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Rafforzato il diritto alle supplenze brevi (Nota 2966/15)

Rafforzato il diritto alle supplenze brevi (Nota 2966/15)

Il MIUR con Nota prot. n° 2966/15 ha stabilito che dal 1/9/2015 le supplenze brevi non dovranno più essere pagate dalle singole scuole, e gravare quindi sul fondo di istituto, ma verranno pagate direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze previa trasmissione della documentazione da parte del MIUR.

 


OSSERVAZIONI

 

Questa novità, che può apparire solo contabile, comporta notevoli conseguenze positive e di ciò va dato atto alla CGIL che si è battuta per questo cambiamento. Infatti prima di tale modifica molti dirigenti scolastici, a causa delle croniche insufficienze del fondo di istituto si rifiutavano di nominare supplenti per brevi periodi di tempo. Da ora in poi ciò non avverrà più, anzi per gli alunni con disabilità si avrà un rafforzamento del diritto alla supplenza.

Infatti sino ad oggi molti dirigenti scolastici, in caso di assenze di docenti curricolari, precettavano i docenti per il sostegno per fare supplenze o in altre classi, abbandonando l’alunno con disabilità nella propria, o nella stessa classe di titolarità, violando così il diritto dell’alunno alla compresenza del docente curricolare e quello per il sostegno.

Infine è da tener presente che la recente l. n° 107/15 con l’introduzione dell’organico potenziato, col quale ogni scuola avrà un’aggiunta all’organico tradizionale da un minimo di 3 ad un massimo di 8 docenti in più, ha creato le condizioni per le quali in caso di assenze improvvise o brevi di docenti, questi saranno certamente suppliti dai docenti dell’organico potenziato.

Salvatore Nocera

Il mito seduttivo della carriera docente

IL MITO SEDUTTIVO DELLA CARRIERA DOCENTE 

di Alessandro Basso 

Lo storico percorso di reclutamento che la buona scuola ha accompagnato all’interno del sistema scolastico, ha trascinato con sè un fenomeno particolarmente strano di richiamo di interesse nei confronti della professione docente da parte di persone che avevano scelto nel corso della propria vita di fare tutt’altro.

Non è novità, anzi, è storia che l’accesso al pubblico impiego e alla scuola sia stato legato negli anni passati a una esigenza di reclutamento che a volte ha avuto il sapore di ammortizzatore sociale.

A fianco di persone con una vocazione nei confronti dell’insegnamento particolarmente spiccata, vi sono sacche di insegnanti che sono assurti a tale rango o perché avevano una laurea o perché, peggio ancora, qualcuno li ha chiamati da una graduatoria nella quale ci si inseriva d’ufficio.

Sorge l’interrogativo se esista una vera e propria “vocazione” nei confronti dell’insegnamento e se questa sia necessaria o perlomeno sufficiente per poter esercitare bene la complessa sfida della didattica e dell’educazione.

Volendo riferirsi ad una vocazione di natura innata o addirittura trascendentale, non si spiegherebbero gli sforzi e le attenzioni che abbiamo coltivato nel corso degli ultimi decenni per codificare la professione docente all’interno delle scienze non esatte e per fornire dei parametri sempre più scientifici e meno spontaneistici alla base dei processi di insegnamento- apprendimento.

Per molti l’ insegnamento non ha nulla di scientifico. Invece, è proprio il contrario, perché è un mestiere che si poggia su solide competenze di natura epistemologica che la formazione universitaria accompagna attraverso l’implementazione di altre competenze in campo socio-psico pedagogico- giuridico- relazionale.

Risulta particolarmente evidente che per essere docenti un minimo di approccio vocazionale sia necessario, accompagnato da un congruo “piacere” nello stare a contatto con le nuove generazioni, con una buona dose di pazienza ed empatia. Requisiti necessari, ma non esclusivi.

Ci sono docenti dalla preparazione universitaria spiccatissima con master, corsi di perfezionamento, specializzazioni (anche lasciando da parte il fatto che questi titoli siano stati acquisiti per migliorare la posizione nelle speriamo moribonde graduatorie) che garantiscono alla scuola un certo valore aggiunto che però non si traduce immediatamente in una chiara capacità ad entrare in contatto con gli alunni. Quest’ultimi, a volte, beneficiano maggiormente di insegnanti molto più “semplici” ma che si dimostrano competenti nella relazione e nell’empatia con i propri discenti, a qualsiasi livello di istruzione, costruendo un positivo dialogo educativo prosociale che sta alla base di qualsiasi apprendimento.

 

Durante i primi giorni di settembre si è verificato un fenomeno nuovo per la scuola ovvero l’ingresso nei ranghi di docenti in graduatoria da molti anni, privi di qualsiasi esperienza di insegnamento ( requisito non fondamentale, è bene dirlo) che hanno sentito il richiamo della sirena di un’opportunità da non perdere. Ho sentito frasi del tipo “da bambino volevo insegnare”, o “ricordo ancora la prof. di lettere e volevo provare questa esperienza”o ancora “non volevo lasciare la laurea nel cassetto per tutta la vita.

