull’elenco degli elettori.

Nello spazio riservato alle votazioni devono essere disposti due tavoli in due angoli opposti in modo che gli elettori vengano a trovarsi alle spalle dei componenti dei seggi, assicurando la segretezza del voto; in quello riservato al pubblico sono affisse le liste dei candidati; in quello riservato al seggio devono essere disposti dei tavoli, sopra i quali vanno poste tante urne quanti sono gli organi da eleggere.

Il voto viene espresso personalmente mediante una croce sul numero romano indicato nella scheda; le preferenze con un segno di matita accanto al nominativo ì del candidato.

I genitori di più alunni iscritti a classi diverse dello stesso circolo o istituto votano una sola volta (diversamente di quanto avviene nei consigli di classe).

Chiunque sia affetto da grave impedimento esercita il diritto di voto con l’aiuto di un elettore della propria famiglia o della stessa scuola, scelto come accompagnatore

Alle ore otto il presidente apre il seggio, chiamando a farne parte gli scrutatori

Se il presidente è assente, egli è sostituito dallo scrutatore più anziano presente, il quale chiama ad esercitarne le funzioni di scrutatore un elettore presente. Analogamente procede il presidente qualora sia assente qualcuno degli scrutatori. Tuttavia ove non sia possibile integrare gli scrutatori, il seggio si insedia ugualmente con i presenti

Delle operazioni viene redatto verbale, in duplice originale, sottoscritto da presidente e scrutatori. Il primo firmatario tra i presentatori della lista comunica ai presidenti della commissione e dei seggi elettorali i nominativi dei rappresentanti di lista, in ragione di uno presso la commissione elettorale e di uno presso ciascun seggio, i quali assistono a tutte le operazioni successive al loro insediamento.

 

Lo scrutinio

Le operazioni di scrutinio hanno inizio immediatamente dopo la chiusura delle votazioni e durano ininterrottamente fino al loro completamento. Le decisioni sono prese a maggioranza. In caso di parità prevale il voto del presidente

Alle operazioni partecipano i rappresentanti di lista appartenenti alla componente per la quale si svolge lo scrutinio (non è prevista la presenza dei candidati).

Delle operazioni di scrutinio viene redatto processo verbale, in duplice originale, sottoscritto in ogni foglio dal presidente e dagli scrutatori:

Da detto processo verbale debbono risultare i seguenti dati:
a) numero degli elettori e quello dei votanti, distinti per ogni categoria;
b) il numero dei voti attribuiti a ciascuna lista;
c) il numero dei voti di preferenza riportati da ciascun candidato.

Se l’elettore ha espresso preferenze per candidati di lista diversa da quella prescelta, vale il voto di lista. Se, invece, +ha espresso nel relativo spazio preferenze per candidati di una lista senza contrassegnare anche la lista, il voto espresso vale per i candidati prescelti e per la lista alla quale essi appartengono. Se le preferenze espresse sono maggiori del numero massimo consentito, il presidente del seggio procede alla riduzione, annullando quelle eccedenti. Se manca il voto di preferenza le schede sono valide solo per l’attribuzione del posto spettante alla lista.

Il presidente del seggio deve cercare di interpretare la volontà dell’elettore, sentiti i membri del seggio, in modo da procedere all’annullamento delle schede soltanto in casi estremi e quando sia impossibile determinare la volontà dell’elettore (es: voto contestuale per più liste) o quando la scheda sia contrassegnata in modo tale da rendere riconoscibile l’elettore.

Un esemplare dei verbali, compilati dal seggio, è depositato presso il circolo didattico o l’istituto. L’altro, posto in busta chiusa, sulla quale va indicata l’elezione a cui si riferiscono gli atti (es.: “elezione del consiglio di circolo o di istituto”) va rimesso subito al seggio competente a procedere all’attribuzione dei posti e alla proclamazione degli eletti

 

L’attribuzione dei posti e la proclamazione

Le operazioni ai fini dell’attribuzione dei posti spettano al seggio elettorale n. 1 integrato da altri due membri scelti dal Dirigente Scolastico tra i componenti degli altri seggi la cui nomina deve essere effettuata e comunicata agli interessati almeno tre giorni prima della votazione.

