Abolizione chiamata diretta

Abolizione chiamata diretta: dopo il caterpillar del contratto la legge mette la parola fine a una norma odiosa

Roma 18 luglio 2019 – E’ notizia di oggi che il Senato ha approvato a larga maggioranza il Disegno di legge sull’abolizione degli ambiti territoriali e sulla chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici.

Si tratta di una modifica che, andando al cuore della legge 107, elimina definitivamente due disposizioni-cardine dell’impianto ideologico della Buona scuola, spacciate per opportunità meritocratica, ma rivelatesi negative nella loro attuazione e impraticabili nella tempistica delle operazioni.

Di fatto, con un costante lavoro di opposizione fatto nelle piazze e durante la trattiva per il rinnovo del Ccnl, abbiamo reso gli ambiti territoriali solo connotazioni geografiche, mentre la chiamata diretta non è mai decollata secondo le intenzioni di chi l’aveva tradotta in legge: ma aspettavamo questo indispensabile passaggio abrogativo al Senato per mettere la parola “fine” ad uno dei provvedimenti di riforma più controversi.

Riteniamo che, ora, si sia chiusa una brutta fase della storia recente della scuola, dove siamo stati in prima linea con le mobilitazioni e con l’impegno politico e civile, poi con l’azione sindacale che ci compete più direttamente: contrastando ai tavoli contrattuali l’applicazione di un sistema discrezionale teso a disgregare i principi di garanzia ed equità nelle assegnazioni dei docenti e nella titolarità sulle sedi.

Il Ccnl si è mosso da subito come un caterpillar sulla 107. Adesso la legge ha dato l’ultimo sugello formale per la cancellazione di una norma tanto odiosa quanto inutile.

Il Ministro con il Presidente della Repubblica in visita all’Istituto ‘Romolo Capranica’

“Sono molto felice di essere qui con voi in questa giornata dall’intenso significato simbolico per il vostro territorio e per tutto il Paese. Amatrice è il luogo simbolo del terremoto di tre anni fa ed è entrata nel cuore di tutti gli italiani per come ha saputo rialzarsi dopo quegli eventi drammatici. Tutti si sono mobilitati. L’Italia si è dimostrata ancora una volta una grande Nazione: unita, forte e solidale”. Così il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Marco Bussetti, durante la visita all’Istituto omnicomprensivo ‘Romolo Capranica’ di Amatrice, crollato in seguito al sisma del 2016 e oggi ricostruito.

La visita si è tenuta questa mattina alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Una grande festa dedicata ai ragazzi di Amatrice, a cui hanno partecipato anche Piero Farabollini, Commissario Straordinario del Governo per la ricostruzione; Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio; Antonio Fontanella, Sindaco di Amatrice; il dirigente scolastico del ‘Romolo Capranica’, Giovanni Luca Barbonetti. Ha preso parte alla cerimonia anche John Elkann, Presidente di Fiat Chrysler Automobiles e Ferrari, che ha contribuito con una donazione alla ricostruzione dell’Istituto.

“Amatrice riparte da questo istituto – ha aggiunto il Ministro Marco Bussetti -. È significativo che questo nuovo inizio parta dalla scuola, che è la base della comunità, il luogo in cui si progetta e si costruisce il futuro. E qui noi oggi stiamo costruendo le condizioni per una decisa valorizzazione di questo territorio, liberando le sue migliori energie per guardare al domani con speranza e fiducia. Non siete soli. Noi, come Ministero dell’Istruzione in particolare, ci siamo stati dall’inizio, ci siamo e ci saremo. Lavoriamo concretamente al vostro fianco per garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi”.


Intervento del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

FESTA CAMPUS SCOLASTICO “ROMOLO CAPRANICA” Amatrice, 18 luglio 2019

Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Autorità politiche, civili, militari e religiose,

sono molto felice di essere qui con voi ad Amatrice in questa giornata dall’intenso significato simbolico per il vostro territorio e per tutto il Paese. Ringrazio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la sua presenza, e per la sua costante vicinanza alle comunità colpite dalla tragedia del terremoto. Il Capo dello Stato si conferma ancora una volta il primo sostenitore della scuola italiana.
Ci tengo a ringraziare tutti gli attori istituzionali coinvolti nella costruzione del Campus: il Sindaco di Amatrice Antonio Fontanella, il Dirigente Scolastico Giovanni Luca Barbonetti, l’Agenzia per lo Sviluppo Invitalia.
Tutto questo non sarebbe però stato possibile senza il contributo delle donazioni di imprese e privati.
Un ringraziamento davvero speciale lo dobbiamo alla FCA- Ferrari, oggi qui rappresentata dal Presidente John Elkann, per il contributo di 7 milioni che un grande italiano come Sergio Marchionne decise di devolvere a questo progetto. La festa di oggi la dedichiamo anche alla sua memoria.
Grazie infine ai cittadini, alle famiglie, ai giovani, ai docenti e al personale scolastico di questo territorio: con il vostro impegno avete fatto sì che la vita della comunità continuasse e le attività scolastiche non si interrompessero.
Amatrice è il luogo simbolo del terremoto di tre anni fa ed è entrata nel cuore di tutti gli italiani per come ha saputo rialzarsi dopo quegli eventi drammatici.
Tutti si sono mobilitati.
L’Italia si è dimostrata ancora una volta una grande nazione: unita, forte e solidale.
La presenza odierna del Presidente della Repubblica, la mia e quella degli altri rappresentanti istituzionali, vuole testimoniare il massimo impegno di tutti per accelerare il ritorno alla normalità.
Noi, come Ministero dell’Istruzione in particolare, ci siamo stati dall’inizio, ci siamo e ci saremo.
Non siete soli. Lavoriamo concretamente al vostro fianco per garantire il diritto allo studio ai nostri ragazzi.
A tal fine abbiamo ricostituito la task force per le emergenze e creato un fondo ad hoc.
L’edilizia scolastica è stata fin da subito una priorità del mio mandato. Oltre ai 7 miliardi già sbloccati, abbiamo stanziato ulteriori risorse per 120 milioni di euro per le Regioni del Centro Italia colpite dal sisma del 2016 e del 2017: Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria.
Facendo squadra si possono raggiungere grandi risultati.
Amatrice riparte.
Ed è significativo che questo “nuovo inizio” parta dalla scuola. La scuola è la base della comunità, il luogo in cui si progetta e costruisce il futuro. E qui oggi noi stiamo costruendo le condizioni per una decisa valorizzazione di questo territorio, liberando le sue migliori energie per guardare al domani con speranza e fiducia.
Buona estate e buon inizio del prossimo anno scolastico a tutti!
Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Marco Bussetti


ABILITAZIONI IN ROMANIA LA TERZA BIS DEL TAR LAZIO-ROMA INTERROMPE LA SERIE NEGATIVA

ABILITAZIONI IN ROMANIA LA TERZA BIS DEL TAR LAZIO-ROMA INTERROMPE LA SERIE NEGATIVA DELLE PRIME SENTENZE BREVI DI RIGETTO ED ORDINA AL MIUR DI CHIARIRE SE I RICORRENTI POSSANO INSEGNARE IN ROMANIA

Avv. Maurizio Danza, Prof. Diritto del Lavoro di “Universitas Mercatorum”

Di particolare interesse la ordinanza n.4883 del 17 luglio 2019 in riferimento al ricorso pendente innanzi al TAR Lazio-Roma  n .7117/2019 ( specializzazione sostegno conseguita in Romania) patrocinato dall’Avv. Maurizio Danza ad oggetto l’avviso MIUR n. 5636 del 2 aprile 2019  di rigetto delle istanze di riconoscimento delle specializzazione sul sostegno conseguite in Romania ; ed infatti a ben vedere contrariamente all’indirizzo intrapreso precedentemente dalla sezione che aveva ritenuto la questione matura per una decisione con sentenza breve, tale ordinanza manifesta certamente seri dubbi sulla fondatezza della tesi del MIUR circa la inidoneità dei titoli acquisiti in Romania ai fini abilitanti;  il Collegio infatti, a seguito della discussione del 16 luglio 2019 nella quale la difesa ha sostenuto, tra l’altro, la erronea applicazione al caso di specie della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea C- 110 del 2001 sentenza Thenah Durez del 2003 e  sentenza Hannes Preindl  C-675 del 2017 , menzionate nelle prime pronunce della III° sez. BIS, poichè si riferiscono esclusivamente alla professione medico-chirurgica a cui si applica il meccanismo di “ riconoscimento automatico e incondizionato dei titoli, a differenza di quanto previsto per la professione docente , circostanza peraltro confermata dallo stesso avviso 5636/2019 del MIUR il Presidente della Sez. III Bis, in controtendenza con le pronunce negative di questi giorni, ha rinviato  al 1 agosto  2019 l’udienza di decisione,  “ritenuto necessario che il MIUR chiarisca se il ricorrente possa insegnare in Romania con il titolo conseguito, ha ordinando allo stesso il deposito di una relazione a chiarimento entro 15 giorni.

Una proposta per il reclutamento dei dirigenti scolastici

Una proposta per il reclutamento dei dirigenti  scolastici

di Stefano Stefanel

Le grandi criticità per il reclutamento dei dirigenti scolastici sono sotto gli occhi di tutti. L’eccessiva distanza tra un concorso e l’altro, l’altissimo contenzioso che si trascina per anni, le modalità di selezione che sono sempre cambiate (nessun concorso è stato uguale al precedente) indicano che la strada percorsa finora non è la migliore.

Su input di Giancarlo Cerini sono stati coinvolti una quindicina di uomini e donne di scuola per cercare di elaborare una proposta complessiva utile a spingere verso una soluzione comunque migliorativa. Cerini ha proposto agli interlocutori una quindicina di domande cui sono seguite diverse e variate risposte. Il documento che sotto riporto -redatto da Giancarlo Cerini – è la sintesi del dibattito avvenuto e codificato anche nelle sue contraddizioni.

Chi scrive è stato coinvolto da Cerini e una parte consistente delle mie idee sono confluite nel documento. E’ molto interessante constatare come in poco tempo e con molta partecipazione attiva Cerini sia riuscito a trovare il modo di portare all’attenzione dell’opinione pubblica una sensata modifica operativa e realizzabile di un reclutamento di dirigenti che deve essere efficiente, deve portare all’efficacia della funzione dirigenziale, che deve costare il giusto e che deve garantire una periodicità che faccia diventare il percorso concorsuale uno standard che non si trascini dietro lunghi ed estenuanti contenziosi. Tutte cose che in questo momento paiono mancare.

L’idea poi di costruire una comunità di confronto per poi mettere all’attenzione del pubblico un documento di mediazione è certamente una pratica virtuosa, resa possibile dalla nostra costante connessione e dalla possibilità di esprimere pensieri liberi perché non vincolati da interessi di parte.

Credo che il documento che sotto riporto possa essere molto utile. La proposta è accompagnata da una premessa, che vuole precisare il lato puramente scientifico dell’operazione condotta.

Un grazie a Giancarlo Cerini per la bella idea e l’ottimo lavoro che ne è uscito.  


LA PREMESSA  

Bologna, 15 luglio 2019

Alla Segreteria Tecnica del Ministro dell’istruzione Marco Bussetti
Al Capo Dipartimento Istruzione Carmela Palumbo
Al Direttore Generale per il personale della scuola
Al Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati
Al Presidente della Commissione Cultura del Senato della Repubblica
Ai Presidenti delle Associazioni professionali dei Dirigenti Scolastici e dei Docenti
Ai Segretari Generali delle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative
Agli Organi di informazione,
ai Siti professionali, alla Stampa specializzata

Oggetto: Proposta per nuove e diverse forme di reclutamento dei dirigenti scolastici, in previsione dei prossimi concorsi pubblici, scaturita da un confronto approfondito tra operatori scolastici, dirigenti tecnici, dirigenti scolastici, candidati (vincitori e non) del recente concorso.