Risultato dell’esperimento? Non pienamente riuscito, ne sono la riprova i tentativi di fuga in corso d’anno e i pentimenti fuori tempo utile.

Questa esperienza dovrebbe servire al legislatore, al governo in carica o a quelli futuri per accelerare il processo di elaborazione di un codice deontologico del docente, che si accompagni alla disanima della figura del “buon docente” sia dal punto di vista professionale sia, come detto in altre occasioni, quale atto prodromico alla valutazione della qualità della docenza nonchè base di senso e significato per il rinnovo del contratto di lavoro.

Servirà, probabilmente, all’apertura di una nuova fase concorsuale, un’attenta ricognizione della tipologia delle prove, favorendo percorsi attitudinali e pratici piuttosto che l’esplicitazione di conoscenze teoriche, seppur necessarie e fondamentali.

 

Questo a beneficio delle generazioni presenti e future e soprattutto in ossequio ai principi di legalità espressi financo dalla Costituzione, per fare in modo che non siano i giudici, come sta accadendo di fatto, a scegliere chi starà in classe con i notri studenti.

 

 

Su valutazione e comitati vari

Su valutazione e comitati vari
Ricordando Giorgio Israel

di Gabriele Boselli

 

Un mese fa è morto Giorgio Israel, una delle poche menti capaci di cantare fuori dal coro, senza stonare, ovvero in sintonia con i millenni della tradizione scolastica, in particolare ebraica, ma ancor di più con le indicazioni della più avanzata epistemologia. Cantò fuori dal coro dei docimologi integralisti, la setta scelta dal Potere per ridurre in soggezione i docenti e i dirigenti scolastici e costringerli a rendergli conto del proprio operato, reso così non più magistrale (non più magis-stratus). Le sue tesi essenziali erano d’impronta fenomenologica: critica dell’oggettivismo, avversione ai test come prova del valore delle persone e delle istituzioni scolastiche, no alla burocratizzazione del valutare, fiducia nell’intersoggettività e nell’autonomia dinamica e plurale dei percorsi valutativi entro una comunità qualificata di operatori scolastici.

Ricordarlo –senza pretesa di esserne gli interpreti autentici- è trarne motivi per opporsi all’andazzo attuale e pensare a un valutare scientificamente fondato ed eticamente condivisibile.

 

Finalità esplicite e indichiarate

Sono fiducioso che la maggior parte dei membri dei vari comitati di valutazione (valutazione docenti, v. dirigenti) lavoreranno nell’interesse della scuola reale, sapranno comunque riconoscere la qualità del lavoro, incoraggiare i capaci, orientare secondo scienza e coscienza le dinamiche culturali e pedagogiche delle scuole. Questo anche se compito del dirigente scolastico, dei missi dominici (membri esterni dei comitati e ispettori, questi ultimi da tempo degradati a meri “dirigenti tecnici” anche se non dirigono alcunchè e non sono dei tecnici ma quasi sempre degli autorevoli studiosi) sarebbe quello di convincere docenti e gli ancor numerosi dirigenti/Maestri sulla giustezza delle sentenze comunque emesse. Valutazione è affare importante in alto loco perché costituisce la prefigurazione induttiva a ciò che si farà se si vuole ben figurare.

La scuola è importante per chi comanda, sia che si voglia uno sviluppo della democrazia che delle forme neo-autoritarie di governo: influisce sui flussi ideali, forma il pensiero critico. Valutare non dev’essere allora indomito processo di conoscenza secondo idee di valore, né attività costante di ricerca per comprendere le situazioni e introdurre cambiamenti; né attività volta alla valorizzazione di tutti, ad incrementare le consapevolezze. Nell’ottica del Potere valutare significa controllare e premiare/punire. Attività da sempre desiderate dai fortunatamente rari Dirigenti-supermanager in quanto aumenta il loro potere. Non si accorgono questi che la servilizzazione dei docenti asservirebbe anche loro.

 

Gli insegnanti/Maestri. Come riconoscerli

Valutare i docenti dovrebbe comportare una definizione di che significhi valutare e chi sia/debba essere chi insegna. Inizio con quest’ultimo tentativo di definizione

Chi sono i docenti o dirigenti davvero Maestri? Potenziali beneficiari (o vittime) dei Comitati di valutazione potrebbero essere le persone di cultura che amano studiare e che per vivere hanno scelto questo lavoro. I Maestri sono persone che hanno una solida cultura generale, si sono formati su una disciplina, ne sono divenuti corpus e aiutano a conoscerla; sono persone che tentano di prender responsabilmente parte alla storia e all’epoca, aperte all’altro e al non-ancora. L’ascolto del novum del mondo, dell’altro e di sé è fondazionale per capire e per trovare modalità adeguate e gradevoli di lavoro didattico; altrettanto è l’aver qualcosa da dire al mondo.

-I Maestri hanno capacità di critica e detengono autonomia intellettuale, morale ed estetica (Kant). Sono costruttivi e creativi di pensiero.

-Ogni Maestro è Soggetto culturale e pedagogico a pieno titolo, coautore e operatore della “cura” (in senso non clinico) che i vari elementi della costellazione scolastica prestano agli alunni. Il buon Maestro sa essere autore di un invito rivolto a ciascuno a trovare una via personale (non oggettivisticamente serializzabile) alla conoscenza.