Appena ricevuti i verbali degli scrutini degli altri seggi, il seggio 1 riassume i voti di tutti i seggi, senza poterne modificare i risultati. Poi determina la cifra elettorale di ciascuna lista, sommando i voti validi riportati dalla lista e la cifra individuale di ciascun candidato, sommando i voti di preferenza.

Per l’assegnazione del numero dei consiglieri a ciascuna lista si divide la cifra elettorale (cioè la somma dei voti validi) per 1, 2, 3, 4 … sino al numero dei consiglieri da eleggere e quindi si scelgono i quozienti più alti, in numero eguale a quello dei consiglieri da eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente (vedi esempio seguente). Ciascuna lista ha tanti rappresentanti quanti sono i quozienti ad essa appartenenti, compresi nella graduatoria. A parità di quoziente, nelle cifre intere e decimali, il posto è attribuito alla lista che ha ottenuto la maggiore cifra elettorale e a parità di quest’ultima, per sorteggio. Se ad una lista spettano più posti di quanti sono i suoi candidati i posti eccedenti sono distribuiti tra le altre liste, secondo l’ordine dei quozienti.

Nei limiti dei posti assegnati a ciascuna lista, si determinano i candidati che, in base al numero delle preferenze ottenute, hanno diritto a ricoprirli. In caso di parità del numero di preferenze tra due o più candidati della stessa lista, sono proclamati eletti i candidati secondo l’ordine di collocazione nella lista; lo stesso criterio si osserva nel caso in cui i candidati non abbiano ottenuto alcun voto di preferenza.

Esempio:

Lista I 800 voti Lista II 400 voti Lista III 300 voti

dividendo 800, 400 e 300 per 1, 2, 3, ecc. si ottengono i seguenti numeri:

Lista I: 800, 400, 266, 200, 160, 133, 114, 100

Lista II: 400, 200, 133, 100, 80, 66, 57, 50

Lista III: 300, 150, 100, 75, 60, 50, 42, 37,5

Se si considerano gli 8 numeri più alti alla lista I vanno 5 consiglieri alla lista II 2 consiglieri e 1 alla lista III. I Consiglieri vengono scelti in base alla graduatoria interna alla lista, stabilita dalle singole preferenze ricevute. Le cifre decimali sono state arrotondate all’unità.

Ultimate le operazioni di attribuzione dei posti, il seggio elettorale n. 1 procede alla proclamazione degli eletti entro 48 ore dalla conclusione delle operazioni di voto comunicata mediante affissione del relativo elenco all’albo della scuola.

I rappresentanti di lista ed i singoli candidati entro 5 giorni dall’affissione possono presentare ricorso alla commissione elettorale avverso i risultati delle elezioni, che sono decisi entro 5 giorni.

È riconosciuto diritto di accesso ai verbali e agli atti concernenti gli scrutini.