Gentilissimi interlocutori, ho il piacere di sottoporre alla vostra attenzione un documento articolato, anche nei suoi indispensabili risvolti tecnici, elaborato da un gruppo di operatori della scuola di diverso orientamento e collocazione professionale, contenente una proposta di iter concorsuale per il reclutamento dei dirigenti scolastici. L’ipotesi prende spunto dalle molte insoddisfazioni e criticità che hanno caratterizzato le procedure concorsuali degli ultimi 10 anni, ma non intende entrare nel merito delle questioni sollevate a proposito del concorso in atto (auspicando però una loro sollecita risoluzione). L’interesse che ci muove è quello di dissipare l’alone di sfiducia che si è determinato tra pubblica amministrazione, operatori del mondo della scuola, opinione pubblica, magistratura, anche in relazione alle modalità di reclutamento del personale della scuola, nelle sue posizioni più qualificate. Nel rispetto del principio costituzionale che prescrive che agli impieghi pubblici si accede tramite concorso, gli scriventi ritengono che sia necessario e possibile mettere allo studio e attuare procedure di reclutamento che rispettino principi di trasparenza, equità, riconoscimento del merito, adeguatezza rispetto alle qualifiche cui si chiede di accedere e che questa “elaborazione” possa avvenire nel dialogo aperto con il mondo della scuola. Si ringrazia per l’attenzione e si resta a disposizione per ogni forma di contatto e collaborazione.

A nome degli estensori del documento

Giancarlo Cerini, già dirigente tecnico MIUR, direttore delle riviste “Scuola7.it” e “Rivista dell’istruzione”. (ispettorecerini@gmail.com)

LA PROPOSTA

Come scegliere i futuri dirigenti scolastici?

A cura di Forum reclutamento dirigenti[1]

Una premessa doverosa: come nasce la proposta?

Dalle risposte pervenute ai quindici quesiti proposti inizialmente ad un gruppo di una ventina di “testimonial” emerge un’idea sostanzialmente condivisa di come si dovrebbero rinnovare le procedure per il reclutamento dei dirigenti scolastici. Questo, a maggior ragione, anche alla luce della situazione che si è venuta a determinare con gli interventi della Magistratura (in particolare con la Sentenza del TAR del Lazio del 2-7-2019 e la successiva sospensiva del Consiglio di Stato) che mettono a rischio la possibilità di concludere l’iter concorsuale con la nomina dei neo-dirigenti all’inizio dell’anno scolastico 2019-2020 e che, comunque, lasciano dietro di sé una scia infinita di polemiche e di incertezze. Tuttavia, l’idea di studiare forme più efficaci di reclutamento dei dirigenti, non nasce direttamente dalle attuali difficoltà (né interviene nel merito del contenzioso in atto), semmai scaturisce dalle evidenti criticità che si sono manifestate lungo tutto il percorso concorsuale (ma anche nei precedenti), segnalate sia da chi ha superato positivamente le prove, sia da chi non vi è riuscito. Nel gruppo dei soggetti interpellati abbiamo infatti dato voce agli uni e agli altri affinché elaborassero proposte fattibili, con toni pacati e al netto di tutte le distorsioni emotive che si sono manifestate in rete. Potremmo ben dire che si è trattato del primo concorso pubblico per dirigenti nell’era di Facebook, all’inizio in forma di pacati gruppi di preparazione, studio, mutuo aiuto, poi (inevitabilmente?) di tifoserie contrapposte. La presenza nel gruppo di discussione di studiosi, capi di istituto, dirigenti tecnici, tutte persone che si sono misurate con il problema della formazione dei futuri dirigenti, rende il confronto delle opinioni una preziosa base per intervenire, si spera in tempi brevi, a ripristinare quella fiducia tra insegnanti, potenziali candidati, pubblica amministrazione, opinione pubblica, che sembra essere venuta meno anche a seguito di questa vicenda. Vorremmo, cioè, che l’accesso alla qualifica dirigenziale avvenisse attraverso procedure credibili, trasparenti e condivise, efficaci e tempestive, come si chiede in un paese civile.

E’ (ancora) tempo di concorsi?

L’accesso alla qualifica di dirigente scolastico viene, quasi all’unanimità, ascritto a procedure concorsuali pubbliche (come richiede la Costituzione), riservate a chi abbia svolto in precedenza la funzione di insegnante (quindi riconoscendo una comune radice/ragione culturale allo svolgimento di questo ruolo). Si chiede però in maniera netta di assicurare la tempestività dei concorsi (la scadenza preferita è quella biennale, ma qualcuno la vorrebbe annuale, altri triennale), ben sapendo che negli ultimi vent’anni tutte le prescrizioni legislative sulla tempistica dei concorsi sono state largamente disattese. Si segnala anche che l’accesso per pubblico concorso dovrebbe tenere sgombro il campo (tra un concorso e l’altro) da aspettative, interessi, contenziosi, graduatorie, collegati alle alterne vicende legislative e amministrative tipiche della nostra politica scolastica, troppo spesso avvezza a dar ascolto ai cosiddetti diritti acquisiti (chissà, poi!), piuttosto che al merito. Un buon concorso richiede tempestività e continuità di azione (ad esempio, le regole e le modalità non dovrebbero cambiare ad ogni tornata concorsuale), ma anche la riduzione del sovraccarico di partecipanti (ultimamente dell’ordine delle decine di migliaia). Questo si può ottenere solo aprendo prospettive diverse nello sviluppo professionale dei docenti (cioè opportunità sostanziose di carriera e di riconoscimenti economici), anche per lo svolgimento di funzioni di sistema diverse da quelle di insegnamento. E’ minoritaria, tra i partecipanti al forum, l’idea di una selezione diretta (una sorta di chiamata o di incarico) attribuita al Direttore Scolastico Regionale, mentre generalizzata è la richiesta che il profilo di professionalità acquisito all’interno della scuola conti di più nella selezione del personale dirigente, con idee però ancora diverse.

L’elettività del dirigente: ipotesi tramontata?

Lo sviluppo del sistema scolastico avvenuto negli ultimi vent’anni (attribuzione alla scuola dell’autonomia e della personalità giuridica, processi di dimensionamento, qualifica dirigenziale riconosciuta ai capi di istituto) sembra non offrire più spazio a procedure di nomina “dal basso” e per periodi limitati di docenti eletti dai loro colleghi, come pure avviene in alcuni (pochi) paesi europei. L’ordinamento scolastico e la presenza di istituzioni ad alta complessità gestionale fanno preferire una soluzione giuridico-amministrativa imperniata sulla figura di un dirigente pubblico cui attribuire significative prerogative in materia gestionale ed organizzativa. Si è tuttavia consapevoli che questa scelta potrebbe ridurre il raggio di azione del dirigente, spostandolo verso la dimensione puramente amministrativa. Occorre prendere atto del pesante ruolo pervasivo e performante che il diritto amministrativo ha assunto nella gestione di taluni servizi pubblici, come la scuola, a scapito di una maggiore attenzione alla specificità tecnica del servizio reso. D’altra parte, una cooptazione dal basso non è detto che porti alla scelta dei colleghi migliori e più adatti alla funzione (forse ai più graditi). Comunque, l’idea di affidare a personale anche eletto dai colleghi alcune delle funzioni intermedie e di collaborazione è gradita, magari con riferimento al presidio di funzioni fortemente connesse alla sostanza pedagogica del fare scuola, agli snodi culturali, organizzativi ed operativi da presidiare. L’aver svolto questo tipo di funzioni, precisando le modalità di reclutamento, le competenze e le responsabilità di tali figure, può diventare elemento qualificante di un curriculum professionale dell’aspirante dirigente scolastico (un prerequisito per essere ammesso al percorso). Questa ipotesi, secondo alcuni, potrebbe rappresentare una valida alternativa all’istituto della reggenza (fortemente criticato a tutti i livelli). L’ipotesi del sorteggio viene evocata solo da alcuni per mettere in evidenza i paradossi e gli aspetti di aleatorietà insite anche nelle attuali procedure concorsuali.

Preparazione culturale, esperienza o attitudine?

Nella selezione a qualifiche di pregio l’accertamento delle caratteristiche culturali di un soggetto (da affidarsi anche a step della procedura concorsuale) dovrebbe essere affiancata dall’apprezzamento delle potenziali competenze operative e professionali (il saper fare del dirigente) da acquisire attraverso l’esperienza sul campo o, meglio, il tirocinio guidato e assistito. Qualche perplessità viene manifestata verso l’idea di valorizzare l’esperienza svolta a scuola, anche perché non sempre oggetto di verifica e di valutazione. Ci si riferisce ai ruoli di collaboratore e simili, che sembrano appannaggio di pochi eletti. Viene richiesta, da molti, anche una valutazione delle qualità psico-attitudinali allo svolgimento di una funzione che si traduce in larga parte in una azione di relazione e di dialogo professionale. Si è però consapevoli della fragilità di tali strumentazioni psico-diagnostiche e della difficoltà ad inserirle in procedure pubbliche di reclutamento (perché dovrebbero essere affidate ad agenzie specializzate). L’esperienza di carattere professionale dovrebbe assumere un maggiore peso, attraverso un adeguato riconoscimento in termini di punteggio complessivo che si affianca a quello delle prove d’esame, piuttosto che come soglia di sbarramento iniziale. In questo caso affiorano divergenze tra i partecipanti al forum: qualcuno propone una salomonica quota di accesso (ad esempio, un terzo dei posti) destinata, senza prove preselettive, a coloro che hanno svolto documentate attività di supporto organizzativo e professionale all’interno delle scuole di provenienza. I più giovani, in questo modo, non sarebbero penalizzati.

Come ridurre la platea dei partecipanti e rendere gestibile il concorso

Al di là della tempestività e regolarità dei concorsi, e alla presenza di altre modalità (carriera) di riconoscimento di professionalità è assai probabile che ai concorsi per dirigenti scolastici si presentino platee sempre assai ampie (contram, la difficoltà a reclutare dirigenti scolastici che sta emergendo in molti paesi europei). Questo dislivello richiede comunque una qualche forma di vaglio selettivo iniziale, che potrebbe basarsi su un mix di curriculum strutturato (e rigorosamente certificato) e di prove preselettive di tipo culturale. Secondo alcuni, l’ammissione dovrebbe basarsi su una graduatoria nazionale per titoli ove apprezzare sia esperienze di tipo professionale ed organizzativo svolte a scuola, sia di carattere culturale e formativo. Viene portato come esempio “sostenibile” il modello trentino, con una prima scrematura centrata sulla documentazione di titoli valutabili, seguita da una procedura preselettiva basata su testing, elaborazione di un portfolio professionale, colloquio-intervista. Occorre assolutamente evitare che l’accesso al concorso vero e proprio sia affidato a test preselettivi di carattere meramente mnemonico.

E prova preselettiva sia…

Di fronte allo “stato di necessità” dell’alto numero di candidati in partenza (da ridurre con varie modalità) si prospetta l’esigenza di organizzare prove di carattere preselettivo, una volta trovato il dosaggio tra esperienze sul campo e preparazione culturale. In genere si chiede di restringere il campo dei contenuti culturali (giuridici, organizzativi, professionali) eliminando la pretesa enciclopedica che caratterizza l’attuale programma del concorso. Andrebbero evitati dettagli relativi alle diverse branche del diritto, precisazioni sulle teorie dell’organizzazione, minuziose ricostruzioni dei sistemi scolastici europei, per concentrarsi invece sugli elementi portanti dell’ordinamento scolastico, della funzione del dirigente scolastico, sui riferimenti significativi di diritto e di legislazione. Alcuni richiederebbero anche la presenza di item relativi a conoscenze di carattere logico, o di tipo attitudinale-proiettivo. Prevale l’idea che il rendere pubblico con un congruo anticipo l’intera batteria di test (banca-dati) aumenti gli aspetti di studio mnemonico sui dettagli, a scapito della comprensione approfondita dei quesiti. La pubblicazione di tutti i test utilizzabili trova però anche qualche estimatore.

Qual è il profilo di dirigente scolastico necessario alla scuola di oggi?

Tutti gli interventi chiedono di prestare una attenzione specifica alle caratteristiche del lavoro di un dirigente, che non può essere assimilato tout court alla dirigenza amministrativa “pura” (che ha come modello la dirigenza ministeriale). Semmai esiste il problema del riconoscimento giuridico ed economico delle accresciute responsabilità dei dirigenti scolastici. Il dirigente è garante della efficacia dell’azione della scuola e della correttezza dei comportamenti di tutti i soggetti che vi operano, ma questo richiede di estendere il raggio di azione ad aspetti squisitamente relazionali, pedagogici, organizzativi, gestionali che mettano al centro i compiti istituzionali affidati al sistema formativo. Questo significa che non è sufficiente la conoscenza puntuale delle leggi, ma che occorre coglierne il senso evolutivo, lo spirito, il valore culturale ed educativo. Occorre tenere in equilibrio l’esercizio della leadership educativa (che è fatta prevalentemente di relazioni con le persone) con lo svolgimento di funzioni di indirizzo organizzativo e gestionale, anche attraverso la presenza di una rete di figure di collaborazione. Sotto il profilo strettamente giuridico il quadro delineato nel D.lgs. 165/2001 è considerato esauriente (anche con talune precisazioni apportate dalla Legge 107/2015, come quelle contenute nei commi 78 e 93), anche se alcuni vorrebbero comunque rafforzare la dimensione educativa. Il dirigente dovrebbe presidiare i luoghi della didattica e non solo la correttezza delle procedure amministrative. Il questionario, però, non chiedeva di esprimersi direttamente sugli eventuali effetti distorsivi della qualifica dirigenziale all’interno di una organizzazione culturale, ispirata a valori comunitari e con ampi margini di discrezionalità professionale negli addetti (la c.d. libertà di insegnamento).

