ABILITATI IN ROMANIA. LE PRIME DECISIONI DEL TAR LAZIO

ABILITATI IN ROMANIA. LE PRIME DECISIONI DEL TAR LAZIO APPLICANO ERRONEAMENTE ALLA PROFESSIONE DOCENTE IL REGIME DEL RICONOSCIMENTO AUTOMATICO E NON QUELLO GENERALE DELLA DIR.36/2005 RICHIAMATO ESPRESSAMENTE NELL’AVVISO MIUR N. 5636/2019

Avv. Maurizio Danza Prof. Diritto del Lavoro “Università Mercatorum” Roma.

Destano sorpresa i primi provvedimenti del Collegio della terza sezione Bis del Tar Lazio- Roma che con sentenza breve hanno rigettato le richieste di annullamento dei ricorrenti abilitati in Romania, dell’avviso n.5636/2019 e dei decreti di rigetto individuali ricevuti dal MIUR; a ben vedere, aldilà delle considerazioni in merito alla illegittimità dei provvedimenti emanati dal MIUR, per non aver mai disposto un accertamento finalizzato alla verifica di quei “requisiti minimi” tali da garantire  l’espletamento della funzione docente in Italia a  salvaguardia del  diritto alla libertà di circolazione previsto dall’art.45 del trattato fondativo dell’Unione Europea , in tale sede appare doveroso sottolineare alcuni punti evincibili dalle prime pronunce, che evidenziano la contraddittorietà delle decisioni . In primo luogo, a ben vedere a pg.9  della sentenza n.9211/2019 in forma breve emanata dalla III° Sez. Bis del 11 luglio 2019 si ricava letteralmente  che  “Nel dettaglio, il Ministero rumeno precisa ancora che l’attestato di conformità alla direttiva europea, al fine della valutazione del percorso seguito in Romania in altri Stati UE, viene rilasciato solo a coloro che abbiano compiuto in Romania sia studi di scuola superiore o post istruzione secondaria, sia studi universitari. Ne discende che, per espressa indicazione dell’autorità rumena, il programma in oggetto non consente l’attribuzione di un livello di qualifica rilevante per la direttiva in questione, con la conseguenza il provvedimento dell’amministrazione appare privo di vizi sulpunto”.  Orbene, a parte che il Ministero della Educazione Nazionale Rumeno non ha mai espresso una tesi siffatta frutto di una errata traduzione della nota del Ministero romeno, avendo invece riconosciuto pienamente, la equivalenza del titolo rilasciato a tutti i cittadini sia italiani che rumeni, così come confermato con ben due note del 21 maggio 2019 a firma del Direttore Generale del Ministero dell’Educazione Nazionale Rumeno-Dott.ssa Corina Marin-ed indirizzate al rappresentante FSIUSAE Scuola Estero, Raffaele Nucera ed in possesso esclusivo di questa difesa, è sorprendente come la tesi del c.d. doppio titolo conseguito in Romania adoprata dal Tar-Lazio a fondamento del rigetto delle richieste, non sia mai stata adottata neanche dal MIUR che con ben 5 decreti in possesso della difesa, ha invece riconosciuto l’abilitazione conseguita in Romania a cittadini italiani in possesso di Laurea conseguita in Italia ! Peraltro, a ben vedere uno di questi decreti , recante la data del 5 dicembre 2017, risulta firmato dalla stessa Dirigente che ha emanato l’avviso n.5636/2019!   Ulteriore perplessità suscita inoltre, l’utilizzazione erronea nella sentenza di due pronunce della Corte Europea, atteso che esse appaiono del tutto estranee al regime generale di riconoscimento delle professioni regolamentate, tra cui è compresa la professione docente, e che invece si riferiscono esclusivamente al regime di riconoscimento della professione medico-chirurgica in Italia, regolamentata con norma ad hoc sia dalla Direttiva n.36/2005 che  dal D.lgs.n.206/2007 ; in tal senso la sentenza breve del Tar Lazio-Sez.III bis n.9211/2019 a pg.10 “ Sul punto, la giurisprudenza europea (Corte di giustizia CE 19 giugno 2003, C-110/01, ma il concetto è ripreso anche da Corte di giustizia UE, sez. III, 6 dicembre 2018, C-675/17) ha variamente chiarito che un sistema di riconoscimento automatico e incondizionato dei titoli di formazione sarebbe gravemente compromesso se gli Stati membri potessero mettere in discussione, a loro piacimento, la fondatezza della decisione dell’autorità competente di un altro Stato membro di rilasciare il suddetto titolo. Il caso di specie, pur differenziandosi da quello esaminato dalla giurisprudenza, si caratterizza per il fatto che l’autorità rumena competente ha espressamente dichiarato che la formazione sancita nel titolo conseguito da parte ricorrente non sia coerente con quanto richiesto dalla direttiva 2005/36/Ce e non sia sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania”. Orbene, a prescindere dalla circostanza che lo stesso Collegio della sezione sottolinei come il caso menzionato sia del “tutto differente da quello esaminato”,si fa rilevare che è proprio il MIUR ad affermare letteralmente a pg.1 dell’avviso n.5636/2019 che “Il riconoscimento della professione di docente non è coperto dal regime del “riconoscimento automatico”, ma da quello del “Sistema Generale”, che prevede la valutazione della formazione attraverso l’analisi comparata dei percorsi formativi previsti nei due Stati Membri coinvolti ! Per tali motivi appare del tutto incomprensibile l’applicazione di principi giurisprudenziali propri del regime automatico al sistema di riconoscimento della professione docente, se non in palese contrasto con quanto previsto dalla Direttiva n.36/2005 e dal D.lgs.n.206/2007. Auspichiamo che il Collegio in riferimento alle prossime udienze possa mutare il proprio orientamento, alfine di tutelare gli interessi dei numerosi studenti abilitati in Romania .

Una scuola per l’Europa: perché e come

Una scuola per l’Europa: perché e come

Relazione svolta da Maurizio Tiriticco al convegno “Ricostruiamo un’idea di scuola” organizzato dall’ANDIS, Associazione Nazionale DIrigenti Scolastici in Laceno (AV) nei giorni 11-12-13 luglio 2019

In questa società, quello che ci appassiona e ci inquieta, e può spiegare anche le relazioni di rifiuto che essa suscita, è che porta all’estremo il ruolo della creatività umana, al punto che quest’ultima non è più soltanto concepita come l’interpretazione di una civiltà materiale, ma diventa il significato più generale dell’intera società. Finora le nostre attività erano consistite nelle trasformazioni della natura, cosa che vale sia per le società rurali sia per quelle industriali; le società ipermoderne, invece, si basano su un logos più che su una praxis, cioè su una pratica sociale, come avveniva nelle società precedenti. Di conseguenza, esse si impongono per la loro stessa natura. Si tratta di un aspetto nuovo della società in cui stiamo entrando.

Alain Touraine, In difesa della modernità, pag. 189, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2019

Negli ultimi anni molte riforme hanno interessato la nostra scuola, o meglio il nostro Sistema – con tanto di maiuscola – di Educazione, Formazione e Istruzione. Occorre ricordare che nel nostro Paese è estremamente riduttivo oggi parlare di scuola in termini generali. Infatti – sono ormai passati vent’anni – il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, relativo al “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche”, all’articolo 1, comma due, testualmente recita: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.