Contributo per… un’ottima scuola

CONTRIBUTO PER… UN’OTTIMA SCUOLA

di Maurizio Tiriticco

Nelle 135 pagine della Buona scuola non ho letto nulla di ciò che veramente sarebbe opportuno fare per un rinnovamento sostanziale dei percorsi del nostro “Sistema educativo di istruzione e formazione”. Così anni fa ministri di sinistra e di destra hanno voluto ridefinire unitariamente i percorsi di istruzione generalista, di competenza dello Stato, e quelli dell’istruzione e formazione professionale, di competenza delle Regioni. Infatti, parlare di scuola, oggi, pensando solo ai SOGGETTI IN ETA’ EVOLUTIVA, è fuorviante, se è vero che oggi, in tutte le società avanzate, TUTTI sono tenuti ad apprendere e per tutta la vita. E ritengo estremamente necessario che, prima di avviare processi valutativi di sistema, occorra adoperarsi perché il sistema sia messo in grado di funzionare. Riassumo in dieci punti riassumo quello che nella Buona scuola non ho letto.
1) La generalizzazione della scuola dell’infanzia. E, perché no? Una riscrittura di quegli Orientamenti del ’91 che i successivi aggiornamenti, dalla Moratti in poi, non hanno affatto innovato, oggi sarebbe più che mai necessaria. E’ passata un’intera generazione e l’infanzia di oggi non è quella di ieri.
2) L’attuazione reale dell’obbligo di istruzione decennale con relativa certificazione delle competenze di cittadinanza (come richiesto dalla Raccomandazione europea del 24 aprile 2008) e di quelle culturali (come indicate e definite dal dm 139/2007), in corrispondenza con il livello 2 del Quadro Europeo delle Qualifiche (European Qualifications Framework), che il nostro Governo ha fatto proprio (Accordo del 20 dicembre 2012). Il che comporta una rivisitazione dell’intero percorso decennale con la conseguente istituzione di un curricolo verticale continuo e progressivo che vada oltre le attuali separatezze tra scuola primaria, scuola secondaria di primo grado, primo biennio della scuola secondaria di secondo grado: separatezze che discendono da sovrapposizioni normative che si sono realizzate in tempi successivi e che oggi non corrispondono più alle esigenze di EDUCAZIONE, FORMAZIONE e ISTRUZIONE, finalizzate a garantire a ciascuno il suo personale SUCCESSO FORMATIVO (dpr 275/99, art. 1).
3) Conclusione degli studi secondari a 18 anni di età con conseguente rivisitazione dei curricoli, delle discipline di insegnamento e delle discipline che costituiranno materia della certificazione delle competenze conseguite dall’alunno, in corrispondenza con il livello 4 del citato Quadro Europeo delle Qualifiche. La riduzione di un anno comporterà la rivisitazione e una ridistribuzione delle discipline di insegnamento degli ultimi due anni del percorso obbligatorio nell’ottica di mirate attività di orientamento.
4) Superamento dell’attuale separatezza culturale dei tre percorsi di istruzione secondaria di secondo grado, in forza della quale, com’è noto, le iscrizioni degli alunni avvengono più in forza della loro estrazione sociale che delle loro motivazioni e aspettative. L’esame terminale dovrà essere centrato sull’accertamento e sulla certificazione delle competenze da ciascun alunno conseguite. E tale certificazione consentirà sia l’accesso a studi ulteriori (università, istruzione tecnica superiore, altro) che al mondo del lavoro.
5) Generalizzazione di attività di alternanza scuola-lavoro in tutti i percorsi.
6) Formazione continua in servizio degli insegnanti perché l’insegnamento/apprendimento sia fondato essenzialmente su attività laboratoriali che pongano al centro l’iniziativa attiva, motivata e consapevole dell’alunno.
7) Rivisitazione delle modalità di attuazione delle attività di insegnamento/apprendimento concorrenti tra istruzione generalista, di competenza delle Stato, e istruzione e formazione professionale, di competenza delle Regioni, in regime di sussidiarietà complementare e/o integrativa. Si tratta di rendere più efficaci e più produttive quei percorsi che comportano il conseguimento sia delle qualifiche triennali (livello terzo dell’EQF) che dei diplomi di qualifica quadriennali (livello quarto dell’EQF).
