La ministra robotica e gli indovinelli Invalsi

La ministra robotica e gli indovinelli Invalsi
Gli scioperi di maggio contro la scuola-quiz e la scuola-miseria

Cara ministra Carrozza, innanzitutto complimenti per la rapidissima carriera politica, appena ieri capolista del PD in Toscana, evitando primarie e guerre per bande; e oggi già ministra della (Pubblica, speriamo) Istruzione.
Ma ancor più congratulazioni per la sua biografia professionale “picomirandolesca”. Scienziata di fisica nucleare, bio-ingegnera (noi femminilizziamo i titoli) robotica e meccatronica, esperta di domo-robotica e neuro-robotica, risparmio energetico, biotecnologie e biomeccatronica; e in più rettora di Scuola superiore e supervisora di dottorandi e ricercatori, nonché conferenziera globale. Di fronte a tanta scienza, ogni dubbio sulla sua nomina dovrebbe sparire.
Eppure un interrogativo ci è venuto in mente: ma di scuola-scuola, delle materne, elementari, medie e superiori, delle condizioni di lavoro e di studio negli istituti, di precari e inidonei, docenti ed Ata, quanto ne sa al momento?
E per stare alla stretta attualità, come si concilia la ministra robotica con gli indovinelli Invalsi, con il Sistema di (s)valutazione, con la scuola-quiz e la scuola-miseria, triste realtà che si apre davanti a milioni di giovani, al di fuori dei “fasti” del modello Sant’Anna?
E cosa ne pensa della farsa che dal 7 al 16 maggio si ripeterà nelle nostre tormentate scuole con i quiz Invalsi, divenuti metri di misura della qualità dell’istruzione?
E contro cui – oltre ad altri temi – abbiamo convocato uno sciopero di tre giorni (il 7 alle elementari, il 14 alle medie e il 16 alle superiori) di tutto il personale della scuola?
Qualora non fosse in materia  preparata come nella enorme gamma di sue competenze, la inviteremmo a leggere l’Appello (vedi www.cobas-scuola.it) che abbiamo lanciato contro la scuola-quiz e che ha raccolto già molte migliaia di firme di docenti di scuola e Università, uomini e donne della cultura e delle arti – tra i/le quali Pietro Barcellona, Cesare Bermani, Marina Boscaino, Maria Grazia Campari, Luciano Canfora, Donatella Della Porta, Giorgio Israel, Romano Luperini, Moni Ovadia, Riccardo Petrella, Salvatore Settis e Guido Visconti.
Nell’Appello si sottolinea che “i quiz standardizzati avviliscono il ruolo dei docenti e della didattica, abbassando gravemente la qualità della scuola” e che “l’inserimento di queste prove, come valutazione dell’efficacia della scuola, spinge i docenti ad abdicare alla loro primaria funzione intellettuale e a piegarsi all’addestramento ai quiz”. L’Appello invita a lottare contro i test Invalsi perché annullano “le soggettività coinvolte nell’atto pedagogico: ad uno studente privo di pensiero critico corrisponde un docente ‘tabulatore’ sempre più lontano dall’autonomia e dalla libertà d’insegnamento”; e perché “l’impostazione standardizzata è assolutamente inadeguata a rilevare il grado di preparazione di uno studente e di un docente, né tanto meno dell’efficacia di una scuola”. L’Appello sottolinea gli interessi di un apparato economico esterno “non interessato a che la scuola miri alla formazione complessiva dei futuri cittadini, ma che vuole che addestri una forza lavoro con competenze generiche e flessibili, capace di adattarsi alla precarietà endemica nel mondo del lavoro”. “Pertanto – conclude l’Appello – chiediamo ai docenti, agli studenti e a tutti i cittadini interessati alla scuola pubblica di aiutarci a fermare la scuola-quiz, il Sistema di (s)valutazione, l’uso di indovinelli per imporre una scuola-miseria, degradata e impoverita per lasciare il posto alla scuola privata e alla mercificazione dell’istruzione e della cultura”. Ci piacerebbe che firmasse anche lei l’Appello, ma forse pretendiamo troppo in così poco tempo.
Però, potremmo approfittare dei due sit-in che terremo davanti al suo Ministero il 7 e il 16 maggio per confrontarci su questi temi e sugli altri argomenti per cui lo sciopero (il primo convocato con il nuovo governo) è indetto e cioè:
– la restituzione a docenti ed Ata del salario rubato con il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità;
– l’annullamento della deportazione dei docenti “inidonei” e dell’espulsione degli Ata precari;
– l’assunzione  dei precari su tutti i posti disponibili;
– il rifiuto delle prove selettive per entrare a scuola e delle classi-pollaio;
– la restituzione nella scuola del diritto di assemblea e di contrattazione per tutti/e.
Sperando di poterla incontrare presto, le auguriamo di essere inclusa nei prossimi mesi tra i rarissimi politici e politiche di cui si possa dire che hanno lavorato per la difesa e il miglioramento dell’istruzione pubblica.

Piero Bernocchi   portavoce nazionale Cobas

Il buon governo

Il buon governo
la saggezza del “nonno”, l’intelligenza del “nipote”

di Maurizio Tiriticco

Investire in istruzione, in ricerca, in cultura significa investire sui cervelli, che sono l’acciaio e il carbone della società della conoscenza. E’ un impegno, è un dovere, a fronte di chi sostiene che con la cultura non si mangia. Nulla di più idiota! Maria Chiara Carrozza è una garanzia! Il mio augurio, il mio sostegno, il mio impegno!

 

Il mio ultimo pezzo del 25 aprile sui test e sui reattivi terminava così: “Voglio sperare che il nuovo ministro faccia un po’ di chiarezza sui compiti dell’Invalsi e sui limiti ‘oggettivi’ delle prove ‘imposte’ alle scuole! Ormai sono anni che mi auguro la nomina di un ministro di alto profilo, all’altezza di una situazione difficile e complessa! Ma non sono mai ascoltato!!! Vogliamo sperare? Mah!!!”

Ebbene! Oggi penso di avere una buona ragione per sperare, e non solo per il ministro Carrozza, persona di alto profilo, ma per l’intera compagine ministeriale in cui figurano volti nuovi, persone giovani e tante donne! Anche una nera!!! E’ la fine di Borghezio! E mi sono anche dimenticato di andare a verificare quanti fossero del Pd e quanti del Pdl! Sembra che, finalmente un nome, una esperienza, una volontà personali contino più di una sigla! Deve essere così! Oggi abbiamo più bisogno di persone che di sigle di partiti che hanno fatto il loro tempo! Non che io non creda ai partiti! Tutt’altro! Sono il sale della democrazia! Ma, quando un partito si arrocca su se stesso ed è incapace di intercettare la “volontà popolare”, come si suol dire, allora è la crisi! Sarebbe proprio ora che si giunga a un Pd che sia la Sinistra e a un Pdl che sia la Destra, liberi il primo dai retaggi funesti della Bolognina, il secondo dai processi di Berlusconi e delle sue amazzoni, la Santanchè in testa! Non dico di un Fini, ormai a villeggiare a Montercarlo!

Che sia veramente una svolta? Voglio sperarlo! Anzi voglio crederlo! E, se domani lo spread scende, vuol dire che i mercati – governati da quegli invisibili signori che segnano le sorti del pianeta – ci danno fiducia! Voglio essere ottimista, dopo una decennale altalena di ministri Miur con cui abbiamo finito con il mettere in crisi la nostra scuola, proprio dopo averla denominata con parole importanti “Sistema educativo di istruzione e formazione” e avere assunto l’impegno di non lasciare nessuno fuori di esso fino ai 18 anni di età! Impegni alti! Finora mai mantenuti! Costretti da un lato dal “merito”, dall’altro dall’“inclusione”! Come se non fossimo capaci – e fino oggi non lo siamo stati – di costruire un Sistema di istruzione e formazione che sia in grado di includere tutti e di renderli altrettanto meritevoli! Ciascuno per quello che può: unicuique suum! Utopia? Forse, ma, se non si persegue l’utopia, non si raggiunge neanche l’utile! L’“omnia omnibus omnino” di Comenio non può non essere la divisa e il fine della società che ama denominarsi della conoscenza! Anche e soprattutto perché, se non si investe in conoscenza, oggi in un’Europa ormai sempre più stretta da Paesi emergenti, dalla Cina al Brasile, ogni partita è persa.

Conoscenza, ricerca, beni culturali – i nostri sono tra i primi al mondo – possono essere moneta sonante se in questi settori si sa investire, anche e soprattutto in tempi medio-lunghi! So che non è facile intercettare fin da ora le risorse che servono alla scuola, ma il nuovo ministro sa bene che occorre guardare lontano, anche se i passi che si compiono all’inizio saranno ancora piccoli. Tra gli insegnamenti di Morin sui compiti dell’istruzione nelle società complesse, due mi sembrano importanti, e che il ministro conosce bene: a) insegnare a cogliere le relazioni che corrono tra le parti e il tutto in un mondo complesso; b) insegnare a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze.