Quattro sono le parole chiave di questo documento: EDUCAZIONE, FORMAZIONE, ISTRUZIONE, SUCCESSO FORMATIVO. A mio vedere, poteva essere aggiunta un’ulteriore parola chiave: la CITTADINANZA ATTIVA, e con una forte sottolineatura: il fatto, cioè, che oggi – e sempre più domani – non è più sufficiente essere e sentirsi cittadini italiani, ma anche e soprattutto cittadini europei. E ciò in un momento della nostra storia patria in cui forti ventate sovraniste, neonazionaliste, antieruropee stanno imperversando sul nostro Paese e su altri Paesi dell’Unione.

Questa Unione Europea, invece, dobbiamo conservarla e rafforzarla, se vogliamo far fronte seriamente ai complessi fenomeni che stanno interessando oggi non solo il nostro continente ma l’intero pianeta. Alludo, ad esempio, al riscaldamento globale. Al rischio, cioè, che i cambiamenti climatici possano rendere ancora più drammatico il gap già esistente tra i ricchi e i poveri, e tra i Paesi ricchi e i Paesi poveri! Infatti, stiamo affrontando sull’intero pianeta – ed a volte senza rendercene l’esatto conto – un insieme di fenomenologie molto complesse. Che non afferiscono in senso stretto alla politica, all’economia, come si è soliti pensare. Riguardano fenomeni che vanno ben oltre le monete, i commerci, i confini politici, i rapporti tra popoli e Stati, come da sempre li abbiamo conosciuti e studiati. Siamo alle prese con un fenomeno del tutto nuovo, non solo per i popoli ed i loro governi, ma per l’intero pianeta, per come è costituito e come da sempre siamo abituati a conoscerlo. Appunto! Il riscaldamento globale! Che non è un fenomeno da articolo di giornale! O da dibattitto televisivo! Si tratta di ben altro! Il fatto che popolazioni intere siano costrette a lasciare le loro terre per trovare altrove non ricchezze, ma la semplice sopravvivenza. Abbiamo tutti studiato sui libri di storia – quando ancora era considerata una materia importante – il fenomeno delle migrazioni! Quella ad esempio che nostri Antichi Romani definirono le invasioni barbariche! Ed in effetti non si trattava tanto di barbari, capaci soltanto di balbettare – come pensavano i Romani – ma semplicemente di migliaia di persone, intere etnie, che parlavano altre lingue! Che alle orecchie dei Romani suonavano soltanto come incomprensibili balbettìi.

Oggi si prevede che entro il 2030 il riscaldamento globale potrebbe spingere 120 milioni di persone in situazioni di sempre maggiore povertà e di denutrizione. Si rischia di fatto uno scenario che potremmo definire di apartheid da clima, con i ricchi che pagano per sfuggire al riscaldamento globale, mentre i poveri sono abbandonati a loro stessi e a soffrire: oppure costretti ad emigrazioni epocali, delle quali in effetti abbiamo già i primi segnali. Uno scenario sul quale si è espresso recentemente Philip G. Alston, un noto studioso australiano di diritto internazionale, e fortemente impegnato per i diritti umani. Il quale lamenta che in realtà sono i popoli più poveri quelli che producono meno emissioni di gas serra, quei gas responsabili di fatto del cosiddetto riscaldamento globale. E che, invece, sono proprio loro a pagare e a dovere abbandonare le loro terre. In materia vi sono anche rigorosi studi pubblicati dalla Banca Mondiale, da altre agenzie dell’Onu e da Organizzazioni non governative. E’ confermato che i popoli più poveri sono quelli che producono meno emissioni di gas serra, ma che rischiano di dover pagare gli effetti maggiori dei cambiamenti climatici, per di più senza avere la capacità e gli strumenti per potersi difendere.

Si prevedono situazioni gravissime! Esodi di massa e crisi alimentari per intere popolazioni. Alston afferma tra l’altro: “I cambiamenti climatici rischiano di distruggere 50 anni di progressi fatti nel campo dello sviluppo, della salute globale e della riduzione della povertà”. Ed ha anche criticato il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, perché si limita soltanto ad organizzare convegni e pubblicare e diffondere rapporti: spesso lunghi e pletorici e scarsamente propositivi. Mentre invece dovrebbe ricercare e indicare modi e forme per spingere i governi ad agire urgentemente sul fronte del clima. Tutto ciò ci dice che ormai il fenomeno migratorio non può essere né contenuto né combattuto, ma governato. Un governo che non comprende la complessità del fenomeno e che si limita a chiudere le frontiere, di fatto ha la vista corta. E adotta una politica che con il tempo medio-lungo si dimostra fallimentare.

Per quanto riguarda noi europei, dobbiamo prendere atto che la cosiddetta Europa delle Nazioni ha fatto il suo tempo. Per secoli i singoli Stati si sono combattuti. Fino alla più disastrosa catastrofe che l’umanità abbia mai conosciuto. Occorre sempre ricordarlo! Dal lontano 1945 noi Europei abbiamo vissuto un periodo non solo di pace, ma anche di prosperità e di progresso. Ora però dobbiamo fare i conti con una nuova emergenza! Che del resto è planetaria. Ciò che avviene ai confini meridionali degli Stati Uniti è sotto gli occhi di tutti. Ed anche ciò che avviene ai confini meridionali del nostro continente. In realtà giorno dopo giorno milioni di persone nel mondo intero si stanno spostando dal Sud al Nord. Le ragioni sono complesse ed in parte ho cercato di definirle. Ma la ricerca scientifica su tale complesso fenomeno la lascio al sociologo, all’antropologo, all’economista, al politologo. Però – ed ecco il grande problema – l’intervento per fronteggiare il fenomeno appartiene al politico! Ma, se il politico ha la vista corta e non è in grado di comprendere la natura del fenomeno per affrontarlo con misure adeguate, non solo il fenomeno non viene risolto, ma rischia di provocare effetti imprevedibili ed anche devastanti. Oggi di fatto i confini delle Nazioni o, se si vuole, delle Patrie, se vogliamo adottare questa espressione molto ottocentesca, molto risorgimentale, sono un reperto da libro di storia!

A fronte di questa complessa realtà, così in fermento, così in movimento, sembra che la nostra scuola – o meglio, il nostro Sistema Nazionale Educativo di Istruzione Formazione, di fatto parole grosse e impegnative – non sia particolarmente attenta a cogliere il nuovo ed agire di conseguenza, ma continui a vivacchiare – vivere è un verbo troppo edificante – come ieri, come l’altro ieri! Le innovazioni introdotte nell’ultimo esame di maturità, grazie all’intervento del Professor Serianni, in realtà – a mio vedere – sono interventi di facciata, non di autentico e produttivo cambiamento! Ma in effetti è tutto il nostro sistema di istruzione che làtita a fronte del nuovo che incalza. Si parla ormai da anni di competenze, forse perché – è un consumato adagio – ce lo chiede l’Europa. Così in genere si suol dire! Anche perché poi, secondo una certa vulgata, l’Europa sarebbe la cattiva maestra che ci dà sempre brutti voti e che ci bacchetta. E si parla di anche di traguardi delle competenze. Ma quali competenze? Vengono forse concretamente certificate alla fine di un percorso scolastico di ben tredici anni i concreti saper fare di Antonio e di Luciana? E vengono forse concretamente certificate con un esame che ci ostiniamo ancora a chiamare di maturità, anche se una legge ormai lontana nel tempo ne ha cancellato sia la parola che il concetto? Una norma che in realtà non ha lasciato alcun segno, come spesso avviene nella scuola nel nostro Paese! E non solo nella scuola!