8) Impegno per una estensione generalizzata dei Poli tecnico-professionali e degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) che consentirebbero a tanti diplomati del secondo ciclo specializzazioni mirate, anche perché i corsi sono organizzati in stretto concorso con le attività produttive del territorio.
9) Impegno per una incentivazione e generalizzazione dei Corsi di istruzione per gli adulti (CPIA), nella consapevolezza che in tale materia il nostro Paese è la cenerentola dei Paesi industrializzati.
10) E infine, a proposito del cosiddetto “nuovo” esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione – Se si decide di affidare l’esame ad una commissione interna, agli insegnanti della stessa classe, occorre considerare la difformità a cui si va incontro. Attualmente, gli insegnanti dell’ultimo anno sono tenuti, in sede di uno scrutinio finale, ad ammettere o non ammettere gli alunni all’esame a seconda dei voti e dei crediti conseguiti da ciascuno di essi. E’ evidente l’incongruenza che si produrrebbe qualora un candidato fosse bocciato dagli stessi insegnanti che lo hanno ammesso. A parte i ricorsi che ne conseguirebbero, o meglio alle… promozioni generalizzate… antiricorso, il che mi conferma nella convinzione che un esame ha sempre un basso tasso di credibilità. Sono solito dire che basta un mal di testa o un colpo di fortuna a condizionare l’esito di un esame. Ed è una circostanza di cui tutti coloro che sono andati a scuola o hanno affrontato concorsi possono confermare.
Mi chiedo: se saranno gli stessi insegnanti della classe ad esaminare i candidati, non sarebbe opportuno driblare gli scrutini di ammissione e andare direttamente alle prove d’esame? E voglio anche sottolineare la circostanza più grave. Purtroppo, qualunque sia la scelta circa le modalità della prossima tornata di esame, ancora una volta la certificazione delle competenze non verrà effettuata. Sempre ammesso che la prova esame sia la più congruente per accertare e certificare una competenza! Si tratta di un discorso aperto e difficile, ma che nessuno intende affrontare! E le competenze sono ancora oggi un parola vuota… per la nostra amministrazione! Ingenuamente pensavo che con questa tornata di esami, completandosi il riordino dell’intero secondo ciclo, avviato con l’anno scolastico 2010/11, l’obiettivo della certificazione delle competenze, che la stessa legge 425/97 sancisce, venisse finalmente proposto e raggiunto.
E un ‘amministrazione avveduta avrebbe dovuto muoversi su questa strada! Ma ciò non è avvenuto! Così i risultati di apprendimento degli studi liceali, di cui all’allegato A del dpr 89/2010, relativo alle Indicazioni nazionali per i licei, non saranno affatto considerati. Né saranno testate le competenze terminali chiaramente indicate, definite e descritte nelle Linee guida degli istituti tecnici (dpr 88/2010) e in quelle degli istituti professionali (dpr 87/2010). Mi sono sbagliato! Ancora un volta un obiettivo di questo tipo, che dovrebbe riqualificare l’intero nostro sistema di istruzione, viene disatteso. E rinviato alle calende greche! Ancora una volta la nostra amministrazione non ha saputo prendere in carico questa questione. Perciò, le competenze da sempre e chissà per quanto tempo ancora, nella nostra scuola sono un’araba fenice! I nostri ragazzi ancora non sapranno che cosa veramente sanno fare! E il mondo del lavoro aspetta! Anche l’Europa, come si suol dire, aspetta! E aspetta anche il mondo intero, stante il fatto che i nostri giovani sempre più sono costretti a cercare lavoro all’estero! Ma è difficile che possano trovarlo agevolmente perché, ancora una volta, il titolo di studio che produrranno non certifica assolutamente nulla!