Se questi sono i principi fondanti delle finalità della scuola, possono anche esserlo per una nuova politica scolastica: che non sia succube del ministro dell’economia e che cominci a restituire alla scuola, giorno dopo giorno, quella credibilità che anni di incuria e disimpegno hanno offuscato. Mi aspetto alcuni segnali, alcuni piccoli passi, ma che vadano nella direzione giusta!

Tornando al mio ultimo pezzo su test e reattivi, non oserei chiedere al nuovo ministro di bloccare l’imminente tornado delle prove Invalsi che si abbatterà sulle scuole: la macchina è ormai in moto. Ma è necessario avviare una seria discussione con le scuole in primo luogo su che cosa sia e come debba essere condotta una valutazione di sistema, che sia non solo condivisa, ma anche richiesta da dirigenti, insegnanti alunni, genitori, cittadini. Perché siamo tutti interessati a una scuola che, nella società della conoscenza, funzioni, e bene! Ma che, in primo luogo, dopo anni di tagli, sia messa in grado di funzionare: le risorse impegnate oggi sono la ricchezza di domani!

Che la nostra scuola, passo dopo passo, divenga quello che deve essere! Un sistema di istruzione e formazione di tutti e per tutti! Dell’inclusione e del merito!

Auguri di buon lavoro al nuovo ministro

Auguri di buon lavoro al nuovo ministro

A Maria Chiara Carrozza le congratulazioni e l’augurio di proficuo lavoro da parte della CISL Scuola. Il nostro auspicio è che un governo con tratti significativi di novità si dimostri nuovo anche nell’attenzione che darà ai temi del l’istruzione e della formazione.

Chiediamo da tempo che le politiche scolastiche ritrovino la dovuta centralità nell’azione di governo, che siano assunte in una logica di investimento in conoscenza, indispensabile per innalzare la competitività del paese e rilanciarne la crescita. Più attenzione alla scuola, dunque, e adeguate risorse: questo serve oggi al paese, questo indichiamo come obiettivo al nuovo ministro e al nuovo governo.

La CISL Scuola rappresenta larga parte dei lavoratori del settore; per essi chiede da tempo una più alta considerazione e una valorizzazione adeguata della loro professionalità. Da troppo tempo, invece, scelte sbagliate e una malintesa razionalizzazione dei costi ne hanno aggravato le condizioni di lavoro, lasciando per intero sulle loro spalle il peso di un servizio così importante per le famiglie e per l’intera società.

Col nuovo ministro e il nuovo governo saremo, come sempre, interlocutori attenti e disponibili al confronto, determinati nelle rivendicazioni ma pronti ad assumerci, a partire dalle sedi contrattuali di cui riteniamo urgente una piena riattivazione, la responsabilità delle scelte necessarie per sostenere obiettivi di valorizzazione e di accresciuta qualità della scuola pubblica italiana.

Francesco Scrima, segretario generale Cisl Scuola

E’ nato un nuovo Ministro…

E’ nato un nuovo Ministro…

allora partiamo da qui: Il magistrato e il narcotrafficante: “Da bambini giocavamo assieme”.

Ebbene, non ho più tanta voglia di dedicarmi al tema della valutazione che mi ha coinvolto in tanti anni di “resistenza” ai voti, alle differenziazioni in base al tanto evocato “merito”…Eppure, quando ho letto l’atricolo sopra linkato, per l’ennesima volta è scattata in me la molla, la solita molla, per molti fastidiosa come una zanzara.

Tante volte ho scritto che non si tratta di essere buonisti, teneri e materni. Tante volte, troppe volte.

Si tratta invece di comprendere che proprio al contrario di ciò che molti sostengono, i migliori risultati si ottengono con un insegnamento e un aggiornamento che rifuggano dall’apparire, dai punteggi, dal tempo speso per visionare slide sull’Invalsi, per ascoltare i nuovi profeti del digitale, per elucubrare su termini in voga quali competenze, produzione, smart school, verifiche, obiettivi, traguardi prescrittivi, ecc…

E ancora una volta sosterrò che nulla può portare alla guerra contro la dispersione se non un’attenzione totale ai soggetti, a una reale personalizzazione fatta di gesti, parole e collaborazione in relazione e in apprendimento, e non di piani scritti e poi lasciati morti sulla carta.

Ma la personalizzazione va pensata tenendo in massima considerazione il soggetto dentro la collettività nella quale vive. Infatti non ha senso nella scuola fingere che le relazioni fra pari siano ininfluenti all’apprendimento e alla costruzione della propria personalità. L’insegnante se ne accorge in ogni istante: le bambine e i bambini si guardano l’un  l’altro per chiedere approvazione, stima, fiducia, sorrisi, ai compagni più che all’adulto, il quale viene sì visto  come colui che sa e che dispensa approvazione o disapprovazione in termini numerici, ma non entra a far parte dell’anima che chiede di essere riconosciuta dai propri pari. E qui sta il punto ancora inesplorato della riuscita o meno dell’opera d’istruzione-formazione che spetta alla scuola e cioè la serena determinazione dell’insegnante a imparare in itinere a gestire i conflitti e le gioie di un gruppo non sottovalutando alcun apporto dei singoli. Scontato? No, mi sembra proprio ci sia la necessità di ripeterlo visto come vanno le cose e come sono scritte le leggi che richiamano la scuola a farsi comunità, ma poi costringono insegnanti e alunni a sottoporsi al tormentone dei risultati da verificare e giudicare immantinente, a spendersi per scrivere improbabili curricoli. La botte piena e la moglie ubriaca. Certo che la pedagogia della lumaca, quella della categoria delle possibilità, quella conversazionale ne hanno ancora di grida da levare alte e forti affinchè possano venire prese in considerazione. Ma non dispero, non si sa mai che il vento cambi, anche perché prima o poi qualcuno di buon senso dovrà pure accorgersi che il vento per ora ha fatto disastri se consideriamo il dato dell’analfabetismo di ritorno italiano in continuo aumento e la situazione di degrado culturale delle periferie (per la verità ormai anche dei centri storici) delle grandi città.

La tendenza a individualizzare e “personalizzare” facendo sconti, presupponendo una mancanza di capacità del soggetto, è sempre in agguato: ci si accorge di ciò quando leggendo fascicoli personali di alunni provenienti da altre scuole ci si imbatte in frasi il cui succo è: “non comprende…, quindi è stato affiancato da…in spazi e tempi a lui dedicati”. Ecco, la famosa parola “accoglienza”, che ormai non si sente più nominare nei diversi scritti di esperti scolastici, andrebbe invece riesumata e riempita di significato, di azioni atte a renderla efficace nel tempo. Accogliere nel senso di inglobare nella classe, accogliere nel senso di scambiarsi apprendimenti nella quotidianità, accolgliere nel senso di stare tutti insieme, non in tempi e spazi dedicati, a sconfiggere la paura di non riuscire e di non saper comunicare vissuti e opinioni, accogliere nel senso di affrontare cooperativamente i nodi più imbrogliati dell’apprendimento, accogliere nel senso di fare in modo che nessuno si senta inferiore anche fuori dalla scuola, aiutando i ragazzi a tessere nel tempo reti di protezione fra loro, reti molto più utili che non l’interventismo dell’adulto che tutto vuole organizzare e offrire…

Se l’insegnante, che è, comunque sia fatto e comunque la pensi, l’anziano di riferimento, colui che ha fatto esperienza e conosce la sua disciplina, studia i propri alunni per conoscerli e non per giudicarli, compie un atto formidabile di valutazione, l’unica possibile a scuola, quella che lo fa sentire partecipe di un dialogo bidirezionale, nel quale anche l’alunno  può studiarlo e rimandare a lui, senza paura e vergogna, la sua valutazione, i suoi dubbi, le sue fobie, la sua fragilità, le sue scoperte, le domande, ecc.

E’ un lavoro lento da cominciare dalla scuola dell’infanzia e da continuare fino all’università. Sì, fino all’università. Nessuno sorrida, perché la questione è molto seria: le aule delle facoltà sono colme di ragazzi e ragazze che hanno perso la bussola del proprio io molti anni prima, che hanno vissuto fra mille difficoltà familiari, oppure ricevendo input educativi di segno opposto: da un lato il permissivismo e dall’altro la pretesa che gli adulti hanno di esigere da loro competenze di alto livello, capacità di sacrificarsi e di tenuta nello studio.

Quando si legge la letteratura contemporanea su ciò che servirebbe alla scuola, si viene respinti senza se e senza ma: ritorno al numero chiuso nelle iscrizioni, introduzione di graduatorie ad exscludendum per entrare addirittura alle superiori, test d’ingresso selettivi, test attitudinali perfino a ragazzini di 13 anni, continuo richiamo alle prove Invalsi e alla loro validità per migliorare l’autovalutazione delle scuole… Ebbene tutto ciò che si legge è un invito a fare esattamente il contrario dopo aver visto a cosa portano tali “novità”: scalette di voti che non spiegano nulla, libretti di esercizi, somministrazione di prove prima di quella “vera”, quella dell’Invalsi, un battere e ribattere su alcuni argomenti per allenare come si fosse in un campo di calcio!