Quale profilo emerge dalla procedura concorsuale?

Si è alla ricerca di un equilibrio tra la dimensione educativa e culturale del profilo del dirigente e quella gestionale e manageriale, perché considerate entrambe necessarie, ma da dedurre non da un profilo astratto, ma da una effettiva ricerca sul campo del lavoro quotidiano del dirigente. Qualcuno si spinge fino a quantificare il rapporto tra dimensione educativa (60%) e amministrativa (40%): ma i confini tra le due aree non sono così netti. Occorre comunque rafforzare la dimensione educativa-organizzativa (contenendo quella giuridico-astratta) attraverso la formazione iniziale ed in servizio e con un diverso bilanciamento della procedura concorsuale. Nella composizione delle commissioni bisognerebbe evitare di inserire professionalità avulse dal contesto scolastico (come ad esempio, presenze accademiche di discipline lontanissime dal mondo della scuola), privilegiando l’appartenenza al campo educativo, come ad esempio le figure di dirigenti tecnici (quasi assenti) o di dirigenti scolastici di comprovata esperienza o autorevolezza. Anche la composizione del paniere dei quesiti dovrebbe rispecchiare una diversa idea della dirigenza scolastica, mentre si ha l’impressione che l’apparato ministeriale (responsabile del concorso) sia piuttosto preoccupato delle incombenze di minuta gestione che i dirigenti devono spesso disbrigare a fronte delle carenze delle segreterie o dei numerosi compiti ad esse delegate.

Prove scritte short o narrative?

La struttura dei quesiti brevi a molti non appare soddisfacente per mettere alla prova competenze operative. Alcuni, tuttavia, la ritengono una soluzione efficace, che però dovrebbe disporre di un maggior tempo a disposizione (ad esempio, il doppio di quello attualmente previsto), per consentire approfondimenti più mirati. Si fa strada l’idea di ricorrere ad analisi più narrative di dossier che comportano la comprensione e la ponderazione di situazioni complesse, come quelle che in genere deve affrontare un dirigente (dispersione, inclusione, valutazione, organizzazione). Non mancano i suggerimenti mediati: la prova scritta potrebbe comprendere una serie di quesiti puntuali in cui testare la padronanza di strumenti giuridici e amministrativi, ma anche un caso più articolato, con il quale mettere alla prova il “senso pratico” del futuro dirigente nell’affrontare i problemi che si incontrano a scuola. Il peso delle lingue straniere appare eccessivo (magari da sostituire con la presentazione di certificazioni adeguate), da potenziare invece le tematiche dell’e-leadership.

Orale a quiz o colloquio approfondito?

Anche le prove orali dovrebbero evitare la strada stretta dei quesiti puntuali a sorteggio (che tra l’altro non rappresentano l’intero spettro dei contenuti del bando di concorso) e soffermarsi su una più distesa analisi di questioni professionali, ove mettere alla prova le intuizioni e la visione prospettica e progettuale dei futuri dirigenti con la padronanza di strumentazioni operative, gestionali ed amministrative. Esiste la consapevolezza che non basta una sola domanda (o una sola tipologia di prova) per verificare le competenze potenziali di un futuro dirigente scolastico. Nel reclutamento di “alte” professionalità si combinano diverse metodologie, che vanno dai colloqui attitudinali alle simulazioni, dalle interviste ai giochi di ruolo, ma è evidente che una procedura pubblica pone numerosi vincoli, oltre alla questione tempo e numerosità dei partecipanti. Inoltre, occorre disporre di un “corpo” professionale di valutatori o selezionatori del personale. Nell’attuale contesto, comunque le domande della prova orale dovrebbero essere più aperte, rappresentare le diverse aree di competenza del dirigente, essere minimamente contestualizzate alle effettive condizioni di operatività di un dirigente. Una soluzione potrebbe prevedere di raggruppare i quesiti in tre grandi aree (aspetti organizzativi, aspetti amministrativi, aspetti pedagogici), da sondare con tre diverse domande in sede d’esame. Qualcuno propone di rendere pubblica l’intera banca-dati dei quesiti potenziali. L’elaborazione delle domande andrebbe affidata ad un livello nazionale, o comunque con una validazione nazionale. In prospettiva, la prova orale si dovrebbe presentare come conclusiva di un percorso di tirocinio e di stage formativo, perché allora si potrebbe evitare il sorteggio dei quesiti, per collegare invece il colloquio a quanto avvenuto nella fase di tirocinio e nella discussione di un portfolio professionale. Le regole del gioco dovrebbero essere conosciute con largo anticipo dai partecipanti e non essere soggette a cambiamenti durante lo svolgimento del concorso, ma diventare stabili nel tempo.

Quale credibilità per i membri delle commissioni?

E’ giudizio condiviso che la mancanza di un tempo equo per il lavoro delle commissioni (che ha portato alla frettolosità e approssimazione che spesso si leggono in alcune verbalizzazioni), l’assenza di esonero dal servizio per gli stessi membri, la mancanza di un dignitoso riconoscimento economico, sono tutti fattori che rendono fragile la composizione delle commissioni d’esame e la loro piena funzionalità. Già si è segnalato l’esigenza di un riequilibrio nella composizione delle stesse, con la presenza di effettive competenze pedagogiche, amministrative e professionali. Emerge l’idea di affidare ad una struttura dedicata (una sorta di board permanente per il reclutamento del personale) le procedure concorsuali, nella duplice opzione di:
Un comitato scientifico permanente di elevata levatura professionale e di inattaccabile autorevolezza, che svolga funzioni di preparazione di quadri di riferimento, griglie, tracce dei quesiti e delle prove (una sorta di gruppo di regia nazionale);
L’istituzione di un albo cui attingere le diverse professionalità necessarie per l’espletamento delle operazioni concorsuali. Emergono, tuttavia, diversità di opinioni sul tema della discrezionalità delle commissioni: secondo alcune va radicalmente contrastata attraverso la esplicita “proceduralizzazione” di tutti i passaggi, la formulazione nazionale di quesiti, al limite la correzione sulla base di algoritmi inoppugnabili (di qui la preferenza per saggi brevi); altri rivendicano una maggiore discrezionalità da parte dei diversi soggetti implicati nella gestione del concorso, controbilanciata tuttavia dalla rendicontazione dei risultati ottenuti e dal principio di responsabilità (che è cosa diversa dagli esiti di un contenzioso giurisdizionale). L’esperienza della “randomizzazione” nella correzione delle prove e nello svolgimento dei colloqui sembra aver dato qualche esito significativo, in termini di maggiore equità. Tuttavia la sede di lavoro delle commissioni dovrebbe essere unica.

Un solo concorso (nazionale) o tanti concorsi (regionali)?

La procedura nazionale è largamente preferita, anche se alcuni preferirebbero un significativo decentramento a livello regionale. Occorre però professionalizzare le commissioni attraverso un reclutamento mirato, una attività formativa preventiva ed efficaci forme di coordinamento tra le diverse commissioni. Le commissioni dovrebbero disporre di strumenti di lavoro comuni e introiettare comuni criteri di valutazione. Al di là delle criticità formali dell’attuale concorso (su cui si dovrà esprimere la magistratura amministrativa) ciò che ha fatto scalpore è la notevole difformità nei comportamenti valutativi delle commissioni, sia nelle prove scritte, sia nelle prove orali, nonostante il possibile effetto “calmieramento” della randomizzazione delle assegnazioni di correzioni e colloqui. Ma si tratta di valutazioni di merito non sindacabili in un contenzioso giurisdizionale.

Ogni quanti anni bandire il concorso?

Il ritmo torrentizio nell’indizione dei concorsi per dirigenti (con lunghi periodi di silenzio alternati ad improvvise tornate concorsuali per decine di migliaia di partecipanti) è una delle cause della gestione faticosa degli attuali concorsi. La norma prevede l’indizione triennale dei concorsi, ma negli ultimi vent’anni è sempre stata disattesa anche se rilanciata con scadenzari precisi all’interno di leggi più recenti. Esiste la positiva esperienza dei concorsi a direttore didattico, biennali, che hanno egregiamente funzionato per decenni. L’esperienza trentina insegna che è possibile gestire in toto una procedura di reclutamento in un anno solo, ed alcuni discussant si sono appellati a questo precedente. E’ evidente che una rigorosa scansione programmata pluriennale (ad esempio, ogni due anni) sarebbe un elemento di regolazione della procedura concorsuale evitando molte delle attuali distorsioni. A maggior ragione se, come chiedono alcuni, la partecipazione non potesse essere “reiterata” per più di tre volte, oppure dopo periodi “sabatici” tra un insuccesso e l’altro. Alcuni ritengono che l’amministrazione dovrebbe provvedere ad organizzare momenti formativi per aspiranti alle nuove posizioni, oltre che incentivare la documentazione e la certificazione delle competenze acquisite da docenti sul posto di lavoro e spendibili per la nuova carriera.

Ma, allora, chi dovrebbe far parte delle commissioni?

Occorre evitare la presenza di giuristi puri, non in grado di contestualizzare le conoscenze giuridiche con il loro uso effettivo. Si fa preferire, per il coordinamento delle commissioni la figura del dirigente tecnico (meglio se anche in possesso di esperienza di conduzione di istituzioni scolastiche). Da evitare la presenza della componente accademica o da circoscrivere a settori educativi o di ricerca attinenti alla dimensione scolastica. Minoritaria la posizione di chi vorrebbe solo dirigenti scolastici. Inoltre, sarebbe utile la presenza di valutatori nel campo delle dinamiche relazionali e comunicative.

Come garantire una efficace formazione sul campo, durante il concorso?

Il periodo dedicato alla formazione ed al tirocinio pratico nella scuola, inizialmente previsto dal Bando, è stato “cassato” dal legislatore, a giochi in corso, nella convinzione di accelerare le procedure concorsuali e assicurare con tempestività la nomina dei dirigenti sulle numerose sedi vacanti. Tuttavia, la scomparsa di questo segmento dell’iter concorsuale (che forse era eccessivamente macchinoso, dovendo poi pensare ad una successiva prova orale e scritta, con una diversa commissione) è quasi unanimemente considerata un vulnus ad un modello di reclutamento professionalizzante – Quasi tutti i partecipanti ritengono che il tirocinio dovrebbe essere oggetto di specifica valutazione all’interno del percorso concorsuale ed avere un suo peso rilevante. Secondo alcuni potrebbe anche sostituire la prova orale, diventando un tutt’uno, come riflessione sulla pratica. La durata di un tirocinio formativo dovrebbe essere di almeno 6 mesi, fermo restando poi la prosecuzione di una forma di tutoring all’interno di un più lungo periodo di prova. Decisivo il ruolo dei mentor, cioè di colleghi dirigenti esperti che si affiancano ai neo-dirigenti in formazione (alcuni prevedono rotazioni di queste figure).

E come accompagnare i nuovi dirigenti nel loro ”ambientamento” nella dirigenza?

La richiesta è di non ripetere attività di formazione e informazione sui molteplici contenuti culturali previsti nel programma del concorso o nell’astratta disamina del profilo richiesto al dirigente. Servirà, piuttosto, una formazione personalizzata, ritagliata sugli specifici bisogni formativi dei neo-dirigenti, alla luce del loro curriculum professionale. E’ comunque importante, al di là dei seminari formativi, affiancare il neo-assunto con un dirigente “mentor” in grado di accompagnarlo e consigliarlo nei passaggi più critici della nuova professione. La costituzione di piccoli gruppi di confronto, scambio, mutuo-aiuto (con la guida di un dirigente esperto) potrebbe poi incentivare il lavoro collaborativo. Al centro dovrebbero stare situazioni concrete, come le capacità relazionali e comunicative, il presidio della didattica, il rapporto con il territorio, le molteplici questioni della valutazione, la gestione delle innovazioni e i processi di rete.