Tre like e tre dislike professionali sul Piano scuola

Tre like e tre dislike professionali sul Piano scuola

di Nicola Zuccherini

Il piano scuola del governo mi sembra un buon punto di partenza per rinnovare il sistema; né condivido l’opinione di quanti ci vedono un conflitto con la contrattazione: oltre alle leggi, sarà proprio un nuovo contratto a rendersi necessario per attuare le proposte del governo, così come usciranno dal dibattito pubblico e politico. C’è molto da discutere, però. Propongo in brevissimo i miei like e dislike, tre per parte e tutti sul piano strettamente professionale, al limite sindacale.

In tre punti “La buona scuola” mi sembra particolarmente efficace nell’incrociare gli aspetti più problematici del sistema: assunzioni dalle Gae, organico d’istituto e retribuzione premiale.

a) L’ingresso in ruolo del personale delle graduatorie a esaurimento ha tutti i limiti di una sanatoria (e i precari delle altre amministrazioni?) ma toglie di mezzo uno dei principali fattori di instabilità del sistema.

b) L’introduzione di un organico funzionale di istituto (o di rete), che è una necessità invocata da tempo e da tutti, cambia il contenuto professionale del mestiere dell’insegnante perché introduce nell’ordinamento il principio che si tratta di una professione plurale, che non si esaurisce nel fare lezione in una classe; e che di conseguenza per fare scuola non basta un numero di insegnanti pari a quello delle classi (salvo il sostegno).

c) Nella stessa direzione va il cosiddetto merito: l’introduzione della premialità pone in maniera forte e spero definitiva il problema di una professione che deve accettare responsabilità più precise e caricarsi di sistemi valutativi stringenti (che entrino nel “merito” del nostro lavoro, se si può giocare con le parole) se veramente ambisce a prestigio sociale e riconoscimento economico.

I tre punti di maggior criticità del documento sono invece ruolo e destino degli Ata (e dei loro compiti e funzioni), ruolo del nuovo organico d’istituto o di rete, retribuzione.

a) Gli Ata, quelli che ci sono adesso e quelli che ci saranno se ce ne saranno. “La buona scuola” gli dedica quattro o cinque parole in tutto: troppo poche, visto che le mansioni che svolgono sono strategiche per la costruzione della qualità della scuola. Perché allora non chiamare anche loro a un percorso di qualificazione professionale che ne ridefinisca compiti e funzioni, magari anche nella direzione del controllo e del coordinamento di attività esternalizzate?

b) Il documento del governo prefigura un nuovo organico di rete destinato a sostituzioni, aumento del tempo scolastico e qualificazione dell’offerta formativa e formato dai soli insegnanti assunti dalle graduatorie a esaurimento. Costruire una sottocategoria con compiti sussidiari accanto a quella dei “veri” insegnanti, che resterebbero quelli “di classe” o “con cattedra”, rischia di dar vita a un ghetto di docenti sottoutilizzati e dequalificati, dai compiti incerti; mi sembra preferibile mettere tutti sullo stesso piano e impegnare le scuole a utilizzare tutte le risorse al meglio in una didattica flessibile e nel garantire il servizio con le sostituzioni (queste, poi, non si vede perché a regime non dovremmo farle tutti, in quota orario, anziché solo una parte di noi, cioè gli ex Gae).

c) Sessanta euro ogni tre anni, infine, sono proprio pochi e sanno di presa in giro, anche perché i meritevoli di domani finirebbero per guadagnare più o meno quanto guadagnano oggi senzanessuna valutazione, che non è un granché come incentivo. Vale la pena oggi chiedere agli insegnanti una sostanziale crescita di produttività (in termini di ore lavorate, di partecipazione alla gestione della scuola, di progettualità e flessibilità didattica, di responsabilità sui risultati) in cambio di un aumento sostanziale della retribuzione base e delle prospettive di miglioramento economico in carriera. Questa dei soldi l’ho tenuta per ultima, ma si poteva mettere per prima, perché da questo passaggio (più soldi in tasca, più responsabilità, più impegni) dipende tutto il resto, cioè tutto il destino del lavorare a scuola nei prossimi decenni.

Le elezioni del consiglio di istituto ed il dimensionamento

Le elezioni del consiglio di istituto ed il dimensionamento. Problematiche pratiche

di Cinzia Olivieri

 

La circolare elezioni CM 42/14 si apre premettendo anche quest’anno il riferimento al possibile riordino degli OO.CC. (“Non essendo ancora intervenute modifiche a livello legislativo degli organi collegiali a livello di istituzione scolastica, anche per l’anno scolastico 2014/2015, si confermano le istruzioni già impartite nei precedenti anni riguardanti le elezioni di tali organismi”) e richiama le procedure previste dall’ordinanza ministeriale n. 215 del 15 luglio 1991, modificata ed integrata dalle successive OO.MM. nn. 267, 293 e 277, rispettivamente del 4 agosto 1995, 24 giugno 1996 e 17 giugno 1998.