-Porta in dono agli alunni una disciplina rigorosamente e filologicamente studiata e fedelmente ricostruita quanto personalmente frequentata, ripensata, interpretata, reinventata.

 

Ogni buon Maestro è essenzialmente uno studioso che ama i libri e ha cura delle persone, infatti

-Insegnare è espressione dell’ “esser-presso” (presso i libri, i laboratori, i colleghi, gli allievi) e prevede per il docente innanzitutto l’accogliersi, l’approvarsi, il riconoscersi come soggetto, come co-autore di un campo di eventi intenzionalizzato (le discipline come officine di senso), di storie essenzialmente improgrammabili

-L’insegnante sa instaurare con l’altro una relazione costitutiva dell’esistenza e della conoscenza, articolata in un tessuto intellettualmente complesso e pedagogicamente orientato. Invita i ragazzi a estendere ma anche a focalizzare disciplinarmente il loro orizzonte degli eventi di cultura, ad articolare in forma più evoluta il loro mondo vitale.

-L’insegnante è protagonista di un cammino continuo, sia sul piano umano che culturale, anche per essere meglio in grado di leggere la diversità e la sofferenza attraverso i segnali che queste mandano. Cerca dunque di capire l’altro con le sue “persecuzioni” e fragilità. Il suo percorso é in gran parte frutto di autocoscienza, ma anche di impegno, dialogo, dialettica (Gentile); cerca di portare all’intelligenza delle destinazioni. Agli alunni e alla società reale servirebbe dunque un lavoratore della conoscenza che, oltre ad aver motivazioni per il lavoro in collaborazione, abbia davvero qualcosa da dire e da dare.

Se chi insegna è o dovrebbe essere quanto sopra, il compito del valutare i docenti e i dirigenti non-manager è davvero arduo e richiede dei Maestri.

 

Il valutare desiderabile e –magari fra qualche decennio- forse possibile

Credo –e Israel credeva, oltre un certo pessimismo di superficie- in un valutare migliore, per quanto lontano, rispetto a quello che oggi si profila. Penso occorra lavorare con rinnovata lena nella costruzione secondo il metodo fenomenologico di una teoria e una prassi della valutazione generativa di pratiche rigorose; su questa poi si farà perno per sistemi di rappresentazione al pubblico che rendano giustizia al grande valore della nostra scuola e dei nostri insegnanti.

E’ allora necessario aprirsi al vedere intersoggettivamente, nell’onesto concorso delle singolarità individuali o di categoria. La tradizione del movimento fenomenologico suggerisce una scienza del valutare che cerca-insieme-a. Il valore che attribuiamo non è mai intrinseco al valutato ma è effetto dell’incontro di quest’ultimo con il suo valutatore entro l’universo valoriale di un determinato ambiente.

La tesi é che sia necessaria, nella valutazione del lavoro svolto nelle scuole, una deontologia ordinata a idee di valore, dunque moralmente ed eticamente avvertita e riferita alla qualità della relazione umana, scientifica e culturale che il personale scolastico sa intrattenere.

Alcuni elementi del valutare sono oggettivamente riscontrabili ma non sono i più importanti. Dev’esser comunque operazione altamente dinamica, nel senso che l’oggetto in sé muta di continuo, oppone alla stabilità degli strumenti ricognitivi la fluidità del suo offrirsi in forme sempre nuove; non è coglibile per ciò che è ma per il suo essere-nel-campo, in un contesto in cui il gioco dei valori è innestato nell’insieme vivente degli attori e dei valutatori.

In ogni campo, i risultati sono spesso (a volte in gran parte) il prodotto dei presupposti metodologici e dei modelli quanti/qualitativi espliciti e impliciti. Le impostazioni della ricerca determinano fortemente gli esiti.

Nella scuola questo significa anche far assumere ai valutati un ruolo attivo nel disegno dei processi e nei metodi di valutazione. Questo è intersoggettività. E l’intersoggettività –come auspicava Israel- esclude approcci oggettivistici come di soggettivismo chiuso.

 

Come non far danni e, ove possibile, essere d’aiuto

Maestri pur di differente indirizzo filosofico e politico -da Piero Bertolini a Silvio Bertoldi a Giorgio Israel a Giuseppe Bertagna- hanno fiducia nel futuro, per quanto non a breve. Piace forse loro –da questo mondo o da quell’altro- pensare che la valutazione degli insegnanti e delle scuole possa essere atto:

-non mortificante, non amministrativo del dato secondo regole consolidate e standardizzate in cui il pur omaggiato oggetto di fatto scompare; sarà una ricerca pensante il vivente, l’esistente concreto;

-non tenderà ad affermare che quel che si vede è ed è assolutamente reale e tutto finisce nel constatare;

-avrà come meta la valutazione dell’esperienza (di ciò per cui si è passati attraverso, non la massa di conferma dei giudizi/pregiudizi );

-sarà una valutazione narrativa, consapevole della propria storicità, concreta;

-si sforzerà di essere pratica, “utile” agli attori del servizio scolastico, in particolare agli alunni;

-non avrà come suo scopo principale lo stilar classifiche, l’archiviare e amministrare discriminando persone e scuole tramite corresponsione di premi e non-premi (ovvero castighi), ma conoscere una regione del mondo della vita e aiutare chi vi si avventura.