[1] La redazione del documento è a cura di Giancarlo Cerini, che si è avvalso dei contributi scritti di: Beatrice Aimi, Lisetta Bidoni, Franco De Anna, Vanna D’Onghia, Paolo Fasce, Antonio Giacobbi, Rosalba Marchisciana, Emanuela Marguccio, Elisabetta Nanni, Mauro Piras, Mariella Spinosi, Maria Teresa Stancarone, Stefano Stefanel, Antonio Valentino, Maria Rosaria Villani, Lorella Zauli.

Misurare, valutare e certificare nella scuola dell’autonomia

Misurare, valutare e certificare nella scuola dell’autonomia

di Maurizio Tiriticco

Nei principali documenti normativi relativi alla valutazione degli alunni – si vedano, ad esempio, il decreto legge 137/2008, la legge 169/2008 e il dpr 122/2009 – si esprimono e si scrivono concetti molto interessanti a proposito della valutazione degli alunni. Copio fedelmente passim dal citato dpr: “La valutazione è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva… La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni… Le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali sul rendimento scolastico devono essere coerenti con gli obiettivi di apprendimento previsti dal piano dell’offerta formativa… Il collegio dei docenti definisce modalità e criteri per assicurare omogeneità, equità e trasparenza della valutazione, nel rispetto del principio della libertà di insegnamento…”. E si ribadisce, ormai da sempre, fin dai tempi dall’Unità nazionale. che la valutazione è espressa in decimi! E per numeri interi! Purtroppo quasi tutti i nostri insegnanti – e gli stessi dirigenti – non lo sanno, per cui… mai un insegnante attribuirà uno o dieci ad un compito o ad una prestazione, ma abbonderà in più, in meno, financo in meno meno, ed anche in mezzi! I tre quarti non sono gettonati! Menomale!

Mi chiedo spesso: possibile che dieci posizioni non siano sufficienti per valutare una prestazione? Nella vita quotidiana esprimiamo espressioni del tipo sì o no rispetto ad un qualsiasi oggetto o fatto. Un film piace o non piace. Una bistecca è buona o cattiva. Le vacanze sono state un disastro, oppure stupende. Sono frequenti anche i “così così”. E allora, non sarebbero sufficienti tre posizioni? No, così così, sì? Nelle scale valutative di molte scuole straniere la scala valutativa è quella quinaria, Ed ovviamente senza valori intermedi. Insomma pare che solo i nostri insegnanti siano afflitti da una vera e propria sindrome valutativa, la valutite! Una malattia che in effetti riguarda una incertezza valutativa di fondo, che sembra caratterizzare da sempre il nostro sistema di istruzione, forse a partire dalla lontana Legge Casati! E ciò nonostante le frequenti chilometriche ordinanze sulla valutazione! Le quali purtroppo, invece di dare certezze, costituiscono, invece, ulteriori motivi di apprensione.

Parole e parole appesantiscono i documenti ministeriali sulla valutazione, ma… mai una parola sulla misurazione! Misurazione? Ma che cos’è la misurazione? Penso di averlo detto e scritto mille volte, anche avvalendomi degli esempi più banali! Eccone alcuni. Vedo in vetrina una bella camicia o un bel paio di scarpe: vorrei acquistarle, ma… manca il mio “numero”!!! Quell’automobile è stupenda, non costa neanche molto, ma è piccola per la mia famiglia numerosa! Al supermercato si verificano le medesime situazioni: ottime arance di Sicilia, ma costano troppo! Per non dire poi della stagione dei saldi! Cappotti acquistati in piena primavera scontati del 50%! Insomma, preventivamente MISURIAMO tutto ciò che concerne un prodotto, soprattutto il rapporto qualità/prezzo! E VALUTIAMO anche quanto possiamo spendere in ordine al nostro bisogno e al nostro potere di acquisto! E lo valutiamo anche in ordine alla sua qualità, a volte anche debitamente certificata. In effetti, si tratta di operazioni oggettivamente distinte, ma che nel nostro pensare quotidiano sono sempre, se così di può dire, agglutinate.

Nella scuola si verificano quotidianamente analoghe situazioni! Quante volte un insegnante dice a un alunno: “Possibile che non ci sia neanche un errore in questo compito in classe? Dimmi: da dove l’hai copiato?”. Oppure: “Mi aspettavo un compito migliore da te! Come mai tanti errori?” E così via! Si tratta di due semplici espressioni, che in effetti tradiscono due precisi atteggiamenti: quello del contare, MISURARE gli errori attesi o disattesi, e quello del VALUTARE il compito e lo studente che l’ha eseguito. La MISURAZIONE, quindi, riguarda l’esito numerico – possiamo dire – del compito eseguito (in genere, gli “errori commessi”, qualunque sia il tipo di prova, orale, scritta, pratica); la VALUTAZIONE riguarda il valore, appunto, che gli viene attribuito. Altro esempio, banalissimo, ma sempre ricorrente alla fine di ogni anno scolastico: l’alunno Rossi ha buoni voti e una buona media, ma un cinque in una singola materia; il consiglio di classe discute se attribuirgli un debito oppure soprassedere; si opta per la seconda tesi e, nel momento in cui il cinque “passa a sei” – in genere si dice e si verbalizza così – si è passati letteralmente e concettualmente da un’operazione MISURATIVA (il fatto che l’esito oggettivo è cinque) ad un’operazione VALUTATIVA (il fatto dell’attribuzione concordata del sei).

Quindi MISURARE e VALUTARE sono due operazioni assolutamente diverse, ma… il fatto è che, sia nella norma che nelle consuetudini degli insegnanti, le due operazioni spesso non vengono chiaramente identificate e distinte. Pertanto, va ribadito che “portare un cinque a un sei” – come in genere si dice, e non solo in sede di consiglio, ma anche nella quotidianità del lavoro di un insegnante – non è un “regalo”, ma l’esito di due operazioni mentali assolutamente diverse: la prima come esito di una misurazione oggettiva (l’esito della prova o di una serie di prove); la seconda come esito di una operazione valutativa (le operazioni “altre” che l’insegnante o il consiglio di classe fanno in considerazione di fattori “altri”, non inerenti al compito). Le considerazioni sin qui condotte circa la distinzione concettuale che occorre sempre fare tra il MISURARE e il VALUTARE sono note al docimologo, ma non sono sufficientemente note al Miur quando legifera e non sempre agli insegnanti quando operano.

Altra considerazione riguarda i voti e la loro “media”, a cui ci richiama fermamente la norma. Ma, che senso ha la media a fronte di queste due sequenze di voti, 4, 5, 6, 7, 8 e 8, 7, 6, 5, 4? Ambedue le sequenze danno la media di 6, ma… mentre la prima sequenza dà conto di un alunno che – come si suol dire – “studia” e “migliora”, la seconda dà conto di un alunno che “non studia” e “peggiora”! E perché, allora, non considerare anche i valori che seguono? La mediana, la moda, il gamma, il sigma, il punto Z e il punto T? Valori che in realtà sono tutti previste dalla matematica! Però, di fatto, le operazioni misurative e valutative compiute dagli inseganti e indicate dalla stessa amministrazione non vanno oltre la media e il cosiddetto buonsenso! Per cui hanno sempre un qualcosa di casereccio.

Va anche ricordato che la norma dice esplicitamente che all’inizio di ogni anno scolastico le istituzioni scolastiche “individuano le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale” (dpr 275/99, art. 4, c. 2, punto 4). Il che significa che, tenuti fermi gli esiti delle operazioni misurative, sempre oggettive e indiscutibili, le operazioni valutative, soggettive, possono variare da scuola a scuola e di anno in anno! Eppure, penso che si possano contare sulla punta delle dita i collegi che all’inizio di ogni anno scolastico deliberano in materia di valutazione. Anche perché valutare in sede di istruzione obbligatoria è un conto; altro conto è valutare in sede di istruzione successiva, scelta dall’alunno! Pertanto, in assenza di una delibera collegiale, l’esercizio valutativo è eseguito da ciascun insegnante secondo il suo “buon senso”. Ma spesso il “buon senso” dell’uno non coincide con il “buon senso” dell’altro. Il che a volte comporta che in sede di scrutini, soprattutto finali, contino di più le considerazioni personali di ciascuno, pur debitamente motivate, che non le indicazioni di una delibera collegialmente adottata.

Tutte le considerazioni fin qui condotte sulla distinzione da fare tra il MISURARE e il VALUTARE assumono poi una particolare valenza quando, al termine di un periodo più o meno lungo di “interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana…” (dpr 275/99, art. 1, c. 2), occorre certificare le COMPETENZE raggiunte e acquisite dal soggetto in apprendimento. Pertanto, un conto sono gli apprendimenti via via acquisiti da un soggetto, debitamente misurati e valutati, altro conto sono le COMPETENZE da certificare, come esito complesso di CONOSCENZE via via acquisite e relative ABILITA’ maturate.

Si moltiplicano le parole, ma anche i concetti che vi sottendono. Si veda la seguente tabella: vi sono indicati i legami che corrono tra dati oggetti e date operazioni. Alcuni banalissimi esempi. Se un soggetto CONOSCE le operazioni aritmetiche, è ABILE nell’acquisto di un quotidiano. Ma per essere COMPETENTE nella progettazione di un edificio, sono necessarie altre conoscenze ed altre abilità. Ciascuno di noi è ABILE nell’uso della forchetta e del coltello, ovviamente dopo averlo CONOSCIUTO e appreso! E con tanta fatica!  Se un soggetto CONOSCE come funzionano i tasti di un pianoforte e sa leggere le note di uno spartito, è ABILE nel suonare. Ma un pianista di fama internazionale è COMPETENTE nella misura in cui il mix delle sue conoscenze/abilità acquistano un particolare rilievo.

Insomma, un discorso approfondito su queste questioni richiederebbe tempi e spazi lunghi. La tabella che segue è, comunque, indicativa del rapporto che corre tra le operazioni che abbiamo indicato ed il coinvolgimento dell’attore, cioè di chi opera.

ISTRUIRE l’alunno FORMARE la persona EDUCARE il cittadino
CONOSCENZE mono- ed interdisciplinari ABILITA’ singole COMPETENZE più abilità interagenti
MISURARE le conoscenze VALUTARE la persona CERTIFICARE le competenze

Si tenga conto che i primi tre verbi sono chiaramente indicati come sostantivi dal comma due del dpr/275/99, istitutivo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Che così recita: “ L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di EDUCAZIONE, FORMAZIONE e ISTRUZIONE mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.

Giunti a questo punto, il discorso, rispetto alle concrete azioni da compiere, è abbastanza complesso. In effetti, MISURARE è relativamente facile: basta contare gli errori. Ma occorre anche considerare che un conto sono tre errori commessi in tre righe; altro conto tre errori commessi in un compito di dieci pagine! Il VALUTARE implica alcune difficoltà, ma il CERTIFICARE ci porta su un terreno assolutamente nuovo per la nostra scuola, per cui la confusione è tanta. In effetti, quando, ad esempio, andiamo a leggere i “nuovi modelli nazionali di certificazione delle competenze nelle scuole del primo ciclo di istruzione”, di cui alla Cm n. 3 del 13 febbraio 2015, le perplessità sono maggiori delle certezze! Anche perché poi dobbiamo anche – come si suol dire – “fare i conti” con l’Europa! O meglio, con quelle otto competenze chiave necessarie ad un apprendimento permanente che il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato con l’ultima Raccomandazione del 22 maggio 2018.

Competenze che è opportuno trascrivere: 1) competenza alfabetica funzionale; 2) competenza multilinguistica; 3) competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria; 4) competenza digitale; 5) competenza personale, sociale e capacità di imparare ad imparare; 6) competenza in materia di cittadinanza; 7) competenza imprenditoriale; 8) competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

Ne consegue infine che incrociare obiettivi e finalità della nostra scuola, o di ciascuna scuola nazionale dei 26 Paesi dell’Unione Europea, con le otto competenze chiave europee, implica atteggiamenti e comportamenti particolari da parte dell’operatore scolastico, dirigente o insegnante, nella quotidiana azione didattica.

Ma è una sfida alla quale non ci possiamo sottrarre e che dobbiamo vincere! Ne va del destino non solo dei nostri giovani, ma dell’intero continente europeo! Costretto a misurarsi con potenze quali gli Stati Uniti, la Russia, la Cina! Potenze continentali! A fronte delle quali la grande e vecchia Europa, costruttrice di una grande civiltà, ha ancora molto da dire e da fare!