Ogni anno peraltro capita di si assistere a nuovi interventi di dimensionamento con i conseguenti dubbi riguardo al rinnovo dei consigli di istituto delle scuole coinvolte.

In merito, l’OM 277/98, modificando l’art. 52 dell’OM 215/91,  ha regolato, in maniera più ampia di quanto disposto dall’OM n. 267/1995 per la costituzione di istituti comprensivi, le elezioni degli organi collegiali  in caso di modifica territoriale e della popolazione scolastica anche con riferimento all’aggregazione di istituti scolastici di istruzione secondaria superiore, stabilendo che:

“1. I consigli di circolo e d’istituto restano in carica fino alla normale scadenza del triennio anche nell’ipotesi in cui il circolo o la scuola subiscano modificazioni (in più o in meno) della relativa popolazione scolastica e, qualora si tratti di circoli, ne venga modificata la competenza territoriale.

  1. Nel caso di variazione della popolazione scolastica in più o in meno rispetto al limite di 500 alunni di cui all’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 16/4/1994, n. 297, il consiglio d’istituto rimane ugualmente in carica nella composizione relativa all’anno di insediamento e l’adeguamento del numero dei membri è effettuato in occasione del rinnovo del consiglio alla normale scadenza. Identico criterio va osservato in occasione del rinnovo della rappresentanza studentesca, il cui adeguamento numerico è effettuato in occasione del rinnovo dell’intero consiglio.
  2. I predetti consigli rimangono in carica nei circoli didattici e nelle scuole medie di cui siano stati resi autonomi (o siano stati resi aggregati ad altre istituzioni scolastiche) plessi, sezioni staccate o succursali. I circoli didattici e le scuole medie di cui è soppressa l’autonomia perdono il consiglio d’istituto.
  3. Si procede, invece, all’indizione delle elezioni del consiglio d’istituto qualora venga formalmente creata una nuova istituzione scolastica a seguito di fusione di due o più circoli didattici o scuole medie.
  4. Nel caso vengano costituiti istituti scolastici comprensivi di scuola materna, elementare e media, vengono indette le elezioni del consiglio d’istituto. Si applicano le disposizioni della presente ordinanza integrate con quelle dell’ordinanza ministeriale n. 267 del 4/8/1995.
  5. Per le scuole secondarie di 2° grado vengono indette le elezioni del consiglio d’istituto in tutti i casi di provvedimenti adottati nell’ambito dei piani di razionalizzazione della rete scolastica, secondo quanto precisato nel precedente art. 5.”

Dunque, in sintesi, variazioni del numero di alunni non implicano l’immediato rinnovo (anche laddove importino una modifica nella composizione numerica del consiglio da 14 a 19 membri) così come l’autonomia (o la semplice annessione) di plessi, sezioni e succursali.

Si avrà invece in genere rinnovo ogni qualvolta si costituisca una nuova istituzione contrassegnata da un nuovo codice meccanografico.

Tuttavia la nota ministeriale n. 6310 del 2012 , non richiamata dalla CM 42/14 ma presente fino allo scorso anno nelle note di alcuni uffici regionali (es: USR PUGLIA Protocollo n. 6380_2013 del 09/09/2013) ha invece specificato che “le istituzioni scolastiche che, a qualunque titolo, hanno modificato la loro costituzione (nuovo istituto comprensivo, fusione di più istituti, aggregazione di plessi/sedi ad istituti comprensivi già funzionanti) devono procedere al rinnovo del consiglio di istituto, al fine di garantire la piena rappresentanza delle componenti docenti e genitori dei vari ordini di scuola” richiamando per le relative operazioni le sole OM 215/91 e n. 267/1995, quest’ultima con esclusivo riguardo alla sola costituzione dei comprensivi.

Dunque è previsto il rinnovo in tutti i casi di “modifica della costituzione”.