Voglio rileggere quella norma che avrebbe dovuto riformare radicalmente gli esami di maturità. Si tratta della Legge 10 dicembre 1997, n. 425, concernente, appunto, “Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore”. All’articolo 6 leggiamo testualmente: Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni al fine di dare trasparenza alle COMPETENZE, CONOSCENZE e CAPACITA’ acquisite, secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”.

In primo luogo, dunque, dare trasparenza alle competenze! Quelle che il Ministero avrebbe dovuto individuare e declinare, ma, caduto il Governo di centro-sinistra, con l’avvento di un nuovo governo e di un nuovo Ministro, Letizia Moratti, assistita dal suo consigliere, il Professor Giuseppe Bertagna, il discorso delle competenze venne di fatto abbandonato. Nel frattempo però, l’Europa marciava in materia di competenze e, con la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo del 18 dicembre 2006 individuava e declinava, come quadro di riferimento europeo, le cosiddette competenze chiave per l’apprendimento permanente. Ecco l’incipit di quello storico documento:

“Dato che la globalizzazione continua a porre l’Unione europea di fronte a nuove sfide, ciascun cittadino dovrà disporre di un’ampia gamma di competenze chiave per adattarsi in modo flessibile a un mondo in rapido mutamento e caratterizzato da forte interconnessione. L’istruzione nel suo duplice ruolo — sociale ed economico — è un elemento determinante per assicurare che i cittadini europei acquisiscano le competenze chiave necessarie per adattarsi con flessibilità a siffatti cambiamenti”. Per la prima volta vennero individuate e descritte otto competenze chiave. Le prime quattro afferenti alle fondamentali discipline di insegnamento; le altre quattro assolutamente nuove per tutte le scuole d’Europa ed incidenti sullo studente anche soprattutto come cittadino attivo. Eccole: “5, imparare ad imparare; 6, competenze sociali e civiche; 7, spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8, consapevolezza ed espressione culturale”. Nel corso degli anni queste competenze hanno subito continui miglioramenti. Nell’ultima edizione, risalente al 22 maggio 2018, le otto competenze sono state declinate così: 1) competenza alfabetica funzionale; 2) competenza multilinguistica; 3) competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria; 4) competenza digitale; 5) competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare; 6) competenza in materia di cittadinanza; 7) competenza imprenditoriale; 8) competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali. In effetti queste otto competenze, che tutti i giovani dell’Unione Europea dovrebbero raggiungere ed acquisire al termine dei loro studi, fanno sorridere a fronte di ben altre competenze di cui i nuovi cittadini d’Europa e del mondo intero dovrebbero disporre in un domani che ormai è dietro l’angolo.

Un domani cattivo, se mi è concesso questo aggettivo. A fronte del quale certi governi sembrano più occupati a erigere muri, invece di adottare politiche nuove, lungimiranti, a fronte di fenomeni che occorre governare, perché è impossibile contrastarli! Un fiume che corre impetuoso cerca una foce, non una diga! Erigere dighe non serve! Le migrazioni hanno sempre caratterizzato la storia dell’uomo, anche se con diversa frequenza e in diversa misura. E ciò tra un periodo ed un altro che potremmo definire di bonaccia. Oggi, con l’avvio del terzo millennio, a livello planetario è in atto un fenomeno migratorio di proporzioni eccezionali! Che non si può arrestare né con i muri né con i fili spinati! Dei quali, comunque, un Donald Trump in America e un Viktor Mihály Orbán in Europa sono sapienti architetti! E’ un fenomeno complesso, che va in primo luogo compreso! E in secondo luogo governato! In primo luogo dall’Onu, ovviamente, ma… esiste una coesa e attiva organizzazione delle nazioni? Non so! Mi preme ricordare quanto poco o nulla fece tanti anni fa l’allora Società delle Nazioni per evitare che un esaltato come Hitler, convinto che la sola pura etnia ariana dovesse governare il mondo, scatenasse la seconda guerra mondiale e l’avvio dell’eccidio di tutte le etnie che non fossero ariane. Intanto oggi i fenomeni migratori riguardano tutti i continenti. Il Sud del mondo si muove verso il Nord del mondo! Fenomeni complessi che non si possono affrontare a livello di singoli Paesi o di intese tra più Paesi! Ma a livello transnazionale! E, a questo proposito, viene da chiedersi: ma l’ONU che fa? Assolutamente nulla!

Ma non voglio andare oltre! Intendevo soltanto sottolineare quali sono i problemi che affliggono oggi non solo noi Italiani, ma l’intera umanità. Ebbene! A fronte di tali problematiche la scuola – di ciascun Paese, almeno tra quelli cosiddetti avanzati – avrebbe il dovere primario di preparare le nuove generazioni ad affrontare con le dovute CONOSCENZE, ABILITA’ e COMPETENZE ciò che le attende in un domani prossimo venturo. Ed occorrerebbero ministri dell’istruzione sensibili a tali problematiche e capaci di proporre ai rispettivi sistemi scolastici di potere e sapere affrontare i difficili orizzonti che un avvenir malfido ci sta preparando. Ma ciò non avviene, almeno nel nostro Paese. In effetti, il nostro Ministro dell’Istruzione che fa? Ha pensato di rinnovare l’esame di Stato, che tutti si ostinano sempre a chiamare ancora di maturità. Ovviamente, perché è un esame che non certifica competenze, come invece dovrebbe essere, fin dalla lontana e dimenticata riforma del 1997. In effetti, con tutto il rispetto che si deve al Professor Serianni, il nuovo esame si limita a fingere di proporre prove scritte pluridisciplinari, con due testi a fronte, e di rinnovare colloqui con la scelta di misteriose bustine! Ma ciò non sorprende più di tanto! Il nostro popolo è ormai abituato da anni al gioco delle bustarelle!

Mi piace proporvi un interessante articolo di Luciano Benadusi, pubblicato su “Il Corriere della Sera” dello scorso 26 giugno dal titolo “Una scuola senza qualità genera rabbia sociale e populismo”. Vi si afferma che la povertà e la disuguaglianza educativa tanto più sono oggi un fattore trainante del nazional-populismo in quanto si sommano con la povertà e la disuguaglianza economica. Vi si legge tra l’altro: “Un’analisi dei dati raccolti nel tempo dalla Swg, una nota agenzia di ricerca, ci porge un quadro a chiaroscuri, non privo di aspetti preoccupanti. Alla domanda su quanto ha inciso la scuola nel determinare una serie di attitudini rilevanti su questo terreno (“il suo modo di relazionarsi con le idee degli altri”, “il suo modo di informarsi” ed altre simili), le risposte positive dei giovani appaiono nettamente in calo rispetto alle precedenti generazioni. Viceversa aumenta l’influenza della cultura giovanile, cioè degli amici, e dei social che spesso veicolano fake news, linguaggi e ragionamenti iper-semplificati ed emotivi, hate speeches. Di qui una grande sfida per l’istruzione: divenire sempre più luogo di formazione del pensiero informato, critico, argomentativo e riflessivo applicato alla sfera socio-politica e a quella dei new media. Si può pure partire dal dispositivo sull’educazione civica approvato di recente dalla Camera… Ma la mission dell’educazione ai valori, alle regole e alle pratiche della liberal-democrazia è troppo sfidante e complessa per venire delegata ad un solo insegnante ed in un orario rigidamente delimitato. E non divenire invece un impegno condiviso da tutti i docenti, e da assolvere ciascuno nella sua materia o insieme ad altri in ben progettate attività interdisciplinari”.