Non c’è che dire: tra le classi, le scuole sgarrupate, gli insegnanti ridotti a meri esecutori senza fantasia quando di ruolo, invisibili quando precari, e le direttive ministeriali sempre cadute dall’alto, con i ministri insensibili ad ascoltare e a vedere le peculiarità dei diversi ordini di scuola, c’è proprio incomunicabilità nonostante siamo nell’era della comunicazione!

carrozzaHo appena sentito che al Ministero dell’Istruzione c’è Maria Chiara Carrozza che un giorno disse che se fosse stato in suo potere avrebbe stravolto l’università e la ricerca, ebbene spero tanto che stravolga la scuola a cominciare da quella di base nel senso di un abbandono dei tecnicismi, dei test, delle esclusioni, dei voti, del rendere conto burocraticamente di ogni respiro delle attività. Auguro ai nostri alunni e alunne che possano avere tempi distesi di apprendimento, lunghe pause per lavorare sul sé, sulla lingua per esprimersi, per ragionare sulle scoperte matematiche, lasciando spazio al narrare, argomentare, alla lettura, alla creatività…una scuola come laboratorio di pensiero e azione, senza anticipazioni, senza forzature imposte dall’esterno. Una scuola così presuppone fiducia e valorizzazione dei docenti finalmente considerati depositari di esperienze, di strategie e la sospensione di tutte le direttive che hanno imprigionato e bloccato ricerche, pratiche positive e immissioni in ruolo dei precari.

E per favore si cancelli la riforma che ha imposto il “maestro unico”, ha impedito la diffusione del tempo pieno su tutto il territorio, ha distrutto i moduli nella primaria, ha sacrificato le compresenze in nome dei risparmi sulle supplenze non certo in nome dell’attenzione e la cura agli alunni. Gli insegnanti elementari si sono ritrovati fra le mani una scuola completamente svuotata, impoverita in ogni senso possibile e contemporaneamente caricata di assurdità pedagogiche come i voti, l’Invalsi, l’eliminazione di programmi nazionali, della Storia Moderna, classi con numeri spropositati di alunni anche in presenza di portatori di qualche disagio o disabilità, tagli sul sostegno…

Se le economie dello Stato soffrono, si cerchi almeno di risparmiare su capitoli del ministero inutili alla nascita di una scuola equa: troppe spese superflue sono state fatte senza pensare all’essenziale e cioè alla cura per la vita delle persone.

Claudia Fanti

Autonomia va cercando

Autonomia va cercando

di Gian Carlo Sacchi

La debolezza della politica scolastica in questo periodo è sotto gli occhi di tutti. La struttura del sistema rimane sempre la stessa ma viene svuotata dall’interno; ci sono i vincoli per tutti ma non le risorse per poterli praticare, mentre sono i territori, per non dire a volte solo le famiglie, che devono sempre di più assicurarsi il diritto allo studio senza poter intervenire per conferire maggiore equilibrio tra le domande del territorio stesso e le risposte sempre più affannose e inadeguate che vengono dal centralismo burocratico.

Alcuni documenti comparsi in questi ultimi tempi che cercano di andare oltre la routine e i soliti slogan che anche nella recente campagna elettorale ci hanno cosparso di tecnologie e di demagogiche promesse ai precari, tornano a parlare seppure in modi diversi di autonomia e flessibilità dell’organizzazione scolastica per poter dialogare efficacemente con la società in trasformazione.  I segnali sono contraddittori, partono dal richiamo ” all’autonomia responsabile”, affermazione adottata dal governo Monti, in cui però si fa prevalere l’aggettivo sul sostantivo, sotto la minaccia della valutazione.

Non viene sostenuta infatti l’autonomia delle scuole e dei sistemi formativi territoriali , a cominciare dall’applicazione del nuovo (2001) titolo quinto della Costituzione, rimasto fin qui lettera morta; è dall’incentivare l’iniziativa locale che si avrebbe come contropartita il rendere conto del raggiungimento dei comuni obiettivi nazionali: una valutazione senza autonomia non migliora il risultato, rischia di portare le già gracili istituzioni scolastiche al collasso. Sembra una contraddizione promuovere l’autonomia con la valutazione come è detto nel recente regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri; se non si può agire è difficile sperimentare la responsabilità e poter decidere da ciò che appare come criticità la realizzazione di un piano di miglioramento.

Sia che sia auto, sia che sia etero valutazione il problema è quali margini di manovra ha il soggetto valutato per migliorare. Avere persone esperte che vanno nelle scuole, interagiscono con il personale, consigliano interventi migliorativi, ben vengano se sono guidati dalla competenza, dalla ricerca educativa ed hanno a loro volta autonomia culturale e professionale, cosa che non si può dire fin qui di chi le recluta e fornirà loro gli indirizzi di lavoro.

L’Europa ci bacchetta perché non abbiamo un servizio nazionale di valutazione, ma in molti Paesi esso è indipendente dalla burocrazia ministeriale; quest’ultima da noi governa direttamente il sistema, a cominciare dai dirigenti scolastici, con buona pace di chi teorizza una loro leadership educativa, e non si limita, come invece prevede la Costituzione, ai Livelli Essenziali delle Prestazioni, che sono ancora di la da venire. Siamo passati dal controllo degli adempimenti (ispettori) al controllo dei risultati (INVAlSI), ma la regìa è sempre la stessa, anzi si amplia anche nella direzione del controllo dell’innovazione (INDIRE).

Altro che “rendicontazione sociale”, la comunità dovrà limitarsi a leggere delle statistiche, rimanendo in attesa che qualcosa cambi, ma senza sapere bene per opera di chi;  spendere un ingente patrimonio per fare diagnosi forse non serve, anche se il decreto ne sembra convinto, a superare l’attuale crisi economica.

Se si esce dall’autoreferenzialità si nota che le analisi condotte dal Ministro Giarda su alcuni settori della spesa pubblica, ma non è il primo documento di Pietro Giarda in tal senso, portano alla necessità di allineare i sistemi di governo di sanità e istruzione, decentrando evidentemente quest’ultima, in modo che anche i rapporti finanziari centro-periferia possano essere a loro volta allineati. La maggior parte del gettito dell’IMU, e gli orientamenti del federalismo fiscale, ribadisce il documento del ministero per i rapporti con il parlamento, dovrebbe tendere in modo significativo  all’istituto della compartecipazione, mentre oggi la parte prevalente (oltre il 60% delle spese) è assicurata dal trasferimento statale.

I pronunciamenti dei “saggi”, che dovrebbero costituire una sorta di programma per il nuovo governo, rimarcano il varo da parte della conferenza stato-regioni del decreto sui suddetti Livelli Essenziali, così come confermano per il settore dell’istruzione la formulazione del nuovo art. 117 della Costituzione per quanto riguarda le “competenze concorrenti”, anche se è ben presente il rischio di produrre diseguaglianze nelle divere parti del Paese (ma il centralismo sin qui non ha assicurato l’equità). Giarda parla di “una burocrazia dispersa a governare  un esercito di più di un milione di dipendenti pubblici che operano in strutture tecnologicamente molto arretrate”.

La Costituzione stessa prevede la “sussidiarietà verticale”, ma un conto è il necessario intervento perequativo, un altro è un’autonomia che all’inizio poteva essere anche accompagnata ma che di fatto è stata irretita.

E’ interessante vedere come sempre il gruppo che si è occupato delle riforme istituzionali abbia ripreso la tematica della riforma della finanza locale, con la motivazione che proprio la crisi economica potrebbe “costituire la ragione per esaltare le ragioni del federalismo fiscale . Questa riforma (L. 42/09 e successivi decreti applicativi), infatti, rafforza la responsabilità delle autonomie territoriali nella gestione dei propri bilanci (il contrario di quanto sostenuto nel decreto sulla valutazione) a partire da una ripartizione delle risorse pubbliche tra tutti i livelli di governo  e tra enti decentrati ispirata a criteri di equità  e di efficienza. La riforma, è opinione dei saggi, non va lasciata nel limbo, va invece ripresa come componente essenziale  delle politiche per il rilancio del Paese”.

Un documento del tutto nuovo rispetto alle tradizioni ministeriali è quello relativo alle norme tecniche di funzionalità edilizia e urbanistica. Si parla di superamento della centralità dell’aula e di una scuola come luogo integrato di microambienti per attività differenziate; di un principio di autonomia di movimento per lo studente. Qui il docente non ha un posto fisso, si muove tra vari tavoli per facilitare l’apprendimento; una diversa organizzazione degli spazi dovuto soprattutto all’uso delle tecnologie.  L’adattabilità di detti spazi si estende anche all’esterno, offrendosi alla comunità locale: la scuola si configura come un civic center in grado di fungere da motore del territorio e di valorizzare istanze sociali, formative e culturali.

