Gli argomenti (caldi) dell’estate
di Stefano Stefanel
Gli
argomenti – caldi – dell’estate scolastica sono puntualmente assurti, come ogni
anno, alla debole attenzione mediatica del momento. I tormentoni dell’estate si
possono riassumere in alcune questioni concatenate tra loro:
- i
risultati delle prove censuarie (Invalsi, Ocse, ecc.) dicono puntualmente che
esiste un forte ritardo in una parte consistente dei nostri studenti rispetto
agli standard attesi ( il tutto riassunto nella frase “il 35% degli studenti di scuola media non capisce un testo di italiano”
) e tutte le statistiche rinnovandosi danno lo stesso dato;
- i
risultati dell’esame di stato conclusivo (quinta superiore) mostrano evidenti
esiti migliori al sud piuttosto che al nord, contraddicendo i dati di cui
sopra;
- bisogna
mettere mano alla didattica.
Come
ogni anno a commentare questi “tormentoni” vengono chiamati in primo luogo
quelli che di scuola capiscono poco o nulla, perché le loro conoscenze
sull’argomento si sono fermate quando hanno terminato di frequentarla. Parlo
dei professori universitari, degli scrittori, dei manager, degli psicologi, dei
giornalisti, che non si limitano ad esprimere un commento su una situazione
oggettivamente drammatica, anche se nota da anni, ma danno consigli su come
invertire la tendenza. E come tutti i consigli dati da chi non ne capisce
niente trasformano il tormentone estivo in una simpatica sequela di
stupidaggini. Cito alcuni esempi tratti dalla “cagnara mediatica” estiva: bisogna far imparare di nuovo le poesie
a memoria, bisogna togliere il multimediale dalla scuola, bisogna proibire
l’uso dei dispositivi a scuola, bisogna insegnare più grammatica, bisogna
bocciare di più, bisogna dare voti più bassi e non promuovere con aiuti di
vario genere, bisogna fare meno progetti e più didattica, bisogna smetterla con
le competenze e tornare alle conoscenze, bisogna selezionare meglio i docenti,
bisogna far mettere agli studenti il grembiule, bisogna insegnare nuove materie
a scuola, bisogna far leggere i classici, e via di seguito con banalità di
livello infimo spacciate come grandi idee pedagogiche.
I
più presenti in questa sequela di banalità sono professori universitari in
servizio o in pensione (Galli della Loggia, Cacciari, Asor Rosa, ecc.), che
vogliono occuparsi di ciò che ignorano e cioè la scuola, avendo fatto i
professori universitari di un’elite studentesca, che loro dileggiano, ma che è
tutto quello che abbiamo. Ma anche giornalisti e scrittori non sono da meno
(D’Avenia, Augias), mentre gli psicologi guidati da Paolo Crepet e Umberto
Galimberti si attestato sulla linea delle bocciature di massa salvifiche.
Non
è facile entrare in questo guazzabuglio con argomentazioni sensate, anche
perché chi è esperto di scuola (i dirigenti scolastici lo dovrebbero essere, ma
– come potrebbe chiosare un 5 Stelle – “chi
lo ha detto?”) analizza il problema in forma sistemica e non casuale. Il
problema è che nessun uomo di scuola ha lo spazio mediatico che hanno i
professori, gli scrittori, gli psicologi e i giornalisti e dunque il rimando alla scuola del passato non tiene
conto del fatto che è la scuola del passato che non vuole morire e che ci ha
ridotto così. A scuola si parla di competenze, ma la fanno da padrone le
mnemoniche conoscenze, spesso sbagliate perché la memoria inganna, ma il web no
e dunque oggi – a differenza di ieri – se un grande professore cita un dato
sbagliato o una data sbagliata in un attimo si scoprono il dato giusto o la
data giusta e la conoscenza mnemonica va dove deve andare.
Non
mi proverò neppure ad entrare nel complesso discorso sulla scuola di oggi,
anche perché di solito lo faccio in maniera più distesa e documentata davanti a
platee competenti. Però almeno sui punti centrali del tormentone mi permetto di
dire due parole.
BOCCIATE, BOCCIATE, QUALCOSA RESTERA’
L’idea che bocciando più studenti le
cose andrebbero meglio cozza su alcune evidenze scientifiche facilmente
enunciabili:
- abbiamo
la più alta dispersione dell’area OCSE e questo è considerato un enorme
problema, tant’è che i trattati internazionali ci imporrebbero di diminuire la
dispersione, mentre bocciando di più la dispersione solo aumenta;
- una
volta bocciati per gli studenti non c’è altra strada che rifare quello che
hanno fatto l’anno precedente sperando vada meglio e quindi l’unico rimedio che
abbiamo per recuperare le bocciature è la speranza che il soggetto bocciato si
redima;
- le
classi piene di bocciati sono le peggio gestibili, con soggetti spesso
patologici, fuori età, fuori contesto, fuori controllo;
- sostenere
la tesi delle maggiori bocciature significa sostenere la tesi di una classe
docente perfetta a fronte di una classe discente imperfetta e dunque far
ricadere solo sugli studenti i problemi del sistema;
- disallineando
con le bocciature gli studenti dalla propria età anagrafica non si fa che
ritardare per quelli deboli l’ingresso nel mondo del lavoro, con curricoli
scadenti e dunque perdenti.