 

Bibliografia

Giorgio Israel non ha scritto volumi sul tema della valutazione, ma il suo pensiero lo ha espresso in innumerevoli sedi sulla stampa e su internet, dove è ancora ampiamente consultabile.

Sul tema possono essere utili i seguenti testi

  1. Bertolini ( a cura di) La valutazione possibile, La nuova Italia, Scandicci, 1999
  2. Bertagna, Dall’educazione alla pedagogia. Avvio al lessico pedagogico e alla teoria dell’educazione, La Scuola, Brescia 2010
  3. Boselli Per una valutazione delle scuole e di chi vi lavora, n. 30, annata 2011 di Encyclopaideia (Bononia University Press, Bologna)
  4. Pinto Valutare e punire, Cronopio, 2014

La pubblicazione dei RAV: dalla scuola un’opportunità per l’open government

La pubblicazione dei RAV: dalla scuola un’opportunità per l‘open government

di Piervincenzo Di Terlizzi

I Rapporti di Autovalutazione, all’interno del rinnovato portale La scuola in chiaro, che diventa così uno dei più rilevanti esempi di gestione di open data nella Pubblica Amministrazione italiana, sono online dal 3 novembre.

Alle spalle della pubblicazione, sta un lavoro, svolto dai singoli istituti scolastici, che si è sviluppato durante lo scorso anno scolastico: un lavoro che ha visto attivi diverse componenti di ogni singola scuola, durante il quale si sono incrociati dati ed esperienze per ricavarne indicazioni e per svolgere una riflessione articolata sul presente e sul futuro di ogni contesto. A margine dell’elaborazione e della pubblicazione di ognuno dei Rapporti stanno quindi storie, confronti, riflessioni ed intuizioni che innervano la vita dei singoli istituti al di là del testo scritto. 

Si tratta dunque di un lavoro quotidiano e prezioso: per molti versi, peraltro, ne comincia proprio ora un altro, dalle implicazioni più articolate. I dati, a questo punto, relativi a contesti, esiti, processi e priorità sono lì, raggiungibili da cercalatuascuola.istruzione.it, sono davvero molti e di variegata natura, sono davvero utilissimi: pur organizzati per sezioni, essi risultano, ad un lettore non addentrato nelle cose di scuola, ancora disaggregati. Essi, a questo punto, vanno ricomposti, sviluppati in una dimensione di narrazione, perché possano sviluppare orizzonti di senso che vadano oltre le inevitabili semplificazioni già intuibili dai primi riflessi mediatici (“i voti alle scuole” e cose del genere).

In questo senso, il percorso che si apre è quello che va dalla trasparenza alla partecipazione, dagli open data all‘open government: un percorso che già molte amministrazioni pubbliche ed enti locali stanno sviluppando e che, in questo caso, si rivolge ad una platea estesissima ed in una dimensione di sistema complesso (quale è la scuola) le ricche evidenze prodotte, le riflessioni e le proposte collegate si pongono come un elemento di sostegno per favorire la maggior trasparenza e condivisione delle scelte delle comunità scolastiche, proprio a partire dalla forza dei dati di fatto.  In questo senso, ancora, le comunità scolastiche,  con il loro tessuto  di densa relazione umana,  quotidiana, possono diventare luoghi di pratica e crescita di forme di condivisione e di scelta partecipata: le scelte e le inevitabili fatiche che dirigenti, docenti e personale metteranno in campo per rendere leggibili, analizzabili, condivisibili i risultati e le loro implicazioni; le scelte che gli organismi rappresentativi, gli studenti e le famiglie faranno a partire da un uso coerente e fondato degli elementi messi a disposizione  potranno essere un riferimento anche per altri settori importanti della vita civile, soprattutto, appunto, per la modalità di connessione degli open data ai processi decisionali. Dimensione micro (la singola istituzione, la singola comunità) e dimensione macro (il contesto dei riferimenti generali e di sistema), in questo movimento, si connettono tra di loro. E pure i decisori politici dei territori, nelle loro responsabilità di scelta, possono essere aiutati dal paziente lavoro di lettura e interpretazione dei dati, promosso dalle scuole e dai loro dirigenti. C’è, insomma, un’opportunità civica importante, che misura la capacità di essere impulso alla democrazia effettiva: è significativo che ciò vada insieme con la stagione di scelte e di opportunità che si apre con il Piano Nazionale della Scuola Digitale ed è in fondo un segno importante che sia, con tutti i suoi problemi e le sue difficoltà, il sistema scolastico a farsene terreno privilegiato.