L’aula moderna non è l’unico spazio e non è centrato sul docente, ma uno dei tani spazi di un percorso di apprendimento centrato sullo studente. Atelier, laboratorio in cui gli studenti possano muoversi in autonomia; diversificazione delle occasioni formative anche con funzioni individualizzanti. Spazi per apprendere in modo informale, relazionale, di ricerca per i docenti, biblioteche, archivi, centri di documentazione; cucine, caffetterie e zone relax.

E’ vero che le Indicazioni Nazionali per il curricolo nei vari gradi scolastici fanno frequente riferimento ai laboratori e ad una didattica attiva, ma definire l’aula un non luogo va ben oltre una questione metodologica interna all’agire didattico; l’autonomia dello studente in un’ottica di personalizzazione dei percorsi formativi richiede autonomia della scuola per poter vivere il suo ruolo, come è definito, di civic center.

Quando ci saranno le condizioni per poter operare una simile riconversione non si venga a dire che bastano le tecnologie per realizzarla. Anzi, queste ultime permetteranno e richiederanno  una organizzazione diversa degli spazi di apprendimento, nell’ambito di una strategia “costruttivista” se verranno abbinate ad una nuova governance degli istituti e ad un loro più deciso ruolo nella realtà territoriale.

Pur muovendo da situazioni e da posizioni diverse si arriva sempre lì, a ridiscutere del problema dell’autonomia; una svolta in tal senso tanto invocata potrebbe sistemare tante cose, di carattere pedagogico, economico, organizzativo e sociale. E’ quello che il nuovo governo può fare a legislazione invariata.

E. Keret, All’improvviso bussano alla porta

Un riso di riflessione

di Antonio Stanca

fotoDa Feltrinelli, nella serie “I Narratori” e con la traduzione di Alessandra Shomroni, è stata pubblicata la raccolta di racconti All’improvviso bussano alla porta dello scrittore israeliano Etgar Keret (pp. 187, € 15,00). E’ l’ottava raccolta del Keret che compare in Italia, è la più recente dello scrittore e come le altre rientra nella corrente della letteratura surreale, della narrativa dell’assurdo definitasi in Israele verso la fine degli anni Novanta e durata fino ai giorni nostri.

Keret è nato a Tel Aviv nel 1967, ha cominciato a scrivere durante i tre anni del servizio militare che in Israele sono obbligatori, la sua tendenza è per il racconto breve, è anche l’autore di un libro a fumetti e molto si è impegnato per la televisione e il cinema, a volte i lavori di scrittura e sceneggiatura sono stati svolti in collaborazione con altri autori. Molto tradotte sono le sue opere di narrativa e molti riconoscimenti hanno ottenuto in patria e all’estero insieme a quelle di cinematografia. Ora, a quarantasei anni, vive con la famiglia, la moglie attrice e il figlio, a Tel Aviv e qui insegna nella Facoltà di Cinema e Televisione dell’Università.

Come scrittore Keret fa parte della nuova generazione di scrittori ebrei, alcuni critici lo ritengono il creatore della suddetta nuova corrente letteraria, quella dell’assurdo, che con lui accoglie pure l’ironia poiché convinto è Keret che essa sia il mezzo migliore per combattere i gravi problemi che attraversano la realtà soprattutto nei tempi moderni. Durante la sua vita ai disagi, alle incertezze, alle paure che aveva provato da giovane aveva reagito con l’umorismo, non si era lasciato superare né si era rifugiato nella condizione dello sconfitto. Aveva mirato a sollevarsi dalle cadute, aveva aspirato a risolvere i problemi per quanto difficili si presentassero. E ironia fa pure dei problemi dei tanti, infiniti personaggi dei suoi racconti compresi quelli di quest’ultima raccolta. Anche qui i protagonisti sono persone di ogni età, ragazzi, giovani, adulti, anziani, uomini, donne, di ogni condizione sociale, di ogni luogo e sono alle prese con le difficili situazioni che oggi si presentano all’interno o all’esterno della casa, della famiglia, con problemi di residenza, di lavoro, di formazione, di comunicazione, di scambio, con contraddizioni, assurdità, paradossi, imprevisti, strane combinazioni. E’ l’uomo di ogni parte del mondo, è l’umanità, quella rappresentata dal Keret di questo libro, di fronte a casi diventati tanto difficili da sembrare di non potersi risolvere. Non rinuncia, però, egli ad intravedere una luce tra tante tenebre, a sperare in una conversione, in una modifica. Mai manca, nelle sue narrazioni, anche se spesso ridotta alla sola parte finale o ai pochi righi della conclusione, la speranza di un riscatto, di una salvezza dal pericolo incombente. Come ha fatto per la sua vita così  fa Keret per i suoi personaggi, non si rassegna a vederli finiti, sconfitti, vuole liberarli dalla condizione nella quale sono precipitati. Per questo essa viene sdrammatizzata, colta negli aspetti curiosi, comici che può assumere nonostante la sua gravità. E’ capace Keret di divertire, di far ridere anche di un problema, di un dramma perché non si arrende completamente ad essi.

La sua scrittura è un documento di vita, di storia, i racconti di All’improvviso bussano alla porta dicono di persone non solo d’Israele ma che ovunque hanno problemi, soffrono e per tutte lo scrittore interviene a rappresentarle, a ridurre l’intensità, la gravità delle loro situazioni, a credere in un risvolto, a far apparire comiche le loro storie.

Una finalità umanitaria è quella del Keret, uno spirito di partecipazione, di collaborazione è il suo, un intento esortativo lo muove: vuole far sapere cosa succede, quanto è difficile vivere oggi e vuole pure essere vicino a chi soffre affinché non si arrenda alle difficoltà. E perché la sua esortazione riesca a convincere, perché giunga in modo immediato oltre a quello della comicità usa il mezzo del racconto breve. Con esso quell’esortazione diventa naturale, spontanea, simile alla sollecitazione che proviene da un amico in un momento particolare. Brevi sono i suoi racconti, rapida, veloce è la sua lingua come le immagini dei suoi fumetti, della sua televisione, del suo cinema. Lo considera il miglior modo per arrivare subito agli altri. Difficile sarebbe, secondo Keret, ottenere simili risultati tramite un lungo romanzo. Vi andrebbe ridotta l’immediatezza, la spontaneità del messaggio da trasmettere, perderebbe di forza il sentimento che lo vuole, l’anima che lo nutre. Vero, autentico vuole essere lo scrittore Keret. Non vuole scomparire dietro le sue pagine ma mostrarsi ad ogni passo,  farsi notare, sentire.

La sua scrittura è stata apprezzata, premiata perché diverte mentre coglie quanto si agita nella vita, individuale e collettiva, dell’uomo moderno, fa ridere ma pure riflettere, veramente nuovo rende il suo autore.

Il secondo peccato originale

Il secondo peccato originale

di Adriana Rumbolo 

Nell’infanzia e adolescenza periodo relativamente breve, ma intensissimo di cambiamenti ,di vere e proprie trasformazioni   l’inevitabile convivenza natura-cultura non riesce  spesso ad esprimersi con armonia :  vengono messe sotto silenzio  le emozioni ,inclinazioni biologiche,   base della sopravvivenza  a  favore di  modelli inneggianti alla “ragione” di  varie socio-culture con risultati forzati e scarsamente produttivi e originali

Si è preferito  “educare” la parte cognitiva del cervello  forse perché  più  controllabile,   facilmente da buoni risultati,  favorisce l’innato senso del dominio ,del potere giudicante  stabilendo , senza alcun dubbio , la scaletta dei giovani soggetti dai più efficienti a quelli meno dotati,secondo il  famoso  QI .

Se  nel percorso di crescita dove , spesso la scuola è ed è stata l’espressione più forte della corrente della ragione , un soggetto ,per vari motivi non riesce  ad integrarsi, e stranamente  , rappresenta più,  della metà di una classe ,perde anni preziosi ,subisce frustrazioni e sarà  sempre più confuso sulle sue potenzialità e sulla sua crescita con forti frustrazioni.

Chiediamoci  perché  spesso la statistica ci informa che molti suicidi di adolescenti avvengono proprio  nelle sedi scolastiche.?

Sappiamo bene  che  prima della vita scolastica i ragazzi hanno vissuto in seno alla famiglia, dove sono maturate le prime e più importanti conoscenze.

E’ all’infanzia, che spettano le “operazioni più significative”.

E’ vero che il nostro cervello è costituito da strutture fissate fin dalla nascita o che maturano successivamente sotto la direzione di un ingegnere genetico, ma è costituito anche da strutture aperte , plastiche ( neuroplasticità), che invece rispondono e si organizzano sotto l’azione delle vicende personali e sociali.

Gli scopi della scuola ,in condizione di poterlo fare, dovrebbero essere quelli di fornire agli studenti con il dialogo, informazioni scientifiche soprattutto senza  emozioni-tomizzate,(il cervello non si può dividere)per conoscersi meglio, per avere maggiore fiducia in se, (autostima) e migliorare i rapporti con gli altri : : buoni risultati ne conseguiranno.