AA.VV., Antologia di Poeti contemporanei dei Balcani

Antologia di Poeti contemporanei dei Balcani
a cura di Paolo Maria Rocco e Emir Sokolović
(diciotto poeti dalla Slovenia alla Macedonia con testo italiano a fronte)

testi in lingua originale tradotti in italiano
LietoColle Editore, Como – Collezione Altreterre –
ISBN 9788893821148
Pagg. 289


La bellezza del fare

«Questo è un libro di poesia. Non lo abbiamo voluto per scrivere la vicenda della poesia balcanica contemporanea. Non abbiamo pretese storicistiche. I testi che qui presentiamo non sottendono l’adesione a scuole o movimenti; e neppure rappresentano una raccolta ‘dal fior fiore’. Abbiamo chiesto ai Poeti di fornirci una selezione delle loro poesie, delle quali il critico-antologista si è limitato a trarre il percorso esemplare. Abbiamo voluto assecondare il pensiero della poesia non l’esigenza di una sistemazione. Da sempre credenti nell’autonomia dell’arte, abbiamo voluto evitare che l’Idea prevalesse sulla Poesia, perché la lettura critica non sormontasse la voce dei poeti. Abbiamo scelto gli Autori tra i poeti più conosciuti, che proponessero una propria visione del mondo, una poetica e uno stile, ma che non necessariamente provenissero dal circuito del mainstream culturale e che non rappresentassero a tutti i costi una linea di tendenza. Questa scelta ci ha portato a rinunciare alla completezza a favore di valori poetici realizzati e non emblematici di un certo gusto del momento o di una particolare fisionomia dell’Autore. Abbiamo privilegiato quei testi poetici che ci sono apparsi i più fedeli al significato etimologico di poiéin e di téchne, del fare come creare, e dell’arte come tecnica non intesa, però, come artificio ma dotata di una sua particolare specificità e essenza in quanto portatrice di verità e di un valore di conoscenza del mondo.

A parte quattro eccezioni, tutti i Poeti antologizzati sono esordienti in Italia, avendo però essi già pubblicato raccolte di poesie in vari Paesi d’Europa e del mondo. Molti degli Autori hanno offerto a questa indagine poesie inedite sia in Italia che nelle loro patrie d’origine.

Pensare un’Antologia di poeti dei Balcani è stato innanzitutto un modo per ringraziare la terra, le donne e gli uomini che ci hanno guidato dalla Slovenia alla Macedonia alla loro scoperta e alla scoperta della creatività della poesia in una regione tanto significativa per la storia e la cronaca europee ma così ancora poco frequentata in Italia. Ed ha significato accedere – per dire con Paul Valéry – in quel momento vertiginoso in cui qualcosa si distrugge perché qualcosa si produca, proprio là dove ribatte ancor oggi l’eco della distruzione nella provvisorietà del linguaggio che oscilla tra spinte all’isolazionismo e abbattimento dei muri della divisione sociale, politica e culturale. È del 2017 l’Appello firmato a Sarajevo da circa duecento tra scrittori, accademici, linguisti a sostenere la necessità di uniformare in una sola lingua i tre idiomi del croato, del bosniaco e del serbo, suscitando interrogativi, perplessità e contestazioni, nel mentre in Montenegro si percorre la strada opposta: quella della creazione di una lingua di cultura identitaria. Una provvisorietà e anche una contraddittorietà di prospettive che il linguaggio della poesia fa proprie. E là dove ribatte l’eco di guerre e dittature quando si pensi ai regimi repressivi e antidemocratici della Romania di Ceausescu e dell’Albania di Hoxha.

Reduci da una devastazione che si è fatta strada anche nella lingua i poeti trovano un loro idioma, che li unisce, al quale affidare una loro verità, nella qualità della loro percezione, ma pure nella peculiarità di un linguaggio che muta nell’angoscia del deflagrare dell’Io e del senso, ci dicono i poeti nelle forme dell’orfismo, dell’elegia, del verso libero, della canzone. Oggi la ricostruzione di un’identità culturale – di cui troviamo segni rivelatori in alcune di queste poesie lontane però dall’affermare un nazionalismo ideologico – sembra esprimersi nell’urgenza dei nostri Autori di diffondere l’idea della cultura e della creatività dell’arte come strumenti di riconciliazione. Il tentativo è quello di superare il sentimento di una tragedia epocale che ha distrutto vite e orizzonti, elaborandola liricamente quella tragedia in un’analisi che non fa prigionieri, nell’interpretazione del presente e del futuro, nel segno delle rispettive Storie e Tradizioni. Non si può prescindere da questo dato e dall’effetto che esso suscita nella sensibilità del poietes, di colui che fa nascere qualcosa all’Esistenza, di colui che crea l’opera. Se la creatività della poesia nei Balcani non può non ricondursi all’esperienza di un male di vivere che è soggetto e oggetto della riflessione profonda di questi poeti, essa si costituisce in bellezza del fare che restituisce umanità all’uomo disumanizzato.

I poeti, donne e uomini delle terre dei Balcani occidentali, hanno biografie che, come le loro poesie, tendono a un atto liberatorio di denuncia, sempre discorso intorno al mondo e dialogo con il mondo: denuncia della disumanizzazione e la nuda e cruda sua espressione allo scoperto dello sguardo di chi vuol vedere questo transito della storia. Poeti che assieme alle loro comunità sociali e politiche si trovano oggi nel mezzo di una transizione».

Paolo Maria Rocco

La pietra focaia dei Balcani

«È trascorso molto tempo dall’ultima pubblicazione di un’Antologia che potesse registrare al suo interno una selezione accurata e critica di poeti balcanici. Per quanto l’arte possa e debba prendere corpo esclusivamente da principi creativi, abbiamo pensato a una geografia quasi dimenticata per la quale l’aver posto l’accento sul concetto di identità negli ultimi decenni ha prodotto, in linea di principio, solo distruzione. In questo senso, questa Antologia dovrebbe essere, nelle nostre intenzioni, più interessante e più intrigante di altre.

La selezione di scritti che presentiamo non può far sorgere dubbi riguardo al valore dell’autenticità e riguardo al fatto secondo cui il lavoro dei poeti sia originato da un’esigenza necessaria di elevare l’espressione artistica del linguaggio e del milieu anche nel trattare i comuni, più semplici problemi quotidiani: degni di attingere alla Creazione, perché la creatività è il segno distintivo di questi poeti e della direzione della loro percezione, di quel «sto imparando a vedere» del Malte Laurids Brigge di rilkiana memoria:

 … Perché i versi non sono, come si crede, sentimenti (che si hanno abbastanza presto) – sono esperienze. Per un solo verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna sentire come volano gli uccelli, e sapere i movimenti con cui i piccoli fiori s’aprono il mattino. Bisogna poter ripensare a cammini in contrade sconosciute, a incontri inattesi, e ad addii che si vedevano da tanto in arrivo, (…) a giorni in stanze quiete e raccolte, e a mattini sul mare, al mare, ai mari, a notti di viaggio che frusciavano via alte e volavano con tutte le stelle – e non è ancora abbastanza, bisogna avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra (…). Ma occorre anche essere stati vicino a moribondi, essere stati seduti accanto a dei morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori che entrano a folate. E non basta neppure avere ricordi (…) perché neppure i ricordi sono ancora esperienze. Solo quando essi diventano in noi sangue, sguardo, gesto, anonimi e indistinguibili da noi, soltanto allora può succedere che la prima parola di un verso, in un’ora rarissima, s’alzi ed esca dal loro centro…».

Emir Sokolović

P.M. Rocco, Bosnia, appunti di viaggio e altre poesie

    “Bosnia, appunti di viaggio e altre poesie” di Paolo Maria Rocco
testo a fronte in lingua bosniaca di Nataša Butinar
Ensemble Editore Roma – Collana Alter Poesia –
ISBN 978-88-6881-397-0
Pagg. 98


La metafora del viaggio nelle poesie di Paolo M. Rocco

di Marco Labbate

Al principio l’Arcangelo annuncia, nella nebbia, il porto.

    È con l’approssimarsi a un nuovo approdo che si apre il secondo bel libro di poesie di Paolo Maria Rocco “Bosnia, appunti di viaggio e altre poesie”. Il viaggio ha inizio in modo emblematico non solo perché la nebbia è rivelazione – nel percorso circolare del nostoi (ricerca di conoscenza e veicolo d’esperienza) – ma anche perché la funzione dell’Arcangelo (Capo degli Angeli) è di avvertire che qualcosa, come fosse voluta da una presenza intangibile, sta per accadere vegliata dal sacro, il viaggio della vita, tra realtà e sogno.

    I primi versi con i quali si apre questo libro alludono, quindi, ai temi del distacco, della perdita, dell’allontanamento da sé e del ritorno da un percorso eccentrico condotto nell’ignoto. Tra buio e bagliore prendono forma gli specchi della solitudine di un’anima che si volge verso ciò che è inconosciuto, in un viaggio reale, fisico e allo stesso tempo metaforico, si spinge in nuove visioni fino al centro delle cose e della poesia. L’ingresso è un moto di avvicinamento ad uno spazio di autenticità che impone di rielaborare la realtà in forma di racconto, di mito: «Sono a Spalato che m’è venuta incontro…» – «Una parola muta, dici/ è ciò che poi rimane, intimidita/ come fosse storia increata, vita/ umana denudata, e sfarzo/ del lacerto prima della forma/, materia (…)».

    S’innalzano e s’interrano queste visioni nella levità rarefatta di una inquadratura dall’alto dei luoghi (perché è necessario anche imporre una distanza per elaborare un discorso sull’esistere), come da una ricognizione aerea, sulle aspre dorsali delle Alpi dinariche, per poi gettarsi a capofitto fin nelle pieghe della terra, nello scavo della Neretva, il fiume il cui nome – come i nomi di tutti i più importanti corsi d’acqua della Bosnia Erzegovina – è declinato dai bosniaci sempre al femminile: la Bosna, la Neretva, la Miljacka… perché il fiume, la sua acqua, è il «ventre da cui tutto ha inizio».

    E se la Neretva apre l’evocazione di un altrove, l’immagine si connota del suo legame con la memoria, quando in prossimità di quel fiume si consumava una guerra in uno di quegli spartiacque che mutano la Storia.

    Ma è di un’altra storia, così ancor oggi vivida, che ci parlano le poesie dell’Autore: appena il salto di una generazione, e deflagra nel cuore dell’Europa,devastantenella regione dei Balcani, in un registro di parole che ci porta in medias res e ci offre anche, subito, la cifra della diversa prospettiva della quale s’informa questa scrittura poetica nel corso del suo processo di elaborazione che conduce verso direzioni stilistiche nuove rispetto al suo primo libro “I Canti”.

    Queste poesie si costituiscono come viaggio iniziatico, topos della scoperta di un esule nella contemporaneità che disumanizza e parcellizza l’esistenza. Non è uno spazio di fuga, allora, ma di autentica libertà nel corpo a corpo con la coscienza della crisi della nostra epoca, e spazio di verità nel tentativo di ridestare – come ha scritto con una felice intuizione Al J. Moran nella presentazione del primo libro dell’Autore “I Canti” – la scintilla di sacro che è in ognuno. Parola, paesaggio, pensiero si aprono al disvelamento e il viaggio diventa metafora della vicenda umana, laddove non c’è naufragio, non c’è sconfitta finché l’uomo riesca a ritrovarsi.