Inside Out

Inside out, film di animazione della Pixar di Peter Docter e Ronnie Carmen

di Mario Coviello

insideoutHo insegnato l’intelligenza emotiva ai miei alunni prima e ai docenti poi dopo aver studiato Daniel Goleman dal 1997. E’anche per questo che consiglio a genitori ed insegnanti di non perdere la visione di Inside out. Genuino, profondo e psicologico. Inside Out, film animato della Pixar, è un concentrato di emozioni, grafiche da urlo e scene paradossali. Racconta la vicenda della piccola Riley, bambina del Minnesota che si trasferisce a San Francisco con la famiglia, e lo fa dal punto di vista della sua mente. Il film è quasi tutto ambientato nel suo cervello, dove le emozioni (Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia) indirizzano gli stati d’animo da una plancia di comando, gestiscono la costruzione e lo stoccaggio dei ricordi, reagiscono secondo la loro natura agli stimoli esterni di un momento così critico per la bambina. In una fase concitata, Gioia e Tristezza finiscono per errore da un’altra parte del cervello. Il film racconta la storia parallela del loro viaggio di ritorno verso il quartier generale, mentre Riley cerca di tornare felice com’era nel Minnesota, sentendosi sperduta a San Francisco.

Inside Out sviluppa l’avventura di dentro, attraversando in compagnia di Joy e Sadness la memoria, il subconscio, il pensiero astratto e la produzione onirica di una bambina che sta imparando a compensare la propria emotività e ad assestarsi in una città altra.

Il film ci insegna che ciascuna delle emozioni è necessaria per barcamenarsi nel mondo esterno: la paura evita – quando può – i passi falsi, il disgusto l’avvelenamento per aver mangiato i broccoli, da sempre odiati dai piccoli, mentre Tristezza interviene nei momenti di scoramento, nelle piccole sconfitte (del campionato di hockey). I ricordi che si vengono a creare appartengono a uno di questi personaggi, ma i ricordi di base, quelli che più di tutti definiscono la personalità di Riley, appartengono sempre alla sfera delle emozioni rappresentate da Joy.

Si costruiscono così le isole emotive della famiglia, dell’amicizia, della stupideria, dell’hockey, edifici interiori che racchiudono una parte importante della bambina.

Con Inside Out il regista PeterDocter installa di nuovo l’immaginario al comando e ingaggia cinque creature brillanti per animare un racconto di formazione che mette in relazione emozioni e coscienza. Perché senza il sentimento di un’emozione non c’è apprendimento. Dopo la senilità e l’intenso riassunto con cui apre Up, che ha la grazia e la crudeltà della vita, Docter lavora di rovescio sulla fanciullezza, tuffandosi nella testa di una bambina, accendendola con flussi di pensieri sferici che hanno tutti i colori delle emozioni. E a introdurre Riley sono proprio le sue emozioni che agitandosi tra conscio e inconscio sviluppano le sue competenze e la equipaggiano per condurla a uno stadio successivo dell’esistenza.

Nel cammino alcuni ricordi resistono irriducibili, altri svaniscono risucchiati da un’ aspirapolvere solerte nel fare il cambio delle stagioni della vita e spazio al nuovo. A un passo dalla pubertà e resistente dentro un’infanzia gioiosa, che Joy custodisce risolutamente e Sadness assedia timidamente, Riley passa dal semplice al complesso, dal noto all’ignoto. Nel processo ‘incontra’ e congeda Bing Bong, amico immaginario che piange caramelle e sogna di condurla sulla Luna.
Creatura fantastica generata dalla fantasia di una bambina, Bing Bong, gatto, elefante e delfino insieme, è destinato a diventare uno dei personaggi leggendari della Pixar Animation, rivelando un’anima segreta, la traccia di un sentimento e l’irripetibilità del suo essere minacciato dalla scoperta di una data di scadenza. Rosa e soffice come zucchero filato, guiderà Joy e Sadness dentro i sogni e gli incubi di Riley, scivolando nell’oblio per ‘fare grande’ la sua compagna di giochi.
I personaggi, realizzati con tratti essenziali che permettono di coglierne la natura profonda (rotonda, esile, spigolosa),fanno emergere l’aspetto intangibile del processo conoscitivo dentro un film perfettamente riuscito, che ricrea la complessità e la varietà dell’animazione senza infilare scorciatoie tecniche o narrative. Dentro e fuori Riley partecipiamo alle vocalizzazioni affettive indotte da Joy e Sadness che, finalmente congiunte, la invitano a comunicare la tristezza. Perché la tristezza, quando è blu e piena come Sadness, è necessaria al superamento dell’ostacolo e alla costruzione di sé.

Impossibile resistere all’espressività emozionale delle emozioni primarie di Docter che privilegia anziani e bambini, gli unici a possedere una via di fuga verso il fantastico. Gli unici a volare via coi palloncini e ad avere nella testa una macchina dei sogni

E’ un film di commovente intensità sul grande passaggio e spauracchio della crescita, che riguarda tanto i piccoli, quanto i grandi; nonché un incredibile manuale utile per far capire davvero le teste dei figli a tanti genitori.