Se Dio non voleva che Adamo ed Eva  mangiassero la mela non  avrebbe messo l’albero di quel frutto nell’Eden;se le emozioni non fossero così necessarie,   l’evoluzione della specie le avrebbe perse per strada già da molto tempo :la scuola lo tenga presente.

Concludo  con la riflessione scritta di uno studente un po’ timido, di dodici anni nel 2011: “ogni giorno ,penso a quello che mi potrebbe accadere a scuola  ma,dopo i giorni che Adriana Rumbolo è venuta a scuola,non dimentico una cosa sola che devo portare con me l’intelligenza e non solo quello,ma anche i miei sentimenti che negli ultimi tempi mi avevano fatto vivere come una matricola , insomma o meglio o più esplicitamente come  un disgraziato. Ora sono più tranquillo.

L’esercito dei beffati dal concorso statale

da La Stampa

L’esercito dei beffati dal concorso statale

Sono migliaia in tutta Italia: hanno passato le prove ma non sono riusciti ad avere il posto conquistato

Lorenza Castagneri

ROMA

Belli i tempi in cui avere il posto statale voleva dire essere «sistemati» a vita. Senza preoccupazioni di perdere il lavoro né ansie per la pensione. Bei tempi davvero. Oggi, invece, le cose sono un po’ cambiate. E non è tutta colpa dei contratti a tempo determinato.   

Ormai nemmeno aver vinto un concorso statale, garantisce più il posto fisso.  

In Sicilia 97 restauratori hanno atteso 11 anni la graduatoria definitiva del concorso a cui hanno partecipato nel 2000: oggi, a causa di una legge regionale, non possono essere assunti. Ma i casi sono tantissimi e ognuno è, a suo modo, eclatante. C’è quello, per esempio, dei vincitori del concorso dell’Ice, l’Istituto per il commercio estero. Loro hanno passato le prove e nel frattempo l’ente è stato abolito. Poi l’Ice è stato riformato dal Governo Monti sotto forma di agenzia ma di quei concorsisti ne sono stati assunti nove. Nove su 107 vincitori. E che dire poi degli amministrativi dell’Inail? Dopo un concorso che tra una prova e l’altra è durato tre anni, dal 2007 e al 2010, 95 su 404 hanno avuto il loro posto. Gli altri sono ancora tutti in attesa. Nella stessa situazione si trovano anche 39 psicologi penitenziari vincitori del concorso bandito nel 2004 dal Ministero della Giustizia. Prima il blocco delle assunzioni, poi il trasferimento della Medicina Penitenziaria alle Asl, già previsto per altro. Risultato: da sei anni questi professionisti aspettano di prendere servizio.

In Italia i vincitori delle selezioni pubbliche che, pazienti, da anni attendono di essere chiamati per quel posto tanto sudato sarebbero 100 mila. Questo raccontano le ultime stime della Cgil. Dare numeri certi, tuttavia, è pressoché impossibile. Una delle poche rilevazioni, è quella effettuata lo scorso anno dal Ministero della Funzione Pubblica sulle graduatorie ancora valide dei concorsi a tempo indeterminato banditi fino al 2011 dalle amministrazioni centrali. Escludendo il comparto sicurezza, risulta che, su 68 enti considerati, il 25 per cento dei vincitori devono ancora essere assunti. Per loro nessuna garanzia e nessuna certezza sui tempi. In teoria le graduatorie scadono dopo tre anni dalla pubblicazione. Finora molte sono state oggetto di proroga. L’ultima fino al 30 giugno. E dopo? Semplice: se non ci saranno ulteriori rinvii saranno annullate. E per i vincitori sarà come non aver mai sostenuto il concorso. «Purtroppo è così» conferma Antonio Naddeo, capo dipartimento della Funzione Pubblica. «Ma come è accaduto in passato non dovrebbero esserci impedimenti per una nuova proroga – aggiunge – Aspettiamo il nuovo Governo».  

Ma le rassicurazioni non accontentano di certo i «beffati del concorso»: vincitori di un posto pubblico che si sono ritrovati a fare i conti con il blocco del turn over. «Per contenere la spesa pubblica, lo Stato ha tagliato sui dipendenti statali. Negli ultimi anni si sono persi 264mila posti» spiega Giovanni Faverin, segretario nazionale Cisl Funzione Pubblica. Non basta. Nel luglio 2012 la spending review del Governo Monti ha ridotto del 10% l’organico nella pubblica amministrazione per quanto riguarda i dipendenti e del 20% per i dirigenti. E così mentre le amministrazioni per mancanza di personale sono spesso costrette a fare ricorso a consulenti esterni per smaltire il lavoro, i vincitori dei concorsi stanno a casa ad aspettare la chiamata della vita.   

E poi ci sono i soldi: milioni di euro spesi ogni anno dalle amministrazioni per l’organizzazione delle prove: affitto delle sale, commissioni e servizio di sicurezza. Soldi che rischiano di essere buttati al vento.  

Per rappresentare le istanze dei concorsisti, nel 2010 è nato il comitato «XXVII Ottobre» che ha contribuito a redigere il testo della proposta di legge che regolamenta la situazione dei vincitori non assunti presentata alla Camera da Cesare Damiano. Si chiede, spiega Alessio Mercanti, il blocco dei concorsi per tre anni «E la creazione di una graduatoria unica formata dai vincitori non assunti, da cui le amministrazioni a corto di personale possano attingere». 

Scatti di anzianità 2011, tra soddisfazione e polemiche arrivano gli arretrati

da Tecnica della Scuola

Scatti di anzianità 2011, tra soddisfazione e polemiche arrivano gli arretrati
di A.G.
In busta paga a maggio pure l’aumento di stipendio. Scrima (Cisl): gli accordi pagano. Poi altre frecciatine alla Cgil: chi non ha firmato quell’accordo non può oggi dirsi soddisfatto contestando l’intesa che li ha resi esigibili. In attesa della replica di Pantaleo, arrivano le critiche di Pacifico (Anief): il recupero non è totale, perché il personale non è tornato all’anzianità retributiva del cedolino del 2010.
Finalmente, dopo tanta attesa, per diverse decine di migliaia di docenti e Ata della scuola è giunto il momento dell’accredito degli arretrati maturati nel 2011 a seguito dello “scatto” degli aumenti automatici sinora non riconosciuto. L’accordo raggiunto tra Cisl, Uil, Snals, Gilda e amministrazione ha infatti permesso (pur sacrificando risorse interne non certo trascurabili, tra cui un quarto dei fondi destinati al Mof), lo sblocco di una situazione che si trascinava da troppo tempo.
Per Francesco Scrima, leader della Cisl Scuola, è la dimostrazione che “gli accordi pagano”. Dopo aver ricordato che “con la busta paga di maggio si avrà poi la regolarizzazione di tutte le posizioni stipendiali (per molti ci sarà un aumento di retribuzione, per tutti si accorcerà di un anno l’attesa del passaggio allo scatto successivo)”, Scrima ha colto l’occasione per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Tornando a mandare frecciatine a quella Flc-Cgil con cui da alcuni anni non si trova più in sintonia.
“Rispettiamo la decisione di chi ha fatto scelte diverse, ma  – dice il sindacalista – chi non ha firmato quell’accordo non può oggi esprimere soddisfazione perché si ridanno gli scatti e contemporaneamente contestare l’intesa che li ha resi esigibili. Non c’è alcuna logica in dichiarazioni di questo tenore, che mascherano a fatica il disagio per l’inconcludenza di comportamenti più ideologici e politici che sindacali”.
Scrima non nasconde l’importanza di riallacciare un dialogo con le istituzioni che governano il Paese. “L’obiettivo di una piena valorizzazione, anche economica, del lavoro nella scuola resta per noi al primo posto nel confronto che vogliamo aprire da subito col nuovo Governo, se andrà in porto positivamente il tentativo di formarlo. Per noi è importante arrivarci avendo nel frattempo portato a soluzione qualche problema, senza limitarci soltanto a denunciarne l’esistenza”.
In attesa della replica della Flc-Cgil, che visti i precedenti non tarderà ad arrivare, a rispondere indirettamente a Scrima è stato il presidente dell’Anief Marcello Pacifico. Il quale non ha mancato di ricordare che il pagamento degli scatti è stato “ottenuto nel 2010 e 2011, rivendicato dai sindacati rappresentativi (eccetto FLC)”, solo “grazie al taglio di 50.000 posti di lavoro e del 25% delle risorse del MOF”. E il futuro non promette nulla di buono, visto che “nel nuovo contratto, per un dipendente su quattro, gli scatti scompariranno in favore del merito – performance individuale, a parità di nuovi risparmi”. Per il rappresentante dell’Anief “quando sarà sbloccato (il blocco permane per il 2012-2013) la filosofia rimarrà”, infatti, “quella definita nell’atto di indirizzo all’ARAN a seguito dell’intesa confederale firmata sempre da alcune organizzazioni sindacali il 4 febbraio 2011: soldi in cambio di risparmi, ma non più per tutti i dipendenti ma per fasce, ovvero soltanto al 75% di essi (con un’ulteriore differenziazione tra il 25% e il 50% di essi), e non più come criterio di merito in base all’anzianità di servizio ma alla misurazione della performance individuale all’interno dell’unità aziendale virtuosa che ha raggiunto i livelli di prestazione di efficienza e di efficacia o ancora di produttività previsti a livello nazionale”.
Pacifico sostiene, inoltre, che malgrado “il riconoscimento degli scatti, a carissimo prezzo, per il 2010 e 2011”, il personale della scuola “continua a essere vessato perché non è ritornato all’anzianità retributiva prevista nel cedolino del 2010, se neo-assunto o pensionato ha avuto la ricostruzione di carriera e lo stipendio bloccato con perdita di ulteriori benefici economici”. L’Anief, quindi, si muoverà come gli riesce meglio: invitando il personale danneggiato a diffidare Mef e Miur “per ottenere quanto spettante”.