Insomma, Benadusi non solo ipotizza una scuola che non esiste, ma che in effetti, difficilmente può esistere finché al Ministero dell’Istruzione non accedano personalità della forza e della cultura di un De Sanctis o di un Gentile. Ne consegue che l’amministrazione della nostra scuola nazionale è sorda ai compiti che dovrebbe assolvere e si compiace invece di avviare riformette che generano solo nuovi interrogativi più che risolvere problemi.

Purtroppo, in un contesto/scenario così complesso sia sotto il profilo del panorama europeo che sotto quello mondiale, il nostro sistema scolastico è quello di sempre, quello costituito dalle rigide classi di età, dalle promozioni e dalle bocciature, da orari scanditi per discipline, da voti decimali, arricchiti per altro dalla fantasia di tanti nostri insegnanti. Che – extra legem – si sono inventati i più, i meno, i meno meno, i mezzi ed altre strambe soluzioni. E i registri di sempre, anche se oggi elettronici! Se dobbiamo preparare le nuove generazioni alle sfide europee e mondiali dei prossimi decenni, questo nostro modello scolastico organizzativo, quello attuato dopo il 1970 da Casati, De Sanctis, Daneo, Credaro, Mancini, Scialoia e via dicendo, così resistente al nuovo che avanza e che incombe, deve assolutamente essere superato. Vige e resiste il sistema che ho sempre definito delle tre C, Classe, Cattedra e Campanella! Il sistema che deve essere superato. Nelle nostre scuole abbiamo alunni maggiorenni ancora sui banchi di sempre! Insomma, l’Europa incombe! Il mondo intero incombe! E i nostri ragazzi non possono aspettare oltre. L’esodo degli studenti migliori è già in atto! E non possiamo fermarlo!

A meno che… le tre C non vengano superate! A meno che lo studio della lingua inglese, oggi in atto fin dall’istruzione primaria, non sia organizzato come lo spezzatino orario di sempre! I nostri ragazzi difficilmente escono dalle nostre scuole con una seria padronanza di una lingua straniera. Per non dire poi della scarsa padronanza della nostra bella lingua nazionale! Umiliata e offesa da quegli orribili messaggini! Paratassi a non finire! E di ipotassi neanche l’ombra! Correttezza grammaticale? Poco o nulla. Mi piace ricordare come la nostra bella grammatica sia ripartita in fonologia, morfologia e sintassi. Solo pochi lo sanno e solo pochi purtroppo sanno parlare e scrivere con proprietà di linguaggio! Confesso che rabbrividisco, quando anche nei consueti dibattiti televisivi si fa strame della nostra bella lingua! Così faticosamente costruita nel corso dei secoli dal De Vulgari Eloquentia alle Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua,di Pietro Bembo,ai Promessi Sposi e alle stesse impennate dei futuristi. Oggi ciascuno di noi parla! E scrive! Tutti parlano e scrivono, perché è tanto facile aprire la bocca o cliccare sul cellulare, quanto difficile è invece accendere il cervello.

Le sfide planetarie incombono. Per quanto riguarda il nostro Bel Paese incombe la sfida europea. Si tratta di una sfida importante e determinante per noi tutti! Noi Italiani l’Europa Unita l’abbiamo fondata, a Roma, nel lontano 1957, con De Gasperi, Adenauer, Schuman, Monnet. Si chiamava CEE, Comunità Economica Europea. Ed era costituita di solo sei Paesi: Italia, Francia, Germania Occidentale, Belgio, Olanda e Lussemburgo. In seguito quella semplice comunità, con il Trattato di Maastricht, nel 1992 è diventata l’Unione Europea. Che oggi consta di ben 28 Paesi! Una grande potenza! Purtroppo un gigante che non ha le netta percezione della forza che ha e di quanto può valere sullo scacchiere mondiale! Le ventate sovraniste l’aggrediscono da ogni parte e rischiano di mettere in crisi un patrimonio che così faticosamente abbiamo costruito nel corso di ben sessantadue anni! E che oggi rischiamo di disperdere! In tale scenario voglio solo sottolineare quanta responsabilità hanno oggi la nostra scuola, i suoi insegnanti, i suoi dirigenti per innescare nei nostri giovani il seme di una coscienza europea!

Io non sono un fan di Ernesto Galli Della Loggia. Ma non posso non segnalare una sua ultima pubblicazione dal titolo “L’ aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola”. Questa è la descrizione del libro che compare nel web. “Grazie non poco alla sua scuola – in particolare grazie alle sue maestre che per prime affrontarono l’ignoranza nazionale – l’Italia del Novecento, partita da condizioni miserabili, arrivò a essere tra le principali economie del mondo. Ma oggi quella stessa scuola è lo specchio del declino del paese. Abbandonata dalla politica con la scusa dell’autonomia, essa appare sempre più dominata dal conformismo intellettuale, da un’inconcludente smania di novità e da un burocratismo soffocante che ne stanno decretando la definitiva irrilevanza sociale”. Ernesto Galli della Loggia cerca di comprenderne le ragioni di tale declino indagando le origini e l’impatto, deludente quando non distruttivo, che hanno avuto le riforme succedutesi negli ultimi decenni e smontando le interpretazioni più convenzionali su cosa fecero o dissero veramente personaggi chiave come Giovanni Gentile e don Lorenzo Milani. Chi l’ha detto che cambiare sia sempre meglio di conservare? E che la prima cosa sia necessariamente di sinistra e la seconda di destra? Il libro mette sotto accusa i miti culturali responsabili della crisi attuale: l’immagine a tutti i costi negativa dell’autorità, l’obbligo assegnato alla scuola di adeguarsi a ciò che piace e vuole la società (dal digitale al disprezzo per il passato), la preferenza del saper fare sul sapere in quanto tale, la didattica attiva e di gruppo. Altrettanti ideologismi che sono serviti a oscurare il ruolo dell’insegnante, la misteriosa capacità che dovrebbe essere la sua di trasmettere la conoscenza e con essa di assicurare un futuro al nostro passato. In Europa sono uno su sei, in Italia più di uno su quattro: il 28,9 per cento dei giovani tra i 20 e i 34 anni non lavora, non studia, è fuori da qualunque percorso d’inserimento o apprendistato”

A conclusione di questa impietosa analisi, viene da chiedersi: Il nostro sistema di Educazione, Formazione Istruzione – così lo definisce la norma – è in grado di preparare cittadini nel contempo italiani ed europei? Una sola domanda: a fronte delle impetuose trasformazioni che si sono verificate e che si verificano ogni giorno nel mondo del sapere e in quello del fare, il nostro sistema di istruzione secondario è in grado di dare suggerimenti ed input autorevoli? Ha ancora senso la tripartizione di sempre, che va dai licei destinati ai “bravi”, agli istituti tecnici per i “così così” e infine ai professionali per gli sfigati? Ricordo ancora le minacce di mia madre quando frequentavo la quinta elementare, anni trenta: “Maurizio studia! Devi superare l’esame di ammissione al ginnasio! Altrimenti devo iscriverti all’avviamento”. Ed era la scuola all’avviamento al lavoro, ovviamente manuale.