Premesso che per effetto dei parametri del DPR 233/98 per la concessione dell’autonomia ormai già da tempo le scuole dovrebbero prevalentemente aver raggiunto (e superato) il limite minimo di 500 alunni, qualche dubbio di conflittualità tra le disposizioni potrebbe restare con riferimento alla permanenza in carica dei consigli negli istituti di cui siano stati resi autonomi (o siano stati resi aggregati ad altre istituzioni scolastiche) plessi, sezioni staccate o succursali.

Se il rinnovo favorisce il coinvolgimento dell’intera realtà scolastica, tuttavia nel caso di nuove elezioni senza che si costituisca una nuova istituzione si penalizzerebbero i membri del consiglio dell’istituto principale che avrebbe dovuto invece restare in carica secondo l’ordinanza ministeriale del 1998. Viceversa fino al rinnovo mancherebbero dei rappresentanti delle scuole aggregate, con delusioni di aspettative da entrambe le parti.

Tuttavia tali dubbi interpretativi possono essere agevolmente risolti dalla circostanza che la circolare elezioni CM 42/14 non richiami la nota ministeriale n. 6310 del 2012 ma solo le ordinanze ministeriali, che costituiscono l’unico riferimento per la procedura.

Modiano da Nobel

Modiano da Nobel

di Antonio Stanca

modianoQuest’anno il Nobel per la Letteratura è stato assegnato a Patrick Modiano, scrittore francese che ha sessantanove anni e vive a Parigi con la famiglia.

Variamente impegnato è sempre stato Modiano ma l’attività della scrittura è prevalsa nei suoi impegni. Giovanissimo, nel 1968 quando aveva ventitrè anni, si è fatto notare col romanzo La piazza dell’étoile. Ha poi continuato a scrivere racconti e romanzi quali Ronda di notte nel 1969, I viali della circonvallazione nel 1972 (Gran Premio Romanzo dell’Accademia di Francia), Via delle botteghe oscure nel 1978 (Premio Goncourt) e tra i più recenti L’orizzonte nel 2010.

Modiano appartiene alla corrente dei nuovi scrittori francesi, di quelli che si sono liberati dalle regole della tradizione ed hanno mostrato di saper tuttavia pervenire a risultati narrativi ed espressivi altamente significativi. I tempi che ricorrono nelle sue prime narrazioni sono quelli della seconda guerra mondiale, i luoghi quelli della Francia, in particolare Parigi, occupata dai tedeschi, i temi quelli di chi da questi avvenimenti si è visto privato della famiglia, della casa, delle persone, delle cose più care ed alla loro ricerca si è messo senza riuscire a trovarle. In seguito nella narrativa di Modiano cambieranno i tempi, i personaggi ma la condizione di questi rimarrà sempre uguale. Come Parigi costituirà quasi sempre lo sfondo delle due narrazioni così i suoi personaggi saranno tutti mostrati come bisognosi di ritrovarsi tra quanto hanno perso, tra quanto faceva parte della loro vita, di riconoscersi, identificarsi in esso senza, però, che diventi mai possibile. Condannato a vivere da disperso in un mondo diventato così vasto e confuso è l’eroe di Modiano, a rimanere perennemente sospeso tra quanto avrebbe voluto e quanto deve accettare, tra ricordi e rinunce, passato e presente, idea e realtà. Invaso giungerà a sentirsi da presenze misteriose, occulte, con esse penserà di entrare in contatto tanto acceso è il suo bisogno di altro, di diverso da quel che vede, che vive, di quel passato che ha perso, di quelle origini che non gli appartengono più.

In questa condizione umana, in questi drammi si possono riconoscere quelli dello scrittore. E’ stato lui ad essere vissuto senza famiglia, senza casa, senza persone care, ad averle ardentemente desiderate ed inutilmente cercate.