Olimpiadi di Italiano, si impongono due studenti di Padova e Frosinone

da Tecnica della Scuola

Olimpiadi di Italiano, si impongono due studenti di Padova e Frosinone
di A.G.
Si chiamano Alessandro Tosatto e Beatrice Vano, rispettivamente frequentati il liceo ginnasio statale Tito Livio del capoluogo veneto e il liceo classico Giosué Carducci del centro ciociaro. La coppia si è imposta tra i 64 finalisti ritrovatisi in questi giorni a Firenze. Tutti i vincitori delle altre categorie.
Si chiamano Alessandro Tosatto e Beatrice Vano: sono loro gli studenti, frequentati rispettivamente il liceo ginnasio statale Tito Livio di Padova e il liceo classico Giosué Carducci di Frosinone, i vincitori della seconda edizione delle Olimpiadi di Italiano. Le competizioni, riguardanti biennio e triennio delle scuole superiori, sono state organizzate dal Ministero dell’istruzione con l’Accademia della Crusca. Per gli studenti del biennio delle scuole all’estero la vincitrice è Marta Gentili (Madrid – scuola statale italiana). La coppia si è imposta tra i 64 finalisti ritrovatisi in questi giorni a Firenze. Per gli studenti del triennio delle scuole all’estero è risultato vincitore Luca Aufiero (Madrid, suola statale italiana). Alla premiazione degli studenti delle superiori più bravi, svolta il 27 aprile a Firenze, erano presenti anche l’assessore comunale all’educazione Cristina Giachi, la direttrice generale del Miur Carmela Palumbo, la presidente dell’Accademia della Crusca Nicoletta Maraschio, la presidente dell’Associazione per la Storia della Lingua Italiana Rita Librandi. Per il biennio al secondo posto si è classificato Alessandro Bullitta (Nuoro – liceo scientifico e linguistico Enrico Fermi), al terzo posto Adelina Vrinceanu (Acqui Terme – Alessandria, istituto superiore Guido Parodi). Per il triennio il secondo classificato è Giovanni Natale (Altamura-Bari, liceo scientifico e linguistico Federico Di Svevia), al terzo posto si è piazzato, invece, Riccardo Paccagnella (Padova-liceo scientifico Enrico Fermi).

Carrozza come Profumo? Due Ministri così uguali, così diversi…

da Tecnica della Scuola

Carrozza come Profumo? Due Ministri così uguali, così diversi…
di Alessandro Giuliani
Entrambi hanno una formazione ingegneristica, sono stati rettori universitari, hanno guidato la Sant’Anna di Pisa. Tutti e due sono convinti che gli aumenti contrattuali passino per un “merito” da associare alla maggiore presenza a scuola. E che la macchina scolastica vada digitalizzata. Il neo Ministro, però, si differenzia per essere un sostenitore dell’organico funzionale e assertore di un piano pluriennale in grado di esaurire il prima possibile le graduatorie dei precari.
C’è un filo comune che sembra legare il nuovo ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, con quello uscente, Francesco Profumo: entrambi hanno una formazione accademica ingegneristica; entrambi sono stati rettori universitari; entrambi  hanno guidato la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. L’ordinario di Bioingegneria Industriale di Pisa, inoltre, è già sufficientemente conosciuto al Miur: Carrozza, infatti, è da tempo coordinatrice di diversi progetti finanziati dalla Commissione Europea e dallo stesso dicastero di viale Trastevere.
Malgrado le similitudini, sul fronte della politica scolastica (quella che interessa più da vicino studenti, famiglie e dipendenti dell’istruzione) le strade parallele dei due sembrano dividersi: il programma della Carrozza, infatti, è praticamente quello presentato da mesi dal Partito Democratico, in corrispondenza della campagna elettorale per vincere le elezioni politiche. Con alcuni punti che si discostano, almeno a livello preliminare, da quelli condotti negli ultimi 18 mesi al Miur: le discordanze si trovano nella volontà del nuovo Ministro, ad esempio, a voler introdurre l’organico funzionale. Una soluzione, che chiedono da tempo anche i sindacati, che permetterebbe ai dirigenti scolastici di portare in porto la decantata autonomia attraverso la conferma per almeno un triennio del corpo insegnante e Ata in dotazione.
Ma le diversità tra i due non finiscono. Nelle ultime ore, la Carrozza avrebbe infatti confermato la volontà di assumere in blocco tutti i precari sui posti vacanti varando un vasto piano di assunzioni triennali. Su quest’ultimo punto, l’ex rettore ha detto che occorre approvare “un piano pluriennale di esaurimento delle graduatorie per eliminare la precarietà dalla scuola e offrire la necessaria continuità didattica agli studenti italiani”. Riprendendo a realizzare, su questo punto, non proprio quanto tentò di fare l’ex ministro Profumo (che, anzi, puntando tanto sui concorsi a cattedra ha rallentato l’assorbimento dei precari storici). Ma rispolverano un programma avviato da qualche “inquilino” che lo ha preceduto a capo del palazzo bianco di viale Trastevere: Giuseppe Fioroni, sostenitore del piano di 150mila assunzioni in tre anni, salvo poi piegarsi alla caduta del Governo di cui faceva parte per fare spazio all’ultimo esecutivo Berlusconi e ai tagli Tremonti-Gelmini.
Certo, vi sono anche delle similitudini. Come la volontà, per entrambi, Profumo e Carrozza, di puntare sulla digitalizzazione della macchina scolastica. Oppure la convinzione che i nuovi contratti debbano essere legati ad un merito a sua volta da associare alla effettiva presenza a scuola (oltre quindi la sola didattica e ben oltre le attuali 40 + 40 ore).
I due accademici, protagonisti dell’ultima “staffetta” a capo del Miur, inoltre, sono fortemente convinti che per combattere la dispersione scolastica occorra tenere le scuole aperte anche di pomeriggio. Rimane da capire con quali soldi, visto che Comuni e Province tendono ormai a ridurre al minimo indispensabile il “monte” ore di attivazione delle utenze da pagare. Per non parlare dei soldi da destinare al personale presente oltre il proprio orario di servizio, ad iniziare dai collaboratori scolastici incaricati di tenere aperti i locali sino quasi all’ora di cena.
Siamo convinti che si tratta di particolari importanti, non certo di dettagli. Come qualcuno potrebbe obiettare. Perché senza finanziamenti adeguati sarà dura per tutti raggiungere risultati importati a capo del Miur. Se però il neo Ministro dovesse trovare il modo per trovare una soluzione al problema, derivante proprio da un adeguato investimento di fondi statali, allora avrebbe già fatto tantissimo per l’istruzione pubblica italiana.
Intanto, si aggiungono di ora in ora gli apprezzamenti per la scelta fatta dal nuovo Capo del Governo, Enrico Letta, a proposito di responsabile dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Riportiamo, tra le tante, quella del sindaco pisano, Marco Filippeschi: “sono contentissimo della scelta di Chiara Carrozza come ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e le ho inviato il ‘in bocca al lupo’ a nome di tutti i pisani. E’ una donna competente, capace e impegnata – ha aggiunto – e attenta ai giovani, ci rappresenta nel nostro bene più caro, quello che ci distingue”.