Oggi le sfide sono ben altre! Lo scenario ha dimensione transnazionale ed in primo luogo europea. Ovviamente non penso che la soluzione sia quella di licealizzare l’intero secondo grado di istruzione. Ma di rendere più autorevoli i percorsi tecnici e quelli professionali. Utilizziamo un acronimo internazionale: il sistema VET, o meglio il Vocational Education and Training. Ebbene: il sistema VET italiano è prevalentemente centrato su percorsi scolastici (l’Istruzione tecnica e l’Istruzione professionale), mentre il sistema VET tedesco è prevalentemente centrato su percorsi di formazione professionale in alternanza, nei quali risulta decisivo il ruolo delle aziende come luoghi di apprendimento. In altri termini, in Italia, la contaminazione con il lavoro non deve essere percepita come una sorta di diminutio capitis, ma come un’occasione in più per apprendere in concomitanza con ciò che un mondo del lavoro sempre più informatizzato e tecnologico richiede.

In conclusione, quando si parla di una scuola per l’Europa, il problema non è soltanto una più puntuale conoscenza delle istituzioni europee da parte dei nostri studenti, ma una loro più puntuale preparazione disciplinare, pluridisciplinare e culturale soprattutto, finalizzata all’accesso sia a un consesso civile che a un mondo del lavoro i cui confini sono ben oltre le Alpi! Oggi giungono fino al Capo Nord! E’ una sfida che viene da lontano, dai Trattati di Roma del 1957, e che deve prolungarsi lungo tutto il nuovo millennio!

Auguri, cara Patria Europa!

Laceno, 12 luglio 2019

Maurizio Tiriticco

Conoscenza/competenza

Conoscenza/competenza: una questione storica e culturale

di Enrico Maranzana

La presidente dell’Invalsi, Anna Maria Ajello, ha rilasciato un’intervista, apparsa col titolo “Piccoli equivoci sulle competenze”, in cui rileva che “Il concetto di competenza fa ancora fatica a entrare nella pratica didattica”.

La validità dell’assunto è dimostrata dalle risposte fornite al giornalista: la sostanza del concetto “competenza” è rimasta nell’ombra, il terreno giuridico su cui radica è ignorato, le barricate che le scuole erigono, da quarant’anni per impedirne l’ingresso, sono ignorate.

La trascrizione di tre frasi fornisce lo spunto per riflettere:
1) “Una competenza non è qualcosa che s’insegna, ma un modo di insegnare che permette agli studenti di diventare competenti”.
2) “Ci sono moltissimi modi per farlo, e sta a ogni insegnante capire qual è quello giusto nel proprio caso”;
3) “Essere competenti vuol dire padroneggiare una conoscenza, cioè averla capita fino in fondo, saperla individuare nel proprio bagaglio e usare quando ce n’è bisogno, saperla adattare a circostanze diverse”.

La sostanza del concetto “competenza
”Il comportamento che esibisce chi affronta e risolve un compito, noto o ignoto, è la manifestazione di una competenza.
Gli elementi che generano l’acqua sono l’ossigeno e l’idrogeno, quelli che danno vita alle competenze sono le capacità/abilità e le conoscenze.
La sostanza del concetto “conoscenza”
La coincidenza del conoscere con quanto è depositato nei tomi di una biblioteca richiama le orme che i gabbiani lasciano sull’arena del mare: far coincidere la loro essenza con le loro tracce sulla sabbia è fuorviante.

La didattica orientata alla promozione delle competenze
I regolamenti di riordino del 2010 “fissano alcuni punti fondamentali e imprescindibili che solo la pratica didattica è in grado di integrare e sviluppare”:
• “lo studio delle discipline in una prospettiva sistematica, storica e critica”: quali problemi sono il fondamento delle scoperte, oggetto delle discipline?;
• “la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari”.

La legge
Nel 2003 il legislatore ha delegato al governo la facoltà legislativa per “assicurare a tutti lo sviluppo di competenze, generali e specifiche, attraverso conoscenze e abilità”.
Le competenze generali costituiscono i traguardi di sistema, cui tutti gli insegnamenti devono mirare; la promozione di quelle specifiche attiene ai singoli insegnamenti.

Le barricate erette
Nessuno dei numerosi orientamenti elaborati dal legislatore è risuscito a incrinare l’ordinario svolgimento dei lavori di classe: il rapporto medico-paziente è rimasto il modello di riferimento.
I programmi della scuola media del 1979, tuttora vigenti, siano d’esempio. Il loro leitmotiv è la promozione di competenze: le scuole hanno fatto finta di non capire. Il Miur, di concerto con la fondazione Agnelli, nel 2012, ha fatto propria la resistenza all’innovazione, individuando nella scuola media il punto più debole del sistema scolastico e ha espresso la volontà di riformarla.


Perché il potere ha tolto le parole ai nostri ragazzi

da la Repubblica

di Gianfranco Carofiglio

Un numero enorme di ragazzi non è capace di comprendere un comune testo in lingua italiana. È un’incapacità che certo dipende dalle carenze del sistema scolastico ma che affonda le sue radici in un terreno più vasto. Quello della progressiva perdita di senso del dibattito pubblico, dell’esibito disprezzo che taluni politici e talune forze hanno per la responsabilità connessa con l’uso del linguaggio.

Sembra concretizzarsi nel nostro Paese l’inquietante fenomeno che Humpty Dumpty illustra ad Alice in un passo celebre diAttraverso lo specchio.

«Quando io uso una parola» disse Humpty Dumpty in tono alquanto sprezzante, «questa significa esattamente quello che decido io… né più né meno».

«Bisogna vedere» disse Alice «se lei può dare tanti significati diversi alle parole».

«Bisogna vedere» disse Humpty Dumpty «chi è che comanda… è tutto qua».

Quando si ha a che fare con le parole — dice l’interlocutore di Alice — una cosa sola importa: chi comanda, chi è il padrone.

L’impressionante inettitudine messa in luce dai risultati dei test Invalsi è a un tempo causa ed effetto di questo fenomeno: giovani incapaci di capire il significato di discorsi elementari sono i destinatari ideali per la propaganda dei demagoghi e dei populisti di ogni risma. E la propaganda volgare, violenta, carica di disprezzo per i significati, caratterizzata da una programmatica povertà del lessico è uno degli acceleratori dell’ignoranza, dunque dell’inadeguatezza democratica.

In nessun altro sistema di governo le parole sono importanti come in democrazia: la democrazia è discussione, è ragionamento comune, si fonda sulla circolazione delle opinioni e delle convinzioni.

La ricerca scientifica ha dimostrato un’inquietante rapporto fra povertà del linguaggio e assenza di possibilità: i ragazzi più violenti possiedono strumenti linguistici scarsi e inefficaci, sul piano del lessico, della grammatica e della sintassi. Non sono capaci di gestire una conversazione, non riescono a modulare lo stile della comunicazione — il tono, il lessico, l’andamento — in base agli interlocutori e al contesto, non fanno uso dell’ironia e della metafora, non sanno nominare le proprie emozioni. Spesso, non sanno raccontare storie. Mancano della necessaria coerenza logica, non hanno abilità narrativa: una carenza che può produrre conseguenze tragiche nel rapporto con l’autorità, quando è indispensabile raccontare, descrivere, dare conto delle ragioni, della successione, della dinamica di un evento.