    È così che, tra storia e visione, in questa perlustrazione portata dentro se stessi, lo Stari Most appare all’improvviso: «il guizzo di una piuma, il flettere d’un’ala…». L’immagine dei giovani che si tuffano dall’inarcarsi del dorso del ponte di Mostar acquista un ulteriore significato: assumono forma di ali come anche i due bracci del ponte ottomano. Ali spezzate che franano al suolo quando l’artiglieria croata colpisce il simbolo innocente della Mostar musulmana. Una delle immagine più note della guerra protrattasi dal 1992 al 1996, una di quelle immagini alle quali la memoria rimane sospesa, in un senso di colpevole indifferenza che rimane confitto cuore dell’Europa

 (…) ti dice / che una parola sullo Stari Most tacque / dell’altra nell’avvitarsi d’Halebija a Tara /  dell’onda sopra l’onda, e se poi guardi / nell’abisso, che ha la sua lingua / pure il fiume, il suo moto / che non indulge e non ha sosta

    Repentino, fraterno un grido di dolore echeggia dalla città di Zenica: «Vorrei così vedere la nube,/ nel tempo che ora viene, dilaniata nel cielo che avvelena/ questa terra, con la fame atavica del lupo brado dei monti,/ e dell’inconciliabile diversità dell’etnia sterminata/ con i denti anche l’idea inculcata, che infiamma gli animi,/ e insieme lo spregevole impresario che mercanteggia/ nelle miniere morti e miserie». Ha il volto di Azra, la voce di un popolo, di più popoli in uno. Si alza, assorda, si placa in una nuova ferialità: il tramestio di un bar, la Bosna appena adombrata, come un nume

(…) vibra l’impiantito/ vecchio del bar sul Bulevar Ezhera/ Arnautovića e nel telaio l’opaco/ drappo sintetico s’agita come della finestra/ un vetro rotto. Guardo il fiume dalla terrazza/ sospesa sulla Bosna: un poco scorre/ contrariato, il vento alza un tappeto/ di minute onde trasversali (…)»

    Come se nei Balcani, più che in ogni altra Regione, valga di più la legge universale secondo cui i luoghi non possono essere esperiti senza considerare la loro storia, perché tra passato e presente non c’è una relazione soltanto, ma una continua compresenza che l’Autore sottolinea nel: «far rigenerare la storia/ e il passato nel fiammeggiare del presente». È un tempo che procede in maniera sincopata, che frena e di nuovo incalza, torna indietro e poi si ripresenta insieme con le vite che ha infranto, colte in un coraggioso quanto doloroso tentativo di rigenerazione e di riconciliazione con se stessi e con il mondo, che si impone anche visivamente con un repentino cambio di scena

«(…) un’età inesorabile e violenta che vedi incisa/ in un sommesso sguardo, o nell’esposta dignità/ di un occhio fermo, che si misura col sangue/ nelle fosse, nel fischio osceno dei mortai/ sopra le case, nel pianto dell’innocenza profanata// (…) si eleva a perdifiato una voragine/ che la lena inghiotte, un grido giocoso e cristallino/ di ragazzi… il vorticare corrisponde al suono/ che rigenera lo spirito nell’intelletto, (…) e dentro l’armonia/ del fiume in piena è condizione dell’animo (…)»

    Non si tratta solo dell’impressione che suscita lo sguardo su ferite ancora aperte nelle carni e dalle voragini ancora scavate dai proiettili. Si tratta di quel presente politico che cristallizza il passato in un’armatura, attuale, di «checks and balances», pesi e contrappesi, e nel quale presente così liricamente narrato si svela ciò che detta parole d’amore a questo diario di viaggio, la persistente volontà di riconoscere, sopra tutto, ciò che – al di là di ogni cieco furore – può conservare la Bellezza della presenza umana in una regione martoriata: è, certo, un sensibile omaggio alla Bosnia e ai suoi abitanti, all’homo civicus, che non è cliente né suddito, e alla sua etica di cittadino, questo percorso in cui ci guidano le poesie dell’Autore. È alla Bosnia incarnata nei suoi simboli vitali (cultura, tradizione, mito) che s’ispira la poesia di questo percorso affrontato dall’Autore nei luoghi fisici e nell’elaborazione del linguaggio poetico: l’oppressione della sopraffazione si placa nell’armonia delle acque del fiume, identità con il paesaggio interiore di chi ha vissuto quella ferita. Perché esiste nella poesia errante di Paolo M. Rocco un’altra dimensione del passato, dove sembra possibile una tregua dal dolore, il passato che sconfina nel tempo ancestrale, quello che dà il nome alle cose

Jalija, gelsomino d’impercepita opalescenza/ della pianta del sicomoro ha l’incanto, della fenice/ feconda e nutrice: questo, ora mi dicono, dev’essere/ il suo vero nome, ché dall’ampia chioma riluce/ un’avvenenza e antica quando la scioglie nella Bosna

    Rispetto al passato recente – la pietra scabra contro cui si scontra il quotidiano – questo passato è una porta aperto verso l’onirico, là dove si apre lo spazio all’incanto dei sensi, alla meraviglia, al ristoro che diventa inesausta contemplazione nutrita della nostalgia (dal greco, nostalgia è composta da: nostos/ritorno e algia/tristezza) non del ritorno in patria ma dell’accesso all’esperienza

Il cielo/ dalla mia parte, che tu lo sappia, gronda/ un sospetto di pioggia/ (…) ora la volta/ è una brocca inclinata che versa di gocce/ un’armata. Sul litorale la sabbia è un mantello/ stellato che ondeggia nella brezza/ e si fa pensiero alato nei pressi dell’approdo

    Ma non si tratta di un sogno che deve essere sciolto. Il ritorno riprende lineamenti definiti.     L’ultimo sguardo si muove da quel mare, altro, abbandonato all’inizio e che, nell’ultimo indugio, sembra voler abbracciare tutto ciò che ha raccolto. Il congedo, E altri altrove, è una visione da conservare come un cimelio nel quale quello che s’è vissuto ricorre in una voluta d’arabesco: una donna con il suo strumento a corda, la giovane venditrice, un uomo che cammina:

(…) com’è stato/ che lo squillo della voce sia diventato un canto/ di gabbiani, dall’altro mare vedo uno strumento/ a corda nelle mani di una donna nel mercato/ delle stoffe, e della giovane nel chiosco/ della trafika un disegno che indulge/ all’andamento del passante sulla strada/ e al desiderio: s’accede/ da quegli occhi generosi nelle volute/ arabescate sull’acqua della Bosna

***

    A quella terrestre, materica si affianca una seconda dimensione del viaggio, non geografica, senza luogo. La poesia sembra quasi proporsi come manuale del viaggiatore in una tensione che è insieme lirica e metafisica. In questa dimensione visionaria l’hic et nunc – in un andirivieni di riprese e di rimandi al testo – diventa strada all’everywhere, ad uno spazio immaginifico che si apre con la seconda sezione del libro, “Altre poesie”

Di forme intersecate un nudo patchwork, un modo/ per corrispondere del viaggio ad una pianta/ grafica l’insolito messaggio, il benvenuto. Un tempo/ altro prendono gli accordi, il calore sprigionato/ dalla spiaggia, il volo che innalza mulinelli/ di gabbiani sopra il ponte, l’acqua che sembra dissipare/ in un tremulo vapore il colore dei ricordi, l’onda/ che prende poi la forza e diventa una tempesta// Nel mare senza mappa, un punto di passaggio/ aperto per l’ignoto sulla cui cresta s’agita/ il pensiero di rompere l’indugio

    Il carattere iniziatico del viaggio nasce da una riduzione all’origine che ha nell’acqua, come dicevamo, il suo elemento primario: «il traghetto mi partorisce dalla stiva»; e il fiume, abbiamo visto, è «ventre da cui tutto ha inizio». C’è un valore emblematico dell’andare per mare o sul fiume, su una zattera o su un cargo malandato, cercando di domare le rapide o le onde: è la ricerca dell’essenza della vita, della genuina bellezza, è la ricerca di ciò che si avverte perduto che guida verso la verità «: ben potenti ho scavallato flutti/ di mondi che si potessero solcare/ nessuno avrebbe detto, il lato/ aperto di uno spazio che ho sbrigliato/ con una carezza sul dorso lanciato/ del puledro (…)»; valore emblematico hanno il remo del passatore che non tocca mai la stessa acqua, il battello fatiscente che -identificandosi con l’Autore- resiste alla tempesta e solca i marosi come la procellaria che «(…) adusa al largo/ mare ad ali spiegate riprendo il volo a raso/ e non di un asilo cerco il luogo ameno, il valico/ nel tempo col bruno della mia livrea, col bianco/ delle vele ridesta il cielo alla memoria e piango».

     Allo stesso modo, il passo del viandante non ha direzioni da imporre a se stesso se non penetrare in profondità nelle cose e nella loro memoria sedimentata; accetta persino l’inciampo, come inevitabile presa di coscienza del terreno, di un qui e ora trasfiguratidallo sguardo del pensiero che è accesso ad una dimensione atemporale

Passeggiare prediligo sulla sponda, rapida/ a volte con il pensiero che s’accorda, hai detto/ per le sue motili forme al passo, e incrociare/ il cammino dei viandanti per immedesimarmi/ nel caos delle mie stanze, perché amo incespicare/ nei suoi riverberi come della fronda il fitto intreccio/ s’avviluppa su se stesso per ritrovarsi/ ancora smarrito (…)»

    Ecco come, nelle poesie di Paolo Maria Rocco, sul piano prettamente linguistico suono del fonema e sua qualità acustica si relazionano con il significato della parola che essi stessi traducono. In questo senso il fonosimbolismo del termine incespicare raccoglie una forza dell’esplorazione che è, ancora una volta, anche potere della lingua: il suono definisce una consistenza che conferisce alle parole peso. Di volta in volta emerge questa qualità nell’asprezza o nella musicalità del ritmo e del riverbero sonoro che innervano i versi e testimoniano di una intensità che assegna ancor più potenza alle parole, un surplus di significato nelle sue metafore e simboli

Le parole, mi hai detto/ si possono ascoltare/ non i pensieri, quelli/ se ne vanno direi nel silenzio/ dissigillato dallo sciabordìo/ del mare colmo dei sensi: Idea/ Spirito, Materia allora ritornano/ a parlare come mai prima/ fosse accaduto nella lingua/ di un mondo dal moto perpetuo/ nell’intimo sommosso, inaudita

e anche:

mette in guardia// Dall’ingresso nel bosco: è sorvegliato/ hai detto il testo, nondimeno allarma che si vesta/ d’ombre sovrapposte, e a un dipresso che sbocci/ dalla linea perimetrale delle felci il modo d’intendere/ l’onda di nere bacche note di una partitura

    La parola diventa spazio sensoriale e forma alla conquista dei sensi:

I sensi, i sensi… ti dico, che tessono/ i sensi? Del tempo che ordiscono/ che già noi non percepiamo? Del mondo che appare/ son taciti e della materia a ogni richiamo?… Vediamo:/ cosa vediamo che c’è?

***

     La voce di questa dimensione altra del viaggio si erge a voce universale, voce della «terrestre crosta»: è la voce della natura, non della realtà, per inoltrarsi lungo «un percorso ancora ignoto» che se «altro di sé non mostra che il moto» dispone ad una più precisa percezione dell’esplorazione nel significato della lotta condotta tra tenebra e luce. È, questa nuova dimensione, nel mito controverso – ci spiega l’Autore – dei Dioscuri, figli di Zeus e di Leda, guerrieri e protettori dei naviganti, stravaganti divinità che partecipano di due nature, una mortale l’altra immortale, attratte dall’Ade e dal Cielo in un movimento di assoluto vitalismo capace di rovesciare l’ordine del mondo, in un anticonformismo che fa strame dell’ipocrisia col gesto bello che è gesto di verità: «Io vado laddove non c’è posto per l’onda/ che s’arrotola in spumeggianti piroette (…)/ (…) ma solo dove non m’assale/ l’irrilevanza sordida di certo perbenismo/ parolaio, avariata merce da rigattiere/ o da corsaro (…)/ (…) non lo conosco un altro modo di nutrire amore e idee/ che io misuro in ere per quanto nel mare/ vi è di sacro e nel suo letto (…)». In questi passaggi di Altre poesie, le nette connotazioni geografiche del viaggio vissuto si perdono in scorci indistinti che sono un invito a percepire una verità celata e che alla precarietà di una desolante condizione umana traghettata nel principio del mare o di un fiume o di un canale, accompagna il bagaglio di memorie, sentimenti, pensieri del viaggiatore che tenta di uscire dalla finitezza della realtà per tornare all’infinito. Le descrizioni si rarefanno come se recuperassero un viaggio lontanissimo o cercassero materia per il viaggio che deve venire e nel quale c’è spazio anche per un attraversamento della Iulia Fanestris, la città di Fano tra storia antica e contemporaneità, e del paesaggio nel quale si specchia, che pare ascoltare se stessa, interrogarsi sul proprio destino, come in una rivendicazione di libertà. Che sia l’anima, dunque, dell’essere e del mondo, a rianimare l’elaborazione di un pensiero sull’esistenza, e sulla natura e sul mito. Ma anche nel momento in cui la potenza sensoriale si sublima in un’astrazione – conoscibile, come idea/noumeno, solo attraverso l’azione dell’intelletto e del pensiero – essa non perde l’àncora del suo legame con il mondo

(…) dai passi sordi/ nel loggiato Malatesta a ciò che resta di vero/ delle Mura romane poi il tempo, hai detto, pesta/ il talento di rigenerare in fiamme il sentimento/ , la visione di uno squillo di trombe augustee/ che innalza la storia nell’ora severa. Riecheggia/ così il corso del fiume che si snoda dall’Alpe/ della Luna alla Fanestris Iulia (…)

e, in un’altra poesia:

Neppure un’ombra il rudere dispensa, il sauro/ striscia compiaciuto tra una roccia e un detrito/ pericolante di muraglia. Il sole a perpendicolo/ registra un picco che si staglia dall’aria cocente/ e sulla terra in frusta, resiste male all’acuto/ l’arida sterpaglia nell’ora verticale pietrificata/ en attendant…

    Nelle poesie di Paolo M. Rocco non è possibile viaggio senza incontro, che si condensa in un assiduo dialogo. Vi è un tu che segue gli spostamenti, un tu femminile, sensibile e sensuale, guida che rivela le parole che mancano al poeta, figura una e molteplice, che si manifesta e si dissolve. Il viaggio dell’Autore non è conquista solitaria, ma scambio reciproco tra la meraviglia della scoperta e il bisogno di essere condotto da chi ha del luogo un possesso diverso

Qualcosa rimarrà di tuo nell’acqua/ che i piedi bagna di Jajce, nel salto/ sonoro del Pliva e del Vrbas, qualcosa/ dell’amata kasaba rimane alla radice/ che si eleva dopo la caduta

    Il tu diventa un prestarsi gli occhi l’uno con l’altra, un raggiungere uno sguardo che sia dialogico e comune

Tu, spettatrice/ della stessa tua vacanza, una visione/ sei chiamata del mondo a evocare, rigorosa/ come fosse della luce un’alternanza/ speculare, o dei tuoi occhi

    In questa duplice dimensione, negli spazi intersecati dal viaggio vissuto e da quello astratto, nei cortocircuiti temporali, nel ritorno all’acquasi compie l’approdo: l’emozione del sentimento come unico sguardo da rivolgere al futuro

Pare sia il futuro/ invalicabile, un cancello dai battenti schiusi/ le palpebre degli occhi tuoi sorpresi/ di trovare dove non pensavi vi fosse il fuoco/ di un amore. Uno strappo dell’anima oscillante/ qualcosa di più dello strapiombo di una cataratta/ quest’acqua che sovrasta il tempo

Marco Labbate

Il Miur: la dispersione scolastica diminuisce

da Il Sole 24 Ore

di Cl. T.

Il fenomeno della dispersione scolastica si presenta in diminuzione. Tra il 2016/2017 e il 2017/2018, la percentuale di abbandono nella secondaria di primo grado risulta pari all’1,17%, mentre tra il 2015/2016 e il 2016/2017 era stata dell’1,35%. La percentuale di abbandono nella secondaria di secondo grado risulta pari al 3,81%, mentre tra il 2015/2016 e il 2016/2017 era stata del 4,31%.

I dati del Miur
È quanto emerge da alcuni dati pubblicati dal Miur e relativi all’approfondimento statistico sulla dispersione scolastica nell’anno scolastico 2016/2017 e nel passaggio tra il 2016/2017 e il 2017/2018.

Superiori
Alle superiori, in particolare, l’abbandono complessivo è pari al 3,81% dato dal rapporto tra l’insieme di alunni che hanno abbandonato nel corso dell’a.s. 2016/2017 (35.491 alunni) e tra l’a.s. 2016/2017 e l’a.s. 2017/2018 (63.781 alunni) con il contingente di alunni frequentanti a settembre 2016 (2.601.694 alunni).

La differenziazione per genere sul fenomeno della dispersione scolastica è, per gli alunni della scuola secondaria di II grado, piuttosto marcato. Si calcola che per la popolazione studentesca maschile l’abbandono complessivo è stato del 4,6% e per la popolazione femminile del 3%. Per anno di corso si tengono distinte le due componenti dell’abbandono, quello in corso d’anno e quello che si ha nel passaggio all’anno successivo. L’abbandono complessivo è stato molto elevato per il primo anno di corso, pari al 6,2% (1,8% nel corso dell’a.s. 2016/2017 e 4,4% nel passaggio all’a.s. 2017/2018); per gli anni di corso successivi è stato più contenuto, attestandosi per il II anno al 3,9%, per il III al 3,7% e per il IV anno di corso al 3,6%. Dal computo di coloro che sono usciti dal sistema scolastico dopo il IV anno non sono considerati come abbandono gli alunni che hanno effettuato l’esame di Stato nei licei quadriennali. Al V anno di corso appena lo 0,9% degli alunni ha abbandonato gli studi nel corso dell’a.s. 2016/2017. Da sottolineare che una quota parte degli alunni che escono dal sistema scolastico, in particolare durante o al termine del I anno di corso, passano alla formazione professionale e non rientrano nella dispersione. Non sempre tale informazione è, tuttavia, riportata nell’Anagrafe Nazionale degli Studenti.

Graduatorie di Istituto I fascia, problemi su Istanze Online per compilazione modello B

da Orizzontescuola

di redazione

I docenti interessati, come riferito in diversi nostri articoli, sono al momento impegnati nella presentazione del modello B per la scelta delle sedi, al fine di inserirsi nella I fascia delle graduatorie di istituto 2019/22.

Modello B

Il modello B di scelta delle scuole, tramite il quale ci si inserisce nella I fascia delle graduatorie di Istituto, va inoltrato telematicamente, tramite il portale Istanze Online, dal 15 al 29 luglio 2019 entro le ore 14.00.

Problematiche

Le problematiche maggiormente segnalate sono le seguenti:

  • errata indicazione della provincia di inserimento in GaE;
  • impossibilità a confermare più di 2 circoli didattici (vero è che la normativa prevede al massimo 2 circoli didattici, tuttavia è prevista una deroga per quelle province in cui non è possibile rispettare tale limite a causa della carenza numerica di una o di altra tipologia di istituzione scolastica);
  • difficoltà nel contattare l’assistenza;
  • mancata indicazione della prima preferenza.

Ecco alcune segnalazioni dei nostri lettori:

“Buongiorno, sono una docente classe di concorso di infanzia e primaria, inserita con riserva nelle Gae per provvedimento giurisdizionale pendente. Volevo evidenziare a questa redazione un bug del sistema istanze on line Miur…. Per coloro che sono iscritti con riserva le sedi possono essere solo confermate, al tempo stesso il sistema prevede che tra le scuole scelte ci siano al massimo 2 c. d., per la scrivente e per tutti coloro che si trovano nella mia stessa situazione non è possibile né confermare le scuole scelte in precedenza, perché presenti più di 2 c. d., né cambiare e sostituire scuole perché nella mia provincia (BA) sono tutti circoli didattici.
Lo sbarramento dei 2 c. d. diventa in questo modo un impedimento per l’inserimento del mod B su istanze on line. Vi prego di dare visibilità alla mia comunicazione in quanto tale disguido si è verificato  nei precedenti aggiornamenti delle graduatorie.”

“Bella la compilazione on-line! Dovrebbe snellire le cose, giusto? Certo, se il sistema funzionasse. Dato che si sta scegliendo di complicare oltremodo il sistema delle graduatorie, tra fasce, controfasce, preferenze e riserva, suggerisco allora di tornare al cartaceo. Perché attualmente il sistema è il seguente:

I software messi a punto dai tecnici NON funzionano mai. La prima settimana di compilazione vola tutta via tra telefonate allarmate ai sindacati e ore ed ore sul web a capire se qualche altro fortunato, oltre a te, trova problemi nella compilazione. Poi, a 24 ore dal termine ultimo per la presentazione, le cose iniziano a girare. Ma esaminiamo come funziona il dedalo di consulenze. Istanze online non si può contattare direttamente, in quanto docenti. Lo deve fare la scuola destinataria della domanda (o almeno così c’è scritto nella relativa pagina web di IOL). Quindi: il tuo caso (quasi mai semplice, né facile da spiegare), deve essere compreso dalle segreterie (quando sono in servizio, perché regolarmente l’addetto è in ferie, o occupato con cose ben più importanti per risponderti), poi le segreterie devono aprire un tagliando con… non so con chi. I famigerati tecnici, direi. Nel frattempo contatti i sindacati, e la prassi è più o meno la stessa. Solo che loro non aprono tagliandi, ma inviano mail, ai “colleghi romani”. Insomma, non vorrai mica sperare che per una volta tutto fili liscio, no? Tu, aspetti. Aspetti una telefonata risolutrice. Una mail rivelatrice. Ma è più probabile che la risposta ti giunga in sogno. Il sistema, così com’è, tra concorsi riservati, PAS, TFA, graduatorie ad esaurimento a più o meno stagionate, fasce aggiuntive, riservisti, ricorsi e reclami, complicazioni all’ultimo sangue, NON VA. Non mi sento un’aspirante docente. Mi sento una naufraga nel mare della burocrazia che ormai ha divorato la scuola. E’ chiaro che il sistema non regge la complicatezza del sistema. Bisogna essere ciechi per non accorgersene.”

“Sono un’insegnante di scuola primaria , HO prodotto domanda su istanze on line per la scelta delle sedi nella provincia di Catania , HO inoltrato la domanda è tutto e’andato bene. Nel momento in cui ho aperto l’archivio di istanze o line e ho rivisto la domanda mi sono accorta che nella prima pagina dove ci doveva essere la denominazione della scuola gli spaziì erano vuoti. Non sono la sola ad avere questo problema anche altre colleghe hanno rivisto la domanda e non hanno trovato la denominazione della scuola ponte, altre invece si .Ho provato a rifare e inoltrare la domanda VARIE volte ma non e’cambiato niente.Cosa devo fare per sistemare questa situazione.Vi ringrazio anticipatamente aspetto vostre notizie”

“Sono inerita nelle graduatorie ad esaurimento con riserva. Il sistema mi da in automatico che sono inserita nelle GaE di Palermo, quando invece sono inserita nella GaE di Agrigento”.

Auspichiamo che il Miur provveda a superare le criticità segnalate.

Dispersione scolastica, Miur: diminuita nel corso degli ultimi anni. Il Focus

da Orizzontescuola

di redazione

Il Miur ha pubblicato l’approfondimento statistico riguardante la dispersione scolastica nel 2016/17 e nel passaggio tra 2016/17 e 2017/18.

L’approfondimento

Nel documento viene analizzato e quantificato il fenomeno della dispersione, ossia dell’abbandono scolastico, nella scuola secondaria di I e II grado e nel passaggio tra cicli scolastici.

Dispersione in calo

Dall’analisi complessiva – scrive il Miur – il fenomeno della dispersione si presenta in diminuzione:

– scuola secondaria primo grado: tra il 2016/2017 e il 2017/2018, la percentuale di abbandono era dell’1,17%, mentre tra il 2015/2016 e il 2016/2017 era stata dell’1,35%;

– scuola secondaria secondo grado grado: tra il 2016/2017 e il 2017/2018 la percentuale di abbandono nella secondaria di II grado era pari al 3,82%, mentre tra il 2015/2016 e il 2016/2017 era stata del 4,31%.

Com’è avvenuta l’analisi

Lo studio si è basato sull’analisi dei cinque “tasselli della dispersione”:

  • alunni che frequentano la scuola secondaria di I grado e che interrompono la frequenza senza valida motivazione prima del termine dell’anno scolastico (abbandono in corso d’anno);
  • alunni che hanno frequentato l’intero anno scolastico (il I e il II anno di corso della Secondaria di I grado) e che non passano nell’anno successivo né al II e al III anno in regola, né al I e al II anno come ripetenti, né alla Secondaria di II grado (abbandono tra un anno e il successivo);
  • alunni che hanno frequentato l’intero anno scolastico (il III anno di corso della scuola secondaria di I grado) e che non passano nell’anno successivo alla Scuola secondaria di II grado, in regola, né frequentano nuovamente la Secondaria di I grado, come ripetenti, il III anno di corso (abbandono tra un anno e il successivo nel passaggio tra cicli scolastici), né si iscrivono a percorsi IeFP;
  • alunni che frequentano la Secondaria di II grado e che interrompono la frequenza senza valida motivazione prima del termine dell’anno (abbandono in corso d’anno);
  • alunni che hanno frequentato l’intero anno scolastico (dal I al IV anno di corso della scuola secondaria di II grado), che non passano nell’anno successivo né al II, III, IV e V anno in regola, né al I, II, III e IV anno come ripetenti (abbandono tra un anno e il successivo).

Il Focus

Camilleri, fare leggere agli studenti le sue opere

da La Tecnica della Scuola

Di Andrea Carlino

L’Italia piange la morte di uno dei suoi scrittori contemporanei più importanti. Andrea Camilleri è morto all’età di 93 anni.