Nato nei sobborghi di Parigi nel 1945 da padre ebreo-italiano, che per i suoi affari dalla Grecia era venuto nella capitale francese, e dall’attrice belga Colpijn Louisa, Patrick, primo figlio, aveva assistito alla morte prematura, dieci anni, del fratello Rudj ed era cresciuto nei collegi dove studiava perché assenti da casa per i loro impegni erano sempre stati i genitori. Anche per questo aveva interrotto gli studi. E’ lui, quindi, che attraverso i suoi personaggi cerca le sue origini e che, come loro, non è mai riuscito a trovarle. Gran merito dello scrittore è quello di aver trasformato la sua esperienza in una condizione umana così estesa e così significativa. Il Nobel giunge a sancire l’ampiezza, la vastità che Modiano ha saputo procurare a ciò che era soltanto suo, a stabilire come abbia saputo fare letteratura della sua vita.

Un appuntamento mancato

Un appuntamento mancato

di Maurizio Tiriticco

A proposito del cosiddetto “nuovo” esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione – Se si decide di affidare l’esame ad una commissione interna, agli insegnanti della stessa classe, occorre considerare la difformità a cui si va incontro. Attualmente, gli insegnanti dell’ultimo anno sono tenuti, in sede di uno scrutinio finale, ad ammettere o non ammettere gli alunni all’esame a seconda dei voti e dei crediti conseguiti da ciascuno di essi. E’ evidente l’incongruenza che si produrrebbe qualora un candidato fosse bocciato dagli stessi insegnanti che lo hanno ammesso. A parte i ricorsi che ne conseguirebbero, o meglio alle… promozioni generalizzate… antiricorso, il che mi conferma nella convinzione che un esame ha sempre un basso tasso di credibilità. Sono solito dire che basta un mal di testa o un colpo di fortuna a condizionare l’esito di un esame. Ed è una circostanza di cui tutti coloro che sono andati a scuola o hanno affrontato concorsi possono confermare. Mi chiedo: se saranno gli stessi insegnanti della classe ad esaminare i candidati, non sarebbe opportuno driblare gli scrutini di ammissione e andare direttamente alle prove d’esame?
E voglio anche sottolineare la circostanza più grave. Purtroppo, qualunque sia la scelta circa le modalità della prossima tornata di esame, ancora una volta la certificazione delle competenze non verrà effettuata. Sempre ammesso che la prova esame sia la più congruente per accertare e certificare una competenza! Si tratta di un discorso aperto e difficile, ma che nessuno intende affrontare! E le competenze sono ancora oggi un parola vuota… per la nostra amministrazione! Ingenuamente pensavo che con questa tornata di esami, completandosi il riordino dell’intero secondo ciclo, avviato con l’anno scolastico 2010/11, l’obiettivo della certificazione delle competenze, che la stessa legge 425/97 sancisce, venisse finalmente proposto e raggiunto. E un ‘amministrazione avveduta avrebbe dovuto muoversi su questa strada! Ma ciò non è avvenuto!
Così i risultati di apprendimento degli studi liceali, di cui all’allegato A del dpr 89/2010, relativo alle Indicazioni nazionali per i licei, non saranno affatto considerati. Né saranno testate le competenze terminali chiaramente indicate, definite e descritte nelle Linee guida degli istituti tecnici (dpr 88/2010) e in quelle degli istituti professionali (dpr 87/2010). Mi sono sbagliato! Ancora un volta un obiettivo di questo tipo, che dovrebbe riqualificare l’intero nostro sistema di istruzione, viene disatteso. E rinviato alle calende greche! Ancora una volta la nostra amministrazione non ha saputo prendere in carico questa questione. Perciò, le competenze da sempre e chissà per quanto tempo ancora, nella nostra scuola sono un’araba fenice!
I nostri ragazzi ancora non sapranno che cosa veramente sanno fare! E il mondo del lavoro aspetta! Anche l’Europa, come si suol dire, aspetta! E aspetta anche il mondo intero, stante il fatto che i nostri giovani sempre più sono costretti a cercare lavoro all’estero! Ma è difficile che possano trovarlo agevolmente perché, ancora una volta, il titolo di studio che produrranno non certifica assolutamente nulla!