Quando, per ragioni sociali, economiche, familiari, non si dispone di adeguati strumenti linguistici; quando mancano le parole che dicono la paura, la fragilità, la differenza, la tristezza; quando manca la capacità di nominare le cose e le emozioni, allora manca un meccanismo fondamentale di controllo sulla realtà e su se stessi.

La violenza incontrollata è uno degli esiti possibili, se non probabili, di questa carenza. I ragazzi sprovvisti delle parole per dire i loro sentimenti di tristezza, di rabbia, di frustrazione hanno un solo modo per liberarli e liberarsi di sofferenze a volte insopportabili: la violenza fisica. Chi non ha i nomi per la sofferenza la agisce, la esprime volgendola in violenza, con conseguenze spesso tragiche.

Nelle scienze cognitive questo fenomeno — la mancanza di parole, e dunque di idee e modelli di interpretazione della realtà, esteriore e interiore — è chiamato ipocognizione. Si tratta di un concetto elaborato a seguito degli studi condotti negli anni Cinquanta dall’antropologo Bob Levy. Nel tentativo di individuare la ragione dell’altissimo numero di suicidi registrati a Tahiti, Levy scoprì che i tahitiani avevano le parole per indicare il dolore fisico ma non quello psichico. Non possedevano il concetto di dolore spirituale, e pertanto quando lo provavano non erano in grado di identificarlo. La conseguenza di questa incapacità, nei casi di sofferenze intense e (per loro) incomprensibili, era spesso il drammatico cortocircuito che portava al suicidio. L’abbondanza, la ricchezza delle parole, il loro essere munite di significati è dunque una condizione del dominio sul reale: e diventa, inevitabilmente, strumento del potere politico.

Per il filosofo John Searle le società vengono costruite e si reggono, essenzialmente, su una premessa linguistica: sul fatto, cioè, che formulare un’affermazione comporti un impegno di verità e di correttezza nei confronti dei destinatari. Non osservare questo impegno mette in pericolo il primario contratto sociale di una comunità, cioè la fiducia in un linguaggio condiviso.

Le società nelle quali prevalgono le asserzioni vuote di significato, nelle quali i politici (e soprattutto i politici al governo) non hanno alcuna percezione dei doveri connessi all’uso del linguaggio, sono in cattiva salute: in esse, alla perdita di senso dei discorsi, consegue una pericolosa caduta di legittimazione delle istituzioni e in definitiva un grave pericolo per la democrazia.

L’analfabetismo funzionale di tanti ragazzi è un effetto di molte cause e rischia a sua volta di diventare la pericolosa premessa di uno svuotamento della democrazia. Occuparsi del linguaggio pubblico e della sua qualità non è dunque un lusso da intellettuali, una questione da accademici, un problema di chi si occupa delle politiche e delle pratiche dell’educazione. È un dovere cruciale della politica e dell’etica civile.

C’è un inquietante rapporto fra povertà del linguaggio e assenza di possibilità: i giovani più violenti non sanno conversare, non conoscono ironia e metafore, non sanno nominare le emozioni. Sono vittime perfette dei demagoghi

Gianrico Carofiglio, ex magistrato ed ex senatore, è uno dei più amati scrittori italiani. Il suo ultimo romanzo è La versione di Fenoglio

“Noi, maestri della scuola che non c’è”

da la Repubblica

Paolo Di Paolo

Dopo i risultati delle prove Invalsi che denunciano il ritorno dell’analfabetismo siamo andati a Sud, dove la situazione è più drammatica

E abbiamo chiesto un’analisi a un grande scrittore

NAPOLI — La musica — tamburi, battito di mani che tengono il ritmo — arriva fino al cortile. È luglio, la scuola è finita, ma non è chiusa. Via Argine, Ponticelli, periferia est di Napoli: un gruppo di ragazze e ragazzi imparano passi di danza africana. È scuola oltre la scuola, un campo estivo particolare. I partecipanti? Bambini e adolescenti che «non hanno altre risorse e altri punti di riferimento», mi dice uno degli educatori dell’associazione “Maestri di strada”, Nicola Laieta. «Altrimenti, è probabile che non si troverebbero qui, in una mattina di luglio».

D’estate, il vuoto educativo può essere totale. Gli alunni vengono dai quartieri più difficili della periferia orientale, faticano a restare nel contesto scolastico. Frequentano poco, spesso abbandonano finita le medie. «Noi cerchiamo di sostenerli soprattutto in quel passaggio, delicatissimo» spiega Laieta, che da economista con la passione per il teatro si dedica a tempo pieno al progetto di questa onlus. Nata nei primi anni 2000 per volontà di Cesare Moreno, sulla base di un’esperienza destinata, già vent’anni fa, ad alunni “dispersi”: costruire percorsi di recupero del fallimento scolastico, occupare gli spazi vuoti lasciati dalle famiglie, lavorare dove la scuola non ce la fa, dove si arrende.

Le cifre emerse dalle prove Invalsi parlano chiaro. «I dati Invalsi io li vedo ogni giorno in tempo reale », dice Moreno. «Quanto al divario Nord-Sud, è banale: nel Meridione c’è più classismo, resistono modi feudali di impostare relazioni sociali, e c’è più povertà. Gli insegnanti soffrono, e la colpa non è loro: spesso non hanno l’attrezzatura per formare. Bisogna ripartire dalla relazione educativa, dalla microfisica dei rapporti umani: la scuola si limita a istruire, ma deve educare».

Che altro? «Manutenzione psicologica », aggiunge il maestro di strada Laieta, mentre i ragazzi si ristorano con pane e marmellata. Passa un’adolescente, noto la scritta sulla t-shirt: “Sto nervosa”. Lui mi racconta la storia di Roberta, che non riusciva a rispettare né i suoi coetanei né gli adulti, e trasformava vergogna e fragilità in un’aggressività incontenibile. Ora è diventata “peer educator” a Forcella, fa l’attrice, ha scoperto la passione per la recitazione in uno di questi laboratori. Mi racconta di Antonio, che fa parte «di quelli che a scuola scompaiono». Muto, triste, demotivato. Dormiva sui banchi. «Non ha il padre, ha iniziato a crescere con noi. E scoprendo un grande talento artistico, lentamente il suo livello di partecipazione scolastica è aumentato». Ora è “peer educator” anche lui, si è unito a questa comunità educativa fatta di formatori, psicologi, volontari, “genitori sociali”. Presto, forse, i maestri di strada avranno una sede, e sarà dedicata a Ciro Colonna, il diciannovenne ucciso da un proiettile non destinato a lui, tre anni fa, sparato dai camorristi a Ponticelli.

I Maestri di strada insistono. Cercano il dialogo con la scuola, sviluppano percorsi di co-docenza, di tutoraggio individuale, organizzano laboratori pomeridiani. «In qualche caso, diamo una mano anche per le necessità mediche». E non perdono di vista gli adulti, «perché il loro stato emotivo è di estrema importanza. Chi cura, talvolta, ha necessità di essere curato.

E non sempre se ne rende conto ». L’alleanza fra scuola e famiglia spesso salta, o non viene mai stabilita. I ragazzi demotivati rispondono con la totale apatia o con il conflitto. I metodi didattici tradizionali, in molti casi, falliscono. «Sollecitarli, fare proposte di scuola “tradizionale” il più delle volte non ha effetti. Occorre costruire qualcosa intorno a loro, coinvolgerli lentamente».