Perché l’impreparazione al cambiamento altro non è che un’impreparazione di fronte a quell’aumento di complessità che, volenti o nolenti, siamo tutti costretti ad affrontare (e a più riprese) nella nostra vita.
Con la capacità di suscitare risate irrefrenabili e di spingere alla commozione che lascia allibiti per la sua apparente semplicità, Inside Out rimescola le emozioni proprio come nel suo racconto, ci porta indietro negli anni e ci racconta del futuro nostro e dei nostri figli, concilia la purezza emozionale dell’infanzia con le capacità di comprensione e esposizione degli adulti.
Regala, insomma,
un viaggio emotivo, un momento di sintesi e introspezione che va goduto a fondo, conservando come ricordi preziosi, in splendide biglie colorate, ogni risata e ogni lacrima.
Preparatevi,e…
“Proteggete i ricordi a costo della vita”, una frase del film da tenere a mente, godendo di questo film anche i titoli di coda.

Per realizzare un sogno bisogna conoscere

Ministro Giannini: per realizzare un sogno bisogna conoscere

Enrico Maranzana

Due sogni del ministro Stefania Giannini:

  • al convegno promosso da Il sole 24 ore sugli Stati generali della cultura [29/10/15] in cui sono stati affrontati i temi de “La buona scuola”, e-book e coding: “L’Italia deve essere il punto di riferimento culturale per l’Occidente e avere una scuola che sia il presupposto irrinunciabile di questa visione“;

  • presentando il Piano Nazionale Scuola Digitale [27/10/15], che si tratta di “Un progetto che vuole riposizionare il sistema educativo italiano in un contesto internazionale in cui il digitale è un elemento pervasivo .. e che rappresenta un significativo investimento culturale e umano rivolto a tutto il personale scolastico, chiamato ad abbracciare le sfide dell’innovazione: metodologico-didattiche per i docenti, organizzative per i dirigenti scolastici e il personale amministrativo”.

Il traguardo auspicato: attribuire alla scuola il compito di far assurgere l’Italia a modello culturale per tutto l’occidente.

Un’intenzione lodevole, demolita dalle scelte compiute: un modello è una rappresentazione semplificata della realtà, realizzato in funzione di uno scopo.

Il paragrafo 7 della legge 107/15, che enuncia le finalità del sistema scolastico, è un inequivocabile sintomo di un disorientamento assoluto, della mancata definizione del risultato atteso: meno del 50% degli obiettivi elencati è atto a orientare l’attività delle scuole. Un errore di gravità incommensurabile, foriera di confusione e d’ingovernabilità. Disorientamento che traspare anche dai commenti alla legge di riforma, centrati sulla gestione del personale: la strategia d’intervento non è considerata elemento qualificante!

Il traguardo auspicato: “Riposizionare il sistema educativo italiano in un contesto internazionale in cui il digitale è elemento pervasivo”.

Gli aspetti finanziari, la disponibilità di risorse sono gli aspetti focalizzati: la necessaria astrazione, essenziale per far evolvere la visione digitale verso la cultura informatica è assente.

Si rimane ancorati al presente a discapito di una visione di lungo periodo

[In rete La scuola regredisce. Dal Piano Nazionale Informatica al Piano Nazionale Scuola Digitale]

 

Il traguardo auspicato: “Abbracciare le sfide dell’innovazione: metodologico-didattiche per i docenti, organizzative per i dirigenti scolastici”.

Si abdica, si sfugge dalle proprie responsabilità.

Organizzazione e didattica sono aspetti interconnessi e gerarchicamente strutturati: prima si definiscono finalità, sistema decisionale, forme d’analisi degli scostamenti esiti attesi .. risultati ottenuti e, solo successivamente, si affrontano le questioni dell’insegnamento.

La buona scuola” non ha affrontato razionalmente la questione: ha calpestato i dettami delle scienze dell’organizzazione. Decentra, affida a terzi scelte che, per il sistema scolastico nazionale, sono vitali.

[In rete http://www.edscuola.it/archivio/ped/organizzare.pdf].

Indagine nazionale Eurostudent

Studenti universitari: luci ed ombre della condizione studentesca in Italia.
Il giorno 4 novembre 2015, alle ore 9.00, presso la sala comunicazione del Ministero verranno presentati i risultati della “Settima indagine Eurostudent sulle condizioni di vita e di studio degli studenti universitari nel periodo 2012 – 2015”.
La ricerca promossa e cofinanziata dal MIUR è stata condotta dalla Fondazione Rui con la collaborazione dell’Università per stranieri di Perugia.

Svjatlana Aleksievič

Una cronaca da Nobel

di Antonio Stanca

Aleksievic“Per la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio del nostro tempo”: è il motivo che ha accompagnato quest’anno l’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura alla scrittrice e giornalista bielorussa Svjatlana Aleksievič.

E’ nata nel 1948 a Ivano-Frankovsk, in Ucraina, ma poi la famiglia si è trasferita in Bielorussia, da dove il padre proveniva. Dopo gli studi universitari ha cominciato a collaborare, a Minsk, con il giornale “Sel’skaja gazeta”. Diventerà inviata di questo e molti saranno i suoi reportage riguardanti momenti, eventi, ambienti della vecchia e nuova Russia. In seguito presso la rivista letteraria “Neman”, che rappresentava la voce degli scrittori bielorussi, curerà la rubrica dedicata alla critica e alla saggistica.