Se
le scuole avessero un piano per il recupero, la bocciatura in alcune materie
sarebbe doverosa, ma, poiché chi viene bocciato deve rifare tutto, la pratica
oltre che essere costosa è nociva e inutile. Chi va male per lo più continua ad
andare male. C’è un’ossessione italiana per il “basso” che le preclude di
guardare in alto e di vedere che il sistema migliora se migliora la sua parte
alta e mediana. Invece interesse zero per gli studenti bravi ed ossessione
punitiva per quelli che non ce la fanno: tipica idea universitaria dove i
professori hanno come riferimento solo i più bravi e degli altri non si
occupano, scambiando il proprio sistema di selezione delle eccellenze per la
scuola di base.
VOTI AL SUD E
VOTI AL NORD
Il nord si indigna per i voti della
maturità al sud. In realtà il nord rigoroso è ossessionato dai suoi studenti
peggiori (che vuole bocciare e che boccia) e non sa tutelare i suoi studenti
migliori come fa il sud. Per avere 100 o 100 e lode bisogna coltivare lo
studente almeno dalla terza se non da prima, valorizzando quello che sa fare e
non tenendogli i voti bassi per poi scoprire all’esame di stato che con quei
voti di terza e quarta non può arrivare a 100 neppure se lo merita.
La polemica sui voti al sud mostra
la stessa faccia della richiesta di bocciature: l’assenza di una strategia vera
per gli studenti più bravi e motivati per preservarne la bravura in funzione
degli studi universitari e del lavoro. Il sud produce un sacco di ottimi
studenti dentro un sistema scolastico complessivamente in fortissima crisi. Il
problema non sono i voti alti che fanno bene alla società, ma il livello molto
basso di tanti suoi studenti e i tassi preoccupanti di dispersione scolastica.
L’esame di stato di quest’anno è
stato improvvisato con metodologie introdotte ad anno in corso, ma è certamente
andato nella direzione della certificazione di competenze e non del nozionismo
di inizio estate. E’ un esame migliore di quello precedente, ma comunque un
grande spreco di soldi e di tempo per una prova di iniziazione utile solo per
fare da spartiacque tra la giovane e la matura età. Personalmente trasformerei
la quinta superiore in un anno misto (scuola/università, scuola/mondo del
lavoro) abolendo l’esame e l’inutile seconda prova difficile e solo
penalizzante, sostituendo il tutto con una tesi su quando appreso in questo
anno misto, sulla scia di quanto avviene all’Università: anche perché se
bocciare un tredicenne o un quindicenne è atroce, bocciare un diciannovenne è
una pura stupidaggine, perché lo si ritarda e basta nel suo ingresso
all’università o nel mondo del lavoro spianandogli la strada verso il divano e
l’attesa di una raccomandazione che lo collochi da qualche parte. Mentre
sarebbe molto utile avere graduazioni reali sulle competenze degli studenti in
uscita dal sistema scolastico.
DIDATTICA MON AMOUR
I commentatori, convinti di essere
anche sapienti, non si limitano a descrivere la “Waste Land” della scuola italiana, ma dispensano anche consigli,
che qualunque pedagogista considererebbe da bocciatura in un qualunque esame di
scienze della formazione. Anche qui in forma molto sintetica indico alcuni
punti centrali, partendo dalla questione dell’uso degli strumenti multimediali:
- la
battaglia contro gli strumenti digitali ha più a che vedere con la Sacra
Inquisizione che con la pedagogia: lo studente non dovrebbe avere contatti col
web a scuola e questo imporrebbe un impianto poliziesco che neppure il Partito
Comunista Cinese (che di repressione se ne intende) riesce a tenere in piedi;
- la
battaglia contro gli strumenti digitali è solo oscurantista perché da un
giudizio di valore sul mondo che si trasforma, viene combattuta solo al mattino
lasciando il resto del tempo di studio dello studente a connessione libera;
- l’idea
di tornare al sapere chiuso tra libri e enciclopedie va contro il meccanismo
per cui col BYOD (Bring You Our Device)
vivo con un’enciclopedia universale sempre addosso e sempre consultabile,
magari se qualcuno mi insegna come fare rendendosi conto che “da pagina 72 a pagina 98” non vuole più
dire nulla.
Da
qui deriva tutto il resto. Una parte di questo “resto” si può sintetizzare
così;
- gli
studenti non imparano a memoria poesie, ma tante altre cose;
- gli
studenti studiano meno grammatica ma scrivono e leggono tanto di più, solo che
scriviamo e leggiamo cose diverse dai libri, quindi l’approccio per migliorare
la comprensione deve battere strade diverse da quelle battute un tempo;
- gli
studenti comunicano molto, ma soprattutto in forma sintetica e nessuno insegna loro
come si fa, per cui a scuola si insegna come espandere la lingua, mentre il
mondo vive di sintesi;
- la
classe docente valuta senza aver mai studiato valutazione, cioè lo fa in forma
empirica su standard per lo più culturali auto definiti e valutati secondo
parametri propri (una cattiva prassi valutativa è l’anticamera della
dispersione);
- la
nostra arretratezza nasce soprattutto dalla nostra rigidità e dal privilegiare
l’anzianità sul merito con ricadute di non poco conto sugli studenti più deboli
lasciato spesso in mano a docenti disciplinaristi poco in linea col mondo che
cambia.
Così,
giusto per concludere: si dice che gli studenti leggono poco e si informano
solo sul web. Un’indagine interessante sarebbe quella tendente a stabilire il
numero dei docenti che la mattina comprano il giornale. Io lo ritengo un dato sconosciuto
ma significativo.
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