Maria Chiara Carrozza: “Investire in istruzione il 6% del PIL”

da Tecnica della Scuola

Maria Chiara Carrozza: “Investire in istruzione il 6% del PIL”
di R.P.
E’ quanto aveva dichiarato due mesi fa nel corso di un’intervista all’Huffington Post. E ancora: ripristino del tempo pieno e biennio unitario.
Intervistata due mesi fa da Huffington Post, pochi giorni prima del voto, la professoressa Maria Chiara Carrozza sosteneva che le politiche scolastiche devono cambiare e spiegava: “Per cambiare, è essenziale ripartire dalle scelte degli ultimi anni in termini di composizione della spesa pubblica: come certifica il Rapporto Giarda, l’Italia negli ultimi 20 anni ha ridotto enormemente il totale della spesa pubblica destinata all’istruzione, (-5,4%), che non ha paragone in nessun altro comparto della spesa dello stato. È necessaria un’inversione di tendenza”. Chi la intervistava faceva osservare che secondo l’Unione Europea è indispensabile che nei Paesi membri aumenti la percentuale dei laureati fino ad arrivare al 40% (in Italia siamo attualmente intorno al 20%) e che il perseguimento di tale obiettivo avrebbe “un impatto positivo sull’occupazione e la crescita”. Sul che fare per raggiungere l’obiettivo la professoressa Carrozza affermava: “I fronti d’azione sono almeno tre: gli studenti, i docenti e la struttura di governo universitaria. Partiamo dagli studenti lavorando sull’orientamento e il diritto allo studio. Serve un investimento serio sull’orientamento e l’informazione dei diplomandi e delle famiglie, e soprattutto dei professori delle scuole superiori con ore dedicate, pre-test e un adeguato materiale informativo nazionale”. “Studiare non è inutile – proseguiva Carrozza – i laureati continuano ad avere migliori opportunità lavorative e salari più elevati, ma negli ultimi vent’anni i rendimenti dei titoli di studio di livello universitario e di scuola media superiore sono diminuiti in Italia in modo consistente, generando una caduta delle aspettative nell’istruzione, evidente nell’aumento dei giovani che non studiano, non si formano e non lavorano”. “Gli studenti e le famiglie – concludeva su questo punti il futuro ministro – devono essere messi in condizione di poter affrontare l’investimento universitario ripartendo dal diritto allo studio e cancellando l’inutile “fondo per il merito” tremontiano per realizzare un “Programma nazionale per il merito e il diritto allo studio”, finanziato con 500 milioni (per i primi anni tratti in larga parte dal Fondo ordinario per l’università, riportato alla sua dotazione precedente agli ultimi tagli), che affianchi gli interventi regionali”. E, insieme con Francesca Puglisi che partecipava all’intervista, il rettore Carrozza definiva anche l’entità dei finanziamenti necessari per far ripartire il “sistema scuola”: “L’obiettivo nazionale è riportare gradualmente l’investimento almeno al livello medio dei Paesi OCSE (6% del PIL)”. Per quanto riguarda poi la riforma complessiva del sistema scolastico Carrozza e Puglisi erano molto precise: “Nella scuola primaria vogliamo rimettere in vetrina i gioielli di famiglia del sistema scolastico italiano: tempo pieno e modulo a 30 ore con le compresenze, mentre per la scuola media, punto critico per l’abbandono scolastico, dobbiamo reclutare una leva di insegnanti specializzati per preadolescenza e adolescenza, e allungare il “tempo scuola” (scuole aperte anche al pomeriggio con sport, tecnologia, studio in gruppo, laboratori, classe aperte ecc). Per il ciclo superiore, il Pd propone un primo biennio unitario, così che la scelta a quale scuola iscriversi non sia fatta in 3° media, troppo presto, ma maturi dopo i primi due anni della secondaria”.
Queste le intenzioni espresse due mesi addietro. Vedremo ora quanto il neo-ministro potrà o sarà in grado di realizzare di quell’ambizioso programma.

Dopo Profumo arriva Carrozza: un bilancio dell’ex ministro dell’Istruzione

da Tecnica della Scuola

Dopo Profumo arriva Carrozza: un bilancio dell’ex ministro dell’Istruzione
di Lucio Ficara
Con la nomina di Maria Chiara Carrozza alla Minerva, si aprono ancora una volta speranze per la scuola, vista la sua provenienza dal mondo dell’Istruzione. Stesse speranze che aveva aperto Francesco Profumo, ma che per molti versi sono andate deluse. Nell’augurargli ogni bene e un grande “in bocca al lupo”, ecco un breve excursus della sua attività al Miur.
novembre 2011  Francesco Profumo è stato il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, del governo Monti. Mantiene la presidenza del Cnr, il consiglio nazionale delle ricerche, assunta nell’agosto 2011, anche se gli viene fatto notare, da più parti, che la carica di ministro confligge con quella di Presidente del Cnr.

dicembre 2011  Con il decreto salva Italia si colpiscono in modo particolare e profondo tutti i docenti e tutto il personale scolastico. Nello specifico chi hanno raggiunto la fatidica quota 96, cioè coloro che avendo compiuto 60 anni di età entro il 2012 ed avendo versato 36 anni di contributi, per effetto della riforma Fornero non potranno andare in pensione, come invece accade per le altre amministrazioni in cui esistono varie finestre d’uscita.

gennaio 2012 In un quadro di digitalizzazione della scuola, fortemente voluto dal ministro Profumo, nasce il progetto “Scuola in chiaro” che mette a disposizione in una forma organica le informazioni relative a tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado. Il servizio è stato attivato, con piena soddisfazione del ministro, sul sito del Miur dal 12 gennaio 2012.

febbraio 2012  Il ministro Profumo decide che le domande di mobilità 2012-2013, siano presentate on line anche per la scuola dell’infanzia, così prende piede l’utilizzo delle istanze on line. Questo è il mese in cui Profumo si dimette, con un certo ritardo, dalla presidenza del Cnr.

marzo 2012  Sulla Gazzetta ufficiale Serie generale n. 68 del 21 marzo 2012 è stato riportato il decreto n. 31 del 14 marzo 2012 di definizione dei posti disponibili a livello nazionale per le immatricolazioni ai corsi di Tirocinio Formativo Attivo per l’abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado, per l’anno accademico 2011-2012.

aprile 2012  Aprea e Formigoni spingono, tirando per la giacca Profumo, per la chiamata diretta dei docenti, viene contestata da parte dei sindacati l’incostituzionalità di questo modello di reclutamento

maggio 2012  Questo mese rimane alla memoria per il ventennale della strage di capaci, infatti Francesco Profumo sale sulla “Nave della legalità” insieme a docenti, studenti e famiglie, per partecipare in prima persona alla commemorazione di questo triste evento, per sottolineare l’importanza dei valori etici e dell’educazione alla legalità.

giugno 2012  Proseguendo il percorso di digitalizzazione delle scuole nasce il nuovo software “Commissione web”, per gli esami di Stato 2011/2012, che va a sostituire il precedente pacchetto Conchiglia. Parte anche L’iniziativa, dal nome “Plico telematico”, che rientra nel progetto di semplificazione e modernizzazione della Scuola promosso dal ministro Profumo, si tratta della somministrazione delle prove di esame di Stato per via telematica. L’iniziativa ha funzionato perfettamente e il ministro ha incassato un successo personale.

luglio 2012 Mese fortemente critico per Profumo che nel decreto legge 95/2012 detto spending review, non risparmia la scuola, che ancora una volta è pesantemente coinvolta. Particolarmente odiosi i provvedimenti sul divieto di monetizzare le ferie non godute dei precari e l’obbligo di demansionare e trasferire d’ufficio i docenti inidonei all’insegnamento per gravi patologie. Spunta anche la super tassa per gli studenti fuori corso delle università.

agosto 2012  Profumo ha la grana della sospensione, da parte del Tar della Lombardia e poi anche del Consiglio di Stato, del concorso per Ds in Lombardia per la questione delle buste trasparenti, non sa che pesci prendere e centinaia di scuole di quella regione non avranno un dirigente assegnato.

settembre 2012  Profumo bandisce il concorso a cattedra che verrà espletato a dicembre e dovrà terminare prima della fine dell’anno scolastico. La preselezione di questo concorso è di carattere nazionale e con l’utilizzo di un Pc: i candidati dovranno affrontare 50 quesiti a risposta multipla in 50 minuti (7 domande di informatica, 7 di linguistica, 36 per sondare le capacità logico-deduttive). Il punteggio minimo per essere ammessi alle prove successive sarà di 35. Il Ministro viene contestato dai precari ed ha sindacati contro per le espletazione di questo inutile concorso.

ottobre 2012  Profumo lancia la provocazione, fortemente respinta al mittente dai sindacati e dai docenti, di portare a 24 ore o a 18 + 6 l’orario settimanale dei professori senza alcun incremento retributivo. Con questa mossa politica il ministro Profumo si brucia tutte le sue chance di una sua futura carriera politica.

novembre 2012  Lo scandalo “pillole del sapere” travolge il Miur chiede al presidente del Tribunale di Roma di nominare una terna di esperti tra cui poi scegliere il perito per valutare la congruenza del valore del prodotto rispetto al prezzo, l’indagine – assicura il Ministro – sarà molto veloce. Noi abbiamo messo a disposizione tutta la documentazione; ieri sono andato alla Commissione Cultura della Camera e c’è la massima trasparenza e dobbiamo in tempi molto brevi risolvere il problema”.

dicembre 2012  In questo mese si sigla l’accordo sullo sblocco degli scatti di anzianità maturati nell’anno solare 2011. Tale accordo sana solo il 2011 e non il 2012, con un meccanismo che decurta del 30% il salario accessorio. In questo mese bisogna ricordare anche il test di preselezione per il concorso a cattedra, fortemente voluto dal ministro Profumo, ma altrettanto fortemente criticato dal mondo del precariato.

gennaio 2013  Profumo mette in moto la pantagruelica macchina delle iscrizione on line degli studenti che si iscrivono per la prima volta in un dato grado d’istruzione. Si teme che il sistema delle iscrizioni vada in tilt, invece l’iscrizione informatizzata, anche se con qualche momento di difficoltà, supera la prova del nove.

febbraio 2013  Il ministro Profumo accelera sul regolamento del sistema nazionale di valutazione e indice i bandi per le nomine all’INVALSI e all’INDIRE

marzo 2013  Viale Trastevere pubblica un Atto di indirizzo, una sorta di testamento con i principali provvedimenti per il prossimo governo. Il primo è la riduzione di un anno del percorso scolastico, con l’entrata all’università a 18 e non a 19 anni

aprile 2013  Termina il mandato del ministro Profumo durato per 17 mesi, al suo posto entra al ministero di viale Trastevere l’on. Maria Chiara Carrozza. Nonostante non siano stati mesi floridi per la scuola e non si sia potuto apprezzare una netta discontinuità con la gestione del Miur dell’ex ministro Gelmini, auguriamo al ministro Profumo ogni bene e speriamo che il neo ministro Maria Chiara Carrozza, segni una chiara inversione di tendenza sulle politiche dell’istruzione e si possa tornare ad investire sul settore della conoscenza.