Già da giornalista la Aleksievič si era mostrata incline a trattare delle difficili condizioni, passate e presenti, dei problemi dei poveri, dei deboli del suo paese, del coraggio che avevano mostrato nel sopportare, nel resistere, si era impegnata a favore di quanti venivano umiliati, aveva scritto per un loro riscatto, per un’affermazione dei loro diritti. Aveva condannato le ingiustizie, le prevaricazioni alle quali erano stati ed erano esposti, aveva parlato di una società, di una vita nuova, diversa rispetto a quella che da secoli durava in Russia. E intanto gli argomenti del suo giornalismo, dei suoi reportage cominciavano a diventare i temi dei suoi romanzi. Nel 1983, quando aveva trentacinque anni, scrisse il primo La guerra non ha un volto di donna, nel quale diceva della donne che nella Russia della Seconda Guerra Mondiale erano state mandate a combattere contro i tedeschi. L’opera sarà bloccata per due anni presso l’editore e la scrittrice accusata di dissacrazione dell’eroica figura femminile sovietica. Nonostante tutto il romanzo avrà successo presso il pubblico sovietico, sarà più volte ristampato e sarà seguito da altri quali Ragazzi di zinco del 1989, che narra dei sopravvissuti alla guerra in Afghanistan, Incantati dalla morte del 1993, dove si scrive della serie di suicidi seguiti al crollo del regime comunista in Russia, Preghiera per Chernobyl del 1997, che tratta del disastro nucleare allora verificatosi, Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo del 2014. Questo è il romanzo più recente della Aleksievič che vive a Parigi da quando è stata esiliata perché accusata di essere un’agente della CIA.

Anche l’ultimo romanzo è dedicato alla ricostruzione di particolari avvenimenti verificatisi in Russia, stavolta nella Russia recente che ha vissuto drammi quali quello dell’attentato alla metropolitana di Mosca avvenuto il 6 Febbraio 2004. Di nuovo impegnata si è mostrata la scrittrice a trarre dalla storia, dalla vita della Russia i temi delle sue narrazioni, i motivi per una denuncia dei responsabili di certe situazioni, delle omissioni, delle colpe che mai erano state svelate. E’ stato questo suo procedere a procurarle, fin dalle prime opere, l’interesse, l’approvazione del pubblico prima sovietico e poi straniero. Molti riconoscimenti ha ottenuto la scrittrice sia in Russia sia all’estero, in Svezia, Francia, Germania, Austria, Italia. Apprezzato è stato anche il suo stile dal momento che la Aleksievič scrittrice non ha abbandonato la maniera della cronista e nei romanzi usa presentare delle persone che raccontano, parlano di quanto è avvenuto durante gli avvenimenti considerati, dicono cosa hanno visto, sentito, fatto in quelle circostanze. Testimonianze sono le loro che la scrittrice ha raccolto al fine di riuscire vera, autentica. Una cronaca documentata vuole essere la sua narrativa che è così sapientemente costruita da trasformare in personaggi quelle persone comuni che parlano, da farle sentire vicine al lettore poiché guidato viene da esse nella scoperta di ciò che non sapeva.

In molte lingue sono state tradotte le opere della scrittrice, importanti sono risultate la sua figura, la sua posizione, la sua presenza in un contesto quale il contemporaneo tanto mosso, tanto agitato da problemi individuali, sociali, da tensioni vecchie e nuove. Non è facile compiere le operazioni che la Aleksievič ha compiuto con i suoi romanzi, non è facile pensare di scriverli quando il mondo è così turbolento come quello di questi ultimi anni, non è facile difendere i deboli da chi è forte e soprattutto non è facile farlo come la Aleksievič, cioè muovendo dal vero, dal vivo, riportando, registrando le voci di coloro che certi eventi hanno visto, vissuto, sofferto.

«Afferrare quanto vi è di autentico, ecco cosa volevo […] ho assimilato all’istante questo genere, fatto delle voci di uomini e donne, di confessioni, testimonianze e documenti dell’anima delle persone […] il mondo io lo vedo e lo sento proprio in questo modo: attraverso le voci e i dettagli della vita quotidiana e del vivere», così ha detto la scrittrice durante un’intervista e questo suo impegno ha voluto premiare il Nobel, questa sua volontà di essere vera, questa sua capacità di fare della cronaca un motivo di letteratura.

Il cavallo di Troia della Buona scuola

IL CAVALLO DI TROIA DELLA BUONA SCUOLA

di Alessandro Basso

In questi giorni sta entrando nel vivo la contrattazione d’istituto; per la prima volta da quando è stato introdotta questa “leva” di incentivazione di secondo livello la scuola conosce l’entità degli importi, potendo così, potenzialmente, assicurare il rispetto del termine del 30 novembre indicato dal CCNL quale scadenza per la chiusura del contratto d’istituto.

I sindacati, da sempre acceleratori della conclusione della contrattazione per un fisiologico bisogno di interfacciarsi con i lavoratori e potere dar segnale di presenza attiva attraverso gli interventi sul contratto, quest’anno sembrano orientati a far tardare i tempi cercando di creare una commistione tra il fondo d’istituto, la contrattazione e il bonus da assegnare ai sensi della legge 107/2015 .