Il suo ricordo però, non morirà ed è bene che a scuola si leggano le sue opere.

Tra gli autori contemporanei, non abbiamo dubbi, Camilleri ha rappresentato al meglio la cultura siciliana. Il suo attivismo civico e politico è parte fondamentale della sua figura. Il dialogo con i cittadini, il rapporto strettissimo con i giovani è sempre stato al centro quasi come una missione di vita.

Il suo contributo all’avvicinamento di giovani e meno giovani alla lettura è stato determinante.

La sua morte unisce tutti gli italiani nel lutto, anche quelli politicamente schierati dalla parte avversa dello scrittore.

Dunque perché non dedicare un approfondimento a scuola alle opere del maestro Camilleri.

Non parliamo solo del notissimo Commissario Montalbano, ma anche di altre opere, una su tutte: il Re di Girgenti, un romanzo poco conosciuto, pubblicato nel 2001, scritto in una lingua complessa e di difficile lettura, che narra le vicende del contadino Zosimo, che nel 1718 divenne re di Girgenti.

Concorso dirigenti scolastici: ecco l’elenco alfabetico con la valutazione dei titoli culturali, di servizio e professionali

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

In allegato alla nota 32565 del 17 luglio 2019 il Miur ha trasmesso la tabella in ordine alfabetico contenente la valutazione dei titoli culturali, di servizio e professionali riferita ai singoli candidati.

Si tratta, in pratica, del punteggio riconosciuto dalle Commissioni esaminatrici ai titoli dei candidati che hanno superato la prova orale.

Il Miur comunica che eventuali dichiarazioni presentate dai candidati in modo incompleto o parziale potranno essere regolarizzate inviando apposita istanza, esclusivamente tramite posta elettronica certificata, all’indirizzo PEC corsoconcorsods@postacert.istruzione.it, dal 17 al 20 luglio 2019. Nell’istanza i candidati dovranno indicare con precisione il titolo oggetto di regolarizzazione e tutti gli elementi necessari a consentirne la corretta valutazione. Ovviamente la regolarizzazione riguarda i titoli già dichiarati e inoltrati tramite POLIS, per cui il Miur non prenderà in considerazione richieste di valutazione di titoli ulteriori o diversi rispetto a questi.

La nota contiene anche un’impoirtante e attesa precisazione: l’attività svolta in qualità di coordinatore di classe non è valutabile, pertanto i candidati che abbiano reso dichiarazioni in tal senso devono rettificarle con le modalità e nei termini sopra indicati.

Alternanza scuola-lavoro, è un tiramolla: il Governo dimezza le ore ma adesso Salvini le vuole aumentare

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

Sull’alternanza scuola-lavoro, il Governo sembra a dir poco in confusione. Dopo aver più che dimezzato il monte orario del triennio delle superiori relativo alle esperienze degli studenti in azienda o con esperti esterni, senza nemmeno un regime transitorio e con tanto di stop immediato dei progetti delle quinte classi in via di conclusione, dal vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini sono giunte delle affermazioni in controtendenza: a margine del discusso incontro tenuto il 14 luglio con le 43 parti sociali al Viminale, Salvini ha infatti annunciato che parlerà al più presto con il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti per “implementare la proposta che ci è venuta da molti interventi questa mattina: più alternanza scuola-lavoro, soprattutto nei professionali”.

Bussetti: troppe difficoltà

Le parole del vicepremier leghista stonano anche con quelle espresse a suo tempo dal ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, secondo il quale “gestire 400 ore di alternanza (maggiorate con la Legge 107/15 voluta dal Pd) crea in alcune realtà difficoltà nel garantire la qualità dell’esperienza. Quindi abbiamo fissato un minimo che deve essere di 180 nei professionali, 150 negli istituti tecnici e 90 nei licei”.

Di Maio: i dirigenti scolastici si rifiutano di spendere i soldi per stage finti

Anche l’altro vicepremier Luigi Di Maio aveva completato il concetto spiegando che “c’erano soldi che non si spendevano per l’alternanza scuola-lavoro, perché molti dirigenti e docenti si rifiutavano ormai di mandare gli studenti a friggere le patatine da McDonalds fingendo di fare alternanza scuola-lavoro” e che, quindi, i 50 milioni risparmiati con il dimezzamento dell’alternanza scuola-lavoro sono stati dirottati per coprire una parte della spesa necessaria per non far ridurre, dal 1° gennaio 2019, fino a 29 euro gli stipendi del personale docente e Ata, in particolare quelli che percepiscono meno di 25mila euro annui.

Toccafondi: andava solo aggiustata

Sull’argomento, il 16 luglio si è espresso in Parlamento l’on. Gabriele Toccafondi, ex sottosegretario all’Istruzione ed esponente di Civica popolare, che già in passato ha detto che l’alternanza scuola-lavoro va potenziata e non smantellata.

Lo ha fatto in occasione di un’interrogazione presentata al ministero dell’Istruzione. “È ufficiale – ha detto Toccafondi – l’alternanza scuola lavoro è stata abbandonata del tutto da questo governo. Oggi il Miur risponde (finalmente!) ad una mia interrogazione ed afferma che l’hanno svolta il 53% dei ragazzi nel 69% delle scuole. Un anno prima era svolta dal 70% dei ragazzi e nel 89% delle scuole (20% in meno di ragazzi e scuole!!). Anche le strutture ospitanti passano da 208mila a 190mila. Dati che dimostrano che se il Governo non ci crede, riduce del 60% le ore, toglie quasi 60milioni alle scuole, non la valuta all’esame di stato questo è il risultato”.
Per Toccafondi, le esperienze in azienda sono utili se fatte “bene perché la scuola è fatta anche di esperienze, di conoscenza ma anche di competenze. Non dobbiamo ridimensionarla o abolirla ma aggiustarla, non vanno tolte le risorse alle scuole ma aumentate”.

Concorso dirigenti scolastici, i sindacati chiedono incontro al Miur

da La Tecnica della Scuola

Di Fabrizio De Angelis

In attesa delle graduatorie del concorso dirigenti scolastici, che dovrebbero essere pubblicate a breve, arriva una richiesta di incontro urgente da parte dei sindacati Flc Cgil, Cisl Scuola e Uil Scuola.

Le organizzazioni sindacali vogliono infatti conoscere criteri e modalità di assegnazione dei candidati alle diverse regioni e i criteri generali per l’affidamento degli incarichi dirigenziali da parte dei direttori generali degli USR.

I sindacati si soffermano anche sulla “rilevante criticità connessa alla valutazione da parte delle sottocommissioni dei titoli autocertificati dai candidati e inseriti nella piattaforma appositamente istituita solo con riferimento al numero dell’atto e alla data, con conseguente impossibilità da parte delle sottocommissioni stesse di verificarne l’effettiva validità ai fini dell’attribuzione del relativo punteggio”.

“Tenuto conto della rilevanza del punteggio ai fini della collocazione in posizione utile nella graduatoria di merito e della scelta della regione di destinazione, scrivono le OO.SS., la questione deve essere immediatamente affrontata e chiarita, al fine di garantire legittimità, equità e trasparenza all’intera procedura ed evitare che anche su questi aspetti possano determinarsi le condizioni per attivare contenziosi”.

Concorso dirigente scolastico: a breve le graduatorie

Ricordiamo che il Consiglio di Stato ha sospeso in via cautelare l’esecuzione della sentenza n. 8655/2019 con cui il Tar Lazio il 2 luglio scorso aveva annullato il concorso dirigente scolastico. Il Consiglio di Stato, infatti, si è riservato di decidere la questione nel merito all’esito della discussione fissata per il 17 ottobre prossimo.

Le graduatorie dei vincitori sono previste a breve, forse già in settimana. A partire da queste graduatorie si procederà alle immissioni in ruolo, con riserva, dei nuovi dirigenti scolastici.

LEGGI LA SENTENZA DEL TAR

AA.VV., Le tue parole

La poetica di Domenico Godino 

di  Giovanni Ferrari

Ho avuto modo di leggere le belle poesie di Domenico Godino detto “MECO” di Corigliano Calabro, voce di una rock band, arrivata in finale  al Sanremorock nel 2005, oggi sfociata  in una splendida pubblicazione di poesie: “LE TUE PAROLE”, pagine 2019, Roma, collana diretta da Maida Rocci.

“Autis-monello”,  “Donne”, “Fratello”, “L’autismo”, “Le mamme”, “Lo stretto indispensabile”, “Vivo di ricordi”. Poesie tutte dedicate al forte sentimento  umano esistenziale  di una amarezza e sofferenza per la perdita prematura del caro giovane fratello “SANTINO” e della cara mamma “CARMENIA”.

Un’amarezza maturata nel tempo con forte rammarico e delusione di un sentimento conclusivo sfociato nella perdita e nel lutto dei cari familiari, purtroppo ci accade che il mondo ci deluda o addirittura ci ferisca. Di fronte a questa frustrazione ne abbiamo un’emozione dolorosa, un disagio, a volte cerchiamo una ribellione. Assistiamo a un desiderio che si  estingue, a una speranza che perisce, a un legame che ci tradisce o ad una convinzione che dobbiamo abbandonare. E forse non ci rassegniamo.  A volte ci rimane accesa una speranza che possa esservi un rimedio, una possibilità di miglioramento, ne conserviamo un palpitare e ancorché colpiti e feriti, non vogliamo rassegnarci, non vogliamo perdere questo legame con noi stessi  e con le nostre speranze;  è questo forte grido di speranze che trovo e mi appassiona nella poetica Godiniana.

Quando sopraggiunge la convinzione che è finita, che è così, che non vi sono alternative o possibilità, quando la delusione diventa anche certezza di qualcosa che è morto, ecco l’amarezza. L’incontro dolente con una perdita che lascia un segno amaro, che il sapore penoso della rassegnazione.

Chi scrive, come Godino , nelle sue poesie avverte quel forte strumento col quale dar sfogo alle proprie emozioni, ai propri sentimenti, alle proprie paure. E’ un aver voglia di esprimere se stessi in toto. Molte volte si  buttano giù dei versi senza capirne il senso, ma il “senso”, è un qualcosa che appartiene alla sfera  razionale, e ci sono cose che non possono essere razionalizzate. Esistono meccanismi che nascono da pulsioni e non da concetti logici.

Godino gioca con la fonetica delle parole, tratteggia le sillabe che si ripetono e si rincorrono, una dietro l’altra, per concludere un verso dal sapore favolistico, creando immagini nella mente del lettore tali da destargli emozioni. Il fascino della parola caratterizza la poesia Godiniana come un insieme di grovigli di cui  si è portati a conoscere l’intima origine, ed è la mente ad esserne totalmente catturata cercando invano di standardizzare un processo che è carico di passioni. Per scrivere una poesia non  serve una licenza o uno studio accademico, basta solo saper decifrare i segreti nascosti nei meandri della propria anima.

Ritrovo nella poetica Godiniana,  l’incanto poetico  dei poeti francese, come Lamartine, la tensione poetica di Baudelaire; la ricerca del sublime e dell’irrazionale con Verlaine e Mallarmé, fino alle opere di Péguy, di  Claudel , di Apollinaire, poeti di confine fra ispirazione spirituale  e fascinazione per la nascente modernità , ossia quel filo rosso dei poeti studiati  e la ricerca di una nuova lingua capace di dare espressione a tutto ciò che la tradizione poetica occidentale ha relegato nell’ignoto. E nel fondo dell’ignoto, dirà Baudelaire, risplende il nuovo.

Le poesie citate suscitano tante emozione e speranze, nascono dal proprio animo e sentimento dell’autore. Tutti noi  avvertiamo la necessità di esprimere i nostri sentimenti, d’altro canto Godino sa coniugare musica e poesia , non è solo la musica ad avere una valenza poetica, in quanto la poesia può assumere un aspetto visivo e quindi formare delle immagini o persino accompagnarle.

Grazie “MECCO” per averci regalato queste belle poesie, queste belle emozioni, le tue poesie sono grazie, sono possibilità di staccarsi per un po’ dalla terra e sognare, volare, usare le parole come speranze, come occhi nuovi per reinventare quello che vediamo, Lei poeta  “ AUTODIDATTA” ci permette di andare oltre la realtà, di osservare cose che comunemente non vengono considerate, ci aiuta a scavare a fondo nel nostro cuore e prova a lasciare un segno che servirà per il resto della nostra vita.

Prof. GIOVANNI FERRARI
Dipartimento di Studi Umanistici
Università di Napoli  “FEDERICO II”