Chi è Maria Chiara Carrozza, il nuovo Ministro dell’istruzione?

da Tecnica della Scuola

Chi è Maria Chiara Carrozza, il nuovo Ministro dell’istruzione?
di P.A.
Pisana come Letta,48 anni, due figli, Carrozza è un professore ordinario di Bioingegneria Industriale all’Istituto di biorobotica della Scuola superiore Sant’Anna, e dal 2007 ne è anche rettore. E’ stata eletta alla Camera con il Pd. E ha detto pure: “A dispetto di quanto generalmente si dice, abbiamo docenti e ricercatori seri e capaci, e tanti giovani di valore”.
Laureata in fisica a Pisa nel 1990, è stata anche Direttore della Divisione Ricerche con Delega del Direttore della Scuola Superiore Sant’Anna e coordinatore dell’ARTS Lab (Advanced Robotics Technology and Systems Laboratory) della Scuola Superiore Sant’Anna fino a dicembre 2007.
Nel 2003 è stata Visiting Professor all’università di Vienna, dove ha tenuto corsi sulla biomeccatronica. L’anno dopo ha insegnato biomeccatronica all’Università Campus Biomedico, Roma. Scienziata, ricercatrice, docente, manager, mentore, Maria Chiara Carrozza, già professore ordinario in Bioingegneria Industriale alla Scuola Sant’Anna di Pisa, ne è diventata direttore nel 2007. Imponente la sua attività scientifica, che spazia nei settori della biomeccatronica, bioingegneria, biorobotica e neuro-robotica, nei quali Maria Chiara Carrozza eccelle. Già direttore della Divisione Ricerche del Sant’Anna e coordinatore dell’ARTS Lab (Avanced Robotics Technology and Systems Laboratory), è stata chiamata a tenere seminari al MIT in Massachusetts, all’Ecole Normale Supérieure di Parigi, alle università di Tokyo, Philadelphia, Seul, solo per citarne alcune. In vent’anni è riuscita a costruirsi una carriera straordinaria, testimoniata da un impressionante curriculum ricco di incarichi, ricerche internazionali, attività scientifiche e pubblicazioni di alto livello. Maria Chiara Carrozza non è il classico “cervello in fuga”: all’estero ha sì studiato e lavorato, ma è in Italia, a Pisa, e in particolare alla Scuola Superiore Sant’Anna di piazza Martiri della Libertà, la riconosciuta patria della sua affermazione. Nel 1990, a 25 anni, si laurea in Fisica all’Università di Pisa con una tesi che indaga gli attributi fisici (come l’energia) delle particelle elementari. Nei due anni successivi è al CERN (importante istituto europeo di ricerca nucleare) di Ginevra, impegnata in uno stage: fa esperimenti e, intanto, accudisce i due figli piccoli. È occupata instancabilmente tra ricerca, insegnamento, direzione ed anche mentorship, occupandosi della supervisione di dottorandi e ricercatori post-dot. Come immagina il futuro Maria Chiara Carrozza? “La sfida si gioca nel campo energetico e ambientale, puntando a far avere energia, cibo e acqua a tutti. Le multinazionali, di elettronica di consumo o del settore automotive per esempio, dovranno convertire la produzione quando i mercati mondiali saranno saturi. La nuova frontiera è rappresentata dall’alta tecnologia a basso costo, rendendola accessibile a tutti, per poter ridurre sprechi, consumi energetici e salvaguardare l’ambiente. Case più tecnologiche (domo-robotica), mobilità sostenibile, sviluppo delle biotecnologie per abbattere la fame nel mondo non sono chimere, ma realtà scientificamente già possibili oggi. E poi c’è il vasto settore dell’assistenza e cura della persona, basano sulle tecnologie avanzate per migliorare la qualità di vita di anziani e disabili. La mia generazione – sostiene – ha ereditato un modello di sviluppo che sta mostrando tutti i suoi limiti, e ci vuole tempo per costruire un paradigma nuovo. Ma le nuove generazioni possono, e devono, cominciare a farlo”. Ma le è stato pure chiesto se In Italia è possibile: ”formare adeguatamente i giovani che affronteranno le sfide di domani?” “Si, a dispetto di quanto generalmente si dice, abbiamo docenti e ricercatori seri e capaci, e tanti giovani di valore che vogliono impegnarsi per creare il nuovo, anche spinti da motivazioni sociali”.

Cambiare l’esame di Stato?

da Tecnica della Scuola

Cambiare l’esame di Stato?
di P.A.
Il Susiduario intervista Paolo Sestio, commissario straordinario dell’Invalsi, sulla validità, le prospettive, i sospetti e le contestazioni che i rilevamenti Invalsi hanno tra gli operatori della scuola, mentre si mette a punto la prova standard per l’ultimo anno della scuola secondaria superiore.
Il problema più grosso? Per Sestio è la “disabitudine alla misurazione che senz’altro contribuisce a spiegare il ritardo nel nostro paese. Ma non ci sono scorciatoie: serve decisione e lungimiranza, con un approccio cauto e graduale.” Valutare una scuola, continua Sestio, anche alla luce del nuovo Regolamento del Snv, “è un tema ancora più complesso perché occorre partire da misure di performance, che sono lo scopo della rilevazione degli apprendimenti, ma queste poi non bastano. Il sistema di valutazione immaginato dal nuovo Regolamento è multipolare perché combina autovalutazione e valutazione esterna ed anche perché mette insieme la valutazione delle misure degli apprendimenti degli alunni e dei processi posti in essere da una scuola che hanno contribuito a determinare quegli apprendimenti.” Lo scopo è allora quello di “mettere la singola scuola, dotata di strumenti adeguati, nella condizione di potersi migliorare”, in linea con le finalità del Regolamento.
Il sistema valuta le scuole e, per alcuni aspetti, i loro dirigenti. “Un sistema centralizzato di valutazione degli insegnanti”, continua Sestio, “avrebbe poco senso. Quanto alle scuole, che sono l’oggetto del Regolamento, il sistema immaginato è fondato sia sull’autovalutazione che sulla valutazione esterna”. In ogni caso si tende alla valorizzazione “della valutazione interna, la finalizzazione al miglioramento, l’attenzione al concetto di valore aggiunto, ai risultati cioè di una scuola tenendo conto delle sue effettive condizioni di partenza, del contesto in cui opera, etc.” “L’Invalsi” dice ancora il presidente dell’Invalsi “deve rispondere ad una grande sfida: la costruzione, insieme ad altri soggetti, di un sistema nazionale di valutazione. A questo scopo occorrono due cose: le risorse, per svolgere il suo lavoro tecnico e le risorse necessarie per intervenire nelle scuole che sono in condizioni più critiche.” Il punto centrale è la rilevazione dei livelli di apprendimento, per questo dice Sestio: “Stiamo definendo le prove di V superiore, preannunciando con ampio anticipo quello che vogliamo fare. Sulla logica di tali prove, che avranno aspetti molto innovativi (in primis l’uso del computer), apriremo nelle prossime settimane una consultazione pubblica e nei pre-test che condurremo vogliamo verificare sia questioni relative al grado di differenziazione tra i diversi indirizzi scolastici, sia il loro possibile utilizzo a fini di orientamento e selezione nei successivi percorsi universitari.” “In prospettiva è anche da decidere il loro possibile utilizzo nell’ambito dell’esame di Stato, una questione su cui auspico che si apra una riflessione all’interno di una riflessione più complessiva su quest’ultimo. Sarebbe un errore fare delle prove Invalsi una prova ulteriore che si aggiunge alle altre, come a suo tempo fatto nell’esame conclusivo del I ciclo. Credo sia preferibile ripensare il senso complessivo e la struttura dell’esame finale del secondo ciclo e una data ragionevole per intervenire in proposito potrebbe essere il 2015, anno in cui giungerà a maturazione la riforma del II ciclo d’istruzione.”