È ciò che accade stamattina. Qualcuno resta in disparte, ma i più si buttano. Amref — l’ong che da decenni lavora per la salute in Africa e sta supportando campi estivi a Roma, Milano, Napoli, Catania — ha portato nella scuola di via Argine Gamal, originario del Togo, Sena, del Benin, e Liliana, che tengono laboratori di danza e musica tradizionale dell’Africa occidentale fra Napoli, Aversa, Caserta. Educazione alla socialità, con l’accento su inclusione e integrazione.

Si parte con esercizi di risveglio muscolare, si conoscono gli strumenti — il djembe — e si prova qualche coreografia semplice. Mani, piedi, voce. Sena è in Italia da dieci anni, ha studiato qui, si è occupato di mediazione culturale. La parola migrante non la ama: «Siamo tutti esseri umani in movimento, cittadini. Dobbiamo ricordarci che ogni essere umano costretto a viaggiare perde qualcosa, e rispondere a quella sofferenza con la speranza ». Questo vale sempre. Lo pensa anche il maestro Moreno: «Nella storia italiana, abbiamo visto generazioni di poveri motivati a studiare. Avevano speranze. Chi non studia, evidentemente, le ha perse tutte ».

Presidi, riparte il concorso per assumere quasi tremila dirigenti della scuola

da la Repubblica

Ilaria Venturi

Aveva suscitato clamore la sentenza del Tar che aveva annullato il concorso per i presidi. Un vero e proprio terremoto nel mondo della scuola, afflitto dal problema della mancanza di capi di istituto e che attendeva i nuovi dirigenti da settembre. Il Miur ha fatto ricorso. E l’appello è stato accolto: la Sesta sezione del Consiglio di Stato ha sospeso, in attesa del merito, la sentenza con la quale il Tar del Lazio aveva annullato il concorso per il reclutamento di 2.900 dirigenti scolastici.

Tirano un sospiro di sollievo i candidati promossi, già arrivati agli orali. Insoddisfatti i ricorrenti che avevano sollevato dubbi rispetto alla legittimità della prova scritta che si è tenuta a ottobre scorso.

Centinaia i ricorsi che hanno segnalato anomalie nelle sotto-commissioni, prove non tutelate dall’anonimato sino allo scritto rinviato per i candidati sardi causa maltempo. La sentenza del Tar del 2 luglio scorso aveva in particolare accolto il ricorso di alcuni candidati per incompatibilità di tre componenti delle sottocommissioni incaricate della valutazione delle prove scritte.

Nelle ordinanze sì sottolinea che “a prescindere dal merito delle questioni devolute in appello e da ogni valutazione sull’effettiva portata invalidante dei vizi dedotti (segnatamente dei vizi riscontrati dal primo giudice) deve ritenersi preminente l’interesse pubblico alla tempestiva conclusione della procedura concorsuale, anche tenuto conto della tempistica prevista per la procedura di immissione in ruolo dei candidati vincitori e per l’affidamento degli incarichi di dirigenza scolastica con decorrenza dal primo settembre 2019”.

In questo modo si consente al Miur di portare a termine gli orali e di completare il reclutamento. L’udienza pubblica per la decisione definitiva è fissata al 17 ottobre.
Soddisfatto il ministro Marco Bussetti: “Bene la sospensiva del Consiglio di Stato. Procederemo ora senza indugio con la pubblicazione della graduatoria e le assunzioni – dichiara – So quanto hanno studiato i vincitori. Ci sono passato: ho fatto anche io questo concorso anni fa. La scuola italiana non può aspettare, ha bisogno di nuovi dirigenti scolastici per guidare i nostri istituti e superare il fenomeno dannoso delle reggenze. Glieli daremo”.

Le assunzioni saranno fatte con riserva. “Il Consiglio di Stato non è entrato nel merito dei motivi del ricorso: la partita è aperta” dice l’avvocato Massimo Vernola. Il concorso va avanti, sebbene sotto la spada di Damocle di giudizi che arriveranno a procedure terminate e a nuovo anno scolastico avviato. “Siamo paradossalmente le vittime del pubblico interesse, ma anche il diritto a una selezione equa dovrebbe essere di pubblico interesse – il commento amaro dei ricorrenti – le irregolarità sono ben altre rispetto all’incompatibilità dei commissari, ci sono ricorsi individuali che affrontano tutti i motivi finora ignorati”.

“Non dubitavamo di questa decisione, la sentenza del Tar era basata su un punto che ritenevamo debole – dichiara Antonello Giannelli presidente dell’associazione nazionale presidi – Eravamo dell’idea che il concorso non dovesse essere bloccato, poi ovviamente chi ha singoli diritti da vantare può andare avanti”. L’Anp aveva proposto un appello autonomo in appoggio a quello del Miur.

“Sicuramente ora c’è la speranza che ci sia una soluzione per garantire l’avvio dell’anno scolastico – dichiara Lena Gissi segretaria della Cisl scuola – a questo concorso ci sono stati più di 34mila partecipanti: perché tanto interesse? Il modello di selezione va rivisto, il contenzioso è enorme e va garantita massima trasparenza. Ora è tempo di rivedere la governance delle scuole, lo sviluppo professionale dei docenti e il ruolo del dirigente scolastico sempre più solo e al centro di un carico burocratico esasperato”.

Esultano un po’ tutti i sindacati. “Per il momento, il Consiglio di Stato ha salvato i vincitori del concorso” dice Marcello Pacifico, presidente Udir.

Concorso straordinario precari con tre anni di servizio. Le ultimissime novità

da Orizzontescuola

di redazione

Potrebbe essere emanato la prossima settimana il provvedimento sui PAS e il concorso straordinario anticipato dal Ministro dell’istruzione durante un question time.

Le anticipazioni del Ministro

Questa settimana il Ministro Bussetti ha anticipato che è invia di definizione l’emanazione di un provvedimento di urgenza da parte del Governo sui concorsi riservati ai precari con 36 mesi di servizio

Il provvedimento conterrà:

  • l’istituzione di PAS, percorsi formativi, riservati ai docenti con 3 anni di servizio negli ultimi 8 anni
  • il bando di un concorso straordinario per la stessa categoria di docenti, ma con i tre anni nella scuola statale.

Il concorso

Il concorso sarà così articolato:

  • accesso ai docenti con tre annualità di servizio nella scuola statale maturate negli ultimi 8 anni
  • 1 anno di servizio nella classe di concorso specifica per la quale si concorre
  • valorizzazione del servizio prestato
  • prova scritta computer based
  • prova orale non selettiva
  • la graduatoria, che ne scaturirà, dovrà essere determinata assicurando un preminente rilievo ai titoli di servizio;
  • le graduatoria, che ne scaturirà, dovrà essere redatta in base al punteggio dei titoli, della prova scritta selettiva e della prova orale non selettiva;
  • alla stessa, ai fini delle immissioni in ruolo, dovrà essere destinato il 50% dei posti destinati ai concorsi (articolo 17, comma 2, lettera d) del d.lgs. 59/2017), in subordine allo scorrimento delle graduatorie dei concorsi del 2016 e del 2018;
  • dovrà essere abilitante, per cui i docenti che si collocano utilmente in graduatoria acquisiranno l’abilitazione sulla relativa classe di concorso.