E’ noto ai più che la legge sulla buona scuola prevede l’introduzione del bonus, piaccia o non piaccia d’accordo o meno, finalizzato ad introdurre alcune forme di merito per i docenti, cosa che non ha mai fatto il contratto di lavoro negli ultimi vent’anni.

Al tavolo negoziale nazionale nessuno si è assunto la responsabilità di codificare il merito e la figura del “buon insegnante”, rinviando la questione ad apposite sequenze contrattuali, mai attuate, nonostante il susseguirsi di dichiarazioni d’intenti altisonanti sulla valutazione del personale e sul riconoscimento del valore del personale della scuola.

Molto probabilmente l’introduzione del bonus potrebbe configurarsi quale un cavallo di Troia, allorché viene data la possibilità al Dirigente Scolastico di assegnare una somma ai docenti che si distingueranno per l’eccellenza (la stra-ordinarietà, non l’ordinarietà) sul campo, sulla base di tre criteri, certo non semplici, ma ben chiari:

a) Qualità dell’insegnamento e contributo al miglioramento della scuola e al successo formativo e scolastico;

b) Risultati relativi all’innovazione didattico e metodologica

c) Responsabilità nel coordinamento organizzativo, didattico e formazione personale.

Questi indicatori saranno declinati dal rinnovato comitato di valutazione composto da 3 docenti, 1 genitore, uno studente e un membro esterno.

Da nessuna parte c’è scritto che questi criteri devono o possono essere contrattati con la RSU e le OO.SS. in quanto salario accessorio, perché il dirigente si assume la responsabilità delle proprie scelte per mandato istituzionale.

L’obiezione che viene mossa in questi giorni riguarda la pericolosità dell’ operazione di lasciare fondi in mano ai dirigenti, anche volendo lasciar perdere la questione del preside sceriffo: si intravvede la pericolosità di assegnare un premio ad alcuni docenti creando di fatto una sorta di competitività malsana a livello orizzontale, non cogliendo le opportunità, al contrario, di un cambiamento di rotta culturale, necessario ed improcrastinabile.

La qualità della didattica è difficilmente misurabile, è vero, la qualità dell’insegnamento non si misura facilmente perché non è una prestazione oggettiva ma è riferita ad una gamma di abilità e competenze esercitate da parte del professionista docente nell’ambito delle scienze non esatte.

Gli studenti non sanno valutare? Teoria discutibile, gli studenti sanno bene quando un insegnante è un “buon insegnante” e se sono d’accordo anche un genitore e il dirigente, probabilmente si è fatta un’operazione perfetta.

Non è vero che questa gamma di competenze non sono state mai tracciate, non lo ha fatto il contratto ma vi sono documenti, anche recenti (DM 850 del 27/10/2015) che inquadrano il profilo docente:

a. corretto possesso ed esercizio delle competenze culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche, con riferimento ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza e agli obiettivi di apprendimento previsti dagli ordinamenti vigenti;

b. corretto possesso ed esercizio delle competenze relazionali, organizzative e gestionali;

c. osservanza dei doveri connessi con lo status di dipendente pubblico e inerenti la funzione docente;

d. partecipazione alle attività formative e raggiungimento degli obiettivi dalle stesse previsti.

 

Con il fondo d’istituto si possono premiare le prestazioni aggiuntive, anche organizzative, ma con il bonus sarà necessario andare oltre e ricercare la qualità diffusa degli insegnanti.

Nulla a che vedere, dunque, con il personale ATA, con il FIS, con la contrattazione ordinaria.

La tentazione di alcuni colleghi, sul filo del rasoio normativo, sarà quella di intentare le cosiddette intese, fantomatiche e pericolose soluzioni volte alla ricerca di un facile consenso interno, che non rispettano il profilo del dirigente, non rispettano la legge e, allo stesso tempo, pongono sullo stesso piano soggetti con responsabilità nettamente differenti per storia, profilo e anche, in molti casi per formazione. Come è pensabile che i collaboratori scolastici entrino nel merito della carriera docente? Come possono accettare questo i colleghi dirigenti solo per accontentare i sindacati?

La buona scuola non parla del personale ATA, questa è un’altra storia, nulla contro questa categoria di personale però non si può certo continuare a sostenere che il nostro sistema si basa su di loro, perché stiamo pagando cara questa contraddizione in termini così serpeggiante negli anni passati.

Non è possibile sottacere che nei loro confronti si sta compiendo un’azione illusoria nell’innalzarli ad assistenti amministrativi, mettendo così in croce le segreterie scolastiche che devono farsi carico della loro formazione (leggi insegnar loro a battere una lettera con programma word), costringendo, peraltro, altre sacche di personale a fare il lavoro da loro, incolpevoli, lasciato da parte. D’altronde, quale azienda fa passare il proprio personale ausiliario dalle pulizie alla predisposizione delle buste paga? È onesto nei loro confronti?

 

Concludendo, il bonus dovrebbe essere il cavallo di Troia per cambiare la scuola, una volta percorsa questa strada irta di ostacoli, non si potrà tornare indietro e il contratto dovrà in qualche modo occuparsi di questa materia. Sarà sempre troppo tardi.