Quanto varrà il servizio?

Nell’ambito del concorso straordinario o meglio nell’ambito della costituzione della graduatoria, si dovrà attribuire un preminente rilievo ai titoli di servizio, come leggiamo nel testo dell’accordo:

prevedere che la graduatoria sia determinata assicurando un preminente rilievo ai titoli di servizio, oltre che in base al punteggio attribuito ad una prova scritta da svolgere al computer, per la quale è prevista una soglia di punteggio minimo, nonché a una prova orale non selettiva

I titoli di servizio, dunque, dovrebbero avere un notevole peso nell’ambito della costituzione della graduatoria. Attendiamo il provvedimento per vedere in cosa consisterà nello specifico questo preminente rilievo.

Stipendio, entro metà agosto le scuole avranno fondi per pagare attività aggiuntive

da Orizzontescuola

di redazione

Dopo la denuncia di ieri ecco la risposta del Miur sull’erogazione alle scuole delle risorse MOF per il pagamento delle attività aggiuntive svolte dal personale docente e ATA nel corso dell’a.s. 2018/19.

E’ di oggi venerdì 12 luglio – scrive la FLCGIL – la comunicazione  che i decreti di autorizzazione dei finanziamenti sono alla firma degli uffici competenti del MEF e che pertanto le risorse, verosimilmente, saranno nella disponibilità delle scuole entro la prima metà di agosto.

Si tratta  del Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (MOF) previsto all’art.40, commi 1 e 2 del CCNL 2016/2018 del 19/4/2018 destinato

  • al Fondo dell’Istituzione scolastica (lettera a)
  • alle attività complementari di educazione fisica (lettera b)
  • alle funzioni strumentali all’offerta formativa (lettera c)
  • agli incarichi specifici ATA (lettera d)
  • ai progetti nelle aree a forte rischio sociale (lettera e)
  • alle ore eccedenti per le sostituzioni del personale (lettera f)
  • alle attività di recupero nella Scuola Secondaria di secondo grado (comma 5 lettera b)
  • alle risorse del bonus per la valorizzazione del merito dei docenti (comma 2 lettera a)

A questo punto non sarà possibile l’erogazione delle somme neanche nel cedolino di agosto, ma bisognerà attendere settembre.

Trasferimenti docenti, Assistente virtuale Miur spiega come sono state assegnate le preferenze

da Orizzontescuola

di redazione

Mobilità docenti: la fase dei trasferimenti docenti è conclusa (comprese le rettifiche del 26 giugno e giorni seguenti) ma da quest’anno è possibile avere delle risposte in più sulle preferenze.

Da quest’anno infatti nella sezione “Altri Servizi-Mobilità in Organico di Diritto-Personale Docente”all’interno della pagina personale di Istanze online è  disponibile in basso a destra un Assistente Virtuale che supporta il docente nell’analisi degli esiti della mobilità.

Gli esiti -è bene tenerlo presente – si riferiscono alla data di pubblicazione e non tengono conto di eventuali rettifiche successive effettuate dagli Uffici periferici.

L’assistente risponderà a quesiti sullo stato delle domande presentate e sulla modalità di assegnazione delle singole preferenze, tenendo conto dell’ordine delle operazioni riportato nell’allegato 1 del CCNI della mobilità.

Non verranno invece fornite riposte su aspetti prettamente amministrativi del procedimento.

Concorso dirigenti scolastici, i vincitori assunti il 1° settembre ma l’annullamento è ancora possibile

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

Anche se il Consiglio di Stato ha sospeso in via cautelare l’esecuzione della sentenza n. 8655/2019 con cui il Tar Lazio il 2 luglio scorso aveva annullato gli atti relativi al concorso per dirigente scolastico, la partita sul concorso per dirigenti scolastici rimane ancora aperta: i docenti vincitori di concorso, seppure assunti in ruolo nel nuovo ruolo di presidi, potrebbero in linea teorica ancora essere spodestati con l’udienza di merito.

Gli interessi del Miur potrebbero non essere gli stessi dei vincitori

La rivalidazione del D.D.M. n. 395/2019, riportante la graduatoria dei candidati ammessi agli orali, non comporterebbe alcuna decisione definitiva sulla diatriba giudiziaria. Il Consiglio di Stato, infatti, si è riservato di decidere la questione nel merito all’esito della discussione fissata per il 17 ottobre prossimo.

A ricordarlo, con un comunicato, è stata l’Unione Sindacati Autonomi Europei, che parla di decisione “sospesa ma non definita ed assolutamente aperta”. Perché, “ad oggi – sostiene l’associazione – le sorti dei candidati che hanno superato le prove concorsuali sono affidate all’appello redatto dall’avvocatura dello Stato per conto del Miur”, il quale “difende interessi propri del Miur che solo in parte sono coincidenti con quelli dei partecipanti”.

Perché la procedura è ancora a rischio

La tesi dell’associazione è che i tempi ristretti possano avere giocato contro ad una decisione ponderata, da parte di chi ha presentato l’appello.

“Nell’atto di appello – scrive l’Unione Sindacati Autonomi Europei -, a causa dell’esiguità dei tempi intercorrenti tra la sentenza demolitive emanata dal Tar e la data fissata per la sua discussione innanzi al Consiglio di Stato, potrebbero infatti essere stati tralasciati (o non sufficientemente coltivati) aspetti cogenti, invece, che potrebbero contribuire in modo decisivo all’annullamento dell’impugnata sentenza per i candidati ammessi agli orali”.

“Conseguentemente, va da sé che il proporre ulteriori ricorsi in appello che ne evidenzino l’erroneità anche sotto profili diversi ed alternativi, andrebbe ad incrementare la possibilità di riformare la sentenza appellata in quanto, da una parte si darebbe maggiore vigore all’azione dell’Avvocatura e dall’altra si tutelerebbero le posizioni personali dei ricorrenti rendendo loro (e solo a loro) fruibili i benefici derivanti da un accoglimento parziale dell’appello”.

Usae, quindi, si è rivolta a tutti i “candidati ammessi agli orali, quali controinteressati in virtù della notificazione avvenuta nei loro confronti per pubblici proclami, che per tutelare la rispettiva posizione personale propongano anch’essi appello”.

Bussetti: attendiamo la sentenza di merito

Nel frattempo, al Miur si procede come se la sentenza fosse invece definitiva: “dobbiamo essere velocissimi nel procedere, mancano poche commissioni per completare gli orali, il tempo necessario e per il 1° settembre vogliamo i docenti scolastici in ruolo, anche se dobbiamo aspettare la sentenza definitiva di merito”, ha spiegato il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti.

“La ragione del concorso, di cui abbiamo voluto accorciare nei tempi, è perchè – ha aggiunto il ministro – c’è da anni una emergenza, anche del 50%, dei dirigenti scolastici, che ha imposto la necessità delle reggenze. Tamponeremo quasi totalmente il fenomeno, avremo dirigenti in quasi tutte le scuole, ci saranno reggenze ma minime”.

Bussetti ha quindi tenuto a ricordare che “tutte le operazioni devono essere pronte per agosto, per poter avere tutto a posto per il 1° settembre”.

Anche le assunzioni dei nuovi presidi saranno quindi lavorate il prossimo mese, per renderle effettive il primo giorno del nuovo anno scolastico.